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Autore: Cathy Holland    16/04/2024    1 recensioni
Sicilia, 1988. Tre bambini, Stefano, Enrico e Claudia, giocano insieme nella campagna bruciata dal sole estivo. Sono amici per la pelle, ma non sanno che tra loro c'è un segreto che può dividerli per sempre.
Milano, 2015. Stefano ha cambiato vita completamente e crede di essere libero dal passato, fino a quando non riceve una telefonata che lo riporta indietro, dove tutto è iniziato. E se ciò che si è lasciato alle spalle distruggesse il suo presente?
[Un nuovo capitolo ogni martedì]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13

IL RICHIAMO

 

 

Sicilia, Isola di Santo Stefano

Ottobre 1999

 

 

 

Mezz’ora dopo, tre test di gravidanza giacevano allineati sul tappeto liso davanti al divanetto rosso che separava la zona cucina dalla zona soggiorno. Claudia era seduta a gambe incrociate sul tappeto e li fissava tenendosi la testa tra le mani.

«A quanto pare non era lo stress» osservò Rosa a bassa voce dal divano, rompendo il silenzio di tomba che regnava ormai da parecchi minuti.

Claudia pensò che forse non era più riuscita a sopportarlo, proprio come lei. Non rispose subito. Le sembrava che la testa si fosse completamente svuotata. Sapeva che il risultato sarebbe stato quello, se lo sentiva dal primo giorno in cui aveva iniziato a sospettare. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma invece di una risposta le affiorò spontanea alle labbra una domanda.

«E adesso che faccio?» chiese con un filo di voce. Anche se non era stata un’enorme sorpresa, anche se dentro di sé aveva sempre sentito di aspettare un bambino, avere la risposta lì davanti, chiara e netta, inconfutabile, era comunque uno shock. Si sentiva paralizzata, come se si fosse tuffata di botto nell’acqua gelida del mare in pieno inverno.

Rosa fece un respiro pesante e rifletté per un momento. «Devi decidere tu, Claudia. Ti posso dire solo una cosa, questo sì: devi riflettere molto bene su quello che fai, perché se decidi di tenerlo, questa storia non riguarda più solo te ed Enrico. E Stefano» aggiunse poi, ripensandosi. Claudia emise un gemito e lasciò sprofondare il viso tra le mani.

L’enormità di quell’affermazione colpì Claudia come uno schiaffo. Era sul punto di rimettere quel poco che aveva mangiato a pranzo ed era abbastanza sicura che non fosse colpa della gravidanza.

«Ho vent’anni» si lasciò sfuggire, angosciata, la voce soffocata dalle mani premute contro il viso. Non aveva il coraggio di abbassarle. «Come cazzo faccio? Maledizione!» Per un attimo che durò un’eternità le parve di annegare nella disperazione.

Rosa non trovò nulla da ribattere e lasciò che tornasse il silenzio per qualche istante. Claudia si disse che probabilmente stava cercando di immaginare di trovarsi nella sua situazione, incinta a vent’anni, da sola, senza un lavoro fisso, senza aver terminato gli studi, senza certezze, senza sapere nemmeno chi fosse il padre.

«Non hai proprio idea di chi possa essere?» azzardò Rosa, dopo un po’ di tempo, come se le avesse letto nel pensiero.

Claudia alzò le spalle, togliendo bruscamente le mani dal viso. Si ritrovò a guardare di nuovo i test di gravidanza, di nuovo quella risposta spaventosa che sembrava gridarle in faccia quanto era stata stupida e imprudente e fu tentata di coprirsi nuovamente gli occhi. Invece li spostò sulla parete di un bianco sporco. «È difficile dirlo. Sono stata insieme a Enrico fino al giorno prima che io e Stefano…» Non proseguì. Si morse il labbro con forza, riflettendo, quasi assaporando il dolore che sentiva di meritare. «Forse… Secondo me è più probabile che sia di Stefano. Perché io ed Enrico siamo sempre stati attenti, abbiamo sempre preso precauzioni. Non mi spiego come sia potuto succedere. Con Stefano non sono stata attenta. Non avevo il controllo, in quel momento.» Sbuffò, asciugandosi gli occhi ancora umidi e tirando su col naso. «Sono stata una cretina. Sono una brutta persona e sono una cretina.»

Rosa la guardò male. «Basta, Claudia. Non serve a niente insultarti da sola.» Fece una piccola pausa, mentre giocherellava con il bordo sfilacciato della tappezzeria del divano. «Non è una garanzia. Voglio dire, il fatto che tu ed Enrico abbiate sempre preso precauzioni. Può capitare un errore, una distrazione, un incidente» continuò, con tono professionale da infermiera.

Claudia sollevò le sopracciglia. «E non ce ne siamo accorti?»

«Non è impossibile. Sono cose che capitano. O pensi che tutte le gravidanze siano sempre programmate?» Claudia la fissò ancora per un attimo, ma non poteva darle torto. Distolse lo sguardo, pensierosa, il cuore che le sprofondava sempre più sotto le scarpe. Non aveva idea di cosa fosse meglio, di cose dovesse augurarsi. Non riusciva neanche a riflettere con lucidità. «Magari… è più probabile che sia di Stefano, dal momento che con lui sicuramente non sei stata attenta, ma non puoi escludere che sia di Enrico» continuò Rosa. Claudia sospirò. Sapeva che la sua amica stava dicendo la verità. Era la semplice voce del buonsenso. Eppure non era convinta. Quella era la conseguenza della follia fatta con Stefano, ne era sicura, anche se non avrebbe saputo spiegare cosa la spingesse a pensarla così. «Queste sono solo chiacchiere, comunque. Niente di scientifico e affidabile» sentenziò Rosa in tono pratico. «Se vuoi avere la certezza, devi dirlo almeno a uno dei due e fare un test di paternità.»

Claudia chiuse un attimo gli occhi, cercando riparo nel buio fresco e riposante dietro le palpebre abbassate. Se avesse sentito un’altra volta la parola “test” si sarebbe messa a urlare. «Ma il bambino non è ancora nato» obiettò. E non so se nascerà mai, aggiunse in silenzio nella sua testa. «Dovrei aspettare di…» dovette costringersi a tirare fuori quella parola. «… partorire, giusto?»

Rosa scosse il capo. «Oggi si può fare un test quando la gravidanza è ancora in corso. È sicuro, anche se costa un po’. Basta che uno dei due decida di…» esitò, cercando la parola giusta, «collaborare» concluse, a disagio.

Claudia sentì una fitta di panico che le rivoltava le viscere. «Non posso dirlo a Enrico. Non ce la faccio» protestò. Sentiva di nuovo le lacrime che premevano per uscire e guardò in alto, cercando di controllarsi, anche se la voce era già più incrinata di quanto avrebbe voluto. «Non posso dargli questo dolore. Ne ha già passate tante. Lui mi ama e Stefano è suo fratello. No» scosse la testa con vigore. «Non posso coinvolgerlo.»

Rosa la studiava con un’espressione di dubbio misto a compatimento. «Claudia, potrebbe essere il padre di tuo figlio: è già coinvolto.»

«Ho detto di no.»

Rosa sospirò e cambiò posizione sul divano, appoggiandosi contro lo schienale. «Chiama Stefano, allora.»

«Certo, così corre qui e se incontra Enrico facciamo billèca»¹ rispose, sarcastica. «No. Stefano deve assolutamente restare fuori da tutto questo. Ha la sua vita lontano da qui, l’università, il suo futuro… Deve concentrarsi su quello.»

Rosa sembrava sempre più stupita. «Non li puoi lasciare fuori tutti e due, Claudia. Devi avere una risposta.»

All’improvviso Claudia non ne poté più. Si alzò in piedi di scatto, così bruscamente che per un attimo le girò la testa. «Sai che c’è? Questo bambino è mio prima che di chiunque altro. Mio e basta. C’è solo una cosa che devo fare se voglio rimediare a questo… disastro.» Prese i test di gravidanza e andò a gettarli nella spazzatura, poi scomparve nella sua stanza, ignorando lo sguardo preoccupato di Rosa che seguiva i suoi movimenti. Si infilò la giacca, prese la borsa e tornò in salotto.

«Dove vai?» si informò Rosa con cautela, ancora sul divano nella stessa posizione. La osservava come se fosse una bomba a orologeria, in procinto di scoppiare da un momento all’altro.

Claudia la guardò. «Lo sai dove sto andando» rispose con tono neutro. Uscì.

 

 

****

 

 

Salì sulla Fiat blu scuro che Enrico le aveva regalato per il diploma due anni prima, usata, ma in buone condizioni. Strinse il volante tra le mani per un attimo e chiuse gli occhi, mentre i ricordi le riempivano la mente. Le sembrava di vedere Enrico seduto al suo fianco al posto del passeggero che le faceva lezione di guida, quando doveva prendere la patente. All’inizio Claudia era così imbranata che sobbalzava su tutte le stradine sperdute nella campagna di Santo Stefano, ma poi ci aveva preso gusto e nel giro di poche settimane era diventata più brava di lui, che aveva la patente già da un anno. Tutte le sue prime volte importanti erano state con Enrico. La prima volta che aveva fatto l’amore, a diciassette anni. Quella era stata la prima volta anche per lui. La prima volta che aveva guidato la macchina. Il primo viaggio da soli, un week end a Catania, per festeggiare il diploma di lei. La prima volta che aveva dato un esame all’università e lui era stato per tutto il tempo alle sue spalle, per sostenerla. Solo il primo bacio non era stato con Enrico. Era successo con Stefano, l’ultimo giorno che lui aveva passato sull’isola, nel cortile del baglio. Ammesso che un incerto, lieve sfiorarsi delle labbra potesse essere considerato un bacio, ma quella era stata la prima volta che Claudia era stata tanto vicina a un altro essere umano.

Mise in moto con un sospiro e guidò con calma fino al baglio Falconeri. Quando parcheggiò sotto la tettoia, notò che la Volvo di Enrico (un regalo di suo padre), non c’era. Scese comunque e si diresse verso la casa. Appena entrata incontrò una cameriera, che le disse che Enrico era uscito da un’oretta per andare in paese a incontrare degli amici e non aveva detto quando sarebbe rientrato. Claudia decise di aspettarlo, ma rifiutò l’invito di prendere un caffè in salotto e andò a sedersi sulle scale della terrazza. Non sapeva se il signor Falconeri fosse in casa, ma voleva evitare di incontrarlo. Non era nello stato d’animo adatto a sostenere una conversazione normale, tanto meno con lo sguardo freddo e penetrante di Edoardo puntato addosso. Le metteva sempre un certo disagio.

Erano le cinque del pomeriggio e sebbene fosse ottobre inoltrato, lo strascico dell’estate siciliana si allungava sul principio dell’autunno, rendendo le giornate ancora luminose e calde. Per avere un cambiamento serio bisognava aspettare almeno novembre. Nessuno la disturbò, mentre se ne stava seduta sulle scale a guardare il cielo limpido. Ogni tanto qualcuno attraversava il cortile, la cuoca, che si fermò a salutarla e poi la spiò per un po’ sulla soglia della cucina e il giardiniere, che si limitò a farle un cenno da lontano mentre trasportava gli attrezzi da lavoro nella cantina. “La signorina Claudia” non si vedeva al baglio da qualche settimana e tutti sapevano che tra lei ed Enrico c’era qualcosa che non andava. Claudia era sicura che le chiacchiere, le ipotesi e le previsioni si fossero sprecate fin dall’inizio e le venne da sorridere al pensiero che quella sera, nella grande cucina di cui conosceva ancora a memoria ogni angolo dai tempi in cui ci passava interne giornate con sua nonna, avrebbero avuto nuovo materiale per spettegolare.

Non dovette aspettare molto. L’aria non aveva ancora iniziato a rinfrescarsi quando la Volvo grigio metallizzato di Enrico varcò il cancello e si fermò accanto alla sua Fiat. Sentì un tuffo al cuore mentre si chiedeva che cosa stesse pensando in quel momento, scoprendo che era venuta da lui. Enrico rimase nell’abitacolo della Volvo per qualche istante, forse rimuginando sulla cosa, poi scese senza fretta, lanciando occhiate calme intorno a sé. La sua bocca era una linea sottile e Claudia capì immediatamente che sotto l’apparente tranquillità doveva essere molto nervoso. Attraversò il cortile e quando vide Claudia, ancora seduta sulle scale, si bloccò. Dopo una brevissima esitazione, riprese a camminare e la raggiunse.

«Ciao» disse, con voce controllata.

Lei si sforzò di tirare fuori un sorriso. «Ehi.»

La fissò in silenzio per alcuni istanti, forse aspettando che lei aggiungesse qualcosa. «Stai… Aspettavi me? Perché non sei entrata in casa?»

Claudia alzò le spalle. «Mi andava di stare qui. È una bella serata.»

Enrico annuì, ma era chiaro che era sorpreso da quell’improvvisata. Anche se in quei due mesi di pausa avevano sempre mantenuto i contatti, si erano incontrati raramente e soprattutto lei non era mai piombata al baglio così all’improvviso, come faceva quando stavano insieme. Era comprensibile che lui non sapesse cosa aspettarsi.

«Sei qui da molto?» indagò, come se non sapesse bene che cosa dire. «Ero al bar con Enzo e Diego, in paese.» Fece una breve pausa. «Enzo ha una zita.»²

Claudia fece un sorriso tirato. «Ah, sì? E quanto durerà stavolta?»

«Come le altre volte: poco» rispose Enrico. Ricambiò il sorriso e per un attimo fu come se il legame che ancora li univa vibrasse tra loro, splendente di luce. Rimasero in silenzio per un po’. Claudia era leggermente nervosa e non le sembrava strano, considerando quello che era venuta a fare, ma non avvertì l’esigenza di riempirlo immediatamente. Osservò Enrico per qualche istante. L’aveva sempre meravigliata che avesse un aspetto così virile pur avendo lineamenti fini e delicati.

«Come vanno le cose? Come sta tuo padre?» chiese poi, più per prendere tempo che per riempire il silenzio. Aveva il bisogno di sentirsi perfettamente calma e padrona di sé prima di affrontare argomenti più gravi.

Lui sembrava un po’ incerto, come se le frasi banali che si stavano scambiando gli suonassero strane. Doveva aver intuito che Claudia era lì per qualcosa di importante, ma ebbe solo una piccola esitazione prima di rispondere. «Meglio. La settimana scorsa l’ho accompagnato a Palermo per il solito controllo. Hanno confermato che l’operazione è andata bene.»

«Sono contenta.»

«Non è tutto risolto, ma se pensi che eravamo preparati al peggio…» Enrico lasciò la frase in sospeso, ma non era necessario che aggiungesse altro, non con lei: Claudia sapeva quanto fosse complicato il rapporto tra Enrico e suo padre. A volte lei detestava Edoardo, ma sapeva anche cosa significasse perdere l’unica persona con la quale si avesse ancora un legame familiare.

«Tu come stai?» domandò poi Enrico, cauto, quasi timoroso di ricevere una risposta che non gli sarebbe piaciuta.

Claudia dovette riflettere prima di rispondere. In quel momento era una domanda difficile per lei, ma alla fine optò per la risposta più semplice. «Sto bene. Tutto ok» disse con voce tranquilla, eppure non riuscì a trattenere una punta di incertezza che colpì Enrico. Lui la fissò, confuso, ma non indagò oltre.

«Entriamo?» le propose. «Beviamo qualcosa, magari.»

«No, grazie, non mi va nulla. La verità è che… non sono venuta per una chiacchierata.» Claudia raddrizzò la testa e lo guardò dritto negli occhi, con la speranza che se fosse apparsa sicura e determinata, allora sarebbe stata davvero sicura e determinata e il terrore che le invadeva le viscere tutte le volte che ripensava ai tre test di gravidanza positivi allineati sul tappeto sarebbe svanito. «Ti devo dire una cosa. Una cosa importante.»

Lui la scrutava con attenzione, come alla ricerca di un indizio. Distolse gli occhi e guardò il cortile vuoto per un attimo. «Lo immaginavo. Sempre diretta, sei.» Accennò un sorriso che si spense quasi subito, poi la guardò di nuovo. «Dimmi.»

Claudia cercò di prendere un profondo respiro, di parlare con calma, ma all’improvviso fu colta dal panico e prima di bloccarsi buttò fuori le parole con forza. «Sono incinta.»

Cadde un silenzio di tomba. Per molto tempo lei udì soltanto il lieve stormire del vento tra le fronde del mandorlo e degli alberi di arance e limoni nel cortile e l’acciottolio che proveniva dalla cucina e annunciava l’inizio dei preparativi per la cena. Enrico la fissava, immobile, con espressione indecifrabile, come se avesse indossato una maschera. Claudia si impose di sostenere il suo sguardo senza neanche sbattere le palpebre. Dopo una pausa che le sembrò interminabile, finalmente lui parlò.

«Sicura sei?» chiese con un filo di voce.

«Ho fatto tre test di gravidanza.»

La maschera sul volto di Enrico si crepò e lo shock lo invase. Rimase zitto ancora per un po’, probabilmente cercando di assimilare la notizia. Claudia gli lasciò il tempo di cui aveva bisogno. Anche lei ci aveva messo una decina di minuti a realizzare che cosa significasse davvero il risultato del primo test.

«Da quanto lo sai?»

«Neanche un’ora. Ho fatto i test oggi pomeriggio. Io… lo sospettavo da un po’ di tempo, in realtà, ma… mi mancava il coraggio» confessò a bassa voce e dall’espressione sul viso di Enrico sentì che la capiva.

Il ragazzo si mosse lentamente, come se avesse le gambe pesanti, e sedette sui gradini accanto a lei. Fece un sospiro controllato, intrecciò le mani davanti a sé e le strinse. Claudia lo osservava ansiosamente. Non sembrava averla preso benissimo: era pallido, molto più del solito, e teso come la corda di un violino.

«Che cosa… Che cosa vuoi fare?» riuscì a chiederle, dopo una pausa, e lei ebbe la sensazione che avesse fatto molta fatica a tirare fuori quella domanda. Un’ottima domanda. Claudia si passò le mani sul viso.

«Non ci ho ancora pensato nel dettaglio, ma penso che… lo vorrei tenere.» Nel momento in cui quella frase le uscì dalle labbra, si rese conto di quanto fosse vero. Non che non avesse paura. Il pensiero di diventare madre a vent’anni, di stringere tra le braccia un minuscolo essere umano indifeso di cui avrebbe dovuto aver cura, una persona che sarebbe nata da lei e alla quale lei avrebbe dovuto dedicare tutta se stessa, anche sacrificando se stessa, era come affacciarsi su un baratro senza fondo. Eppure non riusciva a considerare l’alternativa. Non esisteva, un’alternativa. Più di ogni altra cosa, voleva quel bambino e tutto il resto… tutto il resto avrebbe imparato ad affrontarlo, da sola o con qualcun altro. «Sì, ne sono sicura» ribadì, annuendo. Poi guardò Enrico. «E… e tu? Voglio dire, per te va bene?» balbettò, senza sapere come formulare la domanda.

Lui continuava a fissare davanti a sé, teso e distante. Prese aria, aprì la bocca, espirò, prese aria di nuovo. Dopo qualche tentativo, riuscì a mormorare: «La decisione è tua, Claudia. È il tuo corpo.»

Lei sentì uno slancio nei suoi confronti. Rimase a guardarlo per qualche secondo, un sorriso che le nasceva pian piano sulle labbra. Aveva sempre saputo che era un ragazzo gentile, onesto, generoso, ma non aveva mai scoperto fino a che punto.

«È vero. Però è anche tuo figlio» aggiunse, dopo una breve riflessione. Ecco, era fatta. L’aveva detto. Dopo quelle parole, proseguire le parve più facile. «Hai il diritto di dire la tua.» Enrico sospirò appena, senza muoversi. Claudia era convinta che in quel momento fosse lontanissimo da lei, da lì. Chissà a cosa pensava. «Sei felice?» gli chiese a bruciapelo, sperando di scuoterlo.

Enrico esitò. «Io… non lo so. È così improvviso. Non riesco a…» Si interruppe e si passò una mano sul viso, come se per scacciare qualcosa che lo tormentava. «Scusami, non riesco a riflettere.»

Claudia annuì, seria. «Ok, tranquillo, lo capisco. È normale essere nervosi, no? Sono sotto shock anche io, e me lo aspettavo da settimane.»

«Ho paura» confessò Enrico all’improvviso, di getto, cogliendola di sorpresa.

Claudia ebbe un attimo di incertezza, poi allungò la mano e prese quella inerte e stranamente fredda di lui. Non sapeva cosa stesse facendo esattamente. Seguiva il suo istinto e basta, senza avere la minima idea di dove l’avrebbe condotta. «Anche io» mormorò. «Cazzo, sto morendo di paura.»

Le sfuggì una mezza risata isterica. Mentre guardava il cortile inondato dai raggi del sole che iniziavano a declinare verso il tramonto, le venne in mente Amelia. Non aveva mai conosciuto sua madre, morta quando lei aveva appena un anno, ma sua nonna Amelia aveva rivestito quel ruolo così bene da non farle mai sentire il vuoto. Quando ripensava ai suoi genitori, Claudia provava un vago rimpianto, più che un’autentica tristezza: il rimpianto per qualcosa che era perso per sempre e che non avrebbe mai fatto parte della sua vita. Quando pensava alla nonna, invece, era come se una voragine le si aprisse nel petto, non riusciva a respirare. Di solito cercava di allontanare i ricordi, sperando che con il passare del tempo avrebbero fatto meno male e sarebbe riuscita a riviverli con serenità. Amelia era stata il pilastro della sua vita e l’idea di essere per un altro persona quello che la nonna era stata per lei la riempiva di emozione e di terrore in ugual misura. Il pensiero di Amelia le diede forza e la spinta di cui aveva bisogno per andare avanti. Strinse forte la mano di Enrico, lo sguardo abbassato sulle loro dita intrecciate come le loro vite.

«Però ho un po’ meno paura se penso che tu sei qui con me» aggiunse a bassa voce. «E forse… credo che l’amore sia questo.»

Le sue parole scivolarono in un silenzio profondo e denso. Mentre aspettava la reazione di Enrico, Claudia si rese conto che non stava mentendo per salvare la loro storia. Non era una bugia, non del tutto, almeno. Da bambini, lei ed Enrico erano sempre stati parte di una cosa sola insieme a Stefano e dopo che lui era andato via, dopo che avevano perso un pezzo, si erano avvicinati sempre di più, stringendosi l’uno all’altra per colmare quel vuoto che si allungava tra loro. Nel tempo, Claudia aveva iniziato a sospettare che Enrico provasse qualcosa di più dell’amicizia per lei, che lo avesse sempre provato. Era un sentimento naturale, spontaneo. Faceva parte di lui, come gli occhi azzurri e il sorriso timido. Lo portava inciso in ogni espressione, ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola. Giorno dopo giorno lei aveva ascoltato quel richiamo costante, dolce, gentile, e aveva ceduto.

«Ti ho sempre amata» le aveva bisbigliato Enrico all’orecchio, con un miscuglio di incredulità, timore e gioia, quando si erano baciati per la prima volta. Quel “sempre” le era rimasto dentro, come un solco scavato nel cuore.

Claudia sollevò gli occhi e scoprì che Enrico l’aveva osservata per tutto il tempo, silenzioso, quieto, attento come solo lui sapeva essere, e nei suoi occhi lesse la risposta che aspettava. Le parole non servivano. Di slancio gli prese il volto tra le mani, lo tirò a sé, chiuse gli occhi e lo baciò.

 

 

 

 

 

 

NOTE.
1. Un macello.
2. Fidanzata.

   
 
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