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Autore: Jamie_Sand    22/04/2024    2 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 19



 

2 maggio 2001

 

C’era stato un tempo, nemmeno così tanto tempo fa, in cui Percy Weasley aveva amato le celebrazioni e le cerimonie. C’era qualcosa che lo rassicurava nei riti che si ripetevano sempre nello nello stesso modo, nello stesso luogo, ogni anno. Erano delle sicurezze, delle costanti che si alternavano nel tempo, e non c’era niente di meglio per una mente ben organizzata e incline alla routine come la sua, che una sana e ben collaudata routine. Tuttavia la celebrazione che ricorreva ogni due di maggio da quando la guerra era finita non l’aveva mai sopportata. Non trovava proprio niente di tranquillizzante nel dover mettere piede a Hogwarts ogni anno per un motivo così triste: ormai quel luogo per lui aveva cambiato faccia e, ogni qualvolta era costretto a tornarci, Percy doveva sforzarsi di mantenere un contegno che di solito non faticava ad avere. 

Comunque sua madre teneva a quella ricorrenza molto più di quanto ormai tenesse al Natale e lui non voleva ferirla ancora, non voleva dare l’impressione che non gliene fregasse nulla, quindi non c’era niente da fare: anche quel giorno si sarebbe smaterializzato ad Hogsmeade insieme a Penelope per partecipare alla celebrazione di quello che ormai era definito da tutti come il giorno della memoria. 

– Perce? Hai fatto? – 

La voce ovattata di Penny, dall’altra parte della porta, lo fece riscuotere dai suoi pensieri. Probabilmente, lì sotto la doccia, aveva perso la cognizione del tempo.

Chiuse l’acqua e, una volta indossato l’accappatoio di spugna, si ritrovò davanti allo specchio. – Sì, ho quasi finito. – Disse, rivolgendosi verso la porta.

Penny non rispose, così Percy tornò con lo sguardo sulla superficie dello specchio appannata dal vapore. Non vedeva bene la sua immagine riflessa ma non gli dispiaceva granché. Non si era mai considerato particolarmente gradevole agli occhi ma, ultimamente, appariva a sé stesso molto peggio del solito. 

Forse era perché stava iniziando a stempiarsi come suo padre, pensò passandosi una mano tra i capelli color carota. 

Chissà cosa ci trovava Penelope in lui, pensò.

Era stato complicato tra loro, dopo la fine della guerra. Percy ci aveva messo mesi anche solo per tornare ad avere una vita presumibilmente normale, anche se di normale ormai non c’era un bel niente. Ci aveva messo anni per sentirsi più o meno di nuovo sé stesso. Penny comunque non l’aveva mai abbandonato, mai, neppure nei momenti di maggior sconforto. Penny era rimasta, non aveva fatto una piega nessuna delle volte in cui lui l’aveva spinta via, troppo addolorato per la morte di Fred per amarla. 

Lei non era come Audrey, che non si era nemmeno presentata a testimoniare a suo favore durante il processo a suo carico, in quanto presunto collaboratore del Ministero corrotto. Eppure era capito spesso che Percy si perdesse nel pensare come sarebbe stato se solo Audrey fosse rimasta. 

Per i primi mesi dopo la battaglia, Percy le aveva scritto delle lettere, lettere a cui però non aveva mai ricevuto risposta. Era persino andato a cercarla a casa della nonna, per poi scoprire che la casa era stata venduta a una famiglia di babbani, lo stesso la vecchia casa in cui si era presentato la notte in cui  l’aveva conosciuta. 

Erano passati più di tre anni da quando l’aveva vista l’ultima volta, fragile e stanca fuori dal San Mungo. Di lei non aveva più notizie da allora e più passava il tempo più i dettagli del viso di lei si affievolivano. 

Audrey nei suoi ricordi era ormai una massa informe di capelli scuri e ricci, occhi verdi, una voce cristallina, piccole mani gelide e labbra troppo morbide per essere dimenticate, niente di più, niente di meno che questo. Faticava a dire il suo nome ad alta voce e c’era una parte di lui che si emozionava ancora quando ripensava alle canzoni di Chet Baker. Quando poi incontrava lo zio di Audrey — così diverso dal ragazzo che aveva conosciuto e profondamente segnato dai mesi ad Azkaban – al Ministero per chiedergli della nipote, lui gli rispondeva fornendo risposte di circostanza: “Audrey sta bene”, “viaggia molto”, “te la saluto la prossima volta che la vedo”. 

Lei stava bene, se lo era fatto bastare; doveva dimenticarla e andare avanti.

C’erano momenti in cui Percy si sentiva un po’ egoista: vivere con Penny, fare progetti con lei mentre una parte del suo cuore era rimasta tra le mani di Audrey era quanto di più orribile potesse fare a una donna che lo amava davvero e che non lo aveva mai lasciato solo. Ma non poteva farci niente; per quanto Penny fosse perfetta per lui c’era sempre un pezzo della sua mente che rimaneva ancorata alla vita che per un secondo aveva immaginato con Audrey. 

Lui che tornava a casa e la trovava lì a cantare o a suonare qualcosa… lei che gli cucinava qualche cibo africano pieno di spezie… e poi i loro bambini… sarebbero stati dei bambini bellissimi se avessero preso da lei… 

Probabilmente se lei fosse tornata da lui in quel preciso istante, allora Percy ci avrebbe messo cinque secondi a lasciare Penelope, così da dare un’opportunità a quella vita che aveva solo potuto immaginare. 

E questo lo faceva sentire la persona più orribile del pianeta.

Percy scosse la testa, si asciugò e si vestì in fretta. 

Quando uscì dal bagno ritrovò Penny ad aspettarlo in cucina. 

Si erano trasferiti in quella casa qualche mese dopo la fine della guerra, una casa più grande del vecchio monolocale, nell'Oxfordshire, lontano dal caos di Notting Hill. L’aveva comprata il padre di Penny per la figlia e aveva molte più stanze di quante fossero necessarie, un giardino ben curato che la circondava tutta ed era arredata in stile liberty come piaceva a Penelope. Entrambi erano sempre stati piuttosto portati negli incantesimi di pulizia e per questo quella casa profumava sempre ed era sempre molto ordinata. 

Quella mattina il tavolo della cucina era apparecchiato per la colazione, cosa che non accadeva quasi mai dato che, in giornate più comuni di quella, né Penny né Percy avevano il tempo per mangiare prima di andare a lavoro.  

– Ci hai messo una vita. – Parlò Penelope, non appena lo vide, con aria di rimprovero. – Il té si sarà raffreddato. – 

– Non fa niente. – Rispose lui, sedendosi al suo posto, davanti a una tazza ricolma di té nero.

Poi il giovane si mise a dare un’occhiata alle pietanze che imbandivano la tavola. Penny aveva fatto delle uova strapazzate, pancetta fritta, pancake e anche del porridge, aveva tagliato della frutta e l’aveva sistemata su un bel piatto quasi come fosse una decorazione. Probabilmente la strega si era data da fare nel tentativo di addolcire quella pessima giornata al proprio fidanzato e, per quanto Percy apprezzasse il gesto, non ne capiva l’utilità. Non era questo ciò di cui aveva bisogno, non aveva bisogno di cibo presentato in modo elaborato, né di tovagliette dall’estetica impeccabile, né di servizi da té di classe come quello che Penny aveva tirato fuori quella mattina. 

– Andiamo a pranzo dalla tua famiglia, dopo la cerimonia? – Domandò Penny, seduta dall’altra parte del tavolo rispetto a lui. 

Percy alzò gli occhi dalla sua tazza per postarli su di lei. Era così bella anche quella mattina, con quei capelli chiari e folti sciolti sulle spalle, gli occhi color cielo appena truccati, la pelle diafana e priva di imperfezioni, e quell’abito da strega sull’indaco. 

Quando Penny aveva messo piede alla Tana per la prima volta, dopo un bel po’ di tempo dalla fine della guerra, aveva impiegato pochissimo tempo a conquistare i cuori di tutti. Probabilmente lei era l’unica cosa di Percy che i suoi genitori e i suoi fratelli sembravano apprezzare, o almeno questo era ciò che pensava lui. Dopotutto era così bene educata, era simpatica e dolce, inoltre era abbastanza intelligente da sapersi adattare ovunque con una certa facilità. 

– A te va di andarci? – Gli chiese lui. 

– Perché no? – 

Percy si fece sfuggire un mugolio difficile da tradurre. 

– Lo sai che tua madre ci tiene. –

– Lo so. – 

– Va bene. Ci andiamo quindi? – 

– Come vuoi. – 

Penny sospirò e guardando Percy si ritrovò a scuotere la testa con aria risentita. 

Lui era cambiato da quando la guerra era finita, ma non solo nel carattere. Certo, era diventato decisamente più taciturno e triste, più introverso di quanto non fosse mai stato, aveva perso gran parte della sua saccenza, ma il suo viso e la sua espressione… be’, lì c’era la differenza più lampante. Non lo vedeva sorridere in modo genuino e spontaneo da troppi, troppi anni, e ormai non riuscivano nemmeno più a parlare come erano sempre stati abituati a fare. Ma Penny lo amava, per questo rimaneva lì con lui, lo amava così tanto che era certa che potesse farlo abbastanza forte per entrambi. Tuttavia aveva come l’impressione che lui stesse nascondendo qualcosa, aveva la sensazione che custodisse un orribile segreto, che tenesse dentro di sé qualcosa di cui non poteva parlare a nessuno. 

– Ci saranno sicuramente anche Oliver e Katie, a Hogwarts. – Tornò a parlare la ragazza. – Non ci posso credere che si sposeranno. – 

Percy annuì e basta, alzando i lati della bocca. A lui non sembrava così surreale che Oliver e Katie avessero deciso di sposarsi. Dopotutto erano ufficialmente insieme dalla fine della guerra.

– Lui le ha regalato un anello davvero bellissimo! – Proseguì Penelope. 

– Ah sì? – 

– Sì, sì. – Annuì lei. – Stanno insieme da poco rispetto a noi due, eppure… – 

Percy si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Erano mesi che Penny non faceva che parlare velatamente di matrimonio, figli e altre cose che, fino a pochi anni prima, Percy era stato certo di volere proprio con lei. 

– Noi due potremmo iniziare a pensarci davvero, no, Perce? - Penelope pronunciò questa frase quasi con timidezza, accennando un piccolo sorriso.

Poi vide Percy portarsi la tazza alla bocca per poi riporla subito sul piattino e alzarsi. 

– Sì… vedremo. – Buttò lì. – Ora però dobbiamo andare, non voglio fare tardi. – 

Penelope lo guardò affranta, poi sospirò. 

In mattine come quella, quel muro di ghiaccio tra loro era troppo spesso per essere attraversato, persino per una come lei. 

 

-ˋˏ ༻❁༺ ˎˊ-

 

Dal momento stesso in cui era tornata a casa, solo qualche giorno prima, Jude si era reso conto di una cosa: sua figlia non era più la stessa di quando era partita e questa non era una cosa del tutto negativa. 

In quegli anni Audrey aveva fatto pace con metà delle sue origini, aveva imparato a parlare un po’ di francese e un po’ di swahili, aveva maturato una sicurezza che prima non avrebbe mai potuto vantare e appariva decisamente calma e rilassata per la maggior parte del tempo. Troppo calma e rilassata, ora che ci pensava bene. 

Ogni volta che Jude ripercorreva nella sua mente la vita che aveva avuto sua figlia soffermandosi con più attenzione agli eventi degli ultimi anni, non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che lei fosse così… normale. 

Insomma la vita di Audrey era un susseguirsi di abbandoni ed eventi spiacevoli: il suo rapporto con suo padre era appena nato dopo anni di assenze e silenzi, non vedeva sua madre da molto tempo ormai, sua sorella minore era morta. Aveva anche assistito agli omicidi di sua nonna e della sua bisnonna ed era quasi morta tra le mani di un lupo mannaro, ma quella mattina, la mattina in cui cadeva l’anniversario della battaglia di Hogwarts e della morte di Lucy, lei se ne stava seduta tranquilla su una delle sedie che circondavano il tavolo in cucina, mangiando del porridge. 

Accanto a lei, Elijah beveva da una tazza di té e anche lui appariva piuttosto rilassato, seppur molto più ordinato del solito e con indosso una solenne veste da mago nera al posto dei suoi abiti babbani solitamente molto appariscenti.

Attorno a loro c’era silenzio ma, sebbene né Audrey né Elijah ne sembrassero infastiditi, Jude avrebbe fatto qualsiasi cosa per romperlo. E così fu: 

– Hai intenzione di trovare un lavoro o di tornare a studiare, Audrey? – Disse all’improvviso. 

Elijah tossicchiò e poi scoccò uno sguardo al fratello prima di posare lo sguardo sulla nipote, che invece non aveva fatto una piega. 

– Sinceramente non so nemmeno se rimarrò a Londra. – Disse. 

– Audrey, hai ventiquattro anni, anche se non hai intenzione di rimanere devi iniziare a pensare al tuo futuro. – Ribatté Jude. – Non puoi gironsolare per sempre senza una meta. – 

– Se è per i soldi puoi anche smettere di darmene. – Asserì gelidamente lei. – In fin dei conti sono riuscita a sopravvivere per vent’anni senza il tuo aiuto. – 

– Non è per i soldi, è per te. – Dichiarò l’uomo, più duramente di quanto avesse voluto. – Quali sono i tuoi piani? Vuoi tornare in conservatorio? O magari preferisci il college? Oppure posso trovarti un lavoro in qualche etichetta discografica… – 

Audrey lo interruppe con un verso sprezzante. – Certo, mi trovi un lavoro così sarò per sempre la raccomandata figlia del pianista famoso. – Sbuffò. 

– E allora cosa vuoi fare? – Insistette Jude. 

Audrey incrociò le braccia e fissò suo padre con uno sguardo di fuoco. 

La risposta alla domanda che lui gli aveva posto era “non ne ho idea”. Audrey non sapeva cosa voleva fare. Dopotutto quei quattro anni persi si erano fatti sentire e ora si ritrovava senza una direzione, in un mondo di gente realizzata, un mondo in cui tutti avevano un posto, tutti tranne lei. Non era mai stata brava in niente se non nella musica, era l’unica cosa in cui era stata capace di eccellere, ma quella vecchia passione sembrava ormai appartenere a un’altra epoca, a un’altra lei. E poi cosa poteva pretendere lei, a ventiquattro anni suonati, in un mondo di Britney Spears e Spice Girls?

– Troverò un lavoro, va bene? – Disse, cercando di mantenere una voce e un atteggiamento distaccato. – Ma non voglio il tuo aiuto, cazzo, non voglio più niente da te. – Si alzò in uno scatto di rabbia e uscì dalla cucina lasciando da soli suo padre e suo zio attorno seduti al tavolo.

Passarono una manciata di secondi, poi Elijah scosse la testa, guardando il fratello maggiore con un’aria insolitamente seria. – Dovevi tirare fuori il discorso proprio stamattina, Jude? – Gli domandò. 

– Lei si comporta come se fosse un giorno come un altro. – Borbottò Jude. – E anche tu fai lo stesso. –

Elijah fece un sorrisetto un po’ amaro. – Ma non lo è. Questo non è un giorno come un’altro. – 

Jude sbuffò e si portò una mano al volto. – Sbaglio sempre con lei. – 

– Mh… non sempre sempre. – 

– Wow, grazie. – 

– Non c’è di che. – Disse Elijah. – Audrey troverà il suo posto nel mondo, non ti preoccupare. – Non aggiunse altro, ma si alzò dal tavolo lasciando la cucina. 

Appena fuori dalla porta d’ingresso, sotto il portico, Audrey lo stava aspettando a braccia conserte e con gli occhi lucidi. 

– Andiamo? – Disse lei, non appena percepì la sua presenza, tirando su con il naso. 

Elijah la guardò, poi le asciugò gli occhi con le mani. – Ti si scioglie il mascara così. – Le disse. – Sei molto carina, direi che Percy non ha scampo. – Aggiunse poi, sogghignando divertito. – Quante volte ti sei cambiata, ventitré? – 

– Ma piantala. – Fece lei, scuotendo la testa. – Piuttosto tu, sei così ordinato… Pensi di incontrare l’uomo della tua vita oggi? – 

– Chi lo sa, magari anche io ho una cotta per un Weasley. – 

– Io non ho una cotta per nessuno Weasley. – Precisò Audrey. 

– Giusto... giusto. Tu non hai una cotta in effetti, tu sei innamorata. – 

– Elijah, giusto che… – Audrey non fece in tempo a terminare la frase che suo zio la afferrò saldamente per un braccio. 

La sensazione fu la stessa di sempre, quella forte pressione la prese all’improvviso, si sentì mancare la terra sotto ai piedi e, un attimo dopo, si ritrovò stesa su un rigoglioso prato verde e umido, con il viso rivolto al cielo nuvoloso. Quando si mise a sedere, si ritrovò di fronte al più bel paesaggio che avesse mai visto. Il Lago era cristallino e incastonato tra altissime montagne. Dall’altra parte dello specchio d’acqua si stagliava, in cima a una delle vette, un enorme castello con molte torri e torrette. Audrey si voltò, rendendosi conto che dietro a lei si estendeva un piccolo villaggio che doveva essere Hogsmeade.

– Allora, che te ne pare? – Le domandò Elijah, quando comparve davanti a lei, tendendogli la mano. 

Audrey si alzò, si stiracchiò e si guardò attorno. Si sentiva un po’ strana, confusa, distaccata dalla realtà ma anche come se non dovesse essere lì. – Non lo so… forse dovrei tornare a Londra… –

– Sì, è l’effetto degli incantesimi di protezione, andrà meglio tra poco. – 

– Sì ma… no, dobbiamo tornare indietro. – 

Elijah la prese per mano e la trascinò verso il villaggio. – Fai un bel respiro profondo, Audrey, respira la magia, eh. – 

– Ma… – 

– Adesso ci facciamo una bella passeggiata e vedrai che starai subito molto meglio, non preoccuparti, su su. Devi abituarti. Per fortuna siamo partiti prima… – 

Elijah guardò Audrey con un po’ di preoccupazione. Sembrava sotto l’effetto di qualche strana sostanza e si guardava in giro con occhi sgranati come se temesse qualcosa. 

Forse non era stata una grande idea portarla lì quella mattina, ma dopotutto non era mai stato famoso per essere quello responsabile. 

Se la sarebbero cavata, in qualche modo. 



 

Ve lo avevo detto che sarei stata più veloce questa volta, no? Quindi eccomi qui! 

Lo so, un capitolo cortino ma perché no? Secondo me ci sta perché offre entrambi i punti di vista dei nostri protagonisti, inoltre è un bel ponte per ciò che accadrà nel prossimo, senza rischiare di fare un capitolo gigantesco e pesante da leggere. 

Fatemi sapere cosa ne pensate, la vostra opinione è molto importante per me <3

J. 


 
   
 
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