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Autore: Glenda    26/04/2024    3 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lafargau era la città più grande che Yèlveran avesse mai visto, nella sua vita adulta. Ormai stavano attraversando le terre dell’est, con le loro ricche campagne, i fiumi placidi e navigabili, i boschi amichevoli, il clima dolce e centri abitati vivaci e popolosi collegati tra loro da una rete di strade sicure. Da quel punto in poi, il viaggio sarebbe stato semplice: in due giorni via carro sarebbero stati a Baozdega, il porto fluviale, e da lì avrebbero raggiunto Feuzte in battello.

Yèlveran era sorpreso della rapidità con cui il panorama era cambiato: oltrepassare i Monti di Vetro equivaleva davvero a varcare una porta tra due mondi diversi.

Le leggende narravano che le regioni del nord-ovest fossero avvolte da un’influenza nefasta, che le Maledizioni avessero rubato l’acqua e il nutrimento alla terra e che il vento soffiasse direttamente dal cuore oscuro della Frattura, ma Heze gli aveva detto che, per quanto la Frattura fosse un fenomeno geograficamente inspiegabile, la siccità dei Monti di Vetro si spiegava invece benissimo: la colpa era del mirdev, un materiale così poco permeabile che impediva alle acque sotterranee di risalire in superficie: per quello le sorgenti si aprivano tutte sul versante est, dove la sua presenza diminuiva. Quanto al vento, era dovuto alla conformazione delle montagne, e lui che ci era stato davvero poteva dichiarare che, vicino alla Frattura, di vento non ce n’era: al contrario, era la sua assenza a rendere quel luogo ancora più inquietante.

Heze sapeva un sacco di cose: nonostante Yèlveran avesse trascorso metà della propria vita a studiare, lui riusciva sempre a stupirlo con qualche storia mai sentita o con le descrizioni vivide ed entusiaste dei luoghi che aveva visitato. Più il loro viaggio si avvicinava alla fine, più pensava a quanto quel ragazzo onesto e solare gli sarebbe mancato.

Erano arrivati in città nel primo pomeriggio, ma concordarono di trascorrere la notte là, così avrebbero dormito comodi e Heze avrebbe avuto tutto il tempo per trovare un passaggio per il mattino successivo; del resto, era una pessima giornata per camminare: già dalla sera precedente aveva cominciato a piovere e i loro abiti erano completamente bagnati.

Si fermarono in una locanda affacciata sulla piazza principale, ben più grande di quelle incontrare nella valle del Lungo, ma più anonima, dove, per una volta, neppure Heze conosceva nessuno. Questo non gli impedì di socializzare rapidamente con diversi avventori, dato che quel posto era veramente affollato: la Celebrazione dell’Umanità aveva messo in cammino molte persone e persino per dormire dovettero accettare di dividere una stanza con altri viaggiatori.

Mentre Heze contrattava per un passaggio fino a Baozdega (cosa che, a quanto pareva, era meno scontata dello sperato), Yèlveran se ne stava seduto un po’ in disparte, godendosi gli abiti asciutti e una tisana calda che odorava di sottobosco, quando si accorse che un uomo lo stava osservando. Gli bastò incrociare i suoi occhi per rendersi conto di essere in pericolo: conosceva quel tipo di sguardo, poteva leggerci la stessa concentrazione che era stata insegnata a lui, le stesse barriere tenute alte per difendere la propria mente dagli altri.

Perché era lì? Perché lo fissava?

La risposta gli balenò in testa in un attimo e sentì il cuore accelerare i battiti.

Veniva certamente da Koudad: era uno dei due Persuasori inviati là (mantieni la calma, darai nell’occhio, respira), avevano trovato la bambina e suo padre (hanno rotto il confine. Possibile?), avevano letto i loro ricordi (conoscono il mio viso, sanno di Heze), li avevano ammazzati entrambi, non c’è pietà per chi si rende complice di una maledizione (mantieni il distacco, dividi i pesi, respira), erano lì per loro, li stavano cercando (Oddio!).

La tazza gli tremava tra le mani. La ripose con lentezza, si alzò con la cautela di chi cerca di non svegliare qualcuno che dorme, mosse il panchetto senza fare alcun rumore, ma in quello stesso istante sentì la voce alle proprie spalle.

“Non fiatare e vieni con me” la punta di un coltello premette sulla sua schiena “Fai quel che ti dico e nessuno si farà male.”

Come aveva fatto a non accorgersi di niente? L’uomo che aveva appena parlato gli si era avvicinato come un fantasma. O era stato lui a perdersi nei suoi pensieri e permetterglielo?

Vide il Persuasore alzarsi a sua volta e venirgli incontro.

Heze.

Doveva proteggere Heze.

Individuò la sua testa rossa tra la folla, incrociò il suo sguardo, le sue labbra si mossero senza emettere alcun suono.

Scappa.

Vide gli occhi dell’amico rimandargli un’espressione interrogativa, poi, in un attimo, lo vide curvarsi su se stesso e accasciarsi in ginocchio.

Yèlveran si immaginò gridare, ma la mano del suo aggressore gli aveva appena tappato la bocca.

Il Persuasore lo guardò in tralice.

“Non so ancora quale sia la tua arte, ragazzino, ma non ci provare: ho molta più esperienza di te.”

 

Heze non riusciva a capire cosa stesse accadendo: li avevano portati in un casolare disabitato, li avevano separati, lo avevano sbattuto in una stanzetta, gli avevano legato i polsi alla grata della finestra e quell’uomo misterioso con un occhio scuro e un occhio chiaro se ne stava in piedi sulla porta chiusa guardandolo con indifferenza. Da qualche parte tra il petto e l’addome sentiva ancora i residui del dolore atroce che lo aveva fatto piegare in due e reso incapace di reagire. Magia, avrebbe detto solo il mese prima: adesso, invece, cercava di comprendere che tipo di Persuasione fosse stata usata contro di lui.

“Passerà presto.” disse lo sconosciuto, senza partecipazione.

“Sei un Persuasore?”

“No.”

Come a doverlo dimostrare, mostrò entrambi i polsi scoperti.

“Ma il tuo compagno lo è.”

“Evidentemente. A meno che tu non creda di aver avuto un malore accidentale proprio nel momento in cui due persone stavano cercando di prendervi prigionieri.”

“Dov’è il mio amico?”

“Nella stanza accanto, a fare due chiacchiere tra Persuasori senza la presenza di profani.”

“Che volete da noi? Che vi abbiamo fatto?”

“Tu nulla, suppongo. Ma ho bisogno di scoprire quello che sai.”

Heze ebbe un brivido. Forse stava accadendo proprio ciò che aveva temuto Yèlveran: forse volevano capire quanto fosse coinvolto nella liberazione della Maledizione per decidere cosa fare di lui. Forse volevano guardare nella sua testa. Ma l’uomo che aveva di fronte non era un Persuasore. Allora forse il suo complice stava leggendo i ricordi di Yèlveran…

“Voglio farti un paio di domande. Come si chiama l’uomo che accompagni?”

“Perché non lo chiedi a lui?”

“Perché in qualsiasi interrogatorio le stesse domande si fanno a entrambi.”

Parlava con un distacco spiazzante: era come se stesse recitando un copione.

“Non mi ha voluto dire il suo nome. Pare che tra maghi si usi così…”

“Prima hai usato il termine corretto: non fingerti più ignorante di come sei, dammi retta. È molto importante che io abbia chiaro il tuo livello di coinvolgimento in questa storia. Per il tuo bene.”

“Suona molto minaccioso.”

“Lo è.”

Si avvicinò di qualche passo e i suoi lineamenti nella penombra si fecero più definiti. Giovane: doveva avere l’età di Yèlveran o poco più, viso allungato, pallidissimo, mani sottili e nervose, che tradivano la freddezza della voce.

“Senti.” si sedette in terra davanti a lui, incrociando le gambe “Sei finito in una storia più grossa di te, ma forse posso evitare di ucciderti, se mi permetti di capire.”

Evitare di ucciderti. Forse.

Heze aveva corso molti rischi e temuto spesso per la propria vita, ma quella era la prima volta che sentiva parlare così candidamente della propria morte. Eppure, il tempo di digerire quella frase e il suo pensiero era saltato altrove. Quei due non erano lì per i fatti di Koudad: cercavano Yèlveran. No, non lui. Il messaggio che portava alla capitale, quello per cui aveva tutta l’urgenza del mondo, ma di cui non conosceva il contenuto.

“Come si chiama l’uomo che ti ha ingaggiato a Villanuova?” Heze esitò e il tizio dagli occhi spaiati fece un gesto di noncuranza con la mano “Ma sì, non lo sai. Meglio così. Mi è sufficiente che tu me lo descriva e che mi dica esattamente cosa ti ha chiesto di fare.”

Descriverglielo.

Prima ancora di decidere se fosse opportuno assecondare quella richiesta o meno, Heze si rese conto di fare fatica a richiamare alla memoria quell’evento. Certo, qualcuno gli aveva affidato un incarico. Gli aveva anche offerto molto denaro. Lo aveva pagato un anticipo. Che faccia aveva? Quando si erano visti, e dove? La sua mente era come avvolta dalla nebbia. Ricordava solo il suo incontro con Yèlveran, il resto era buio.

Sgranò gli occhi, stordito, e si trovò di fronte quelli dell’altro, sul cui volto si era dipinto un piccolo sorriso vagamente sollevato.

“Meno male!” cantilenò “È stato corretto. Almeno in questo, è ancora la brava persona che ricordo.”

 

Yèlveran temeva quell’uomo.

Aveva occhi notturni e sadici.

Aveva usato la Persuasione dei Sensi su Heze.

Aveva il potere di fargli del male.

“Dunque sei un Persuasore di Confini.” constatò “Qual è il tuo nome?”

Silenzio.

“Ti ho chiesto qual è il tuo nome.”

Luxei glielo aveva ripetuto tante volte: non rivelare il tuo nome ad un altro Persuasore, non permettergli di leggere la tua mente, non far sapere da dove vieni, nascondi il passato, chiudi la serratura.

Sentì un dolore cupo crescere da qualche parte nel suo corpo.

Doveva innalzare tutte le barriere che aveva imparato a costruire, e lo doveva fare in fretta.

Luxei… secondo te si possono confinare le Persuasioni?”

Cosa intendi col confinare le Persuasioni?”

Intendo che… Beh, se le Persuasioni agiscono sulla mente, dovrebbe essere possibile installare un confine intorno alla propria mente. O a quella degli altri…”

Questo presuppone essere in grado di visualizzare la mente.”

O essere in grado di visualizzare cosa la mente fa.”

La trovo una teoria piuttosto ambiziosa, ma se diventi bravo abbastanza, non è escluso che tu possa provarci. Hai un potere molto forte, e noi Persuasori abbiamo un terribile difetto: ci affidiamo alle nostre teorie, e tendiamo a chiamare impossibile tutto il resto. Ma a volte non è impossibile, è solo difficile.”

Luxei… se un giorno qualcuno riuscisse a confinare le Persuasioni, non pensi che potrebbe farlo anche con le Maledizioni? Io, non credi che potrei…”

Yèlveran, per favore.” (la mano di Luxei sui suoi capelli, la calma di Luxei nella sua testa) “Chiudi la serratura. Non invitare i fantasmi. Tieni i pensieri qui.”

“Sei notevole. Chi ti ha insegnato a resistere alla Persuasione dei Sensi?”

Il dolore, appena iniziato, era svanito.

“È stato Luxei?”

Sulle labbra del Persuasore comparve un sorriso subdolo e Yèlveran si rese conto che la sua reazione a quel nome doveva averlo tradito. Era troppo concentrato sul proteggersi per tenere sotto controllo anche le espressioni del volto.

“Come se la passa il buon vecchio Luxei? Non lo vedo da quindici anni…”

Chi era quell’uomo? Se conosceva Luxei, era lì per il messaggio. Eppure era stato attento, aveva viaggiato nel modo più anonimo possibile, non si era mai esposto. A meno che i fatti di Koudad… o persino prima, a Marvino…?

Pensò ad Heze.

In cosa lo aveva trascinato.

E perché Luxei lo aveva ingaggiato esponendolo a quel rischio? Heze era solo un ragazzo che si era faticosamente riguadagnato il diritto ad avere una vita. Non era giusto…

“Qualcosa ti turba, mio caro… e non è ciò che può farti il mio potere. Domanda pure, ti risponderò.”

Yèlveran tacque.

“Puoi anche ostinarti a non parlare: mi dai comunque delle informazioni. Soprattutto perché, se ti concentri sul nascondermi le tue emozioni, non puoi proteggerti dal dolore. Non è forse così? Non puoi controllare tutto, né riuscirci per sempre. Ed io ho un sacco di tempo…”

Aveva ragione. Per quanto si fosse addestrato a chiudere la mente alla Persuasione dei Ricordi, per quanto a volte fosse riuscito persino a resistere alla Cesura di Garlan, il tempo era il peggiore dei nemici, e poi…

E poi c’era la paura.

Paura del desiderio che quell’uomo aveva di fare del male.

Conosceva quel tipo di manipolazione: infliggere dolore per ottenere sottomissione, intimidire per annullare la volontà altrui. La violenza come forma di potere. Le Famiglie. Suo padre.

“Ti dico un po’ di cose io, d’accordo? Sei un comperso di Luxei, un suo allievo, forse. Sì, probabilmente un allievo, sei così giovane… Per questo ti sei prestato al suo gioco: non si dice di no ad un addestratore, giusto? Ti ha chiesto di portare un messaggio per lui, ma tu non ne conosci il contenuto. Ha usato la tecnica del Ricordo Sepolto e tu hai collaborato. Deve essere molto difficile rifiutare le richieste di un uomo carismatico come Luxei. Magari fai tutto questo per guadagnarti la sua approvazione, mentre lui ti sta solo strumentalizzando. Credimi, sapeva benissimo a quale pericolo saresti andato incontro e non se ne è curato.”

Si chinò alla sua altezza e lo fissò dritto negli occhi: Yèlveran avvertì di nuovo quel dolore crescere, si sentiva già al limite delle sue forze.

“Ora, come vedi ho il quadro molto chiaro, dunque so di non poter pretendere da te informazioni che non hai. Ti sto chiedendo solo cose semplici: il tuo nome, dove Luxei ti ha chiesto di andare, e soprattutto, da chi. Tutto qua. È facile, no?”

L’intenzione.

Visualizzare e confinare la sua intenzione.

Era un’intenzione molto chiara: non voleva davvero le informazioni, non erano la sua priorità. Voleva apertamente fare del male.

Che colore ha il desiderio di far male? Come si muove? Che consistenza ha? Che odore?

Visualizzare. Visualizzare.

“Cosa stai facendo?”

Gli occhi del Persuasore si erano accesi di collera e di interesse insieme.

“Tu… Che razza di tecnica è…?”

Yèlveran non udì la domanda.

Vedeva solo quel desiderio crudele e distorto che doveva tenere distante da sé.

Confinare la ferocia del mondo.

 

Xau si era affacciato in tempo per sentire le ultime battute di quel dialogo a senso unico.

Non gli piaceva per niente come stavano andando le cose, non voleva essere in quella situazione e soprattutto non voleva vedere come sarebbe finita.

Il ragazzo eshkarti non sapeva un accidente, di Luxei non ricordava neppure il viso, ma era evidentemente legato al giovane Persuasore: non sarebbe scappato da solo. Quindi il piano di permettergli di fuggire con la sua beata inconsapevolezza era già fallito prima di iniziare.

E Yurlan che diavolo stava facendo?

Avrebbe dovuto solo confermare che il messaggero agiva per conto di Luxei, e poi ucciderlo. Invece si stava divertendo ad allestire uno dei suoi perversi interrogatori, lo stava manipolando, minacciando e torturando, pur sapendo che alla fine lo avrebbe ammazzato lo stesso.

Il prigioniero non aveva detto una parola: aveva due grandi occhi trasparenti, spaventati e al tempo stesso distanti, come concentrati a guadare qualcosa che non era là. Teneva i pugni stretti e tremava: legato a quella sedia, di fronte all’incombenza di Yurlan, sembrava minuscolo. Non doveva avere nemmeno la sua età e non somigliava affatto a tutti i Persuasori che gli era capitato di incontrare nella vita.

L’idea di uccidere un uomo così indifeso gli dava il voltastomaco.

E di cosa lo stava accusando, Yurlan? Di cercare di resistere alla Persuasione dei Sensi? Ma che altro doveva fare?

“Mi hai proprio stufato, piccolo testardo!”

Il Persuasore si avvicinò alla sua vittima, gli afferrò una mano e gli torse un dito fino a spezzargli l’osso. Lui gridò e strinse le palpebre trattenendo le lacrime.

“Vedi? Non ho bisogno di usare la mia arte per farti soffrire. Esistono sistemi molto meno eleganti per sciogliere la lingua di quelli come te! Hai altre nove dita: vediamo quante ne devo rompere prima di sapere chi sei e da chi vai!”

L’uomo biondo sussurrò qualcosa, ma le sue labbra tremavano così tanto che la voce era impercettibile.

“Non ti ho sentito bene.” sibilò il suo carnefice.

Lui prese un paio di corti respiri, in un faticoso tentativo di calmarsi.

“Non posso…” mormorò.

Yurlan afferrò di nuovo la sua mano.

“Basta, finiscila!” sbottò Xau “Non è questo che dovevamo fare, e il ragazzo di là non sa un cazzo!”

Era pronto a affrontare le conseguenze del proprio intervento, ma Yurlan non gli prestò quasi attenzione: i suoi occhi si piantarono invece in quelli del prigioniero, nei quali doveva aver letto qualcosa che gli era piaciuto. Era dannatamente bravo a leggere anche le più piccole espressioni del volto, lo aveva sempre fatto anche con lui e suo fratello: non aveva mai avuto bisogno di apprendere la Persuasione dei Ricordi per impedire agli altri di mentirgli…

“Ma bene! Abbiamo un sentimentale qua!” disse sinistramente.

Poi si rivolse a Xau.

“Vai a prendere quell’altro e portalo qui!”

“Ti ho appena detto che…”

Ma aveva capito benissimo e nessuna argomentazione lo avrebbe convinto.

Perché Iruvàn lo aveva mandato lì, accidenti? E perché lui non si era opposto, perché non aveva seguito il consiglio di Meirem? La risposta era semplice e frustrante: perché era un codardo. Era stato un codardo fin da ragazzo, quando si era messo sotto la protezione di persone di cui aveva il terrore sperando di tenere al sicuro la propria vita, ed era codardo adesso, mentre apriva quella porta, scioglieva la corda che teneva il giovane legato alla grata e lo trascinava alla presenza di Yurlan, condannandolo a morte.

Perché? Per politica? Per rendere giustizia a tutte le Maledizioni che erano stata ammazzate nei secoli? Per vendetta verso Luxei? Per l’orgoglio di tre Persuasori fanatici?

Lui non era Leu: lui non aveva mai desiderato far parte di quel complotto, non gli importava nulla dei giochi di potere, lui avrebbe solo voluto vivere la vita più normale che gli fosse stata possibile nella sua situazione. E non aveva mai ucciso nessuno.

Come aveva potuto Iruvàn aspettarsi che lo facesse? Era stato perverso, cinico, insensibile, aveva preteso una prova di lealtà che non avrebbe mai dovuto chiedergli. Eppure, anche in quel momento, non riusciva ad odiarlo: la sua mente subiva l’influenza della Persuasione del Cuore, ed era stato lui ad accettare che fosse così.

Lo aveva fatto per sostenere suo fratello, per non desiderare di andarsene, per non sottrarsi a quella follia.

Codardo.

Stupido codardo.

Non appena il ragazzo eshkarti si trovò di fronte alla scena e si rese conto dell’espressione di sofferenza sul volto dell’amico, scattò verso Yurlan e Xau lo afferrò trattenendolo a malapena.

“Che gli hai fatto, stronzo! Lascialo andare!”

Lui fece un sorriso sarcastico.

“Il tuo compagno, qui…” disse “non risponde alle mie domande neppure sotto tortura. Piuttosto eroico, vero? Ma sono convinto che mi basterà fare lo stesso a te per fargli subito cambiare idea…”

Il poveretto non fece in tempo a reagire che rotolò a terra urlando.

Xau incrociò lo sguardo del giovane Persuasore: i suoi occhi erano due specchi di terrore assoluto.

“Ti prego…” sussurrò.

Lo stava dicendo a lui. Gli stava chiedendo aiuto.

“Il tuo nome, dove vai e da chi.” ripeté metodicamente Yurlan, senza voltarsi, mentre il ragazzo ai suoi piedi si contorceva nel dolore.

“Ti prego… ”

A Xau sembrò come se, per un momento, quell’uomo si stesse disperatamente sforzando di riprendersi un controllo che non poteva più mantenere.

“A quanto pare non sono stato ancora abbastanza cattivo…”

Il ragazzo coi capelli rossi ansimò come se gli stesse mancando il respiro.

Xau vide gli occhi dell’altro cambiare espressione e ci lesse dentro una specie di rassegnazione arresa: di accettata fatalità.

“Smettila.” disse, e non era più una preghiera.

Era un ordine.

“Il tuo nome, dove vai e…”

La voce di Yurlan gli si inceppò nella gola.

Rimase bloccato, le labbra aperte in una smorfia distorta, con un grido muto intrappolato in bocca.

Dai suoi occhi scesero lunghe lacrime di sangue: poi il sangue schizzò copiosamente fuori dal naso e dalle orecchie, mentre il suo corpo si contraeva e si irrigidiva e infine cadeva a terra tutto d’un pezzo, come una bambola rotta.

Xau sentì una fitta acuta trapassargli la testa: la vista gli si annebbiò, l’udito scomparve, intorno a sé e dentro di sé sentiva solo dolore, un dolore totalizzante e letale.

Non voglio morire, pensò. Non voglio morire qui. Leu. Meirem.

Con la poca forza che sentiva ancora nelle gambe, si mise a correre nel buio assoluto, spinto solo dal desiderio viscerale di rimanere vivo.

  
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