Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: FernetBranko76    16/04/2024    0 recensioni
Molti bambini sognano di diventare astronauti, ingegneri, presidenti o ricchi magnati del silicio, creatori di automobili automatizzate che esploderanno al primo schianto o inventori di nuovi social dove il dunning-kruger medio ciancerà di scie chimiche.
Ebbene, io niente di ciò.
Io sogno di diventare signore della guerra nelle sperdute savane del Togo.
Da questo shitposting, scritto ieri, ne ho fatto una versione dettagliata come introduzione di una possibile storia.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
AfricaNera

Africa Nera

Bambini. I bambini sono strani. I bambini sono fantasiosi, ma spesso hanno sogni che non stanno né in cielo né in terra. Per me, quando avevo la loro età, erano spesso sogni mediocri; sogni già visti e rivisti, troppo copiati, troppo rigurgitati da bocca in bocca in bocca in bocca e infine? Infine ci si ritrova a fare i conti che tali sogni sono irrealistici, stupidi, roba per poca gente piena di soldi e in grado di permettersi le università migliori, mentre noi siamo ormai bloccati da anni a lavorare in un Walmart in mezzo a dipendenti ritardati che più ritardati non si può.

Certi sogni, insomma, sono roba da élite mentre tu, invece, sei nato in una contea della Louisiana, tra contadini affiliati al KKK e non di certo nei pressi di Harvard o di Oxford. Sogni stupidi, quindi, insensati? E lo sono, ma io la vedo in altra maniera, più… utilitaria, terra-terra, non di certo quella fantasiosa di molti che mi corrispondevano.

Intendo, quanto devi essere banale per voler essere un astronauta? A parte il voler indossare uno scafandro ridicolo e mangiare cibo in pillole, per cosa poi? Per esplorare un pezzo di pietra, gigante sì, ma un pezzo di pietra che non ha vita, nulla se non il senso di vuoto cosmico? O Marte? Perdio, no! Dai su, d’accordo lo spirito faustiano, la necessità di esplorare l’ignoto, ma perfino la Terra è piena di luoghi da esplorare e poi? Ma cosa cazzo vuoi esplorare se non sei mai uscito dal paesino di cinquecento abitanti e hai paura perfino di abitare nel casino che è New York? Dai su, hai paura della tua stessa ombra e vuoi combattere gli alieni? Pensa a scoparteli, piuttosto.

E che dire delle bambine che vogliono diventare modelle? Beh, se ti piace pesare trenta chili per un metro e ottantaquattro e farti di barbiturici per arginare lo stress delle sfilate, e i ricordi di pompini fatti a manager di ogni etnia (tutto per la gloria), ti dirò: Non è una vita che mi sognerei di fare come donna, anche perché a me sono sempre piaciuti i dolci.

Non parliamo poi di quelli che, senza alcuna base, ma con tante idee, vorrebbero sfondare nella Silicon Valley con chissà quale pazza trovata. Un giochino in pixel art superfigo sulla prima guerra del Golfo, misto a temi come il PTSD e la depressione (roba che piace molto a certa gente… Profonda)? La creazione di un nuovo sistema operativo adatto solo a chi sia nato dall’accoppiamento tra un hacker e una piovra? Un nuovo social dove molti soggetti alla Dunning-Kruger spareranno le loro fregnacce sui vaccini e di come ci si possa curare il cancro con la varecchina? Bambini, sveglia, la Silicon Valley è già occupata da anni dai soliti noti e non esiste più l’idea di sfondare.

L’unica cosa che potrete sfondare (forse), con l’idea di emulare i buontemponi di questi posti, sarà il vostro naso a colpi di cocaina, ma dubito fortemente che potrete mai permettervela pura al 100% come un Gates o uno Stallman di turno. Al massimo potrete sniffarvi un prodotto 10% coca, 90% calce, sperando non vi si indurisca nel naso.

Io, di mio, ho avuto ben altri sogni nella mia infanzia da bambino molto particolare. Il mio sogno non era, per riparlare di Silicon Valley, farsi di coca purissima con le puttane della Microsoft. No, il mio desiderio era farsi del più guerreggiante Brown-brown.


La prima spinta è stata quando avevo otto anni, nella tenera età dove ognuno di noi diventa curioso per ogni cosa al mondo, anche quelle più di nicchia.

Mio padre, pace all’anima sua, era sempre stato un tipo strano, particolare in tutti i sensi. La sua severità, sempre presente con me, unico figlio, sfociava nell’ira e nelle percosse quando si ubriacava; il che voleva dire un giorno sì e un giorno sì. E mia madre? Quella figura che avrebbe dovuto bilanciare con l’affetto? Mia madre stava zitta, sempre zitta e sottomessa, da brava donna bianca della Bible Belt. Per giunta se sei la moglie di un neonazista, devi stare zitta e procreare per il bene della razza ariana e accettare gli schiaffoni, perché questo è il tuo ruolo nella creazione del superstato ariano che porterà di nuovo all’età dell’oro.

Mio padre non era solo particolare, e un gran bastardo manesco, ma aveva anche aspirazioni politche. Militante nella sezione dell’Aryan Nations, fondata anni prima nel piccolo paesino dove abitavamo, teneva ogni tre per due comizi insieme ai camerati del posto, a proposito della necessità di un nuovo stato ariano o cazzate simili. Insomma, gente molta tranquilla se si esclude l’odio per ogni essere umano che non sia consono al grande progetto del White Pride World Wide. Ma andiamo al sodo.

Il mio caro padre possedeva (e tuttora possiedo io) una videocassetta, tenuta con cura quasi maniacale. Nel senso, i nastri masterizzati di qualche puntata del Jerry Springer Show o di Beavis & Butthead potevano pure marcire, ma quella cassetta no! Quella cassetta doveva sempre essere perfetta come appena uscita dalla scatola.

La amava quella videocassetta, lo amava quel capolavoro, un trattato di 140 minuti sulla brutalità dei negri e della loro mentalità subumana, incapace di rispettare perfino creature innocenti come gli animali della savana e capace solo di sputare nel piatto in cui i bianchi, fino a pochi anni prima, avevano messo cibo. Una mentalità che ogni bianco che si rispetti dovrebbe odiare.

Tale trattato non era altro che Africa addio, un filmone del 1966, bello come pochi. Un Mondo movie diretto da quell’Italia cinematografica che ormai sembra essere sparita dagli schermi di tutto il mondo al di fuori dello stivale. Un capolavoro, una bellezza come poche; come una bella donna del Ruanda. Mio padre, in questo senso, sbagliò su un punto: non mi fece odiare i negri, no, mi ci fece affascinare.

Quella sera, quella prima in cui lo vidi, rimasi attaccato alla schermo per tutto lo scorrere del film. Per tutti quei 140 minuti non fiatai né pensai di alzarmi per andare a pisciare; mio padre invece rimase serio per tutta la durata della pellicola. Odiava quelle scene, ma infondevano rabbia nel suo cuore e odio per i negri. Erano come steroidi dell’odio per lui, una siringa di eroina da iniettarsi per poter prendere a mazzate senza rimorso quelli che lui definiva feccia.

Io sorrisi nel vedere tutto ciò, ne rimasi affascinato a livello quasi ossessivo per un bambino. Le armi, i fucili, i machete, le morti, i massacri, le mani tagliate sotto il calore della savana; i ribelli Mau-Mau, condannati a morte per l’uccisione di coloni inglesi eppure fieri davanti al destino che li attendeva, le mani tagliate sotto il calore della savana; il sangue, le centinaia di arabi e musulmani massacrati nella rivoluzione del Zanzibar, le mani tagliate sotto il calore della savana; i ribelli Simba dai volti scuri come l’ebano, marmorei nella loro mascolinità, i fisici smagriti eppure forti, le mani tagliate sotto il calore della savana. Arte, arte pura.


Quello fu il primo passo verso la discesa nella mia fascinazione verso un mondo in cui nessuno vorrebbe mai vivere: l’Africa Nera.









   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: FernetBranko76