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Autore: Mixxo    26/04/2024    3 recensioni
Karin è in fase di riabilitazione dopo un'incidente sul lavoro. Per non rimanere con le mani in mano, si dedicherà alla lettura di un misterioso libro di recente successo a Yrff. Non tanto per la capacità dell'autore, quanto alle voci - per lei fondate - che sia stato scritto da un'emerso, una persona proveniente da un'altro mondo.
"Boral è un mondo abbandonato dalle divinità. Il sole si è spento da anni e gli ultimi barlumi di vita combattono per la sopravvivenza. In quel luogo ho incontrato un gruppo di caotici avventurieri che non meritano il titolo di eroi, ma che han fatto ciò che serviva per concedere loro di essere chiamati tali."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Note: Capitolo ripubblicato perché l’editor di EFP fa i capricci. Applicate solo modifiche minori)

[Kae]

Socchiudo la porta della cella alle mie spalle, appoggio la darkrariana seduta contro la parete. Fatica a mantenere gli occhi aperti, è fredda, muove appena il petto per respirare. Al ferale, devo trovare quella mistura il prima possibile. La lascio qui e mi muovo da sola: se ci sono così tanti evasi non si preoccuperanno di una detenuta traslocata.

Apro la cella, uno scoppio fa tremare le fondamenta dell’edificio, mi aggrappo alle sbarre per non cadere. Strale deve aver raggiunto il serraglio. Stacco la sferzatenebre dalla cintura e la lascio accanto alla ragazza. “Resisti, torno subito.”

Mi alzo ed entro nel salone di corsa. “È in corso un’evasione di massa!”

Ignoro le balestre che mi sono state puntate contro dai mercenari e corro verso l’altro lato della stanza, il vociare proveniente alle mie spalle annuncia l’arrivo dei detenuti liberati da Arial e Strale. A giudicare dal clangore, sono passati per l’armeria in qualche modo. Meglio, terranno occupati per più tempo gli scagnozzi di Fion.

Fortunatamente il maniero di Lastgard è rimasto invariato negli anni. Se hanno mantenuto anche i laboratori per i voltici delle misture nello stesso punto, li troverò a breve. Se non trovo nulla che possa aiutarmi lì, punterò direttamente al serraglio.

Non solo era il magazzino, ma è possibile che Fion sia in possesso di qualche creatura con capacità curative o una qualche sua parte sia ingrediente importante per una mistura di guarigione.

Spalanco la porta con la spalla. La luce della sferzatenebre appesa al soffitto sfarfalla. Scatole ribaltate, sostanze schiumose sparse sul pavimento. Mi addentro nella stanza prestando attenzione a non mettere i piedi sopra alle pozze sinistre, con un salto raggiungo l’unica scatola rimasta dritta.

Stringo la presa su una delle assi, i guanti scintillano, la lancio alle mie spalle con uno strappo secco, un odore pungente metallico mi pizzica le narici. Mi sposto dalla luce per vedere meglio l’interno: boccette da mezzo litro piene di liquido scarlatto, scartoffie, qualche amuleto sospetto. Nessuna mistura di guarigione.

Prendo un paio di quei fogli e uno degli amuleti, risolta questa storia li controllerò meglio; sembra qualcosa per cui potrebbero mettere dentro il nobilotto e gettare via la chiave.

Sposto la scatola e apro quella sotto, il contenuto è identico. Per quanto interessante ficcare il naso negli affari di Fion, non è la mia priorità al momento, mi serve quella mistura. Mi guardo intorno, mi abbasso sotto il tavolo nella speranza che qualche boccetta sia rotolata lì. Incrocio un paio di occhi rossi brillanti, una bambolina coperta da stracci e corda tiene tra le mani uno di quegli amuleti. Emette un verso raschiato e scatta verso la porta. Quello era un costrutto di fortuna, che ci sia un voltico tra i prigionieri?

Lascio la stanza di corsa. La prossima meta è il serraglio. Mentre corro tendo l’orecchio, gli scontri rimbombano per tutto l’edificio, spero che il mio diversivo non mi si ritorca contro.

 

[Strale Khanterz]

Apro le porte del serraglio. Davanti mi si presenta una stanza stravolta: diversi dei piedistalli ribaltati, corpi disseminati come in un campo di battaglia, scatole rovesciate a terra. Mi avvicino a una delle guardie e le metto una mano sotto le narici, l’aria mi passa tra le dita, respira. Buon per lui, ora dove si trova chi ha steso così tanta gente in una volta? Voglio affrontarlo.

Una brezza scende dal soffitto. Alzo la testa, cenere incandescente cade dolcemente dalla voragine che mostra il cielo buio. La darkrariana è diventata loksh. Ora si che si inizia a ragionare.

Senza perdere altro tempo mi dirigo verso l’entrata della stanza, le porte si spalancano prima che possa toccarle. Clark sbarra gli occhi e mi punta l’arma contro. Mi abbasso, lo scoppio mi fa fischiare le orecchie.

Clark alza il fucile. “Ma sei cretino!?”

Mi tiro su. “Dovrei dirlo io a te che entri in una stanza e non guardi a chi spari!” Lo sposto col braccio e lo oltrepasso. “Non posso fermarmi, ho una darkrariana da combattere io!” Riprendo la mia corsa, raggiungo le scale e salgo gli scalini due a due.

“Sai di non avere possibilità da solo vero?”

Ah, sì. Non crede che possa farcela, ora si che mi sento motivato. “Seguimi, così vedi quanto ti sbagli!”

Non parla finché non raggiungo la cima della scala. “Almeno usa un’arma vera.”

Mi volto, è ancora all’inizio della rampa. Agito il tubo di ferro con il chiavistello ancora attaccato. “Eh, mi sono affezionato. E poi fa più figo se vinci con un’arma non arma, inoltre ho la spada di Lewis, proprio qui.” Picchietto il dito contro l’arma.

“No, non è figo, è stupido! Prendi quella spada in mano. Già che l’hai rubata. Volevo dire, presa in prestito. Presa in prestito, sì…” Clark tossicchia, si sistema il cappello. “Dammi il tempo di accertarmi delle condizioni delle persone qui sotto e ti raggiungo.”

“Cosa ti dice che non avrò finito con lei mentre perdi tempo?”

“Più facile il contrario.” Clark si distacca dalla scalinata e torna verso il serraglio.

 

La sala principale è un campo di battaglia. Sono tentato di inserirmi tra la mischia, ma una rissa posso farla tutti i giorni, un combattimento con una rappresentante del terrore del passato è un’occasione più ghiotta. Raggiungo con uno scatto l’ingresso della prigione e spalanco le porte.

La brezza marina trasporta l’odore di salsedine, la scia di sferzatenebre che illumina l’unica strada conduce al porto, unica altra struttura dell’isola. Se non è già scappata, si sarà sicuramente fermata lì. Vorrei avere un modo per raggiungere la spiaggia più in fretta.

Nagh!”

Drizzo le orecchie. Quel verso stupido lo riconoscerei ovunque. Mi volto di lato. Il manto della creatura bipede è un insolito rosso. Batte la zampa contro il terreno e lo spazza con la coda folta. Mi avvicino. “Vuoi darmi un passaggio, bello?”

Il dodot mi lecca la faccia, la guancia mi si congela, ci sfrego la mano sopra, i cristallini di saliva rimasti attaccati alla pelle si staccano e cadono a terra. “Lo prendo come un sì.” Ci giro attorno e gli salto in groppa. “Andiamo!”

Stringo la pelliccia attorno al collo per tenermi. Non si muove. Mi sporgo. “Ehi.” Il dodot si volta con i suoi grandi occhi azzurri, caccia fuori la lingua dello stesso colore, una goccia di saliva gli cade e si congela a terra.

“Partiamo?”

Nagh.”

Non mi capisce. Proviamo a parlare la sua lingua. Inspiro a pieni polmoni. “NAGH!”

Naaagh!” L’animale si volta e si mette a correre. Le sferzatenebre nella strada schizzano veloci a lato.

 

Dopo aver lasciato libero il dodot estraggo la spada trafugata dall’armeria e spalanco la porta del magazzino portuale.

“So che sei qui, è l’unico posto in cui potevi nasconderti!” Ruoto il polso con la spada un paio di volte per saggiarne il peso. Non ci sono molte casse abbastanza grandi per nascondersi dietro o dentro. Non si sta muovendo, sento solo i miei passi nella stanza, è solo questione di tempo prima che la trovi.

Una mela rotola al centro di uno dei corridoi, deve trovarsi lì. Svolto l’angolo a spada tratta, è in ginocchio davanti ad una cassa di frutta con alcune assi divelte, non sembra essersi accorta di me.

Lo scrocchio della mela riempie il silenzio. “Ferale.”

La darkrariana si volta di scatto, braccio puntato verso di me, una fiammella sfarfalla sul suo palmo, l’altra mano tiene stretta il torsolo di una mela.

Appoggio la punta della spada a terra e piazzo le braccia sull’elsa. “Prego, non ti disturbo ancora.”

I suoi occhi spalancati sono rossi. E brillano. Come la loro pelle candida e luminosa. Questa gente è una tribù di sferzatenebre viventi. Non mi sorprende che l’abbiano trovata.

La darkrariana lascia cadere il torsolo e allunga la mano a tentoni sulla frutta, credo stia cercando di riconoscere un frutto specifico. Il tutto senza smettere di puntarmi o guardarmi.

“Se vuoi un’altra mela devi spostarti a destra. Non la tua, la mia.”

Lei si gira, mette la mano sul frutto e si volta immediatamente. “Grazie.”

Mi gratto la testa. Non sono sicuro che sia la stessa darkrariana che ho incontrato nei giorni precedenti. È quasi amichevole. A meno che non fosse la fame a renderla nervosa. “Da quanto non mangiavi?”

“Quasi due settimane.” Risponde per poi affondare i denti sul frutto.

Sapevo che dovevo arrivare prima con la carne, altro che frammentatori. Ora non avrebbe senso batterla perché sarebbe debilitata per la fame, non voglio vantaggi del genere. Un momento.

“…Ti abbiamo lasciato le nostre provviste quella volta.”

La darkrariana ruota la mela. Inspira. “Non le ho mangiate. Potevano essere avvelenate. Sono diventata paranoica, vi basta?”

Le danno la caccia da un po’ probabilmente. Vero. “Quindi… considerando che non sei l’unica darkrariana in giro, e probabilmente non ti piace essere chiamata così tutto il tempo… Hai un nome?”

Si strozza con il succo, tossisce un paio di volte, lascia il frutto e si batte il pugno sul petto. L’altra mano continua a puntarmi. “Non vedo l’utilità nel dirvelo.”

Voglio sapere il nome di chi sconfiggerò, in futuro. “Strale. Il mio nome è Strale.”

Lei sbatte le palpebre, scuote appena la testa. “Non vedo l’utilità nel dirmelo.”

Scrollo le spalle. “Potresti aver bisogno di aiuto in quanto fuggitiva, avrai dei contatti. Hai un nome almeno?”

Sbuffa. “Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Tantomeno di un ragazzetto infantile in cerca di una morte dolorosa.”

“Dici? Tutti hanno bisogno di qualcuno. Sono un’attaccabrighe ma senza armatura sarei morto da parecchio.” Tiro il colletto, il dito sfrega contro una delle mie cicatrici che metto in mostra. “Questa me la sono fatta a sedici anni, mi hanno aizzato contro un behar durante una serata di gala. Da quel giorno mi sono sempre assicurato di avere qualche placca addosso.”

“…Quindi puzzate anche in circostanze normali?”

Stavo per mostrarle il taglio sul braccio che mi sono procurato la settimana scorsa, ma ha preferito darmi una stilettata in pieno petto. Quasi quasi la affronto lo stesso. “Io non puzzo.”

“Emettete fragranze intossicanti.”

“Non vedo l’utilità nel dirmelo.”

La darkrariana ritrae la testa, piccata. “Non usate le mie parole contro-!” Scuote la testa. Afferra una manciata di bacche da una cassetta e se le caccia in bocca. Assottiglia gli occhi come se volesse fulminarmi. Chissà se può farlo. “Lasciatemi mangiare in pace.”

Sento artigli che grattano, il suono ci mette in allerta. Mi alzo e impugno la spada, i frammenti di cenere incandescente che girano attorno alla darkrariana vorticano rapidi.

Dalla cima della cassa si allunga una mano tozza di legno con le dita staccate dal dorso, poi un’altra, infine una testolina nera con due grandi occhi rosso brillante spunta in mezzo ad esse. Ci fissiamo qualche istante. Ma è la bambolina di pezza che avevo visto in cella!

La indico. “TU!”

La bambolina si tira su, ha un oggetto strano tra le mani. Lo punta in nostra direzione. La cenere smette di vorticare. La darkrariana si volta verso di me, lascia cadere il frutto che aveva in mano, crea una sfera infuocata su entrambe le mani.

Ehhh, darkrariana?”

La bambola si appoggia con il braccio all’aggeggio che ha in mano, la gemma rosa su di esso emana un’aura sinistra, incrocia le gambe e agita le dita come per salutarmi.

La ragazza mi placca, sbatto contro il muro ma lei continua a spingermi finché il legno non cede. Rotolo qualche metro, quando mi fermo ho una visuale perfetta del carcere. E della bambola a cavallo del dodot rosso che corre in quella direzione. Mi ha pure fregato il passaggio, bastardo. Ma da un lato dovrei ringraziarlo, ha convinto la darkrariana ad affrontarmi, la Guardiana solo sa come.

Mi rialzo in piedi, spada in pugno, guardo verso l’alto: la darkrariana ha un paio d’ali dietro la schiena e mi fissa vacua con i suoi occhi rosa. Gli sono cambiati?

Ruoto il braccio armato. “Era dalla prima volta che ci siamo visti che volevo farlo. Ti sei convinta?”

La darkrariana si volta verso la prigione, sbatte le ali e scatta in direzione della struttura.

“…Oh andiamo!” Rinfodero l’arma e mi metto a correre.

 

[Karin Alden]

Cosa dovrei capire da quello che ho letto? Cosa sto cercando esattamente? Mi mancano dei punti. O li ho dimenticati. Possibile? Non posso fare altro in questo posto e mi scordo l’unica cosa che sto facendo! Lamentarsi non serve a un cazzo. Sento una risatina al di fuori dalla porta.

È là dietro la bastarda. “MYRA!”

Una testa spunta dalla porta, una ragazzina con una coda laterale e un copricapo con una croce sopra. Avvicina il dito alle labbra. “C’è gente che cerca di riposare, abbassa la voce o usa il tasto apposito per chiamare qualcuno.”

Tossicchio appena, vero, siamo in un dannatissimo ospedale. Come l’ho scordato? Tutta questa lettura non mi fa ragionare come si deve. Faccio un cenno con il capo. L’infermiera esce dal mio campo visivo, poco dopo l’elfa stronza si affaccia.

“Ti mancavo così tanto?”

Sto per tirarle il libro in faccia. “Entra e no, non mi mancavi così tanto.”

L’elfa si avvicina con un sorrisetto. “Tsundere.”

“Porta quel culo su questa sedia. E dimmi cosa ancora devo cercare.”

Myra si siede poggiando le mani sul grembo. “A che capitolo sei?”

“…Ottavo?”

Ahhh ancora troppo presto allora. Devi comprendere prima l’ambientazione.”

Storco il naso, mi sta facendo perdere tempo di sicuro. “Stronzate.”

Gonfia una guancia scocciata. Qui quella che si è rotta di non sapere che devo fare sono io. “Ok, sì. Ma vogliamo evitare di influenzarti, e sono sicura che farti leggere di Strale ti farà capire cose di te stessa.”

“…Cosa dovrei capire di me stessa?” Non starà insinuando…

“Dimmi tu, Strale.” Dice alzandosi e correndo verso la porta.

Alzo il libro e glielo scaglio contro. Il tomo sbatte contro lo stipite. “NON PARAGONARMI A QUEL COGLIONE!”

  
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