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Autore: Afaneia    25/04/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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XII – Ira


Freder guardò in faccia la Morte. Poi disse: “Se tu fossi arrivata prima, non mi avresti spaventato. Adesso però ti prego: rimani lontana da me e dalla mia amata!”
Thea von Harbou, Metropolis


Link si separa da Revali quando sente alle sue spalle lo stridore lungo, raggelante, del grido dell’emanazione della Calamità che li sta cercando. Devono essersi rifugiati qui, nel ventre profondo di Medoh, per dare a Revali il tempo di riprendersi dalla ferita che ha subito; ma neppure quel nascondiglio può durare per sempre. Bene. Tocca anche a lui combattere, adesso: Link si alza in piedi e sfodera la Spada che esorcizza il male. I suoi occhi corrono velocemente sulla stanza vuota attorno a loro in cerca di qualunque cosa possa essergli d’aiuto.
«Mi hai baciato» osserva Revali piuttosto incredulo.
«Evidentemente» risponde laconicamente Link.
Il Rito sconosciuto, che dal suo ingresso su Medoh non ha ancora dismesso quell’espressione attonita ed esterrefatta e che Revali, poco fa, ha chiamato Teba, chiede: «Siete sposati?»
Link decide che può finalmente riservare a questo estraneo sufficiente attenzione da domandare: «Perdonami, ma non mi ricordo di te. Ci conosciamo?»
Teba esita con aria frastornata. «Ecco… è piuttosto complicato da spiegare.»
«Fammi indovinare. Battaglia di Hebra?»
«Oh, andiamo, Link» sbotta Revali. «Quello che Teba sta cercando di spiegarti è che viene dal futuro. Come il guardiano giocattolo della principessa Zelda. Non l’hai ancora capito?»
«Scusa tanto se non ho avuto ore e ore per fare la sua conoscenza mentre attraversavo tutta Hebra a piedi per venire a salvarti» ribatte Link, prima che la sua mente registri ed elabori l’informazione che ha appena sentito. Si volta bruscamente verso Teba mentre, da qualche parte nei visceri di Medoh, l’emanazione della Calamità stride orrendamente di rabbia e di frustrazione per non riuscire a trovarli. «In che senso, futuro?»
Teba ha una mano posata sulla fronte nel tentativo vano di contenere un’incipiente emicrania. «Proprio nel senso di futuro, Link. Non so come altro spiegarlo.»
«Puoi fare una stima?» domanda Revali. «Quanto nel futuro, più o meno?»
«Non ho bisogno di fare una stima, per quello. Nel mio tempo sono trascorsi esattamente cento anni da quando la Calamità Ganon ha attaccato Hyrule.»
Cento anni. Link vorrebbe avere più tempo per concentrarsi su queste informazioni mentre si sporge cautamente lungo una parete per esaminare un corridoio buio. Ha bisogno di farsi un’idea delle eventuali vie di fuga. Avrà tempo dopo per chiedersi come tutto questo sia possibile: comunque, il piccolo guardiano è arrivato nel passato in un modo o nell’altro. Non è poi tanto sorprendente che sia successo un’altra volta. «Cento anni nel futuro? Quindi io e te non ci conosciamo.»
«A dire il vero, sì. Tu sei ancora vivo nel mio tempo.»
«Col mio stile di vita, la cosa mi sorprende» osserva Link solamente. «Non ho mai pensato di diventare vecchio.»
Teba esita. «Non ho mai detto che tu sia diventato vecchio. Cioè… non per ora, almeno. È complicato.»
Link aggrotta la fronte senza rispondere perché non riesce proprio a immaginare cosa intenda questo misterioso Rito.
«Io sono morto, invece. Vero?»
La domanda giunge calma e priva di emozioni come se Revali si stesse limitando a enunciare l’unica deduzione plausibile con le informazioni a sua disposizione. Teba lo guarda senza rispondere, allora Revali si raddrizza contro la parete cercando una posizione in cui continuare a tenere premuta la ferita sotto l’ala. «Non hai bisogno di risparmiarmelo, Teba, ma ti ringrazio della tua cortesia. Era piuttosto evidente quando mi hai visto e hai esclamato: maestro Revali, siete ancora vivo? Saresti veramente un pessimo bugiardo, lasciatelo dire.»
«Sì, però…» Teba si guarda intorno cercando le parole per quello che deve dire. «Nel mio tempo voi siete morto su Medoh all’avvento della Calamità. Non è andata come sta andando adesso. È possibile che col mio arrivo le cose stiano in qualche modo cambiando?»
«Probabile, direi» risponde Revali. «Ma se nel tuo tempo sono morto, come mi hai riconosciuto?»
Teba spalanca le braccia. «Non lo so, maestro. Mi sono trovato qui su Medoh, e… Voglio dire, tutti sappiamo come siete fatto. I nostri guerrieri vi venerano ancora.»
Revali gli scocca un’occhiata divertita. «Hai sentito, Link?»
«Per l’amor del cielo! C’era bisogno di dirgli che avete fondato una sorta di culto?» protesta Link alzando gli occhi al cielo. «Non ti sembra già abbastanza pomposo e pieno di sé così com’è ora?»
«Non lo so, Link. Potrei sempre peggiorare» commenta Revali sogghignando.
«Risparmiami» mormora Link osservando un punto cieco dietro una parete.
Teba torna alla sua domanda. «Quindi, questa storia che siete sposati…»
«Non lo siamo nel tuo tempo?» chiede Link. «O quantomeno, io non ti ho mai detto di esserlo, o…? Non so neppure cosa chiederti.»
«Tu, nel mio tempo, hai perduto ogni memoria di quello che sta accadendo in questo preciso momento» risponde Teba. «E a dire il vero neppure nelle nostre storie e nelle nostre leggende ho mai sentito dire che né tu né il maestro Revali foste sposati, tantomeno tra di voi. Però devo dire che questo spiegherebbe molte cose.»
Quali cose?, sta per chiedere Link; ma è destinato ad aspettare ancora un bel po’ prima di scoprire che cosa spiegherebbe il suo matrimonio.
Con uno stridore inascoltabile, perforante, acuto, appare l’emanazione della Calamità. È orrenda: è un mostro che appare fatto della stessa sostanza nera, vischiosa, della corruzione che ha contaminato Medoh; non è bestiale né antropomorfa, è pericolosa e incostante e affamata. È in fondo al corridoio oscuro che si apre nel ventre di Medoh, ma li ha sentiti, ed è mortalmente rapida: Link indietreggia nella stanza per proteggere Revali e domanda a bassa voce: «Teba, posso contare su di te?»
Teba sfodera il suo arco e avanza di un passo. «Certo, Link. Come l’altra volta. Cioè… oh, lascia perdere. Te lo racconterò poi.»
Revali si alza appoggiandosi alla parete e imbraccia l’arco malgrado le ferite: la punta delle sue dita trema appena per lo sforzo. Con lo scudo parato, la spada in pugno, Link scivola di lato fino a proteggerlo col suo corpo. «Resta fermo» sibila. «Me ne occupo io. Tu comprimi la ferita e resta dove sei.»
«Link…»
«Maestro, vi prego» insiste Teba. «Lasciate che ci occupiamo noi dell’Ira. Voi siete già rimasto ferito.»
Qualcosa nel tono in cui lo dice lo informa che Ira è il nome della cosa orrenda, mostruosa, che in questo momento sta risalendo il corridoio per venire a ucciderli. «L’avete chiamata voi due così?» chiede Link. Parlare è un modo come un altro per spezzare la tensione. «Significa qualcosa nel tuo futuro?»
«No» risponde Teba schierandosi al suo fianco con gli occhi rivolti verso lo sbocco del corridoio. «È solo che ci è sembrata molto arrabbiata.»


L’Ira stride facendo irruzione nella vasta sala con una rapidità maggiore di quella che Link ha visto fino a quel momento. Ha una testa orrenda, semiumana, coronata da una chioma selvaggia che pare fatta della stessa sostanza vischiosa che Link ha imparato ormai ad associare alla Calamità, e osceni occhi vitrei come quelli dei guardiani. Ha appendici asimmetriche dove dovrebbe aver le braccia: una di esse è una bocca da fuoco. Link ha appena il tempo di elaborare questo pensiero quando l’Ira la solleva contro di lui e Teba grida: «Giù!»
Link ha imparato abbastanza in fretta a buttarsi giù senza fare domande quando sente urlare giù, e probabilmente non sarebbe qui se non lo avesse imparato il suo secondo giorno nell’esercito; ma dietro di lui c’è Revali. Link si ripara dietro lo scudo da una serie di proiettili luminosi che esplodono a contatto contro lo scudo facendogli tremare il braccio: la situazione si sta chiarendo rapidamente nella sua mente ogni secondo che passa. Non possono combattere lì dentro, dove le esplosioni minacciano di coinvolgere loro più del nemico; ma non può nemmeno lasciare Revali da solo, e non solamente perché è ferito, ma perché è certo che potrebbe fare qualcosa di tremendamente stupido altrimenti.
«Cerco di attirarlo fuori!» urla rivolto verso Teba, che è rotolato al suolo a pochi metri da lui. L’Ira si sposta rapidamente nella sala per minimizzare il rischio d’essere colpita, e questo gli dà qualche secondo per ripensare una strategia. «Puoi restare tu con Revali?»
Teba sembra comprendere la sua strategia senza bisogno di parole, ma scuote la testa. «Io posso sfruttare l’altezza!» risponde. «Lascia andare me.»
«Link…» inizia Revali in tono di ammonimento, col volto contratto dal dolore; ma Link non ha la benché minima intenzione di starlo a sentire. Se l’Ira sparerà un’altra volta, non è certo di poter difendere Revali, e ha lasciato indietro già troppi guerrieri per salire quassù a salvarlo: ora deve fare la sua parte. Cerca il contatto visivo con Teba per l’ultima volta per accertarsi che abbia capito, a prescindere che sia o meno d’accordo, e Teba esita e infine annuisce.
Non si volta a guardare Revali perché non vuole vedere la sua espressione. Link si abbassa dietro lo scudo e corre verso il corridoio scuro che porta al di fuori della sala mentre l’Ira di Ganon lo insegue con colpi che esplodono sulla sua scia come bombe e Teba si para di fronte a Revali per proteggerlo.
Link percorre il corridoio correndo con l’Ira che lo insegue stridendo: il suo piano ha funzionato. Quest’emanazione mostruosa non ha intelligenza sufficiente da comprendere il concetto di strategia; ma questo è tutto il vantaggio che gli rimane. Una volta fuori, sarà da solo, in un campo aperto e sterminato, privo di ogni riparo, contro di lei.
La larga schiena di Medoh, coperta di muschio, è spazzata dal vento e da alterne correnti ghiacciate che gli mozzano il fiato non appena si ritrova all’aperto: a quest’altezza non nevica neppure più, piovono solo cristalli di ghiaccio sottili che gli frustano le guance. L’umidità dell’aria si condensa nel suo respiro e sulle sue ciglia, gli occhi gli bruciano nel vento: si sforza di battere le palpebre con regolarità e di tenerli aperti nell’aria ghiacciata.
Continua a correre per la lunghezza delle grandi ali sapendo di venire inseguito: volta solo il capo sulla spalla, senza fermarsi, per guardare dietro di sé. All’esterno l’Ira di Ganon pare gonfiarsi a dismisura, ingigantirsi, come se potesse adeguarsi allo spazio a disposizione, si fa immensa: ma Link non perde neppure tempo ad avere paura. In battaglia non ricorda d’averne avuta mai. Accelera fino a mettere la maggiore distanza possibile tra sé e la bestia, poi si volta di scatto a metà dell’ala che gli appare sterminata, incocca una freccia esplosiva nell’arco Aquila e scocca mirando al vitreo occhio osceno dell’Ira.
L’onda d’urto dell’esplosione è forte a sufficienza da sbalzarlo in avanti di qualche metro: Link ne sente tutto il calore sul volto e sulle mani. È lontano a sufficienza da non bruciarsi. Quando alza lo sguardo facendosi schermo con lo scudo, l’Ira ulula impazzita di rabbia e di dolore. L’esplosione le ha portato via l’occhio azzurro da guardiano: è cieca, ora. A lui invece rimangono una decina di frecce esplosive.
Proprio perché è cieca l’Ira di Ganon solleva il suo braccio armato e spara alla cieca ovunque, anche verso di lui: Link si rannicchia dietro il suo scudo massiccio, enorme, e lo sente tremare e gli strati sovrapposti di legno e di ferro incrinarsi in profondità: tra poco sarà inutile, e il meglio che potrà fare sarà gettarlo addosso alla bestia per prendere tempo, forse; per il momento, va ancora bene; ma sparando alla cieca, prima o poi l’Ira lo colpirà.
D’un tratto sente, da qualche parte sul dorso di Medoh, sente il ruggito dei misteriosi meccanismi di Medoh che ruotano e scivolano gli uni sugli altri per aggiustarsi in risposta a oscuri comandi. Il Colosso non sbanda più alla deriva in preda alle correnti, cessa di solcare il cielo di Hebra sterminato che s’imbianca nella luminescenza lattiginosa dell’alba; ma è un altro il rumore che ha sentito. Corre in direzione del dorso centrale di Medoh scandagliando la sua mente per cercare di ricordare com’è che fa a conoscere quel rumore e perché sa di doversi dirigere proprio là.
Revali non riesce proprio a dargli retta e a lasciar fare a lui. Dev’essersi trascinato ai comandi di Medoh, malgrado le ferite, e ha aperto le vaste griglie dalle quali provengono fiotti d’aria che si elevano come dagli sfiatatoi del Volodromo. Gli viene quasi da ridere, e forse riderebbe se Revali non fosse ferito e un’emanazione della Calamità non lo stesse inseguendo alla cieca come un segugio privo di occhi e di fiuto: senza saperlo né volerlo, Revali lo ha allenato per mesi a fare quello che deve fare in questo momento.
Link spiega la paravela e si eleva al di sopra della vasta schiena di Medoh nel vortice che lo strappa bruscamente da terra mentre l’Ira cerca affannosamente nell’aria il rumore dei suoi passi che si è spento d’improvviso. Spara ancora rivolgendo il braccio verso terra: i proiettili esplodono al suolo provocando onde d’urto che lo fanno oscillare nell’aria: finora lo ha visto correre, realizza Link. Di certo non si aspetta che possa volare: ma se ne accorgerà presto.
Scocca la seconda freccia esplosiva lasciandosi cadere dall’alto come ha fatto al Volodromo per tutti questi mesi: l’arco Aquila si piega sotto le sue mani docile come burro, la forma orrenda dell’Ira di Ganon si delinea di fronte ai suoi occhi come se il tempo rallentasse soltanto per lui, la freccia solca l’aria e colpisce l’emanazione sull’appendice che termina in una bocca da fuoco; poi l’esplosione erutta come un fiore di fuoco.
Link non aveva calcolato che precipitando dall’alto si sarebbe avvicinato all’esplosione molto più rapidamente di quanto gli fosse prevedibile o auspicabile. L’onda d’urto stavolta lo investe in pieno travolgendolo, la fiamma lo accieca e il boato lo assorda per un momento, e Link si ritrova sbalzato indietro e impatta contro il suolo riuscendo a stento a proteggersi il capo con le braccia.
Rotola più volte senza vedere né sentire nulla, certo che ora l’Ira lo sentirà, lo colpirà, che non ha modo di difendersi finché non tornerà a vedere o a sentire dopo l’esplosione: sbatte le palpebre furiosamente per recuperare la vista, ma i suoi occhi non vedono altro che chiare forme luminose, colorate, come dopo aver fissato troppo a lungo il sole, e le sue orecchie sentono solo un ronzio indistinto e confuso che dev’essere lo strillo acuto e insostenibile dell’Ira di Ganon mutilata che urla di dolore. Si solleva in ginocchio riparandosi gli occhi col gomito per sforzarsi di vedere qualcosa, qualsiasi cosa, che possa fornirgli un riparo o un rifugio anche per un istante solamente: ma riparo o rifugio non ce n’è. Conosce la larga distesa della schiena di Medoh, ormai: non c’è niente dietro cui nascondersi. Annaspa alla cieca con le dita cercando il suo scudo, ma non lo trova: dev’essere caduto da qualche parte, lontano da lui. Può soltanto restare in piena vista, pregando che l’Ira di Ganon impieghi più di lui per riprendersi dal colpo: non può vederlo, ma può ancora sentirlo, forse, e Link è consapevole che il suo petto si alza e si abbassa rapidamente e che sta boccheggiando in cerca d’aria. Se lo sente, è la fine. Dopo dovrà pensarci Teba.
D’improvviso l’aria sembra tremare di un’altra esplosione, stavolta più lontana; il gomito che Link aveva già sollevato contro gli occhi lo ripara a sufficienza: al di sotto di esso, sbattendo le palpebre, Link si sforza di vedere qualcosa. Teba si è frapposto tra lui e l’Ira di Ganon e la sta tempestando di frecce: il mostro è a terra, è cieco, mutilato, eppure si muove ancora. Le frecce penetrano nelle sue carni con suoni orrendi, disgustosi, che attraversano il ronzio che copre le sue orecchie, come se si trattasse di una materia marcescente.
Lo intravede a malapena attraverso le grandi macchie di luce che si dilatano ai margini del suo campo visivo. Link si alza in piedi e sfodera la Spada che esorcizza il male, stancamente, e arranca attraverso Medoh; è costretto a sorreggersi alla Spada. La lama emette una luminescenza azzurrina nel chiarore dell’alba: forse il Grande Albero gliene aveva parlato, ma adesso non ricorda. Grida: «Teba!»
Teba china lo sguardo su di lui e comprende quello che sta per fare: forse è vero che si conoscono già, nel futuro, quantomeno, e che hanno combattuto insieme. Abbassa l’arco per non rischiare di colpirlo inavvertitamente, ma continua a tenere sotto tiro l’Ira che agonizza al suolo.
Link solleva la Spada e ne conficca la punta nel cuore dell’Ira di Ganon. La sospinge con tutto il proprio peso, affondandola nella carne repellente dell’emanazione, che che si dissolve come nebbia stridendo di dolore.


Si lascia cadere in ginocchio, col petto che annaspa in cerca d’aria freneticamente ma un po’ più piano, e domanda: «Dov’è Revali?»
Gli sanguinano le braccia là dove hanno impattato col suolo per proteggergli il capo e il collo, ha le mani tremanti per lo sforzo di aggrapparsi alla paravela, le orecchie che a poco a poco tornano a sentire senza ronzii né fischi; ma va bene, dice a se stesso rapidamente. È stato peggio, s’è fatto di peggio. È vivo, Revali è vivo anche se ferito; va tutto bene.
Teba plana al suo fianco per aiutarlo, riponendo l’arco. Usa un arco Falcone, nota Link in modo quasi inconscio: ne ha usato uno anche lui, più piccolo, mentre si allenava al Volodromo.
«L’ho lasciato ai comandi di Medoh. Non sono riuscito a convincerlo a riposarsi ancora» ammette. «Mi dispiace. Sono riuscito soltanto a costringerlo a restare al piano di sotto.»
Link scuote il capo. L’aria riempie i suoi polmoni a grandi boccate. «Hai fatto anche troppo. Non so cosa ricordiate di lui da dove vieni tu, ma non è facile averci a che fare. Non pensavo che sarebbe rimasto giù.»
Quando leva gli occhi su di lui, Teba lo sta osservando in silenzio.
«È così strano incontrarti nel passato» dice in fretta per giustificarsi quando si accorge del suo sguardo. «Non mi sembra vero. Anche nel futuro abbiamo combattuto insieme per liberare Medoh, cioè… combatteremo. Non lo so più» si schermisce nervosamente, e per mascherare il suo disagio e il suo nervosismo gli porge la mano per aiutarlo a rialzarsi. Link l’afferra volentieri perché non è sicuro che sarebbe in grado di rimettersi in piedi altrimenti.
«Andiamo giù» dice. «Dobbiamo salvare Urbosa, ma vorrei che Revali riposasse alla roccaforte di Hebra e si facesse visitare da un medico. Urbosa è…»
«So chi è Urbosa» lo interrompe Teba. «E anche gli altri Campioni. Non hai bisogno di spiegarmi niente, Link. Non preoccuparti. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma dimmi come posso aiutarti e lo farò.»
Link annuisce senza neppure sforzarsi di capire perché sente che sarebbe impossibile. «Dovrai spiegarmi tutto, più tardi» lo avverte mentre scendono nel ventre profondo di Medoh. «Com’è il tuo futuro, e tutto il resto.»
«Non sono sicuro che tu lo voglia sapere» risponde Teba cupamente. «E comunque, inizio a sospettare che sia molto diverso. A cominciare dal vostro matrimonio, cioè.»
«Non è proprio un vero matrimonio» si sente in dovere di specificare Link, perché gli pare disonesto non dirlo: in fin dei conti, non lo è, e gli pare giusto che Teba lo sappia, se devono combattere insieme.
«Lo so. Non preoccuparti. L’avevo capito.»
«Davvero?» chiede Link. Per un attimo prova all’altezza della bocca dello stomaco qualcosa di molto simile alla delusione.
«Certo. L’ho capito subito quando la prima cosa che hai fatto quando hai visto che era vivo è stata infilargli la lingua in bocca.» Link si sente avvampare fino alla punta delle orecchie e apre la bocca per protestare. La richiude piuttosto in fretta quando si accorge che non ci sono tante obiezioni possibili di fronte a questa osservazione. Teba sorride benevolmente. «Il maestro Revali non ha parlato che di te tutto il tempo. Anche quando stavo per cedere continuava a esortarmi dicendomi che suo marito sarebbe arrivato ad aiutarci. Sebbene io debba ammettere di aver pensato che le sue fossero allucinazioni dovute alla stanchezza» aggiunge. «Non ho mai saputo che il maestro Revali fosse sposato. Tantomeno con te.»
Link è lieto che la loro conversazione sia finita prima che arrivino nella sala dei comandi di Medoh. Revali è ancora in piedi, appoggiato contro il nucleo di controllo del Colosso Sacro; ma ha il volto contratto dal dolore, e Link vorrebbe disperatamente poterlo costringere a dargli retta e a lasciar fare a lui e a riposarsi, una buona volta, e a badare alla sua ferita.
«Ti avevo detto di stare fermo e di comprimerla» gli dice con rabbia.
«Certo. E tu sai quanto io tenga sempre nella massima considerazione la tua opinione» risponde Revali. «Ho pensato che ti facesse comodo un po’ d’aiuto. Che senso avrebbe avuto altrimenti insegnarti a maneggiare il mio arco se non potevi sollevarti con quella tua paravela?»
«Me la sarei cavata anche da solo» borbotta Link, che non è affatto sicuro che sarebbe ancora vivo se Revali non avesse attivato i getti d’aria sul dorso di Medoh; ma l’ego di Revali è già sufficientemente ben nutrito senza che ci sia bisogno di fornirgli ulteriore materiale. Lo trascina a sedere contro una parete per controllare di nuovo la ferita: Revali lo lascia fare senza agitarsi troppo. Non sanguina più molto, ma tutto il piumaggio del busto di Revali è intriso di sangue secco, scuro: deve averne perduto molto. «Ora mi farai il piacere di stare fermo e lasciar fare a noi? Dobbiamo invertire la direzione di Medoh e riportarlo alla roccaforte di Hebra. Voglio che ti visiti un medico.»
«Avete evacuato, quindi» dice Revali. La sua voce ha perso ogni accenno del suo sarcasmo di prima. «Ci sono stati…»
«Stiamo tutti bene» lo interrompe Link. «Dovresti avere più fiducia in Kagan, sai? Se l’è cavata benissimo da solo. Non che io sarei stato di molto aiuto, comunque. Ha dovuto preoccuparsi anche di me.»
«Cos’è, sei affondato nella neve?» chiede Revali scompigliandogli i capelli. «Come i pulcini?»
«Avevo paura per te» risponde Link guardandolo negli occhi, e questo basta a metterlo a tacere per qualche secondo. «Bene. Puoi stare seduto qui e dirci cosa fare per pilotare Medoh? Dare ordini e insegnare agli altri cosa fare è una cosa che ti è sempre riuscita bene, mi pare.»
«Tutto mi è sempre riuscito bene, se è per questo.» Revali si raddrizza contro la parete. «Ma non è così semplice. Non ti ricordi che abbiamo fatto decine di voli di calibrazione con la principessa? Non basta premere un pulsante.»
«Lo so, ma non abbiamo tempo» insiste Link. «Dobbiamo salvare Urbosa, liberare Vah Naboris.»
«Anche lei, dunque» mormora Revali, e Link comprende senza bisogno di dirle le implicazioni delle sue parole: fino a quel momento aveva pensato d’essere il solo dei Campioni a essersi lasciato cogliere impreparato.
Posa una mano sulle sue ali e mormora: «Tutti gli altri. Non so se riusciremo a salvarli, ma dobbiamo almeno provare. Non possiamo soltanto lasciarli.»
«E la principessa?»
«È salva. Impa l’ha condotta alla roccaforte di Hebra con la tavoletta Sheikah, poi ha accettato di accompagnarmi qui. Tu sei il primo che abbiamo liberato.»
«Allora avete sbagliato. Avreste dovuto salvare prima Mipha oppure Urbosa» conclude Revali alzandosi. Link vorrebbe picchiarlo, ma Revali si trascina di nuovo ai comandi. «I loro poteri avrebbero potuto esserci più utili in battaglia. Io avrei fatto così. E comunque Impa dov’è?»
L’impulso di picchiarlo si sta facendo sempre più forte ogni istante che passa. Se Link si trattiene, non è perché Revali è ferito: è perché Teba li sta osservando dal fondo della sala, profondamente imbarazzato, sforzandosi in ogni modo di far finta di non esistere e di non star assistendo a un litigio coniugale.
«Scusami se il mio primo pensiero è stato quello di salvare mio marito. Se questo è il ringraziamento, la prossima volta ti lascerò qui, allora. Va bene?» Revali si china sui comandi senza neppure rispondere. «Impa è rimasta a terra con Derdran per darmi il tempo di salire su Medoh.»
Questa volta Revali non può fare a meno di voltarsi. «Derdran?» ripete con profondo fastidio.
Link vorrebbe provocarlo e farlo ingelosire solo perché è troppo arrabbiato con questo dannato Rito; ma sono in guerra e non c’è tempo di giocare. Si sforza di controllarsi. «Sì, Derdran. Ci ha accompagnati con una squadra di arcieri per farci guadagnare tempo.»
«Ha lasciato sguarnita la roccaforte di Hebra per venire qui?» protesta Revali. «Ma ci sono i vecchi e i bambini, avrebbero potuto…»
«Vorresti per favore essere grato del fatto che ti abbiamo salvato e stare zitto per una volta in vita tua?» urla Link.
Incredibilmente, funziona. Quella è la seconda volta che Revali lo sente urlare, ed è la seconda volta che ammutolisce e non protesta più. Il fatto che la ferita sotto la sua ala scelga proprio quel momento per riprendere a buttare sangue potrebbe concorrere all’ottenimento di questo risultato, perché per un istante Revali vacilla e si appoggia al pannello dei comandi, inspirando profondamente, e Link si precipita a sostenerlo.
«Per favore» mormora. Non c’è più bisogno di urlare. «Per favore, portaci alla roccaforte di Hebra e scendi per farti visitare da un medico. Io e Teba ce la caveremo e salveremo Urbosa, se è ancora viva. Te lo prometto, ma tu devi riposare.»
«Ho già invertito i comandi mentre discutevamo» risponde Revali. La sua voce fuoriesce a fatica, è dura, ma non lo sta respingendo. Lo guarda con pazienza mentre Link si china per l’ennesima volta a osservare la ferita. «Starò bene, Link, ma non posso semplicemente insegnarvi a pilotarlo in mezz’ora. Non funziona così. Devo venire con voi anch’io. È l’unico modo, e Medoh potrebbe esserci utile, comunque.»
«Ma la ferita…»
«Non è così grave come sembra, credo. Butta sangue perché è una zona molto irrorata, ma non credo che siano coinvolti organi né tendini, perché altrimenti sarei morto o avrei smesso di muovere l’ala già da un bel po’. La cosa ti tranquillizza?»
Link riflette rapidamente. Revali ha ragione, come quasi tutte le volte, cosa che non gli dirà mai: hanno bisogno di Medoh per raggiungere Naboris, e hanno bisogno di Revali per pilotare Medoh. Non c’è neppure molto tempo per prendere una decisione: ogni minuto che passa è un minuto di vita sottratto a Urbosa, se ancora è viva e sta combattendo all’interno di Naboris come ha detto Impa.
«Teba» chiama. È la soluzione migliore che gli venga in mente, e, più probabilmente, l’unica. «Sai per caso ricucire una ferita?»


Succede tutto così in fretta che tenerne conto è molto difficile; forse è un bene. Se Link si soffermasse a riflettere su quello che deve fare, sul fatto che gettarsi dall’alto su Naboris, alla cieca, senza sapere cosa vi troverà né se Urbosa sia viva o morta, è una follia, probabilmente non lo farebbe. Se vuole farlo, deve farlo così: alla cieca, senza pensare né riflettere né chiedersi se sia troppo esausto o stanco per farcela; ma non può non provare a salvare anche lei. È stato già sufficientemente egoista da salvare Revali a dispetto di tutto; probabilmente questa è la massima vetta d’egoismo che abbia raggiunto mai in tutta la sua vita; ma ora basta. È ancora l’eroe di Hyrule, e Revali è salvo.
Non ha tempo neppure di pensare. Avvistano Naboris molto presto, dopo neppure due ore di volo: quando è stata attaccata, Urbosa deve aver deviato i comandi della bestia sacra in modo da condurla in mezzo al deserto, dove poteva minimizzare il rischio di arrecare danni; il Colosso ha piegato due delle enormi zampe, quelle del lato di dritta, e quando lo sorvolano è pericolosamente inclinato, circondato da una distesa di sabbia bruciata e semiliquefatta, in parte vetrificata. Naboris è circondato da fulmini: Link non ha bisogno d’altro per saltare, perché fulmini voglion dire Urbosa. Se ci sono fulmini, Urbosa è viva.
Lo accompagna Teba, che è anche l’unica ragione per cui Revali accetta di restare su Medoh a dispetto del suo orgoglio: poi tutto accelera ancora, ulteriormente, fino a non poter tener conto di quanto accade, ancora e ancora. In un certo senso è come tornare su Medoh un’altra volta, e scoprirvi, di nuovo, qualcosa che dovrebbe essere una sorpresa e che proprio per questo non lo è più del tutto: che Urbosa non è sola. Che a salvarla, dallo stesso futuro da cui proviene Teba, è giunta una ragazza Gerudo intimorita e insieme determinata che si rivolge a lei chiamandola grande Urbosa, che non ha idea di cosa sta accadendo ma egualmente farebbe di tutto per salvarla, e che quando lo vede lo riconosce e lo chiama per nome. A quanto pare, Link conosce anche lei nel futuro: gli gira la testa. Va avanti lo stesso perché se si fermasse a rifletterci, a riprender fiato e a domandarsi che cosa accada, quale sia il significato di tutto ciò, non potrebbe più fare quello che va fatto. Avrà tempo dopo per pensare e farsi domande. Urbosa è estenuata ma viva.
Anche quest’emanazione della Calamità è furente e ferina, famelica e implacabile: ha un potere simile a quello di Urbosa, è rapida a tal punto da scomparire dallo spettro del visibile; è armata di spada e scudo ancestrali, simili a quelli che portano alcuni guardiani; Link non si sente sorpreso di vederla. Forse è proprio questa la sua salvezza: che ha già incontrato un’Ira di Ganon su Medoh, che in qualche modo sa cosa attendersi; che non ha più paura. Il suo corpo sembra agire per lui nella stuporosa nebbia di un sogno; ma la lotta è più dura, stavolta, o forse lui è più stanco, gli mancano le forze. Non importa. Non può fermarsi né rallentare.
L’Ira, stavolta, è più rapida e spaventosa. Forse ha percepito, in qualche modo e misura, che è successo qualcosa all’altra emanazione: è furiosa e selvaggia, inarrestabile, e si muove tra loro in una nube di fulmini stridendo come vapore; ma loro, adesso, sono quattro. Teba l’attornia da ogni lato in un nugolo di frecce, attirando i suoi fulmini lontano da loro, e Urbosa e Riju gli girano attorno con le loro lame come se danzassero, lacerando a ogni colpo la sua carne repellente e allontanandosene rapidamente mentre l’Ira cerca in ogni modo di comprendere da quale lato debba difendersi con maggiore urgenza; poi Link affonda nel suo petto la Spada che esorcizza il male appoggiandovisi sopra con tutto il proprio peso come una liberazione.
La corruzione della Calamità impiastriccia le sue mani come un fango nauseabondo e urticante prima di dissolversi nell’aria, ma lui la vede ancora, la sente; forse le sue sono allucinazioni dovute alla stanchezza: non saprebbe dirlo. Non riesce a pensare con chiarezza.
Urbosa lo richiama alla realtà più volte schioccandogli le dita davanti agli occhi per riscuoterlo dal suo istupidito torpore, lo chiama per nome: ma guardandola negli occhi tutto ciò che Link riesce a balbettare è: «Perdonami. Avrei voluto arrivare prima.»
«Link! Ci hai salvate» ripete Urbosa, forse per l’ennesima volta. Gli scosta dagli occhi i capelli intrisi di un sangue che Link non sa neppure più se appartenga a lui o a Revali e mormora: «Stai bene?»
«Devo tornare da Revali» risponde Link senza accorgersi che quella risposta non è affatto adeguata alla domanda. «È ferito. Devo riportarlo alla guarnigione di Hebra.»
«Tu stai bene?» ripete Urbosa, che non è disposta a lasciar correre su quella domanda: i suoi occhi lo percorrono nella sua interezza.
«Sto bene» risponde Link senza sapere se sia la verità.
«E gli altri?» chiede Urbosa a bassa voce. Persino lei ha paura di scoprire la risposta; ma ha il coraggio di porre la domanda guardandolo negli occhi fino in fondo. «Sai se anche loro sono stati attaccati? La principessa Zelda?»
«Zelda è salva. Impa l’ha portata nella guarnigione di Hebra dove ci siamo rifugiati io e gli altri Rito. Io e Impa siamo riusciti a liberare Medoh e Naboris» risponde Link. «Quando siamo partiti, Mipha e Daruk stavano ancora combattendo sui Colossi. Ora non lo so più.»
Urbosa annuisce gravemente col capo. Lo stringe per le spalle. «Link, nessuno poteva fare di più, mi hai sentito? Sei stato costretto a scegliere. Lo sai meglio di me che in guerra si deve scegliere, a volte. Non è colpa tua in ogni caso, sono stata chiara?»
Sì, lo è stata; ma questo, dall’oscura colpa di aver scelto per il suo egoismo, non lo assolverà mai. Posando le mani sui suoi gomiti, sulle sue braccia nude, Link l’attira a sé perché si abbassi verso di lui e dice disperatamente contro il suo orecchio, perché vorrebbe che lei sapesse e lo perdonasse e giustificasse le sue azioni: «Ho scelto Revali perché è mio marito. Perdonami. Proverò a salvare anche gli altri, ma non potevo lasciare indietro proprio lui. Sono stato egoista.»
Urbosa sorride. Torna a districare i capelli dalla sua fronte, dolcemente, e risponde dopo un momento: «Sei stato umano in tutti i modi in cui hai potuto esserlo, Link. A te e alla principessina abbiamo addossato tanta parte del peso del mondo, per così tanto tempo, che a volte temo che vi abbiamo fatto dimenticare che siete umani anche voi, persino voi, e che non potete fare poi molto più di noi…»
Link chiude gli occhi per un istante nelle sue parole perché vorrebbe sentirsene riscattato e redento molto più di così; non si sente assolto, eppure ne ricava un grande calore. Inspira profondamente. A poco a poco gli sembra di tornare nel presente.
«Potete aiutarci a tornare su Medoh?» chiede.
Urbosa sorride stancamente allargando un braccio per presentare la sua nuova amica. Sentendosi chiamata in causa, la giovane Gerudo si avvicina. «Lei è Riju. A quanto pare, viene dal futuro. E ho idea che sia da dove viene anche questo guerriero Rito. Ho indovinato?» Come sempre, Urbosa è molto più intuitiva di lui. Link si limita ad annuire per confermare le sue supposizioni, perché non ha forze né sufficiente comprensione degli eventi per aggiungere altro.
«Ciao, Link» dice Riju nervosamente. «Ho già combattuto con te nel futuro. Abbiamo liberato Vah Naboris anche lì, solo che...»
«Solo che non ci sarà nessuna Urbosa da salvare nel futuro, immagino» conclude Urbosa. Anche lei come Revali ha letto i nondetti nelle parole di Riju, o forse ha soltanto dedotto che, se nessuno forse venuto a salvarla nel presente, se non ci fosse stata una Riju ad aiutarla in un certo momento, non sarebbe sopravvissuta. Riju guarda verso Link come in cerca di un aiuto, ma Link non ne sa più di Urbosa, che non ha bisogno di altre conferme. «Lo immaginavo. Mi racconterai durante il viaggio. Ora aiutiamo questi due gentiluomini a tornare su Medoh, che ne dici?»
Il piano di Urbosa è semplice ed è lo stesso che, in origine, avrebbe voluto adottare Impa: utilizzare l’enorme estensione verso l’alto del lungo collo di Naboris per aiutarli a tornare su Medoh.
«Volete venire con noi?» chiede Link. «Zelda è sui monti di Hebra. Io e Impa torneremo da lei per fare il punto della situazione, e poi…»
«E poi salverete Hyrule» risponde piano Urbosa. «Lo so, ma non posso portare Naboris a Hebra, e devo prima accertarmi che la mia gente sia in salvo. Io tornerò alla Cittadella ad accertarmi che le mie Gerudo stiano bene e cercherò di ripulire il deserto dai mostri. Bisogna anche controllare che gli Yiga non abbiano approfittato della situazione per…» Urbosa esita mentre dentro di sé passa in rassegna tutto ciò che l’aspetta; per un momento sembrano mancarle le forze. «Vi raggiungerò tra tre giorni» promette infine.
Lo stringe a sé per un istante prima di lasciarlo andare; contro il suo orecchio, solo per lui, mormora: «Non sarebbe colpa tua in ogni caso, Link. Ma io so che sono ancora vivi e che tu li salverai.»


Quando tornano su Medoh, Revali riesce a stento a restare ai comandi. Non dice nulla, ma ha il volto contratto dal dolore e dallo sforzo di rimanere in piedi: non lo ammetterà mai, ma deve aver perduto molto sangue.
Rimango io con lui, si offre Teba con gli occhi solamente, tu riposa: ma Link scuote la testa, si siede sul bordo del pannello dei comandi dal quale proprio non ha modo di staccare suo marito e rimane in silenzio a sorvegliarlo con lo sguardo. Contro il suo orgoglio e la sua ostinazione non riuscirà a vincere mai; ma quantomeno non intende lasciarlo. Revali non gli dice nulla, forse perché non ne ha le forze; ma neppure gli chiede di andarsene. Link lo considera un implicito invito a restare. Non dicono nulla neppure del bacio, ma ogni tanto, quasi senza accorgersene, Revali posa una mano sulle sue ginocchia, distrattamente, e la lascia lì per un momento mentre riflette su altro. Sotto di loro si apre una Hyrule contaminata dalla Calamità: dalle vaste aperture sui fianchi di Medoh Link intravede i mostri che dilagano per le campagne e i neri viticci della corruzione ovunque.
Quando giungono in vista della roccaforte di Hebra, non c’è neppure bisogno di avvertire del loro arrivo: una piccola squadra di medici Rito si leva in volo e sale sul Colosso portando delle barelle. A quanto pare, Kagan ha sperato fino all’ultimo di rivederli vivi, ma ha pensato che potessero aver bisogno di aiuto. Forse li conosce anche troppo bene, pensa Link mentre si sforza di convincere Revali che la barella è un male necessario e che non può assolutamente volare finché la ferita sotto l’ala non sarà del tutto rimarginata. Alla fine Revali cede perché non ha forze sufficienti per raggiungere la guarnigione in volo. I medici scrutano Teba con occhi enormi di stupore, ma non fanno domande. Link e Teba, semplicemente, li seguono mentre portano Revali a terra.
Una lunga baracca a nord della guarnigione è stata predisposta come ospedale da campo: quando ne varca la soglia al seguito dei barellieri Rito, Link potrebbe giurare di sentire il suo cuore emanare un lungo sospiro di sollievo. Derdran ha una lunga ferita al sopracciglio, ma è vivo, e sta sorvegliando i ragazzi della sua squadra passando dall’uno all’altro per controllare che stiano bene. Impa non è neppure ferita, quantomeno non gravemente, tranne per alcuni graffi sulle guance e le tempie: non gli chiede niente, lo guarda solamente, e in risposta alla muta domanda che i suoi occhi esprimono Link annuisce soltanto per dirle che anche Urbosa è salva. Il suo volto si rilassa soltanto un poco: hanno ancora tanto da fare, ma almeno due dei Campioni sono salvi.
I barellieri depongono Revali in una zona dell’infermeria appartata, riparata da un paravento, e Kagan, che assai evidentemente non ha dormito da quando li ha salutati, gli si getta al collo strappandogli un grido di dolore. È strano vedere questo mite capovillaggio armato come i suoi soldati, ma è chiaro che ha mantenuto il suo proposito di tenersi pronto a difendere la roccaforte nel caso di un attacco che per fortuna non è arrivato; e ora che finalmente il suo guerriero più amato è tornato, a trattenere il suo sollievo non prova neppure.
«Ti avevo detto di non andare!» gli dice quasi con rabbia, e questo è il modo più chiaro in cui riesca a esprimere tutto il suo sollievo di vederlo vivo.
«Mi stai uccidendo» risponde Revali, districandosi dal suo abbraccio per comprimersi la ferita. Sorride a fatica. «Rito di poca fede. Link è venuto a salvarmi, no?»
«Poteva non arrivare in tempo» insiste Kagan, che non sembra affatto disposto a lasciarsi convincere da così banali argomentazioni. «Poteva morire anche lui. Ho pensato che non ti avremmo rivisto mai più, oppure che…»
«Kagan» lo interrompe Revali a bassa voce. «Lo sapevamo entrambi che poteva andare così. È andata meglio di come poteva andare. Tu, piuttosto, da quand’è che hai ripreso a tirare con l’arco?»
«Non cambiare argomento» lo avverte Kagan. Per fortuna di entrambi, un medico si frappone tra lui e Revali e gli fa cenno di fargli spazio e di lasciargli visitare il ferito, e Kagan è costretto a rivolgere altrove la sua attenzione. È solo adesso che si accorge di Teba. Rimane a osservarlo interdetto per qualche momento, e Link non sa come presentarglielo altrimenti che dicendogli tutta la verità che conosce.
«Questo è Teba, capo» dice. Si sente addosso d’improvviso tutta la stanchezza della marcia nella neve, delle lotte, del viaggio interminabile e sconfortante. Derdran e Impa si avvicinano per ascoltare. «Non so come altro dirtelo. È arrivato dal futuro e ha salvato Revali.»
«Da un futuro nel quale io sono morto» interviene Revali, che evidentemente non è in grado di star zitto e lasciar fare a lui neppure sotto le mani del medico. «Perciò ti consiglio di trattarlo bene, Kagan. Non sarei qui senza di lui.»
Sotto gli occhi di tutti, Teba allarga le ali come a dire che non ha nulla da aggiungere oltre a quello che è stato già detto. Kagan l’osserva in silenzio per un po’.
«Non ci si può più sorprendere di nulla, di questi tempi» constata solamente. «Benissimo. Chiudete le tende e spiegatemi quello che è successo.»


Glielo spiegano al meglio delle loro possibilità: le due Ire di Ganon, l’arrivo di Teba e di Riju da un futuro in cui Revali e Urbosa sono morti all’avvento della Calamità; Kagan ascolta in silenzio senza interromperli neppure una volta.
«Come il piccolo guardiano della principessa Zelda» commenta Impa, perché evidentemente è giunta alle stesse conclusioni cui è giunto Link, e lui annuisce. «Quindi è lecito pensare che, forse, anche Daruk e Mipha…»
«Possiamo sperarlo» dice Link: è tutto ciò cui possono aggrapparsi in questo momento, sperare che anche gli altri Campioni siano stati salvati. Si guardano al di sopra del braciere che scalda la stanza: sono giunti insieme anche a un’altra conclusione condivisa, che devono andare anche da loro. Che non possono semplicemente abbandonarli perché sono troppo lontani.
«Ti bastano tre ore per riposare?» chiede Impa.
Link vorrebbe partire subito, perché il suo riposo è tempo sottratto alla vita di Mipha, alla vita di Daruk, ma Impa ha ragione: in queste condizioni non è in grado di andare da nessuna parte. Deve mangiare, riposare almeno un momento; poi tornerà alla guerra. Annuisce soltanto, e lei si alza, si scusa coi presenti e scivola via dall’infermeria per andare ad avvertire Zelda. Posa solo, per un momento, la mano sulla spalla di Revali, e lui tocca la sua mano per dar segno di averla sentita e per ringraziarla. Parleranno poi.
Kagan sta ancora cercando di assimilare tutte le nuove informazioni che ha ricevuto. Sta guardando Teba come se ancora non credesse alla sua presenza lì.
«Cento anni nel futuro, quindi?»
Teba annuisce seriamente. «Ve lo giuro, capo Kagan. Nel mio futuro, tutti i Campioni sono morti il giorno stesso dell’avvento della Calamità e la principessa Zelda si è sacrificata per tenere la Calamità vincolata al castello di Hyrule finché Link non fosse stato in grado di combatterla di nuovo.»
Kagan reclina il capo sul petto riflettendo ancora. «Ti crederei, ragazzo, davvero. È solo che mi sembra tutto così strano. Sei proprio sicuro che esista un futuro nel quale venerate la memoria di questo stronzo?»
Revali gli scaglia addosso un bicchiere col braccio non coinvolto dalla ferita. «Questo stronzo, per tua informazione, è qui, Kagan. Ed è grazie a lui che tu sei il capovillaggio.»
Teba si sta trattenendo dal sorridere. «Posso giurarvi anche questo. I nostri guerrieri venerano ancora la memoria di Revali e si allenano quotidianamente al suo Volodromo per cercare di superarlo, compreso mio figlio.»
Revali si mette a sedere sulla branda per alzarsi. «Benissimo. Ora che abbiamo parlato a sufficienza del futuro culto della mia memoria, mi pare di capire che ci siano ancora Daruk e Mipha da salvare. Direi che Medoh…»
Link si china istintivamente su di lui per impedirgli di alzarsi in piedi, ma Kagan è più veloce di lui.
«Oh, no, Revali» ribatte fermamente. «Non mi pare di averti dato il permesso di andare proprio da nessuna parte. Fino a prova contraria, sono ancora il capovillaggio, grazie a te, come dicevi prima, quindi mi devi obbedienza. Tu resterai qui finché il medico non dirà diversamente.»
Revali lo guarda quasi con ironia. «Certo, Kagan. Come vuoi. Da quand’è che mi dai ordini?»
«Da adesso» risponde Kagan con calma. «Sei in arresto. Derdran, procedi pure.»
Cala il silenzio per un momento.
«Prego?» esclama Revali mentre, più o meno contemporaneamente, Derdran risponde: «Mi pareva che tu avessi detto di fargli le mie scuse, Kagan. Non è proprio la stessa cosa.»
«Scusati mentre lo arresti» risponde flemmaticamente Kagan. «Non mi interessa. Se questo è l’unico modo per costringere questo dannato testardo a restare in infermeria, lo mettiamo agli arresti e il problema è risolto.»
«Non puoi farlo!» protesta Revali. «Con quale motivazione?»
Kagan scrolla le spalle col massimo disinteresse. «Quella che vuoi. Non sono tenuto a formulare nessuna accusa per i primi tre giorni dal tuo arresto, perciò il terzo giorno ti rimetterò in libertà con tante scuse. Anche prima, se il medico dovesse dare il suo consenso, cosa che non credo darà. Sono stato chiaro?»
Revali non si aspettava questa mossa. Cerca per un po’ qualcosa di valido da obiettare, ma non trova niente: quando torna ad appoggiarsi contro i cuscini con una smorfia di dolore, è quasi ammirato.
«Non pensavo che l’avrei mai detto, Kagan» commenta. «Per questa volta hai vinto tu. Ti basta la mia parola d’onore che non cercherò di scappare o vogliamo soddisfare qualche segreta fantasia di Derdran e ricorrere alle manette?»
Sorridendo forzatamente con l’aria di qualcuno che vorrebbe rispondere in ben altro modo e ben altri toni che quello, Derdran replica a bassa voce: «Posso garantirti, Revali, che tu e un paio di manette nello stesso contesto siete quanto di più lontano io possa concepire da ogni mia possibile fantasia. Se a Kagan va bene, direi che un paio di arcieri di guardia alla porta possono bastare.»
«Mi fido del tuo giudizio» conclude Kagan. «Non divulghiamo la cosa, comunque. Avvisali soltanto che non ha il permesso di uscire, ma che è per la sua stessa sicurezza. Solo coloro che erano presenti qui e la principessa Zelda hanno il permesso di entrare a visitarlo. Evita di menzionare l’arresto, o rischiamo una rivolta. Siamo d’accordo?»
«D’accordo, capo. Comunque farò io il primo turno di guardia. Voglio che i miei ragazzi riposino il più possibile.»
Revali sorride amabilmente nella sua direzione. A quanto pare, visto che gli viene impedito di combattere, intende comunque prendersi qualche soddisfazione. «Quindi passeremo qualche ora insieme, Derdran. Mi è parso di capire che mi dovessi delle scuse, sì?»


Link si ferma di nuovo in infermeria prima di partire. Non s’è veramente riposato: ha mangiato qualcosa, ha chiuso gli occhi qualche minuto, s’è cambiato d’abito, ha preso uno scudo ancora integro, e questo è quanto. Non si può più aspettare; ma vuole salutare Revali, prima di andarsene. Non ha precisamente paura, ma in fondo non è certo che lo rivedrà. I soldati di guardia lo fanno passare senza fare domande: a quanto pare, è agli arresti davvero. Link non può che sentirsi velatamente ammirato dalla risoluzione di Kagan nell’impedire a Revali di ammazzarsi a qualsiasi costo.
Revali sta riposando. Per evitare le oscillazioni delle tradizionali amache Rito, è stato sistemato su una branda rigida in legno ricoperta da un sottile materasso di paglia, che ha il vantaggio d’esser calda e isolante: Link si siede al suo fianco piano, delicatamente, sul bordo della branda, stando attento a non toccare i grandi bendaggi che gli ricoprono il petto, e lo guarda solamente.
Revali apre gli occhi nella penombra e mormora: «Ehi.»
È la prima volta che sono soli da quando è partito: quante ore sono trascorse? Link neppure lo sa più. «Ehi.»
«Tu e Impa state per partire?»
La sua voce è più bassa e più quieta ora che sono soli e che nessuno li ascolta. Link annuisce. «Volevo solo salutarti.»
Revali annuisce per dar segno d’aver capito. I suoi occhi guardano altrove.
«C’è qualcosa che potrei dire per convincerti a restare?»
«Vorresti che restassi?»
«Vorrei che non rischiassi la vita» risponde semplicemente. «Ma non saresti tu se non andassi, immagino. E poi, non possiamo soltanto lasciarli.» La sua voce ha come una vibrazione dolorosa a quelle parole: sta pensando all’emanazione della Calamità, Link lo sente come se gliene parlasse; ma non ne parla e Link non chiede, perché questo dannato Rito è troppo orgoglioso e testardo per abbassarsi a parlarne.
«Immagino di doverti ringraziare, comunque» dice ancora Revali, e Link si riscuote da quei pensieri e domanda: «Per che cosa?»
«Sei venuto a salvarmi, no? Siamo pari, adesso. Avevi tanta paura che non saresti mai stato in grado di ripagare quel fantomatico debito che dicevi di avere con me…»
«Non sarò mai in grado di ripagarlo comunque» lo interrompe Link. «E non l’ho fatto per quello.»
A questo punto, forse Revali dovrebbe chiedere: e allora perché l’hai fatto? Ma Revali non chiede perché è troppo orgoglioso e fiero, e Link potrebbe anche soltanto non dire altro e andarsene, lasciare l’infermeria in una selva di sottintesi e sentimenti impliciti; ma ha già perduto Revali una volta. Ricorda cos’ha provato quando ha visto Medoh in preda alla Calamità e al disastro, la sua disperazione nella neve, infinita, che non trovava fine come la notte, più vasta delle montagne; ha conosciuto il rimpianto, Link, e non ha più intenzione d’esser stupido e imprudente e di lasciare Revali col pensiero che tanto ci sarà tempo, che prima o poi, forse, troverà il coraggio; che prima farà chiarezza dentro di sé e poi glielo dirà. Quella miopia non gli appartiene più perché già una volta ha pensato che fosse stata uno sbaglio e che, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe voluto dir tutto prima; e ora appunto gli è stato dato il privilegio di tornare indietro e cambiare le cose. Se in quell’altro futuro c’è un Link che ha perduto Revali, per fortuna, non è lui.
«Sono venuto a salvarti per primo perché ti amo» dice. Gli occhi di Revali si fanno impercettibilmente più grandi nel chiarore del fuoco. «Non ti sto chiedendo di dirmi niente se non vuoi. Quello che dirai tu non cambia quello che provo io, perciò non devi sentirti obbligato a dire lo stesso; ma io so che avrei sacrificato gli altri per salvare te perché ho avuto paura di continuare a vivere ugualmente anche se tu non c’eri più. Vedi bene che le mie motivazioni sono state molto più egoistiche di quello che credevi tu…»
Revali non lo lascia finire perché lo attira a sé e lo bacia. Link sente il proprio cuore fermarsi per un istante.
«Torna da me» mormora Revali contro le sue labbra. «Promettimi di tornare.»
«Lo prometto.» È una bugia, Link non può promettere perché la sua vita, come la sua morte, non gli appartengono del tutto; sono soggette a forze più grandi di lui; ma farà di tutto per tornare, perché morire, dopo aver promesso, significherebbe tradire. «Lo prometto.»
«Link…» C'è un'urgenza nella voce di Revali che Link non ha sentito mai. «Non è detto che li ritroviate vivi, o che sopravvivano se anche farete in tempo ad arrivare. Può darsi che tu e Impa stiate andando soltanto a dir loro addio.»
Link avverte al petto una fitta di dolore che finora si era sforzato d’ignorare. «Lo so.»
«Allora andate prima da Mipha.»
Questo non se l’aspettava: Link lo guarda senza capire. Il piano che ha formulato con Impa prevede già di recarsi prima su Vah Ruta, ma ha la sensazione che Revali, per una volta, non stia parlando di strategia militare. «Perché?»
«Perché…» Revali posa la mano contro la sua guancia. «Non lo ripeterò mai ad altri che a te, ma per un momento, lassù, prima che arrivasse Teba, prima che arrivassi tu… persino io ho avuto paura.»
Link lo sapeva, questo: non risponde. Chiude gli occhi reclinando il capo contro il palmo della sua mano: pensa che sembra fatto apposta per contenere la sua guancia.
Revali parla ancora, dolcemente. «Andate prima da Mipha perché, se è ancora viva… in questo momento lei starà pensando che vorrebbe rivederti per l’ultima volta prima di morire.»
Link apre gli occhi senza scostare il volto dalla sua mano. Lo scruta nella penombra.
«Perché dici questo?»
Revali percorre con le dita un suo misterioso percorso lungo i suoi zigomi.
«Perché è quello che pensavo io.»


   
 
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