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Autore: NonLoSo_18    23/04/2024    3 recensioni
Nel mondo di Vanyan, il Continente, ci sono due categorie di persone: gli Elementali, in grado di comandare le forze della natura e degli elementi a proprio piacimento, e quelli che non lo sono.
E i primi comandano sui secondi, considerandoli alla stregua di oggetti di cui disporre senza rispettarne la volontà. È un mondo duro, dove domina la forza, e se non ce l’hai, devi soccombere. È sempre stato così, da quando gli Elementali hanno conquistato la terra dove gli altri vivevano, e si sono imposti. Ma ora tutto questo sta per cambiare: guidati dal misterioso Borea, un uomo con la maschera bianca, i non Elementali stanno facendo sentire la loro voce, riprendendosi tutto ciò che è stato loro tolto, e mettendo il mondo sull’orlo del collasso. Toccherà proprio a Vanyan, un Fireal, un Elementale del fuoco, cercare di riportare l’equilibrio nel Continente. Ma Vanyan ha un motivo ben più personale per agire: Borea è l’uomo che, dieci anni prima, ha ucciso suo padre davanti ai suoi occhi…
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Borea


Non sapeva bene cosa lo stesse spingendo. Istinto? Un qualche odore? Oppure aveva semplicemente riconosciuto la sagoma che vedeva in lontananza?
Vanyan non ne aveva idea, così come non aveva idea di come facesse a correre così velocemente nonostante le ferite, i dolori e l’arretrato di sonno che si portava addosso. Anzi, sentiva dentro di sé un’energia che non aveva mai avvertito prima.
 
E che per una volta gli permise di ignorare i corpi dei caduti per terra. Anzi, se li beccava per caso, distoglieva lo sguardo.
 
Perché quell’attesa lunga dieci anni sarebbe finalmente terminata.
Dieci anni, in cui si era allenato, e si era preparato a quel momento, quello in cui avrebbe finalmente ucciso Borea e fatto giustizia.
Vanyan pensò anche a sua sorella: dopo tutto quel tempo, lei avrebbe finalmente smesso di soffrire. E forse anche la loro madre, nonostante tutto.
 
Tutto intorno a lui, si era alzato un vento freddo, umido, che nemmeno le fiamme degli altri Fireal impegnati a combattere riuscivano a contrastare. Nuvole grigie ricoprivano le stelle, e a Vanyan tutto quanto ricordò quel maledetto giorno in cui le cose erano così cambiate.
Sangue sull’erba…” Pensò Vanyan, correndo sempre più velocemente verso la piazza. “Padre, presto sarà tutto finito!” Pensò, carico di eccitazione, così tanta che sentiva le labbra stirarsi in un sorriso ferale.
 
Questo fin quando non si fermò in piedi, nel centro della piazza. «Borea, lurido bastardo» Disse soltanto.
L’uomo di spalle si girò appena.
«Non ti ricordi di me?» Le guance tese in un ghigno gli facevano quasi male, mentre guardava l’uomo. Era distante, e il buio rendeva tutto più difficile, ma quella maledetta maschera l’avrebbe riconosciuta ovunque: di un bianco accecante, con motivi a linee scure che si intrecciavano sulle guance e sulla fronte in linee dritte, ma che proseguivano per tutta la superficie. Il volto sotto era interamente coperto, ad eccezione degli occhi, che però da quella distanza non poteva vedere.
 
Ma poteva vedere anche che era maledettamente alto. Certo, nei suoi ricordi quell’uomo era gigantesco, ma anche a quella distanza lo superava di tutta la testa.
 
Vanyan sentiva ormai il vento muovergli selvaggiamente i capelli intorno alla testa, e seccargli il sangue e il sudore sul viso. Era un vento carico di pioggia, ma se fosse l’uomo in maschera a generarlo oppure altro non lo sapeva. E, a dirla tutta, nemmeno gli importava.
 
L’uomo lo guardò in silenzio per qualche minuto, al punto che Vanyan si chiese se lo avesse capito, o se stesse venendo, ancora una volta, sottovalutato.
Al solo pensiero, sentì fiammelle nascere sulle mani chiuse a pugno.
 
Poi, Borea finalmente si degnò di rispondere «Tu sei quel bambino» Non c’era bisogno di aggiungere altro. La sola frase bastò per far provare a Vanyan una rabbia come non ne aveva mai provata prima, una rabbia tale da fargli sentire la vista appannarsi.
Ma Borea parve non accorgersi di nulla «Immagino tu voglia vendetta. Ti capisco» Disse soltanto, come se stessero parlando normalmente in strada.
 
Vanyan pensò che non voleva vendetta: voleva ucciderlo nel modo più doloroso possibile, fargli patire non soltanto quello che aveva fatto a suo padre, ma anche quello che lui aveva provato da allora. In un lampo, si rivide in ginocchio davanti al padre, tenendolo tra le braccia, sentendo il sangue scorrergli addosso. E quell’uomo sopra di lui.
 
«Non sono più un bambino, bastardo: io mi chiamo Vanyan Momonoi, ricordatelo bene» Gli sembrò inutile in quel momento aggiungere qualsiasi altra cosa.
Anche perché il tono usato impressionò poco e niente Borea, o almeno, dalla maschera non si vedeva: «Conoscevo un Vanyan, una volta, una persona spregevole. Per fortuna ora non c’è più, ma mi rammarico che tu porti un nome simile» Con la coda dell’occhio, vide la statua di Vanyan L’Eroe gettata a terra in malo modo, con la testa staccata rispetto al corpo, come se fosse stato colpito da una folata di vento troppo forte. Sentì una strana sensazione a riguardo, ma la scacciò subito.
 
«Non è del mio nome che dobbiamo parlare adesso» Vanyan ne aveva abbastanza di quella scenata. «Se c’è qualcosa di cui dobbiamo parlare, è di quello che hai fatto»
 
«Mi dispiace, ragazzo, quel giorno è stato un incidente» Disse di colpo Borea. Il cuore di Vanyan, già accelerato di suo, saltò un battito.
Cosa?!” Si ritrovò a pensare.
Prima ancora di rendersi conto di quello che accadeva, gli urlò contro, con tanta forza da sentire dolore alla gola: «Non è stato un incidente, tu l’hai ucciso, maledetto bastardo!» Non sapeva perché stava perdendo tempo a parlare, quando avrebbe già dovuto attaccarlo. Si avvicinò di un passo.
«Tuo padre era un peccatore, Vanyan, ma era migliore di tanti altri. Io volevo solo prendere quello che mi spettava» Il vento si era alzato, e ora ululava insieme alla rabbia di Vanyan.
«Non permetterti di chiamare mio padre peccatore… NON TI AZZARDARE!» Gli urlò.
 
«Voi siete tutti peccatori, dal primo all’ultimo» Rilanciò invece Borea «Credete di essere migliori degli altri, e credete di poter prendere agli altri… E alla fine chi paga le conseguenze, se non gli innocenti? Voi distruggete la loro innocenza, ma tanto non ve ne importa nulla, perché siete stati messi lì dal destino, giusto? Tutti peccatori, dal primo all’ultimo»
«Tu sei uno di noi» Gli ricordò Vanyan, che francamente si era stancato di sentire certe cazzate, e ormai sentiva la rabbia pervadere il suo corpo.
«Io non vorrei esserlo, ma non si può scegliere ciò che si è, solo ciò che si fa. E io punirò tutti voi peccatori, perché lo siete, eccome se lo siete. Anche tuo padre, sì. Anche lui. Ma ora tutto questo finirà, e finirà grazie a te» Vanyan ne aveva abbastanza di quei vaneggiamenti insensati. Sentiva solo il cuore pulsargli nelle tempie, come un tamburo.
«Mi dispiace, ma dovrai morire, ragazzo» La voce di Borea era profonda, ma riusciva a sentirla nonostante il ruggito del vento.
 
«No, maledetto bastardo» Vanyan si irrigidì, pronto all’attacco, e sorrise per l’eccitazione «Sarai tu a crepare!»
 
In un lampo, si lanciò verso Borea, con tutta la rabbia e l’odio di cui era capace, il pugno avvolto nelle fiamme, con cui voleva rompergli la faccia.
 
All’inferno quello che aveva detto il vecchio, Vanyan avrebbe vinto. E finalmente avrebbe vendicato suo padre, e dato serenità a sé stesso, a sua madre, e a sua sorella.
 
Almeno finché non arrivò vicino a Borea, e non lo guardò negli occhi.
 
Azzurri, e gelidi.
 
Di colpo, non fu più un adulto, ma un bambino di dieci anni, e gli ritornò in mente il momento in cui aveva stretto il corpo di suo padre, in ginocchio. E quello in cui guardava quegli occhi azzurri.
Senza sapere bene come, si ritrovò a terra, come se le sue gambe avessero perso forza di colpo.
 
Forse quell’Aeral aveva un potere che lui non conosceva, perché gli sembrava di soffocare. Si ritrovò sdraiato a terra, con Borea che torreggiava sopra di lui. Se prima l’aveva considerato alto, in quel momento gli sembrava grosso quanto una montagna.
 
Preda di un senso di terrore che non aveva mai sperimentato prima, Vanyan indietreggiò, strisciando al suolo, e stringendosi una mano sul petto, perché il cuore batteva così forte da fargli credere che stesse per sfondargli la gabbia toracica.
 
Aveva perso tutta la sua spavalderia, perché gli sembrava di fissare la morte.
Era stato un maledetto idiota, a credere di poterlo battere, così come era stato un idiota a credere tutto il resto.
 
Più lo guardava negli occhi, più era convinto che fosse giunta la sua ora.
Adesso muoio… adesso muoio.
 
Non contava più nulla, solo quegli occhi azzurri come ghiaccio, che lo fissavano come se stessero per bucargli l’anima.
Ormai il respiro si era fatto spasmodico, e tutto era distorto, sfuocato. Per quanto prendesse le boccate più ampie, l’aria non gli bastava.
Non gli bastava, maledizione!
 
Di seguito, non sarebbe stato in grado di raccontare la sequenza di eventi, ma di una cosa era certo, Borea era chino su di lui. Lo sentì dire di nuovo «Tu hai quello che mi serve, ma per averlo devi morire. Mi dispiace, ragazzo» E caricò una lama di vento verso di lui, la stessa con cui aveva eliminato suo padre dieci anni prima.
Ormai Van era senza fiato, e il cuore stava letteralmente sul punto di esplodere. “Ora muoio, sicuro” pensò, un secondo prima di vedere una sagoma scura saltargli davanti, e Alys davanti a lui.
 
Non sapeva se la sua mente gli stesse facendo un brutto scherzo, oppure se l’immagine di Borea che si stagliava su quella minuta di Alys fosse tutto vero.
 
Non capiva niente, gli sembrava di vivere tutto in modo confuso, come se fosse un incubo; sentì Alys dire qualcosa a Borea, ma di cosa si trattasse, Vanyan non lo sapeva. Tutto ciò che capì fu “ti prego… Lui non può morire” e forse qualcos’altro, ma anche la voce di lei era spaventata.
 
Vanyan non sapeva davvero perché la ragazza lo stesse aiutando, dopo quello che le aveva detto, ma non ebbe modo di pensarci, perché successe una cosa ancora più assurda: Borea sparì.
 
Un secondo c’era, poi, il tempo di battere le palpebre, e non si vedeva già più.
 
§§§
 
Alys non aveva idea di come si fosse trovata in quella situazione, e nemmeno del perché.
 
Aveva lasciato rapidamente la sala, lasciando con essa gli sguardi di odio e gli insulti che le lanciavano contro, prendendo un paio di pantaloni e una casacca alla guardia caduta lì vicino, facendo finta di non notare il sangue e lo schifo che ci stavano sopra, e poi si era lanciata alla ricerca di Vanyan, chiedendosi come avrebbe fatto a trovarlo in mezzo al macello che c’era nella città.
 
In realtà, era stata più fortunata di quanto lei stessa non avesse creduto, perché lo aveva trovato praticamente subito, dato che era in piazza, salvo poi rendersi conto che qualcosa decisamente non andava per il verso giusto: Vanyan era quasi sdraiato sulla schiena, con il petto che si alzava ed abbassava spasmodicamente, come un mantice, e nella sua espressione le parve di leggerci il terrore più totale.
 
Lei ricordava di aver pensato di essersi sbagliata, Vanyan non era tipo da avere paura di qualcosa o qualcuno, non il Vanyan che conosceva.
Questo un secondo prima di vedere Borea.
 
Ne aveva sentito parlare tante volte, ma quella era la prima in cui lo vedeva davvero: un uomo alto, veramente alto, che indossava una giubba bianca di tela grezza, maniche lunghe e guanti anch’essi bianchi, con una maschera a coprirgli interamente il volto, e il cappuccio calato sui capelli. Alys considerò che non sembrava nemmeno umano, quanto piuttosto un essere sovrannaturale mandato dagli eroi o chicchessia.
 
La sua presenza era abbastanza da mandarle brividi lungo la schiena, ma Vanyan sembrava letteralmente nel panico.
 
Anche a distanza di tempo, non sarebbe stata capace di dire cosa fosse successo: un secondo prima era sul lastricato, immobile, quello subito dopo era inginocchiata davanti a lui, facendogli da scudo con il suo corpo. Sentiva il suo respiro spasmodico sotto le mani, e il battito del cuore era talmente forte che le era sembrato di tenerlo in mano.
 
Aveva gridato qualcosa, l’aveva implorato di lasciar stare Vanyan, inventandosi qualcosa per convincerlo a lasciarlo andare, guardandolo in quegli occhi del colore del ghiaccio, quegli stessi occhi che lei sapeva che stavano traumatizzando Vanyan, un ghiaccio ancora più freddo del suo, non sapendo come lo avrebbe convinto, ma poi c’era riuscita, in qualche modo.
 
In un istante, lui era sparito, e Alys aveva tirato un sospiro di sollievo.
 
Quindi in quel momento si trovava lì.
 
Ma davanti a lei si presentavano due problemi: il primo era trovarsi in mezzo ad una confusione, il che significava dover schivare fiammate volanti, che avrebbero fatto decisamente male, e cercare di non pestare i cadaveri, mentre cercava un luogo sicuro.
 
E poi il secondo problema era proprio Vanyan: continuava a stare sdraiato per terra, respirando con un orribile suono rantolante, tenendosi il petto con una mano, come se gli stesse per cedere il cuore, e sembrava non rendersi conto di quello che stava accadendo intorno a lui. Alys avrebbe voluto calmarlo, ma non c’era tempo, e dovevano muoversi.
 
Peccato che Vanyan era almeno il triplo di lei, portarlo in braccio sarebbe stato impossibile. Ma sperare che lui fosse abbastanza lucido da seguirla era ancora più impossibile, per cui lo afferrò per le ascelle, sollevandolo di malo modo, e, creando uno strato di ghiaccio sulla strada almeno sotto i loro piedi, cosa che consumò quel poco di energie che le erano rimaste, lo trascinò verso il palazzo.
 
Emise un gemito di fatica, constatando che nonostante anni di addestramento le avessero dato una discreta forza fisica, era comunque troppo affaticata per portare qualcuno come Vanyan.
 
Ringraziò gli eroi che, nonostante tutto, nessuno si fosse accorto di loro. Certo, il caos intorno a loro aiutava, ma che una strega Iceal si stesse tirando dietro lo sporco mezzosangue sarebbe stato uno spettacolo in grado di richiamare parecchi Fireal. Onestamente, non aveva le energie per affrontare altri insulti o attacchi e, quanto a Vanyan, meglio non contare su di lui, visto lo stato in cui si trovava.
E questo avrebbe messo lei ancora più in difficoltà, visto che avrebbe dovuto proteggerlo.
 
Ma del resto… perché l’aveva protetto poco prima contro Borea? Alys non ne aveva idea, e del resto non aveva nemmeno troppa voglia o tempo di chiederselo. Forse ci avrebbe pensato a mente lucida, non certamente in quel momento.
 
Continuò a trascinarlo per il giardino, cercando di superare le statue rovesciate che aveva visto intorno, poi, per un insperato colpo di fortuna, trovò la parete laterale del palazzo completamente crollata, lasciando intravedere un pavimento in marmo, con sopra un tappeto in morbido velluto rosso. Non sapeva bene cosa aspettarsi, ma decise comunque di portarcelo dentro, trascinandolo per la maglia. Lui si lasciò trasportare, continuando con quel suo respiro rantolante, come se stesse soffocando.
 
Girovagò per un tempo che le parve interminabile, finché non trovò quella che sembrava una stanza da letto: anche quella, tanto per cambiare, riccamente decorata, con un enorme letto a baldacchino al centro, un comodino in legno bianco appena vicino, e un comodo divano di velluto cremisi appena sotto la finestra, dalla quale filtrava la luce della luna.
 
Ora poteva concentrarsi sul ragazzo che ancora teneva afferrato: lo sedette di peso sul letto, mentre lui era ancora in quello stato di shock, e ansimava tenendosi il petto.
Alys non sapeva bene cosa fare: le era capitato di sentire qualcuno parlare di simili situazioni, ma mai avrebbe pensato di trovarsi ad affrontarne una.
Scelse di tentare un approccio calmo, avvicinandosi pian piano al ragazzo. «Van, ehi, Van, ora è tutto a posto, calmati…» Ma non riuscì a finire davvero la frase perché lui, di colpo, si sporse dietro il comodino e vomitò, facendola saltare indietro per la sorpresa, lo spavento, e forse anche il disgusto.
 
Un istante dopo, Vanyan scoppiò a piangere.
 
E quella fu la cosa che la sbalordì di più: non avrebbe mai immaginato, nemmeno nei suoi incubi più assurdi, di vedere Vanyan in lacrime. Mai. Non lo credeva capace di emozioni diverse dalla rabbia e dall’apatia.
 
E, ancora più assurdo, quello non era nemmeno un tranquillo scorrere di lacrime, ma un vero e proprio pianto a singhiozzi. Vanyan ad un tratto aveva anche incominciato ad emettere strani gemiti, come quelli di un bambino.
 
Alys era rimasta paralizzata, interdetta. Guardava quel ragazzo grande e grosso piegato in due, scosso dai respiri spezzati, e si sentiva stringere il petto, con forza. Ma non capiva che cosa fosse, sapeva solo che vedere il dolore di Vanyan le faceva male. Voleva fare qualcosa per alleviarlo, ma non sapeva cosa.
«Van…» Tentò, timidamente, allungando una mano verso di lui, ma il ragazzo singhiozzava talmente forte da non averla nemmeno sentita.
 
Non sapeva come comportarsi, non sapeva niente, era maledettamente inutile.
Ogni volta che provava ad agire, sbagliava. Avrebbe sbagliato anche in quel momento, ne era certa. Desiderava davvero farlo stare meglio, ma non sapeva come.
 
Poi, però, lo vide stringersi le spalle con le braccia, disperato, quasi avesse bisogno di conforto.
 
E in quel momento Alys capì cosa avrebbe dovuto fare. Sorprendente, se fino ad un istante prima era indecisa su qualsiasi cosa, in quel momento sentì con certezza di stare facendo la cosa giusta: si gettò verso di lui e lo prese in un abbraccio, premendogli una mano dietro i capelli e facendogli poggiare la testa nell’incavo della spalla.
 
Lo sentì sussultare, ma poteva capirlo: nonostante le volte in cui lei l’aveva curato, quella era la prima volta che si toccavano in quel modo, così tanto.
Oppure sussultava perché stava ancora singhiozzando, chi poteva dirlo.
Alys rimase in tensione: aveva sbagliato a toccarlo? Avrebbe reagito anche lui come gli altri? L’avrebbe respinta? Lei stessa non amava particolarmente il contatto fisico, forse per lui era lo stesso.
 
Ma, superato quel momento di sorpresa, Vanyan non ci pensò due volte e ricambiò la stretta, con forza. Era la prima volta che un suo abbraccio non veniva respinto, quella fu la prima cosa a cui pensò Alys. E la seconda fu che Vanyan, per comportarsi così, doveva stare veramente male.
 
E nonostante lei non fosse così brava a dare e a ricevere aiuto, Alys sapeva cosa fare: semplicemente, quello che avrebbe voluto fosse stato fatto a lei, molto tempo fa.
 
Quasi come se a muoverla fosse una forza invisibile, la sua mano scivolò su e giù tra i soffici capelli neri del ragazzo, in piccole carezze.
«Shh, Van, va tutto bene… ora sei al sicuro…»
 
Lui intanto singhiozzava in maniera ancora più incontrollata, e ad un tratto, lo sentì parlare. Inizialmente non riuscì a capire cosa stesse dicendo, poi, non appena comprese, pensò che la stretta al cuore di prima fosse nulla rispetto a quello che provava in quel momento.
«È colpa mia… è colpa mia…» Mugolava «s-se io non… forse lui… io non… io non… io non dovevo nascere!» Gridò alla fine, concludendo con un lamento disperato.
Alys non aveva capito del tutto, ma credeva che la cosa riguardasse suo padre. Per la prima volta, vide Vanyan per quello che era: un ragazzo segnato da quello che aveva passato, che continuava a sentirsi in colpa per la morte del padre.
 
E realizzarlo fece davvero male, soprattutto perché non era lui quello che doveva sentirsi in colpa.
Dannazione, non lo era. Lui non aveva fatto nulla di male, a differenza di Alys.
 
Perciò, in quel momento seppe con certezza cosa avrebbe dovuto dirgli: sciolse per un momento l’abbraccio con cui la teneva stretta, e lo guardò dritto in volto. Certo che era ridotto proprio male: aveva le guance rigate da lacrime, che ormai si mescolavano al sangue,
gli occhi arrossati, il naso che colava, e si mordeva il labbro, tirando su col naso.
 
Se Alys lo conosceva -e in quei mesi aveva imparato a conoscerlo, tutto sommato- Vanyan stava cercando in tutti i modi di trattenersi, e che probabilmente avrebbe preferito sotterrarsi, piuttosto che farsi vedere da chiunque in quello stato, ma nonostante i suoi sforzi, non ci stava riuscendo.
 
Ma nulla di tutto ciò era importante, non più di quello che voleva dirgli. «Vanyan, ascoltami bene» Cominciò, e lui la guardò, sorpreso «Credimi quando ti dico che sei un idiota, uno sconsiderato, e un irascibile, e che certe volte mi fai perdere la pazienza, con i tuoi modi» Non era il miglior modo per iniziare un discorso, e lei lo sapeva, ma diamine, per una volta tanto diceva a qualcuno quello che pensava davvero! «Ma non sei una cattiva persona, e di sicuro non è stata colpa tua quello che è successo»
 
«Ma t-tu non c’eri… io… io l’ho-ho chiamato e… Bo-Borea ha detto che…»
 
«Van» Lo interruppe lei, di nuovo «Non so com’è andata davvero quel giorno, ma so come sei davvero tu: uno che aiuta gli altri, nonostante tutto. E lo dico, perché tu me l’hai dimostrato, tante volte: quando hai salvato quella ragazzina, quando hai salvato il ragazzo dell’Accademia, quando scendevi al Buco per aiutare tua sorella, quando hai cercato di salvare quella guardia, e quando hai salvato me, due volte, e la prima nemmeno ci conoscevamo. Sono sicura che tu allora volevi solo aiutare tuo padre, perché è nella tua natura, e non hai fatto nulla di sbagliato. E poi…» Prese un profondo respiro, perché non sapeva come Vanyan avrebbe recepito quello che stava per dirgli: «Anche se non ho conosciuto tuo padre, posso dire… che sarebbe fiero di te»
 
Se prima Vanyan stava piangendo, in quel momento sembrò che si fosse rotta una diga: Scoppiò in un pianto ancora più forte di prima, e stavolta fu lui ad afferrarla per tirarla a sé, nascondendo di nuovo la testa nell’incavo del collo, ed inzuppandole di lacrime e muco tutti i suoi vestiti.
 
Le dita di lui stringevano la pelle in modo spasmodico, con forza, e le facevano male, ma Alys sopportò, perché quello non era solo un abbraccio, ma il disperato aggrapparsi di un naufrago alla roccia più vicina, per non farsi trascinare dalla corrente.
Perciò, nonostante Alys fosse… beh, Alys, decise di essere forte, anche per lui.
 
Per un secondo, valutò la possibilità di usare il suo potere per rallentargli il battito e calmarlo, ma si disse che non era il caso: Vanyan probabilmente si teneva tutto dentro da così tanto tempo, che aveva solo bisogno di sfogarsi. E non c’era nient’altro che lei potesse dire, o fare, a parte stringerlo.
 
Quindi rimase così, a tenerlo stretto, accarezzandogli la schiena con movimenti lenti, ma decisi, a fargli sentire che non era solo, e che non era solo nemmeno a portare certi pesi sulle spalle, senza sapere perché lo faceva ma facendolo comunque, per un tempo che le parve eterno, prima di sentire la pressione sulle sue spalle cedere, e un familiare suono penetrarle nelle orecchie.
 
Alys ne era sorpresa, ma nemmeno tanto: solo uno come Van poteva addormentarsi nonostante tutto. E poi, era davvero a pezzi, quindi alla fin fine ci stava.
 
Lentamente, lo adagiò sui cuscini, facendo attenzione a non svegliarlo, coprendolo alla bell’è meglio col lenzuolo, cercando di pulire la macchia di vomito dietro il comodino e sistemandosi sul divano, per dormire finalmente anche lei.
 
Per una volta il russare di Vanyan non le diede fastidio.


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Angolo autrice
Oggi è un anno dalla pubblicazione del prologo di questa storia, e devo dire che il tempo è volato enormemente. Come potevo non celebrare l'evento se non con uno dei miei trope preferiti, ovvero il protagonista arrogante e spaccone che riceve la sua doccia di umiltà (poi, che più che altro sia stata una cascata delle sue stesse lacrime, è un altro discorso.
Era da quando ho visto Puss in Boots the last wish (e aver ascoltato i Green Day subito dopo) che desideravo mettere giù una scena di un attacco di panico E originariamente volevo già mettere una scena di Alys che consolava Vanyan, e rendere palese che Vanyan si sentisse in colpa per suo padre Spero di aver fatto un lavoro decente e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Nel frattempo, di sopra vi lacio una foto di Borea, e grazie a Microsoft AI per permettere tutto ciò ahah
Grazie a tutti per avermi permesso di raggiungere questo traguardo.
Alla prossima <3

 
   
 
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