Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: solandia    17/04/2024    0 recensioni
Un diavolo malriuscito. Due zingare di periferia. E un Angelo bruno sullo sfondo del cielo lontano.
Un'inestinguibile brama di libertà. Una routine incoercibile. Una Gerarchia da sfidare.
Una fiaba dark sulla scoperta di se stessi, degli altri e dell'amore
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inferno, Cerchio IV

Camminava da almeno un'ora.

Ormai dovevano essere le quattro passate.

Le sue ali fibrillavano impazzite, a ritmo con il suo animo in subbuglio, impedendogli di librasi in volo. Una pioggerella densa e viscida gli aveva inzuppato i vestiti, che pesavano addosso come piombo fuso. L'aria era gonfia di umidità e inquinamento: l'odore del benzene sputacchiato dai motori delle rare automobili si era impregnato fra i suoi ricci ribelli, che ricadevano penzoloni sul viso, dondolando al passo con la sua andatura stanca. Avanzava lungo il guardrail della tangenziale, come in trance. L'unica cosa che gli importava era lasciarsi il Number alle spalle.

Un passo. Un altro passo. Senza pensare.

Al Number. A Graffio. A Sammy. A Fix. A tutto quel dannato casino.

Non voleva pensarci.

Un passo. Un altro. Un altro ancora.

Vuoto nella testa.

Nero. Silenzio.

Ecco.

Aveva abbandonato la grande arteria autostradale e ora vagava fra scialbi casermoni di periferia.

Un passo. Un altro ancora.

Il braccio gli faceva un male boia.

Porca miseria.

Chissà come stavano ridendo quei bastardi dei suoi Gerarchi.

Avrebbe voluto vomitare.

Un passo. Un altro.

D'un tratto si fermò, stupito: c'era un campo nomadi davanti a lui.

Sembrava il campo delle due ragazze, quello che aveva intravisto quella mattina poco prima di venir ingoiato dalle Nebbie.

Com'era arrivato fin lì?! Non era dall'altra parte della città? Aveva forse attraversato un Portale senza rendersene conto? O anche questo era uno scherzo crudele architettato dalla Gerarchia?

Restò per un attimo ritto e immobile a soppesare le sagome delle roulottes addormentate.

Poi una folata di aria umida si levò, quasi sospingendolo ad addentrasi nel campo.

Era solo il vento, o qualcuno stava giocando con la sua emotività in subbuglio?

Bah. 'Fanculo.

In fondo non ce l'aveva, un posto migliore dove andare.

Si avventurò fra i carrozzoni, vagando per lo sterrato.

Tutto era silenzioso e immoto.

Acuì il suo olfatto, ma non avvertì sentore di altri Diavoli nelle vicinanze. Non c'era neppure traccia del recente passaggio di Angeli: evidentemente anche i Piccioni Aureolati preferivano pedalare al largo da certe situazioni. Ma, mescolato al fetore di tutti gli umani che lì cucinavano, pisciavano e alitavano, c'era un altro odore. Korim non avrebbe saputo descriverlo: ricordava l'elettricità di cui si carica l'atmosfera prima di un temporale, ma anche lo spirare del vento sottile in un mattino terso.

Una cosa era certa: non era un odore appartenente al Mondo Terreno, quindi doveva essere legato in qualche modo al suo Mondo, anche se non l'aveva mai avvertito in precedenza.

Di chi era?

Bah. Che importava, in fondo?

Chiunque avesse lasciato quella scia di profumo, ormai era altrove già da un bel pezzo.

Si infilò le mani in tasca e avanzò rasente i carrozzoni, cercando l'odore di Drande.

Senza successo.

Merda.

Forse non era lì che vivevano le due ragazze. Forse stava solo confondendo un campo rom con un altro.

Stava per andarsene, quando, ai margini di quello spiazzo desolato, scorse una roulotte solitaria. Più vecchia e più cadente delle altre, dava l'idea di essere stata spinta a calci fuori dal cerchio delle sue sorelle ed essere rimasta lì, a guardarle da lontano.

C'erano i vestiti di Amina stesi lì fuori.

Un entusiasmo infantile riempì l'animo di Korim, che si lanciò di corsa in quella direzione. Giunto a qualche metro di distanza dalla roulotte, però, dovette arrestarsi: una sorta di muro invisibile correva tutto attorno al carrozzone, sbarrandogli la strada.

Pensò a una qualche Sortilegio, ma subito si rese conto di non avere di fronte altro che l'aura delle due sorelle.

Non era più forte del solito, solo più ordinata, al punto da generare una sorta di barriera: invece di gorghi e vortici dirompenti, ora sembrava creare una gigantesca bolla.

Forse, nell'incoscienza del sonno, i poteri delle due ragazze trovavano spontaneamente una propria coerenza, armonizzandosi.

Incuriosito, provò a toccare quella sfera invisibile e scoprì che non veniva respinto, a patto che vi si avvicinasse gentilmente. Se tentava di forzarla o di sfondarla con impeto, la bolla diventava una sorta di muro invalicabile, ma se se vi si accostava con rispetto essa lo lasciava docilmente passare, limitandosi a solleticarlo un po'.

Stupito e ammirato di fronte a quel fenomeno, si fece avanti lentamente, sino ad immergervisi del tutto.

All'interno, pace.

Disarmante, assordante pace.

Tutti i Mondi erano tagliati fuori.

Tutti.

Non aveva mai provato una tale serenità in vita sua. Non così totalizzante, mai.

Dentro quella polla artificiale, sottratta allo scorrere dello Spazio-Tempo dai poteri inconsci delle due Streghe, la rabbia, la delusione, lo schifo e lo sconforto che gli si agitavano dentro da sempre sembrarono stemperarsi e colar via dal suo cuore.

Mosse qualche passo e si rese conto che il suo corpo era stranamente leggero, come se la forza di gravità fosse ridotta.

Era una sensazione bellissima.

Avanzò fino a filtrare attraverso le pareti della roulotte.

All'interno c'era odore di acqua e sapone, misto a quello di canfora e di vecchie cianfrusaglie consunte.

Una cucina sgangherata, un tavolino, una stufetta elettrica. E nient'altro, tranne due brande con il loro carico umano profondamente addormentato.

Amina sognava, beatamente appallottolata nelle coperte. Il suo respiro era profondo, come quello di un animaletto caduto in letargo.

Korim restò a guardarla a lungo. Un po' troppo a lungo, perché l'idea di guardare verso l'altra branda lo metteva a disagio. Aveva paura che Drande percepisse il suo sguardo, che si svegliasse. Aveva paura di trovarsi con gli occhi fissi nei suoi.

Poi la giovane donna gemette nel sonno e lui non poté fare a meno di voltarsi.

Lasciò indugiare lo sguardo sui tratti delicati del suo viso, restando ad ascoltarne il respiro come un ebete.

Era bellissima.

Fu solo dopo qualche tempo che si accorse delle strie di sale che solcavano le sue gote.

Lacrime?

Aveva pianto?

Allungò d'istinto la mano, come a volerle asciugare via, ma subito si ritrasse: lui non poteva asciugare le lacrime di Drande.

E non solo perché la sua mano non gli avrebbe obbedito e probabilmente si sarebbe bloccata a mezz'aria. E non solo perché la sua piaga si sarebbe approfondita. Non poteva perché, di sicuro, con quel tocco le avrebbe fatto del male.

Come a Graffio, a Fix, a Sammy e a tutti gli altri.

Deglutì, ripensando al casino di quella sera.

Merda.

Era andato tutto a catafascio.

E lui che si era illuso di essere in grado di aggiustare le cose!

Dentro quel cesso Graffio aveva completamente perso la testa e aveva iniziato a gonfiare Tim di botte, senza pietà. E per quante ore il damerino palestrato dedicasse ogni giorno al fitness, contro il DJ infuriato sembrava un povero lombrico indifeso.

Erano intervenuti i buttafuori, ma Graffio non si era fermato neppure quando li avevano sbattuti tutti nel parcheggio.

Sammy urlava e piangeva fra le braccia di Marty, ripetendo: «Basta! Basta!» con voce rotta, ma più lei gridava di smetterla, più Graffio sembrava infuocarsi.

Alla fine era arrivata una volante della polizia, e il DJ aveva pestato pure gli agenti. Avevano dovuto sudare sette camicie per fermarlo; arrestato per percosse a danno di terzi e offese a pubblico ufficiale, ne avrebbe avuto per mesi, e poteva anche sognarsi i domiciliari.

Sammy era svenuta, vuoi per l'alcool che aveva in corpo, vuoi per la disperazione, e Tim era stato portato via in ambulanza: codice rosso.

Bizarq era in estasi: non faceva che complimentarsi con lui e rivolgergli occhiate adoranti per l'eccellente Lavoro svolto e lui, di fronte al collega, aveva anche avuto la faccia tosta di fingersi gongolante per il disastro che aveva provocato.

Era stata un'occhiataccia di Marty a fargli crollare la maschera. Due occhi disincantati, sprezzanti. E lui si era sentito da schifo.

Aveva piantato Bizarq in asso per tornarsene in quel cesso dove tutto era cominciato, con l'intenzione di guardarsi allo specchio, per vedere in faccia quella merda di «io» che aveva giurato di difendere ad ogni costo, invece in quel bagno si era trovato di fronte Fix: con le mani appoggiate al lavandino, si dondolava avanti e indietro, cantilenando una nenia senza senso alla sua immagine riflessa.

Sentendo entrare qualcuno, il ragazzino si era voltato lentamente ed era rimasto a fissarlo con occhi vacui. Gli ci era voluto più di un minuto per riconoscere l'amico bassista in quella figura ombrosa. Poi aveva sorriso, strabuzzando gli occhi.

«Korim... Sto male...» aveva proferito in un soffio, prima di accasciarsi.

Il Diavolo l'aveva afferrato appena in tempo, prima che cadesse a terra. E con la nausea nel cuore se l'era caricato in spalla e, in silenzio, l'aveva portato via.

L'aveva condotto fino a casa, tenendoselo in groppa come un sacco di patate, mentre il Marchio gli corrodeva il braccio ancor più in profondità. Puzzava di gremo da far vomitare.

Fix gli tornava utile, forse per questo i suoi Gerarchi gli avevano concesso di toccarlo e aiutarlo, ma il prezzo per Korim era stato davvero salato: le sue carni erano macerate al punto che, fra i loro brandelli, adesso si potevano vedere le ossa.

Aveva citofonato nel cuore della notte ai genitori del ragazzo e se n'era rimasto impassibile a sorbirsi i loro urli, il loro sdegno, la loro incredula disperazione nel vedersi recapitare il figlio conciato in quel modo.

Cretini.

Non se n'erano mai accorti che il loro «bambino» si faceva ?

Ma il Tentatore non se l'era sentita di replicare: aveva incassato in asettico silenzio persino quando il padre di Fix aveva incolpato la band di avergli rovinato il figlio e aveva giurato che non l'avrebbe più mandato a suonare con loro, a costo di ammanettarlo al letto.

«Buonasera» aveva risposto soltanto, voltando loro le spalle e rendendosi invisibile senza ulteriori cerimonie.

Che pensassero quel che gli pareva, di lui e del loro figlio.

Non era colpa sua se Fix si drogava, ma che importava?

Tanto valeva assumersela: in una sera aveva provato ad aiutare Graffio, ottenendo di farlo finire in galera, e Fix, con il risultato di vedere sfasciata la band grazie alla quale si manteneva e che per il ragazzino era una delle poche ragioni per cui valeva la pena vivere.

Ottimo. Meraviglioso.

Ora doveva anche trovarsi un nuovo lavoro.

Sospirò: decisamente non era tagliato per fare l'Angelo Custode.

Aveva traviato la gente per anni senza che nessuno mai lo incolpasse di nulla e, ora che aveva provato ad aiutare qualcuno, si era sentito dare anche colpe che non aveva.

Evidentemente con la genetica non si discute: era nato Diavolo e Diavolo sarebbe rimasto per l'Eternità.

Evviva.

Si alzò, gettò un ultimo sguardo al volto addormentato di Drande e levitò stancamente, filtrando attraverso il soffitto sgangherato della roulotte. Ci si accasciò sopra e restò lì, rannicchiato, ad osservare la notte.

Folate d'aria gonfia di vapore acqueo giocavano con le foglie morte che tappezzavano il suolo. Tutt'intorno aleggiava il silenzio falso della città, rotto solo dal rombo di qualche motore lontano. La coltre di nubi andava diradandosi e squarci di cielo si aprivano a tratti, con il loro carico di stelle tremolanti.

Korim si tolse la giacca e scoprì la sua piaga: trasudava un liquame giallognolo che colava fino a impastargli le dita.

Disgustosa.

La leccò e ne succhiò via gli umori, fasciandola poi alla bell'e meglio con la bandana che portava al collo.

Sputò più volte per scacciare il saporaccio che gli era rimasto in bocca, ma invano.

Si arrese allora a frugare nella tasca dei jeans per estrarne un pacchetto di MS, scroccato a Batch due sere prima. Se ne accese una, poi un'altra e un'altra ancora.

Quando il pacchetto fu terminato, cominciava ad albeggiare.

Il saporaccio nella sua bocca non si era lavato via, ma almeno era riuscito a non pensare.

Sputò per terra, sopra il mucchietto dei mozziconi, e si alzò, scendendo dal tetto: era ora di lasciare quella bolla incantata e affrontare il giorno.

E con esso i suoi rimorsi.

Calciò un sasso, si infilò le mani in tasca e si allontanò di qualche passo, con lo sguardo fisso al suolo.

In quella, una figura corpulenta emerse dal gruppo delle altre roulottes; nonostante fosse ancora buio, camminava a grandi falcate e per poco non travolse il nostro Diavolo, che, d'altronde, era invisibile ad occhio umano.

Spintonato dall'energumeno proprio sul braccio ferito, Korim imprecò e fu sul punto di giocargli qualche brutto tiro, quando qualcosa lo fece fermare: l'odore.

Quel tizio trasudava un fetore che non gli piaceva affatto.

Era eccitazione?

Sì, ma montata in una schiuma marcescente.

L'uomo si fermò a pisciare contro il palo che reggeva i panni stesi delle ragazze, poi entrò nella loro roulotte senza nemmeno bussare.

A Korim si gelò il sangue nelle vene.

Vide la bolla creata dall'aura di Drande e Amina dissolversi in un istante. Svegliandole, quel grosso bufalo aveva spezzato senza riguardo il meraviglioso Incantesimo creato dal loro sonno. Il Diavolo vide le loro auree separarsi e tornare a vorticare spasmodiche e incontrollate, ma fu solo per un attimo: lentamente ma inesorabilmente, i gorghi andarono affievolendosi fino a sparire, come risucchiati da un buco nero.

Sentiva un parlottare sommesso e Amina che piangeva piano.

Che cazzo stava succedendo?!

Corse indietro. Doveva sapere.

Sempre mantenendosi invisibile, filtrò all'interno della vecchia roulotte, dove fino a un attimo prima regnava sovrana la più profonda delle armonie. E annusò solo disperazione.

Drande era accanto al tavolo, con lo scimmione che la teneva per un braccio: aveva i capelli sciolti ed era pallida, con gli occhi scavati dallo sconforto. Sul tavolo erano sparsi quattro spiccioli e un barattolo rovesciato. Amina, in un cantuccio, tirava su col naso e singhiozzava.

«Tutto qui?!» ringhiava l'uomo. «Questo denaro non basta!»

«L-lo so, Ian...» balbettò Drande, senza guardarlo in faccia. «Oggi te ne procurerò ancora. Dammi tempo fino a stasera».

«E cosa credi di racimolare in un giorno?!» la rimbrottò il suo aguzzino, scuotendola violentemente. «Esigo milioni io, bellezza, non spiccioli! Nessuno vuole La Strega, qui: sono io che convinco tutti gli altri ad accettarvi al campo, ma devi pagarmelo, questo servizio!»

«Ti pagherò Ian. Lasciami andare, vado subito a procurarmi altri soldi».

«TU DOVEVI AVERLI ADESSO! Questi erano i patti!»

Amina si mise a piangere forte. Il bisonte la zittì con un calcio, poi tornò a rivolgersi alla sorella maggiore.

«Tu mi devi tutto, non solo il posto al campo, puttanella. Chi si è fatto passare come tutore della Strega, dopo la morte di tua madre e di quel mostro della tua bisnonna? IO! Sei minorenne, Drande: se non ci fossi stato io, gli assistenti sociali avrebbero portato via la Strega quando vostra madre è crepata. Come hanno fatto col piccolo Eduard quando è morto suo padre, e come hanno fatto con Marcu e Maria solo perché i loro genitori non avevano ancora diciotto anni. Se sei ancora insieme a tua sorella, principessa, è solo per merito mio, perché io ci ho messo la mia faccia e la mia dignità con quelli del Comune. Ma questa faccia ha un prezzo salato!».

«Lo so, Ian, lo so. Troverò un lavoro, ti darò tutto il mio stipendio, te lo giuro...» balbettava Drande.

«Lavoro?! E chi vuoi che dia un lavoro a una come te?! Io voglio essere pagato adesso! ADESSO, CHIARO?!» tuonò l'uomo: «Fai uscire la Strega».

Gli occhi di Drande si dilatarono dalla disperazione, ma la sua voce ubbidì docile: «Amina, va' fuori a giocare, da brava».

La bambina ubbidì e corse via a piccoli passi veloci.

L'uomo, senza perdere un istante, sbatté violentemente Drande contro il muro del vano-cucina.

Lei voltò il viso di lato. Piangeva lacrime silenziose.

Ian emanava un odore così aspro da far piangere gli occhi. Un odore che Korim conosceva bene: era parte del suo Mestiere.

Avrebbe voluto fermare il tempo. Fermare quella scena.

Invece era raggelato.

Lo vedeva e non ci credeva.

Per quante volte avesse lui stesso creato i presupposti per un quadro simile e poi fosse rimasto a vegliarlo, ora che tutto si svolgeva senza il suo zampino gli sembrava di vivere in un incubo.

L'aura potente delle due ragazze era sparita, ingoiata dalla loro sottomissione. E il suo corpo di Diavolo non si muoveva, era come zavorrato.

Provò a sollevare una mano: niente.

Provò con più forza, forse si schiodava...

No. Niente.

E poi, anche se si fosse potuto muovere, cosa avrebbe fatto?

Presumibilmente un mare di guai.

L'odore dell'eccitazione del bestione era montato a livelli nauseanti. Fermentava come un mare di liquami in putrefazione. La ragazza, completamente bloccata sotto il suo peso, piangeva senza far rumore.

Quando la ruvida e nodosa mano dell'uomo corse a sollevarle la gonna, il Diavolo indietreggiò, ad occhi sbarrati, fino a filtrare fuori dall'abitacolo, che ora ondeggiava ritmico.

Non voleva guardare.

Stavolta almeno, non voleva guardare.

La stavano violentando.

Stavano violentando quella ragazzetta riservata che tanto l'aveva fatto sentire vivo, e lui non poteva farci niente.

E lui non riusciva a farci niente.

E lui, forse, era solo un codardo che era scappato senza neanche provare sul serio a fare qualcosa.

Non riusciva a respirare.

In compenso, però, il braccio non gli faceva più male.

Amina se ne stava rannicchiata pochi passi più in là, con le mani a tapparsi le orecchie. Fissava il suolo come in trance e si dondolava avanti e indietro, canticchiando la ninna nanna di Drande.

Per non vedere. Per non sentire. Per fingere che non stesse accadendo.

Perché Drande non urlava? Perché non si divincolava? Perché non chiamava aiuto?

Dov'erano tutti? Possibile che dormissero ancora? Perché nessuno dava una mano a quelle due?

Dov'era?!

Dov'era l'eroe buono che arriva in tutti i film a sventare una situazione disperata?

Mica poteva farlo lui, l'eroe. Non ci era tagliato!

E dove cazzo erano gli Angeli?!

Ce li aveva sempre fra i piedi, porca miseria, possibile che adesso che c'era bisogno di loro non ce ne fosse uno, uno soltanto che si trovasse a passare nei paraggi?!

Merda. MERDA!

Korim proruppe in un grido gutturale e pestò un pugno violentissimo sulla carcassa della roulotte.

Amina sollevò di scatto il capo nella sua direzione e il suo sguardo vitreo lo trapassò come una lama.

Il Diavolo avrebbe voluto non essere mai nato, in quel momento, con gli occhi accusatori della piccola puntati addosso.

«Non è come credi!» iniziò a giustificarsi concitatamente. «Non l'ho spinto io, quel porco! Io volevo fermarlo ma non...»

Si interruppe bruscamente, non tanto per l'insensatezza della sua arringa difensiva, quanto perché si rese conto che, in verità, la piccola non si era affatto accorta di lui.

Non lo vedeva, non lo sentiva, non ne percepiva la presenza.

Non era su Korim che i suoi occhioni erano puntati: semplicemente, lo attraversavano per guardare con odio Ian, che in quel preciso momento stava emergendo tronfio dalla porticina del vecchio carrozzone, subito dietro di lui.

L'uomo scese i tre gradini sgangherati dell'ingresso e, tirandosi su la cerniera dei pantaloni, proruppe in un poderoso rutto di soddisfazione, poi si allontanò senza degnare la bambina di un solo sguardo.

Una rabbia atavica crebbe nell'animo di Korim.

Avrebbe voluto ammazzarlo.

Corrergli dietro, buttarlo a terra e riempirlo di botte fino a spappolargli tutti i visceri e farglieli vomitare.

Ma, ancora una volta, il suo corpo di Diavolo rifiutò di muoversi.

I piedi, le gambe, le mani... Niente di lui obbediva ai suoi ordini.

Merda!

Era peggio di quando era stata Amina a legarlo: l'aura della Streghetta dipendeva dalla volontà della bimba e lui sapeva che prima o poi lo avrebbe abbandonato. Questa immobilità, invece, era insita nella sua natura stessa di Demonio. Era inscindibilmente parte del suo corpo, come le leggi della fisica sono parte inscindibile del Mondo Terreno, e questo non può che seguirne i dettami.

Non avrebbe mai potuto liberarsene.

I Diavoli non ammazzano nessuno, perché non possono compiere il male in prima persona nel Mondo dei Mortali.

Questa era la Legge del suo Mondo.

E questa legge il suo corpo avrebbe seguito, che al suo spirito piacesse o no.

Ian sparì fra i carrozzoni e Korim si lasciò cadere al suolo, svuotato.

Che senso aveva il suo esistere, se neppure il suo corpo gli apparteneva? Tutto questo era peggio di qualsiasi Inferno!

Poi udì Amina scoppiare in un pianto disperato.

No, c'erano inferni peggiori del suo.

Si rizzò malfermo sulle gambe e, raccogliendo tutto il suo coraggio, filtrò nuovamente all'interno, invisibile com'era.

Drande era a terra, il viso nascosto fra le braccia, il corpo riverso.

Piangeva.

Senza far rumore.

Korim comprese che non doveva essere la prima volta.

Quello sfinimento che le aveva letto in viso fin dal primo giorno, doveva essere l'emblema di un orrore che si ripeteva identico ormai da troppo tempo.

Lui non poteva avvicinarsi più di così, non gli era concesso.

Ma anche se avesse potuto, probabilmente non l'avrebbe fatto: non avrebbe saputo come muoversi, cosa dire, cosa fare. Qualsiasi gesto gli sembrava ipocrita, in quel frangente.

Decise di andarsene e lasciare le due zingare al loro destino. In fondo la sua non era che una presenza inutile.

Meglio inutile che deleteria, in ogni caso.

Uscì dalla roulotte e si avviò fuori dal campo, gettando un ultimo sguardo alla piccola Amina che, ancora rannicchiata fra la polvere dello sterrato, sembrava un sacco dell'immondizia preso a calci e poi abbandonato dal netturbino di turno.

Che vita di merda facevano quelle due.

Quando neanche quelli della tua stirpe ti accettano, che orizzonti ti restano?

Se fosse stato nei panni di Drande, da quel pavimento non si sarebbe alzato più. Mai più.

Poi venne la Luce.

E fu così intensa da paralizzare i suoi passi e spazzar via i suoi pensieri.

Arrivò d'improvviso, ma senza provenire da una direzione precisa, come se fosse stata lì da sempre.

Eppure arrivò, perché prima non c'era.

E recava con sé quel profumo di vento diafano e terso che Korim aveva avvertito entrando nel campo.

Ed era forte. Ed era impetuosa. Ed era mite e gentile come un sorriso buono.

Perché nel suo arrivare gli aveva sorriso, ne era sicuro, anche se la Luce non aveva un volto.

Cos'era?

Apparteneva al suo Mondo, ne era certo, eppure non la conosceva.

Si avvicinò alla roulotte, stupito: non veniva respinto.

Strano. Per quanto non avesse nulla di diabolico, la Luce sembrava accettarlo.

Anzi no, sembrava accoglierlo.

Korim guardò attraverso la finestrella: la Luce era su Drande, come se sedesse accanto a lei, tenendola abbracciata senza che la ragazza se ne rendesse conto.

Lentamente i suoi singhiozzi cessarono.

La Presenza Luminosa svanì, eppure Korim capì che le era ancora accanto e l'avrebbe sostenuta per lungo tempo a venire.

La zingara si rizzò infine a sedere, asciugandosi le lacrime con l'orlo della gonna. Si riassestò le vesti e i lunghi capelli, poi si levò in piedi e uscì dalla porticina.

Si accucciò dinnanzi alla sorellina e le carezzò dolcemente la testolina.

«Vieni?» disse soltanto, tendendole la mano.

Amina sollevò il viso e tirò su col naso.

Drande sorrise. Un sorriso vero, dolcissimo. E Korim non poté fare a meno di chiedersi dove avesse trovato la forza per sorridere, dopo quello che aveva appena vissuto.

«È tutto passato, ora. Andiamo, piccolina» disse Drande prendendo Amina per mano e conducendola via con sé.

E lui restò a guardarle allontanarsi, mentre le loro auree tornavano a fiorire, dischiudendosi lentamente come i petali di un bocciolo a primavera.

Poi levò il capo al cielo: la pesante coltre di nubi si era squarciata e, da quella ferita circolare nel firmamento, i colori vaporosi dell'alba prorompevano di nuova vita, accendendo dei propri bagliori l'aere e il suolo.

Korim spiegò le sue piccole ali da pipistrello e si librò in volo, su, sempre più su.

Volare era faticoso, ma non voleva demordere. Salì e salì, fino ad attraversare quello squarcio.

E di lì uscì a riveder le stelle.

  
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