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Autore: Emma Speranza    18/04/2024    0 recensioni
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.
Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.
Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.
Dall'Epilogo:
​«Corri!»
Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.
Nulla li avrebbe salvati.
Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.
«Scusate, scusate!»
E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
Genere: Avventura, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Vari personaggi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 38
La pace degli illusi
 

Lydia fissava il bicchiere ricolmo di succo di frutta che la signora O’Brien le aveva messo davanti per costringerla a bere. «Ti servono energie.» aveva detto, e Lydia sapeva che aveva ragione, ma a lei sembrava già un grande passo avanti essere scesa in sala da pranzo per colazione, senza dover anche mangiare. Ma la signora O’Brien e sua nonna non erano dello stesso avviso, e Lydia aveva scoperto che le due insieme la affascinavano e allo stesso la terrorizzavano. E così si costrinse a prendere tra le mani il bicchiere e sorseggiare il liquido. Era come catrame nella sua bocca. Trattenne una smorfia e si costrinse a guardare il braccialetto d’oro che le cingeva il polso per impedirsi di correre di nuovo al sicuro della sua camera. Era proprio quello stesso braccialetto ad averle dato il coraggio, la mattina dopo che le era stato regalato, ad uscire dal suo bozzolo e tentare, almeno tentare, di scacciare la stanchezza e il vuoto che continuavano ad avvolgerla.
Erano passati alcuni giorni e non poteva negare che qualche miglioramento c’era stato, soprattutto quando la mattina precedente Silas e Cyril si erano presentati davanti alla porta di casa O’Brien con i genitori di Ewart e quelli di Christine. Lydia aveva visto la gioia immensa provata dai bambini e dai genitori nel riunirsi dopo mesi trascorsi lontani, la poteva percepire nell’aria, le pizzicava la pelle. Ma solo la sera era riuscita a provare una vera emozione, quando entrambi i genitori avevano rifiutato cordialmente l’invito dei signori O’Brien di fermarsi per un po’ lì con loro ed erano andati via portando Ewart e Christine con sé. Dopo averli abbracciati e salutati, Lydia era tornata nella sua camera e li aveva seguiti con lo sguardo dalla finestra fino a quando si erano volatilizzati nel nulla insieme a Silas e Cyril, appena attraversato il cancello. A quel punto si era concessa di piangere.
E nei giorni successivi la storia si era ripetuta.
Ora che si era ritenuto sicuro il ricongiungimento con i famigliari, ogni giorno arrivavano nuovi genitori o parenti, guidati da Silas, Cyril ed occasionalmente Nikolas, che riabbracciavano i loro bambini e li riportavano a casa. Lydia li odiava, perché ad ogni bambino che la abbracciava e la ringraziava, che si stringeva alle sue gambe promettendole che le avrebbe scritto, Lydia sentiva il cuore lacerarsi sempre di più. Da un lato era straziata, dall’altro era sollevata nel constatare che se il suo cuore si stava frantumando allora significava che stava battendo, e che poteva provare ancora qualcosa che non fosse quell’immenso vuoto.
Erano pochi i bambini che avevano ritrovato la loro famiglia, nonostante questo però la casa sembrava già fin troppo vuota, e Lydia sapeva che era la stessa sensazione che stava provando ogni abitante di casa O’Brien, Caitlin compresa, la quale non ingannava nessuno con le sue chiacchere su quanto era bello aver di nuovo uno spazio personale, non dopo aver visto le sue lacrime mentre stringeva un’ultima volta Mike prima che i suoi genitori lo riportassero a casa.
L’unica consolazione di Lydia era la presenza costante di Lance al suo fianco. La aiutava a ricordare costantemente che anche se gli altri se ne sarebbero andati, lui sarebbe rimasto. Quello e il pensiero egoista che Henry, Daniel e Simon, quei tre bambini pestiferi che le avevano rubato il cuore, erano ancora tra le sue stesse mura. Anche se era un fatto presto destinato a cambiare.
«Hanno rilasciato l’elenco completo dei prigionieri di Azkaban.» Il signor O’Brien lasciò cadere la nuova edizione della Gazzetta del Profeta sul tavolo della cucina. Lydia ne approfittò per posare il bicchiere di succo ancora pieno e prendere il giornale prima che la signora O’Brien, Lance o la nonna potessero precederla. Sfogliò velocemente le pagine che riguardavano le notizie sulla prigione che erano già state scritte nelle edizioni precedenti. Era da giorni che si sapeva che tutti coloro che si erano presentati al Censimento erano stati catturati, condotti ad Azkaban e lì incarcerati dai Mangiamorte. Erano talmente tanti che il Ministero aveva impiegato una settimana a stilare l’elenco completo che ora Lydia aveva davanti agli occhi. Erano in ordine alfabetico. Divisi in due colonne. ‘In vita’ e ‘Deceduti’.
Sentì il sorso di succo appena bevuto bruciarle nello stomaco, deglutì un paio di volte per impedirsi di vomitare.
Lesse i primi nomi, e poi li rilesse, e li rilesse ancora, o almeno tentò. I suoi occhi si rifiutavano di focalizzarsi, la mente di ricordare ciò che leggeva e le sue mani sudate iniziarono a tremare. «Eccola.» Lance era alle sue spalle, chinato sopra di lei, il dito che indicava un nome tra un migliaio. James Alice. Gli occhi di Lydia saettarono di nuovo all’inizio della pagina, per cercare di capire in quale delle due sezioni era stata inserita. «È viva, Lydia. È viva.»
Alice era viva.
Alice era viva.
Lydia inspirò rumorosamente, mentre la speranza che non era mai riuscita del tutto a sopire si impossessava di lei, donandole una nuova linfa vitale che solo un minuto prima non avrebbe creduto possibile.
Alice era viva.
Lydia sentì le braccia di Lance avvolgerla e le sue labbra posarsi sulla sua testa.
Alice era viva.
Lance era con lei.
E Lydia si trovò a pensare che forse la vita avrebbe potuto ritrovare un senso. Sospirò di sollievo ed appoggiò la testa contro il petto di Lance. «Quanti altri ne conosciamo?» chiese al signor O’Brien, tornando a concentrarsi sugli altri nomi della lista, nel tentativo di riconoscerne alcuni. Ma erano centinaia, se non migliaia, ci sarebbero voluto ore per studiarli tutti e confrontarli con i nomi di genitori e famigliari dei bambini.
«Oh, lo avete anche voi.» Caitlin entrò nella sala da pranzo con passo deciso. Aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi e portava un giornale arrotolato sotto il braccio. «Bene, almeno potremo fare un controllo generale.» Prese una fetta biscottata dal piatto di Lance e si sedette sulla sedia lasciata libera dal fratello, per poi piantare il suo sguardo proprio verso di lui, in particolare sulle sue braccia strette ancora attorno alle spalle di Lydia. «Mi sono persa           qualcosa?»
«Niente che ti interessi.» rispose Lance. Essendo alle sue spalle, Lydia non poteva vederlo, ma era sicura che avesse appena alzato gli occhi al cielo.
«Sì che mi interessa.» ribatté Caitlin «Ho fatto una scommessa con Duncan, Kate, la mamma e il papà, quindi sì, sono anche affari miei. Quindi? Mi sono persa qualcosa?»
«Di cosa stai parlando?»
«Che scommessa?» chiesero contemporaneamente Lydia e Lance.
Ma il signor O’Brien fu il più veloce a rispondere. «Nulla di particolare rilevanza al momento.» Lydia, Lance e Caitlin erano di tutt’altro avviso «L’unica cosa che ha davvero importanza al momento è studiare l’elenco e cercare di capire chi tra i genitori dei bambini è stato imprigionato in questi mesi. Sono in tanti a non essersi fatti vivi agli incontri organizzati da Silas e Cyril, ma i confini con l’estero sono ancora chiusi e molti potrebbero essere in altri Paesi. Se scopriamo chi è ad Azkaban potremmo riuscire a farci un’idea di chi manca all’appello. Lydia, Lance, Caitlin, se ve la sentite mi aiuterete a studiare l’elenco e…»
Caitlin lanciò il giornale appallottolato davanti al padre. «Già fatto.»
Ebbe l’effetto di lasciare il padre senza parole.
«Come ‘già fatto’?» chiese la signora O’Brien.
«Nel senso di ‘già studiato tutto l’elenco e compilato quello che davvero ci interessa’: il nome di ogni genitore o parente dei bambini che si trovano in questa casa. Per ogni bambino ho scritto l’elenco di nomi presenti sulla lista che ci hanno fornito quando sono arrivati in questa casa. Sono segnati per ordine di importanza. Prima i genitori, poi i nonni e gli zii, e dopo ancora alcuni amici di famiglia che i genitori avevano segnato come contatti di emergenza.» Fece un rapido cenno verso il foglio di giornale e i nomi sottolineati con evidenziatori di diversi colori e un elenco aggiunto a mano nella scrittura di Caitlin «La buona notizia è che ci sono tantissimi genitori che sono stati imprigionati, alcuni nonni, altri ancora sono gli amici di famiglia, li ho segnati comunque perché non avendo notizie dei genitori di quei bambini potremmo rivolgerci a loro per capire se sanno qualcosa di più. La cattiva notizia è che ci sono fin troppi nomi famigliari anche nell’altro elenco.» Non ebbe bisogno di specificare. La scritta ‘Deceduti’ svettava su ogni altra.
«Come hai fatto?» riuscì a chiedere suo padre.
Caitlin alzò le spalle. «Niente di che. Quando Kate è tornata dal lavoro questa notte ha portato una copia del giornale fresca di stampa. Non avevo sonno e ho pensato di portarmi avanti.» Spiegava le profonde occhiaie. «Hanno scritto che fino a questo momento hanno prestato loro le prime cure proprio ad Azkaban, visto che molti dei prigionieri erano troppo deboli per essere spostati, ma stanno organizzando il trasferimento che dovrebbe avvenire tra un paio di giorni. Non andranno direttamente al San Mungo, le condizioni igieniche inesistenti della prigione e il rischio di contaminazione dei pazienti già presenti in ospedale li costringono a portarli prima al Ministero, utilizzare ogni incantesimo disinfettante esistente e poi poterli finalmente ricoverare. C’è scritto che non tutti verranno ricoverati, forse perché sono abbastanza in forma da poter uscire o forse, molto più probabilmente, perché non hanno abbastanza spazio per tutti, quindi nella giornata del trasferimento verranno divisi in turni così da scaglionare gli arrivi e permettere ai famigliari di raggiungerli e portarli a casa. Kate ha detto che nell’edizione di domani pubblicheranno gli orari di arrivo di ciascun gruppo.»
Il signor O’Brien esaminò velocemente la lista compilata da Caitlin. «Hai fatto un ottimo lavoro.»
«Era ora che mi rendessi utile.»
«Sei stata molto brava.» annuì la signora O’Brien, con un luccichio orgoglioso negli occhi «Chiederemo a Kate di portarci l’edizione di domani il prima possibile così potremo organizzarci. A proposito, sai se vuole scendere a fare colazione?»
Caitlin diede un morso alla sua fetta biscottata. «È già uscita. Stamattina all’alba.»
«Quella ragazza sta lavorando troppo, ve lo dico, non fa bene al suo bambino.» borbottò la nonna di Lydia.
Ma la signora O’Brien ignorò il commento, più intenta a guardare confusa la figlia. «Ma se Kate è già al lavoro, Duncan è bloccato a letto e tu sei stata impegnata tutta mattina a compilare la lista… Chi è con i bambini?»
Le sue parole ebbero il potere di raggelare la stanza. Un secondo dopo fu invece invasa dal rumore di stoviglie gettate sul tavolo e stridii di sedie.
«Non di nuovo.» Il lamento di Lydia si perse nella sala da pranzo ormai vuota.
 
 
«Sei ancora in tempo per tornare a casa, se vuoi.»
Sì, avrebbe voluto rispondere Lydia, ma si costrinse a deglutire e scuotere la testa. Il signor O’Brien le lanciò un ultimo sguardo colmo di preoccupazione per poi risedersi su una seggiolina di plastica accanto a lei. Era da due giorni che l’intera casa O’Brien sembrava essersi messa d’accordo per farla desistere dal suo intento, anche se forse era più corretto dire che si erano davvero accordati per cercare in tutti i modi di convincerla. Ne aveva avuto la conferma quando la sera precedente si era trovata i suoi genitori seduti al tavolo della sala da pranzo, con un discorso ben preparato su quanto non le avrebbe fatto bene recarsi lì l’indomani. Nessuno di loro era riuscito nell’intento e quando si erano rivolti a Lance come tentativo estremo, lui si era limitato a rispondere «Vado anche io con lei.»
E la sua presenza, seduto accanto a lei sulle sedie sparpagliate in un atrio troppo affollato, era l’unica cosa che le impediva di lasciarsi prendere dall’agitazione.
Il Ministero era in subbuglio.
Nonostante la complessa organizzazione e gli orari scaglionati, le persone che si erano presentate il giorno della liberazione di Azkaban erano superiori di quante ne aspettassero. Impiegati del Ministero si muovevano in preda al panico tra la folla, lanciando incantesimi alle pareti dell’atrio così da allargarle e concedere un po’ di spazio in più alle persone in attesa.
Per Lydia era ancora troppo poco. Si sentiva soffocare in un mare di corpi, anche se non lo avrebbe ammesso mai di fronte al signor O’Brien, o a Caitlin, intenta a sistemare i fogli nella cartellina che aveva preparato proprio per l’occasione.
«Quanto manca?» le chiese Lydia.
«Ancora mezz’ora. Anche se ho paura che potrebbero ritardare considerando quante persone si sono presentate.»
Lydia non era stupita dal numero di persone che erano accorse al Ministero. Avevano tutti riconosciuto un nome famigliare nell’elenco fornito, avevano tutti persone amate che non vedevano da mesi, che pensavano fossero morte. Era scontato che fossero corse tutte al Ministero per poterle riabbracciare.
In fondo anche Lydia era lì per quello. Aveva già lasciato Alice entrare da sola al Ministero, non l’avrebbe abbandonata anche stavolta.
Ma Alice non era l’unico motivo che l’aveva spinta ad ignorare ogni buon senso e consiglio da parte di tutti quelli che conosceva per trovarsi al Ministero quel giorno.
Nell’elenco dettagliato di Caitlin un nome era stato scritto affianco a quello di Henry. ‘Rachel Morrison’.
Lydia non lo aveva riconosciuto, ma Caitlin lo aveva fatto al suo posto.
La mamma di Henry.
Quando il bambino aveva scoperto che sua mamma stava per tornare, li aveva implorati di portarlo con loro, e ad un netto rifiuto dei signori O’Brien, aveva chiesto a Lydia di andare al suo posto. Lydia non aveva potuto fare altro che accettare.
E così quella mattina, proprio mentre Lydia, Lance, il signor O’Brien e Caitlin stavano attraversando il cancello per dirigersi al Ministero, il bambino era corso fuori dall’orto, con un enorme sorriso ed una rosa recisa di tutte le sfumature di viola in mano. «Un regalo per la mia mamma.»
La rosa era ora riposta con cura nella borsa di Lydia.
«Quanto manca?»
«Per tutti i troll, Lydia! Manca ancora mezz’ora!» sbottò Caitlin, indispettita per essere stata interrotta nel bel mezzo dell’ennesimo controllo dell’elenco.
Lance si sistemò il tutore della mano. «Potremmo fare due passi, per sgranchirci un po’ le gambe.»
«E se ci perdiamo il momento in cui ci lasceranno entrare? No, assolutamente no, rimaniamo qui.» E si lasciò scivolare sulla seggiolina, cercando di trattenersi dal tamburellare le dita sul bracciolo. L’ultima cosa che voleva era esasperare Caitlin e spezzare la tregua che si era creata tra loro dal ritorno dalla battaglia. Per distrarsi, cercò di concentrarsi sulle chiacchere concitate della gente che la circondava.
«Ci siamo nascosti in Scozia, ma mia mamma non voleva lasciare la casa incustodita.» stava dicendo una donna a poca distanza da lei, aveva un orecchino che le avvolgeva l’intero orecchio.
L’uomo al suo fianco scosse la testa. «Uguale a mio nonno. Mia figlia ha provato a convincerlo ma quando è arrivata a casa sua si è trovata in un imboscata. Il nonno non ce l’ha fatta… lei… è nell’elenco dei vivi, ma finché non la vedo…» si interruppe, la voce spezzata e le mani che tremavano. Lydia si voltò per non dover vedere il suo dolore, concentrandosi su un altro signore che andava avanti e indietro per la stanza, spazientendo tutti coloro a cui passava davanti. «Dovevamo saperlo.» stava borbottando tra sé «Dovevamo andarcene prima.»
E poi un’altra signora ancora attirò l’attenzione di Lydia. «L’ho chiesto, sai?» stava dicendo ad una donna che indossava un vistoso cappello da strega, completo di pappagallino impagliato «Prima sono andata su, all’ufficio Regolamentazione degli Artefatti Magici, alla sezione Bacchette. Ho chiesto della bacchetta di Will. Lo sanno tutti che il Ministero ha requisito le bacchette a tutti quelli che si sono presentati al Censimento. Ho chiesto loro quando hanno intenzione di ridarcele, perché su quello non hanno scritto niente sulla Gazzetta. E sai cosa mi hanno risposto?»
«Cosa?» chiese la strega con il pappagallino.
«Che per il momento non hanno predisposizioni sulla riconsegna delle bacchette!» esclamò stridula.
«No!»
«E invece ti dico di sì! Hanno detto che ci sono dei moduli appositi e solo il legittimo proprietario può ritirare la bacchetta. E allora gli ho detto che appena riporteranno qui Will da Azkaban torneremo su a riprendercela e sai cosa mi hanno detto? Mi hanno detto di no! Che prima di lasciare il Ministero i Mangiamorte hanno bruciato tutta la documentazione sui Censimenti e adesso non sanno più a chi appartengono le bacchette! Ma ti sembra giusto? Potrebbero passare mesi – mesi! – prima che possano ridarcele. Il mio povero Will, ne rimarrà spezzato.»
«Non siamo arrivati in ritardo!» L’improvvisa comparsa di Silas al suo fianco fece sobbalzare Lydia. «Cyril, siamo arrivati in tempo!»
«Lo so.» fu la lapida risposta di Cyril.
«Ma se non hai fatto altro che ripetere che saremmo arrivati in ritardo? E invece, guarda,» estrasse l’orologio da taschino, lo stesso che era appartenuto ad Anthony, si accorse Lydia con una fitta di dolore. Silas osservò il quadrante confuso. «Ma non dovevano iniziare alle nove?»
Erano le nove e dieci.
«No. Iniziano alle nove e mezza, ne sono sicura.» Caitlin scorse i suoi fogli di appunti, mentre una fitta di panico si imprimeva nella sua voce «Ho controllato mille volte, c’era scritto che il primo turno era alle nove e mezza e poi ogni mezz’ora arriva un nuovo gruppo.»
«E infatti è così. Ho dato l’orario sbagliato a Sil per arrivare in orario.» Il ghigno di Cyril era terrificante.
Silas aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi la sua fronte si corrugò in un cipiglio offeso. «Ti preferivo muto.»
«Grazie per essere venuti, ragazzi.» Il signor O’Brien strinse entrambi i nipoti in un veloce abbraccio.
Silas scrollò le spalle come se fosse stato scontato, ma la loro presenza lì era tutt’altro che ovvia. Lydia si chiedeva ancora come avessero fatto a tornare subito in azione dopo aver scoperto cosa era accaduto a loro padre, eppure erano stati proprio loro gli elementi più importanti degli ultimi giorni essendosi sobbarcati il dovere di andare a cercare tutti i famigliari dei bambini ed accompagnarli a casa O’Brien. Il dolore e il lutto era evidente nei loro sguardi, oltre che negli abiti neri che indossavano, ma era accompagnato da una forza che Lydia aveva più volte invidiato nel corso degli ultimi giorni. «Vogliamo renderci utili.» le aveva detto Silas quando era passato da lei per una breve visita due giorni dopo la battaglia di Hogwarts «Se rimaniamo in casa rischiamo di impazzire.» Era stata l’unica volta che aveva accennato al proprio dolore. Il resto del tempo lo aveva trascorso a raccontarle stupidi aneddoti su mantelli maculati e puffole pigmee. Lydia non aveva insistito. Ognuno aveva il proprio modo di affrontare il lutto.
«Come sta Nick?» chiese Lance.
«Bene.» rispose Silas al posto di Cyril. Accadeva spesso, non si era ancora abituato al fatto che il fratello aveva finalmente terminato il suo voto del silenzio. «Ormai vive praticamente a casa nostra» continuò imperterrito Silas «Non che la cosa mi dia fastidio, figuriamoci, ma stiamo cercando di riorganizzare la nostra attività, sapete, quella degli spettacoli di magia ai babbani, ma lui non fa altro che ripeterci di quanto sia pericoloso e cose del genere.»
«Volevi comprare una tigre da un tizio che hai incontrato per strada.»
«Era una tigre ben ammaestrata.»
Lydia avrebbe voluto seguire il discorso dei due cugini, ma una parte della sua mente stava ancora ripensando al discorso che aveva origliato prima del loro arrivo.
Bacchette.
Ufficio di Regolamentazione degli Artefatti Magici.
«E un pappagallo ci farebbe guadagnare un sacco di soldi, anche se è scontato, ma ai babbani basta poco per renderli contenti. Certo, dovremmo stare attenti che la tigre non scambi il pappagallo per uno spuntino ma… Ehi! Dove stai andando?»
Lydia si fermò solo un istante, il tempo per dire «Devo fare una cosa.»
«Se vuoi vengo con te!» urlò Lance alle sue spalle, costringendola a fermarsi una seconda volta.
Per un attimo fu tentata di rispondergli di sì, ma poi si accorse che quello che stava per fare doveva farlo da sola. Si costrinse a sorridere. «Non ti preoccupare, torno subito.» E si voltò di nuovo verso gli ascensori, scomparendo tra la folla.
 
Un quarto d’ora dopo, Lydia rientrò nell’atrio, le dita impegnate nel tentativo di richiudere la cerniera rotta della borsa. La folla era aumentata ed impiegò diversi minuti per intravedere la famiglia O’Brien, dirigendosi verso di loro a grandi passi. «Tutto bene?» le chiese Lance appena li raggiunse.
«Sì.» Non fece in tempo a rispondere altro. Una mezza dozzina di impiegati del Ministero ed Auror fecero il loro ingresso nell’atrio ed iniziarono a far entrare nella sezione successiva i famigliari del primo gruppo. Il signor O’Brien mostrò il lascia passare che l’Ordine della Fenice era riuscito a procurare loro e superarono così in poco tempo i controlli. La stanza in cui si trovavano era enorme, Lydia ne ammirò le colonne eleganti e la quantità immensa di camini che ne adornavano le mura. Una schiera di Guaritori era pronta dalla parte opposta della sala. Seguì Caitlin fino ad arrivare in prima fila e stavano proseguendo ancora quando una voce le fermò. «Da qui in poi non si può andare.» L’impiegata del Ministero indicò una linea dorata dipinta sul pavimento. Quando Lydia osservò meglio l’aria davanti a lei si accorse che tremava. Una protezione.
«Hanno sterilizzato la zona degli arrivi.» constatò Caitlin.
L’impiegata sollevò la bacchetta e la sua voce sovrastò ogni altra. Spiegò in breve le istruzioni che avrebbero tutti dovuto seguire. Niente urla, niente spinte, attendere pazientemente l’arrivo del prigioniero che stavano aspettando ed avvicinarsi alla linea solo quando lo vedevano. Mai attraversare la linea. Quella regola fu ripetuta diverse volte, tanto che Lydia fece qualche passo indietro per accertarsi di non infrangerla.
E poi non ci fu più bisogno di parole. I camini si illuminarono di fiamme verdi e il trasposto dei prigionieri ebbe inizio. Gli uomini e le donne che venivano accompagnati alla linea da Guaritori e volontari erano magri, emaciati, con qualche livido, ma tutto sommato abbastanza in forma da riuscire a camminare da soli. Nonostante le indicazioni dell’impiegata, le persone cominciarono ad affollarsi davanti alla linea, impazienti di poter riabbracciare i loro cari. Lydia vide lacrime, urla, abbracci, in una cacofonia di suoni ed emozioni che rischiarono di sopraffarla. Fortunatamente Caitlin la teneva impegnata porgendole una ad una le foto dei famigliari che stavano cercando così da poterli distinguere nel gruppo di prigionieri. Il loro piano era semplice: Caitlin, Lance e Lydia avevano il compito di identificare i parenti dei bambini ed avvicinarli, Silas, Cyril e il signor O’Brien invece li avrebbero condotti a casa così da poterli riunire ai loro figli o nipoti.
I nonni di Alexander, la mamma di Emily, il fratello di Lucas.
Man mano che i prigionieri si riunivano ai loro cari, l’atrio si svuotava, per poi riempirsi di nuovo per il turno successivo, in un circolo che si ripeté per l’intera mattinata, per poi protrarsi nel pomeriggio. Lydia era talmente concentrata nel suo compito da riuscire quasi a dimenticare il mal di testa e il dolore alle costole che non l’avevano ancora abbandonata.
I genitori di Elinor, la nonna di Jodie, la madrina di Tristan, il papà di Leonard.
La mamma e il papà di Daniel.
E poi tantissime persone che Lydia non conosceva. Così tanti che a Lydia sembrava surreale, come potevano i Mangiamorte aver catturato tanti prigionieri?
«Se voi ragazzi siete stanchi possiamo continuare da soli.» Il signor O’Brien posò una mano sulla spalla di Lance, il cui volto era sempre più pallido e tirato. Lydia sapeva di essere nello stesso stato, le ore trascorse in piedi avevano trasformato il dolore alle costole in vere e proprie fitte. Ma non se ne sarebbe andata. Non senza aver visto Alice, non senza aver consegnato la rosa alla mamma di Henry e aver riportato entrambe a casa. E così ricominciarono a lavorare. E all’inizio del turno successivo, quando i nuovi prigionieri cominciarono ad essere trasportati fuori dai camini accesi, Lydia si rese conto del vero motivo per cui il signor O’Brien aveva tentato di allontanarli. I prigionieri appena arrivati erano completamente diversi da quelli del primo turno. Non riuscivano a camminare, venivano aiutati, la divisa che indossavano, la stessa di tutti coloro che li avevano preceduti, era lurida e stracciata in più punti. Erano magri, troppo magri, le vene spiccavano sulla loro pelle, rovinata da minuscoli puntini violetti. «Vaiolo del drago.» sussurrò Lance «Anche se si guarisce, le eruzioni cutanee provocate possono rimanere per mesi o diventare permanenti se non vengono trattate con un unguento specifico.» E dalle condizioni in cui si trovavano i prigionieri, sembrava che ad Azkaban fosse mancato persino il cibo.
«Ecco come li hanno divisi nei gruppi.» Caitlin strinse la sua cartelletta «A seconda delle condizioni.»
Improvvisamente Lydia sentì l’impulso di scappare.
Ma rimase lì, in prima linea, ad un passo dal muro d’aria che impediva ad un qualsiasi germe di raggiungere quelli che sembravano sempre più solo l’ombra di uomini e donne. Perché Alice era nel turno delle quattro. Il penultimo. E se li avevano davvero divisi a seconda della gravità… Per Lydia fu impossibile continuare il suo compito. Caitlin e Lance osservavano ogni nuovo arrivato, ma ad un certo punto fu irrealizzabile riconoscerli dalle foto che avevano lasciato insieme ai loro figli e furono costretti a chiedere l’aiuto degli impiegati del Ministero, che fornivano loro i nomi di tutti coloro che passavano. A nessuno dei prigionieri venne più consentito di attraversare la linea per raggiungere i famigliari, né ai famigliari di correre da loro, potevano solo accertarsi che erano ancora vivi mentre i guaritori facevano sdraiare i pazienti sulle barelle e li accompagnavano nei camini disposti sul muro opposto, diretti verso il San Mungo, sfilando direttamente davanti agli sguardi impotenti dei loro cari.
All’arrivo del turno delle tre e mezza, Lydia dovette trattenere un conato di vomito e chiudere gli occhi. Lance la costrinse a distendere le dita chiuse a pugno e le intrecciò tra le sue. Non le consigliò di andarsene, per quanto Lydia era tentata di chiederglielo lei stessa. No, rimase accanto a lei, mentre Caitlin e il signor O’Brien si occupavano di individuare i parenti dei bambini e chiedere agli impiegati del Ministero di informarli che i loro figli erano al sicuro, che sarebbero rimasti a casa O’Brien fino a quando loro non si sarebbero ristabiliti. Visto che non c’era più nessuno da trasportare, Cyril e Silas erano rimasti a casa O’Brien dopo l’ultimo viaggio per occuparsi dei nuovi arrivati insieme alla signora O’Brien, Kate e Duncan, al quale era stato concesso di alzarsi dal letto solo per quell’occasione.
Lydia avrebbe voluto essere con loro.
Immaginò la gioia che impregnava di sicuro le stanze di casa O’Brien in quel momento, mentre genitori, nonni, zii, amici si riunivano ai bambini dopo così tanti mesi, così tanto terrore.
Il contrario dell’incubo che stava avvenendo in quella stanza del Ministero. Lydia inspirò profondamente e strinse la mano di Lance. I prigionieri che si trovavano davanti a loro erano scheletri, non vi era altro modo per descriverli. Al settimo anno ad Hogwarts, durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure, il professor Moody (o meglio, il Mangiamorte che aveva preso il suo posto) aveva mostrato loro alcune fotografie di Inferi. Erano uguali ai corpi che in quel momento venivano trasportati in tutta fretta verso i camini del San Mungo. Solo i movimenti a scatti della gabbia toracica che si poteva vedere sotto il sottile strato di pelle e della divisa li distingueva dai cadaveri, quello e i rantoli che ne soffocavano il respiro. Lydia inspirò di nuovo per soffocare il conato di vomito. Bende e garze non potevano nascondere le ferite che squarciavano le carni di alcuni di loro. Lance strinse convulsamente la mano di Lydia. Con le sue competenze in Pozioni poteva comprendere quando una ferita era infetta, e dalla sua espressione spezzata, Lydia si chiese quanti dei feriti che erano appena stati trasportati sarebbero sopravvissuti.
«Ragazzi, da qui in poi ci penso io. Aspettatemi fuori.» Il signor O’Brien tentò di togliere la cartelletta dalla stretta di Caitlin, il cui volto era diventato cinereo.
«No.» risposero contemporaneamente Caitlin, Lydia e Lance. Avevano tutti motivazioni diverse, Lydia lo sapeva, ma ognuno di loro sentiva il dovere di rimanere lì, in quella stanza, a vedere l’effetto della disumanità di Voldemort e dei suoi Mangiamorte.
«Siete troppo giovani, non dovete restare. Vi prego.» Lydia non aveva mai visto il signor O’Brien con quello sguardo. Sembrava quasi impaurito. Poi comprese. Voleva proteggere i suoi figli e lei. Perché nessuno degli orrori che erano stati costretti a vedere negli anni di guerra era paragonabile a ciò a cui stavano assistendo. Lydia aveva pensato che la battaglia di Hogwarts, i cadaveri che aveva visto disseminato nei corridoi della scuola, fossero la tragedia della guerra. Si era sbagliata.
«Rimaniamo.» disse solamente. Doveva rimanere. Per Alice, per se stessa, per ricordarsi che anche lei avrebbe potuto trovarsi dall’altra parte del muro d’aria, uno scheletro sdraiato su una barella ad un soffio dalla morte, se Lance, Duncan e il signor O’Brien non l’avessero salvata il giorno del Censimento.
L’orologio batté i quattro rintocchi e i camini si accesero.
Era arrivato il turno delle quattro. Il turno di Alice.
Lydia la riconobbe all’istante. Era sdraiata su una barella improvvisata, il tatuaggio sulla mano, quello a forma di grifone che era scomparso il giorno del Censimento, era di nuovo visibile sulla pelle, anche se aveva perso ogni colore, finendo per assomigliare ad una cicatrice. I capelli, gli splendidi capelli che Alice tingeva di un colore diverso ad ogni anno scolastico, erano stopposi, bruciati ed ingrigiti. La pelle ricadeva sulle ossa come un vestito troppo largo. Ma era lei. Alice. La sua Alice.
«Alice.» Quello di Lydia fu solo un singulto, ma Alice si voltò a fatica verso la piccola folla che si trovava al di là della linea. E Lydia lasciò la mano di Lance per fare un passo in avanti.
«Signorina, deve rimanere lontana dalla linea.»
Ma Lydia voleva correre da Alice, dalla sua migliore amica. «Alice!» ripeté a voce più alta. Premette le mani sul muro d’aria che le divideva, sperando che potesse scomparire. Avrebbe voluto pregare gli addetti di lasciarla passare, ma sapeva che sarebbe stato inutile e pericoloso. I guaritori stessi erano circondati da bolle d’aria che li avvolgevano come una seconda pelle. Ma Lydia batté lo stesso le mani sul muro. «Alice!»
«Lydia.» Alice mosse solo le labbra, ma Lydia riconobbe il proprio nome.
«Alice! Andrà tutto bene! Alice, mi senti? Andrà tutto bene! Adesso ti portano al San Mungo, ci vediamo lì, va bene? Ti raggiungo lì!» Si accorse di aver le guance intrise di lacrime.
Alice mosse di nuovo le labbra.
«Cosa?» chiese Lydia «Cosa hai detto?»
Ma ormai Alice era arrivata al camino, e in uno sbuffo di fiamme verdi, scomparve dalla sua vista.
Lydia si voltò di scatto verso Lance. «Tu hai capito cosa ha detto, vero?» chiese mentre il panico cominciava ad impossessarsi di lei. Alice le aveva detto qualcosa e lei non era riuscita a capire cosa. Quante volte ancora avrebbe deluso la sua migliore amica? Lance scosse la testa. «Voi allora? Voi avete capito.» Ma anche Caitlin e il signor O’Brien furono costretti a negare.
«Ha detto di avvisare i suoi genitori.» Un’impiegata del Ministero si era avvicinata a loro. Aveva le spalle curve, gli occhi arrossati, provava pena per tutti loro, doveva aver visto la disperazione di Lydia e voleva provare a sollevarla. Lydia chiuse gli occhi mentre le lacrime si trasformavano in singhiozzi. Aveva già avvisato i genitori di Alice. Era la prima cosa che aveva fatto dopo aver letto il suo nome sull’elenco della Gazzetta. «Era l’ultimo turno, potete tornare a casa.»
«Non era il penultimo?» chiese Caitlin, che nonostante sembrasse sul punto di svenire non aveva perso la lucidità. «Dovrebbe essercene ancora uno dopo quello di Alice. Erano solo in dieci, se non ricordo male.» Si guardò attorno ma erano rimasti solo loro nella stanza, nessun altro era stato fatto entrare negli ultimi minuti.
L’impiegata scosse lentamente la testa. «Non c’è più nessuno.» sussurrò. E loro capirono. L’ultimo turno. I più gravi. Nessuno dei dieci era sopravvissuto.
«Torniamo a casa, ragazzi.» Il signor O’Brien posò le braccia sulle spalle di Lance e Lydia, per sostenerli «Avete bisogno di riposo.» E li sospinse delicatamente verso l’uscita, dove gli impiegati del Ministero stavano iniziando a sistemare le corde che erano state usate per delimitare gli ingressi. Dopo qualche passo incerto, si accorsero che Caitlin non si era mossa. Stringeva ancora la cartellina tra le mani e fissava i camini. «Caitlin, andiamo.»
«Manca una persona.» Caitlin aveva impiegato ore a studiare gli elenchi, sapeva con esattezza i nomi di tutti coloro che avrebbero incontrato quel giorno.
Mancava una persona, e nel momento stesso in cui pronunciò quella frase, Lydia si accorse chi era.
Il suo respiro si spezzò.
Si liberò dalla stretta del signor O’Brien e tornò di corsa verso l’impiegata del Ministero che aveva avuto pietà di lei. Inciampò sulla linea quando il suo corpo non trovò il muro d’aria che li aveva divisi fino a quel momento, ritrovò l’equilibrio e si aggrappò alla manica della donna. «Rachel Simmons.» rantolò di fronte al suo stupore «Stiamo cercando Rachel Simmons.»
«Tutti i prigionieri sono stati trasferiti, magari non l’avete vista o…» Si fermò vedendo il terrore puro negli occhi di Lydia «Posso fare un controllo, se lo desiderate.» E senza aspettare una sua risposta, si liberò dalla sua presa e si diresse verso un banco appoggiato accanto ai camini. Con un colpo di bacchetta sollevò un foglio e Lydia riconobbe la lista che aveva visto pubblicata sulla Gazzetta. I camini si riaccesero, le fiamme verdi guizzarono e Lydia pensò che era tutto apposto, che l’impiegata si era confusa, che non tutti i prigionieri erano stati trasportati.
E in un certo senso aveva ragione.
Non tutti i prigionieri erano ancora stati condotti fuori da Azkaban. Ma i corpi sulle barelle che iniziarono ad essere trasportate dagli Auror fuori dai camini avevano un’unica cosa in comune. Erano coperti interamente da un lenzuolo.
E a Lydia non servì aspettare il responso dell’impiegata.
Lentamente si avvicinò alle barelle che continuavano ad arrivare. Questa volta non venivano indirizzate verso gli altri camini, ma in un’altra stanza del Ministero. Lydia ricordò che nell’articolo era stato specificato che i parenti delle vittime avrebbero potuto chiedere la riconsegna del feretro alle cinque di quel giorno. Lydia affiancò in silenzio le barelle. Su ognuna di esse era appeso un cartellino. Chi era stato fortunato aveva un nome a decorarlo. Troppi altri la parola ‘Ignoto’ seguita da un numero. Lydia si accorse a malapena di essere seguita da Lance, e alle sue spalle dal signor O’Brien e Caitlin. Nessuno provò a fermarli. Decine di barelle sfilarono al loro fianco. Finché…
Il nome era stato scritto frettolosamente, ma era inconfondibile. Lydia si limitò ad un cenno della mano, ma fu probabilmente il suo viso stravolto a convincere l’Auror che stava trasportando con un incantesimo la barella a fermarsi. Lydia sollevò una mano tremante, pizzicò il lenzuolo ma non riuscì a fare altro. Una mano affiancò la sua e il signor O’Brien ne sollevò delicatamente un lembo.
Se non fosse stato per la magrezza spaventosa, Rachel Simmons sarebbe stata ancora uguale alla donna che Lydia aveva conosciuto nel viaggio in macchina verso casa di sua nonna.
Lydia armeggiò con le mani tremanti la cerniera rotta della sua borsa, e quando finalmente riuscì ad aprirla, estrasse il bocciolo di rosa che le era stato affidato e lo posò con delicatezza sul petto immobile della madre di Henry.
 
Un’unica figura si stagliava nel giardino di casa O’Brien. La nonna li stava aspettando, le mani strette attorno al bastone e lo sguardo fisso verso il cancello. Non fece alcun cenno al loro arrivo, né chiese nulla. Lydia sospettò che avesse già compreso tutto, in fondo sua nonna aveva dimostrato più volte di essere più perspicace di quanto lasciasse vedere.
Sapeva chi mancava, sapeva dove era.
Quando la raggiunsero, Lydia rallentò il passo fino a fermarsi di fronte a lei. «Potete andare a chiamare Henry?»
«Lydia, non sei costretta a farlo.» Anche senza guardarlo, Lydia sapeva che il signor O’Brien era preoccupato per lei. «Ci penseremo io e Rose. Dobbiamo solo trovare il modo migliore…»
«No.» replicò decisa Lydia «È un mio dovere.»
Nessuno provò più a farla desistere.
Il signor O’Brien annuì stancamente. Mentre la superava, Caitlin si fermò al suo fianco. Teneva lo sguardo basso, le braccia stringevano la cartelletta martoriata, come se fosse un salvagente. E poi, senza alcun preavviso, allargò le braccia e strinse Lydia in un abbraccio. Non disse nulla. Non ve ne fu bisogno. Lydia sentì le lacrime pizzicarle nuovamente gli occhi, si impose però di non cedere. E Caitlin la lasciò andare, per seguire il padre in casa. Anche Lance non disse una parola, non provò a convincerla né le chiese di rimanere con lei. Si limitò a darle un bacio sulla fronte e poi si diresse verso l’ingresso.
«Andiamo a sederci?» Lydia seguì sua nonna verso una panchina dell’immenso giardino. Quando vi si sedette la riconobbe. Era la stessa su cui era seduta ad agosto, quando Katherine le aveva raccontato la sua storia. La nonna si sedette accanto a lei con un sospiro affaticato.
«Tu la conoscevi. Aveva qualche parente?» Una flebile speranza si accese nel cuore distrutto di Lydia. Durante tutta la sua permanenza, Henry aveva nominato sempre la madre, solo in un paio di occasioni il padre e quasi mai altri famigliari, eppure doveva avere ancora qualcuno al mondo che lo potesse accogliere.
Ma la nonna scosse la testa. «Non la conoscevo bene. Ti ho raccontato della morte di mia sorella, di quando al Ministero ho saputo cosa era successo solo perché mi è stato raccontato dal marito di una collega morta insieme a lei. Ecco, Rachel era loro figlia. Suo padre, il nonno di Henry, mi aveva lasciato il suo indirizzo così da poterlo contattare se avessi avuto bisogno del suo aiuto. In tanti anni non l’ho mai usato. Poi, qualche anno fa, il mondo ha iniziato a cambiare, tu e i tuoi genitori non mi dicevate niente, fingevate che non c’era nulla di strano, che andava tutto bene, ma io sapevo che non era la verità. Ho riconosciuto i segni, sai, gli stessi identici segni dell’inizio della guerra che mi ha portato via mia sorella. Riconoscevo nelle tue bugie le stesse che mi raccontava Eimhir per farmi stare tranquilla, ma sapevo anche che né tu né i tuoi genitori mi avreste mai raccontato la verità. E così quando tu e i tuoi mi avete detto che vi sareste trasferiti da me per un certo periodo, ho spedito una lettera all’indirizzo che quell’uomo mi aveva dato anni fa. Ho chiesto informazioni, cosa stesse accadendo e quanto fosse in pericolo la mia nipote nata senza una dinastia di maghi a proteggerla. Mi ha risposto Rachel. Mi ha informata che suo padre era morto alcuni anni prima, ma che poteva rispondere lei ai miei interrogativi al suo posto. Mi ha raccontato tutto, non pretendo di aver compreso molto della politica del vostro mondo, ma ho capito che la situazione sembrava persino peggiore dell’altra volta. Rachel mi ha scritto che anche lei era in fuga, aveva avuto un bambino da un babbano e per questo era stata inserita nell’elenco dei traditori del suo sangue. Aveva trovato una soluzione sicura per suo figlio, questa casa, aveva solo bisogno di un luogo sicuro in cui potesse affidarlo a coloro che si sarebbero presi cura di lui. Le ho proposto di venire a casa mia, e ho chiesto a tuo padre di fare una deviazione nel vostro viaggio per poter dar loro un passaggio. La sera stessa in cui ha consegnato il bambino se ne è andata. Non so dove era diretta.»
Qualsiasi fosse stato il suo piano, l’aveva condotta dritta ad Azkaban, alla sua fine.
«Ti ha detto qualcosa del papà di Henry?»
«Le ho chiesto dove era, naturalmente, e perché non si stava prendendo cura di suo figlio. Lei mi ha risposto che quell’uomo – se così può essere definito - li aveva abbandonati quando aveva capito che stava per scoppiare la guerra, per salvarsi la vita. E quella povera donna lo difendeva ancora, diceva che era naturale che avesse avuto paura, che lo capiva.» rispose con astio sua nonna.
«Quindi Henry non ha più nessuno?»
L’espressione di sua nonna si addolcì. «Aveva solo sua madre, questo però non significa che ora sia solo.»
Ma Lydia non considerava possibile che il suo amore verso quel bambino potesse sostituire quello della madre. Per quanto lei e tutti gli abitanti di casa O’Brien si sarebbero sforzati, nulla avrebbe mai potuto essere abbastanza, lo sapeva.
Ed eccolo lì. Henry. Che correva verso di lei con un sorriso che risplendeva l’intero giardino. Non sospettava nulla. Come poteva? Era troppo piccolo per capire la crudeltà umana, il dolore, il lutto. Eppure, entro pochi minuti, Lydia avrebbe dovuto farglieli conoscere.
«Posso restare.»
Lydia avrebbe voluto rispondere di sì. «No.» Era un suo compito, un suo dovere. Lo doveva ad Henry, lo doveva a Rachel. La nonna comprese, fece leva sul bastone per riuscire ad alzarsi, Lydia posò una mano sulla sua per fermarla. «Ho una cosa per te.» Rovistò velocemente nella borsetta, mentre Henry si avvicinava sempre di più.
«Questa è tua.» La nonna sgranò gli occhi, strinse la bocca in una linea dritta e con mani tremanti prese la custodia che la nipote le stava porgendo. Sollevò il coperchio e la bacchetta di Eimhir rivide la luce del sole per la prima volta da più di due decenni. «Sono passata all’ufficio della Regolamentazione degli Artefatti Magici al Ministero. Ho scoperto che alla mia nascita sono diventata in automatico l’erede di Eimhir, mi è bastato compilare un modulo per avere la sua bacchetta.»
Quando risollevò lo sguardo dalla bacchetta, vide le lacrime negli occhi di sua nonna. «Dovresti averla tu.»
Lydia scosse la testa. «Appartiene a te, nonna. È sempre appartenuta a te.»
La nonna si strinse il cofanetto al petto, abbracciandolo come se fosse la sua amata sorella. «Grazie.» disse in un sussurro commosso.
Lydia le sorrise, e poi non vi fu altro tempo. Henry era arrivato, con le sue chiacchere e la sua allegria, a chiederle una marea di domande su sua madre, sulla sua reazione quando le aveva dato la rosa. La nonna si allontanò con passo lento, e Lydia iniziò a parlare con delicatezza, con amore, mentre il vento soffiava sui loro volti e gli uccellini cantavano il loro canto funebre.
 
 


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