Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: solandia    01/05/2024    0 recensioni
Un diavolo malriuscito. Due zingare di periferia. E un Angelo bruno sullo sfondo del cielo lontano.
Un'inestinguibile brama di libertà. Una routine incoercibile. Una Gerarchia da sfidare.
Una fiaba dark sulla scoperta di se stessi, degli altri e dell'amore
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Paradiso, Cielo I

Cosa accidenti era quella Luce?!

Era passato un mese da allora e per tutto quel tempo Korim non aveva fatto che domandarselo invano, senza trovare una risposta.

Era quanto di più avulso da una presenza diabolica si potesse immaginare, ma aveva ben poco a che fare anche con lo stucchevole perbenismo degli Angeli.

Era vigorosa.

Era viva.

Era sconcertante.

Altro non aveva capito e la cosa lo stava tormentando.

Durante l'Addestramento non gli avevano parlato di una cosa del genere e voci di corridoio in merito non ne aveva mai sentite.

Forse perché era troppo potente? Troppo destabilizzante?

Doveva capire cos'era. O meglio chi era.

Doveva capire che ruolo avesse nella lotta di potere fra Angeli e Demoni, fra il Bene e il Male.

Doveva capirlo, perché avrebbe potuto essere la chiave della sua salvezza.

Per questo, alla fine, era rimasto appiccicato alle due zingare, senza però cavarci un ragno dal buco.

Quella famosa mattina, dopo un attimo di indecisione, le aveva seguite.

Le due ragazze si erano piazzate a mendicare accanto a una buca della metropolitana e lui, invisibile ai comuni occhi Mortali, si era appollaiato sopra un lampione e le aveva osservate tendere la mano, cantilenando ad ogni passante la stessa lagna supplichevole nel loro italiano stentato. Ancora e ancora, fino alla nausea.

Amina lo aveva scoperto in capo a pochissimo tempo e gli aveva rivolto un sorriso enorme, ma lui le aveva fatto cenno di tacere, per non rivelare la sua presenza.

Tanto poi si era smascherato da solo.

Aveva visto Drande impallidire e barcollare incerta, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte.

E l'aveva vista sorridere alla sorellina e far finta di nulla, finché la piccola non si era allontanata per fare pipì. Al che la ragazza si era accasciata, premendo forte con le mani sul basso ventre.

Lui poteva sentire un vago odore di strie di sangue, dall'alto della sua postazione.

I passanti emergevano dalle scale, la scansavano e proseguivano silenziosi, senza lasciar indugiare lo sguardo sulla sua figuretta rannicchiata.

'Fanculo a quel porco di energumeno che l'aveva sfondata. E 'fanculo anche a tutti quei bastardi dai colletti inamidati, troppo impegnati a farsi i cazzi propri per preoccuparsi di lei.

Guarda un po' se doveva toccare a un Diavolo, un simile incomodo!

Era saltato giù dal lampione e le si era avvicinato, assumendo l'aspetto di ventenne con cui lei lo conosceva, poi si era appoggiato alla balaustra, con le mani sprofondate nelle tasche.

«Dovresti farti visitare da un dottore, zingara» aveva detto, calcando volutamente quello zingara. In realtà avrebbe voluto accostarsi a lei, sfiorarle il ventre e sprigionare il suo potere curativo, ma quella posa strafottente fu tutto quello che gli riuscì.

Lei aveva sollevato il capo, stupefatta; Korim aveva abbozzato una smorfia che voleva imitare un sorriso e da quel momento non l'aveva più lasciata sola.

Oh, beh. Questo era un tantino esagerato: la notte spariva comunque, perché il Lavoro chiamava, ma il giorno lo passava tutto con lei, a costo di non dormire mai.

Aveva sorpreso molte volte Drande a fissarlo interrogativa e, sebbene non potesse leggerle direttamente nel cuore, non gli era difficile indovinare le domande inespresse che le frullavano per la testa: perché cavolo lui fosse lì, chi glielo facesse fare, cosa diavolo avrebbe voluto in cambio...

D'altro canto, lui non aveva proprio intenzione di fornire spiegazioni e, nel loro reciproco silenzio, Korim e la ragazza erano perfettamente in armonia.

Intanto, giorno dopo giorno, la ferita sul suo braccio sinistro si allargava sempre più: ormai lo corrodeva fino alla spalla.

Quando il fastidio si faceva insistente, era solito ricorrere alla piccola Amina: bastava che lei lo prendesse per mano o gli carezzasse il braccio, perché il dolore si stemperasse per qualche tempo.

La pulce aveva dei poteri straordinari.

Anche Drande si prendeva spesso cura della sua piaga: gliela lavava, medicava e fasciava quasi ogni giorno, senza accorgersi che non era il disinfettante a farlo star meglio, ma il contatto purificatore con la sua aura.

O, forse, semplicemente la sua tacita presenza.

«Ma tu guarda se ci si può ridurre così per uno stupido tatuaggio!» erano le uniche parole che la ragazza gli rivolgeva spontaneamente ogni volta che gli medicava il braccio: «Dovresti andare da un medico, o ti andrà in cancrena».

«Dovresti andarci prima tu, zingara» ribatteva lui. E la conversazione finiva lì.

Ma quello zingara non suonava più velenoso, e la ragazza se ne era accorta ormai da un bel pezzo.

Così come si era accorta che Korim sapeva.

Di lei. Di Ian.

Tuttavia si guardava bene dallo sfogarsi con lui o dal chiedergli aiuto.

Il Diavolo si era sorpreso a sorridere, una volta, pensando a quante parole al millisecondo sarebbe riuscita a sparargli nei timpani Phael, il suo Angelo, se si fosse trovata nella stessa situazione. E a quanto gliel'avrebbe menata per il fatto che lui non stesse muovendo un dito.

Era stato allora che gli era venuta l'idea.

«Fai già abbastanza per noi, non disturbarti ancora» gli aveva risposto Drande, ed era tornata a dedicarsi al bucato.

Era proprio la risposta che Korim si aspettava, ma sapeva essere ostinato, quando voleva.

«Faccio cosa? Io ti pago la colazione e tu mi medichi il braccio. Non ci vedo nessuno sbattimento».

Drande non gli aveva risposto. Non era il caffè che il ragazzo le offriva ad essere un grande tesoro, per lei, ma a che serviva spiegarlo ad uno che lo sapeva benissimo e fingeva di non rendersene conto?

«Senti, zingara, ti servono soldi, non è vero?»

Nessuna risposta.

«E non hai le palle di rubarli, vero?»

Nessuna risposta. Ma l'occhiata di lei era stata sufficientemente eloquente.

«Va bene, donna rom, io sono stufo di guardarti mendicare. E sono sicuro che fare l'accattona non sia il tuo sogno nel cassetto».

«Da queste parti è meglio non sognare affatto» aveva risposto lei, asciutta, mentre dedicava tutta la sua attenzione a una macchia particolarmente ostinata su di un vecchio calzino.

Lui aveva fatto spallucce: «I sogni possono anche finire sul fondo di una bottiglia di whisky o nella fogna insieme all'acqua lurida del tuo bucato, ma bisogna averli, perché senza non ti allontanerai mai da questo fottuto letamaio».

Drande aveva sospirato, sconfitta: «Sogno una casa, va bene? E una bella borsa della spesa. E il panettiere che mi saluta cordialmente. Ma sto cercando di essere felice nella baracca che ho, con una sorellina da tirar grande e un moscone impertinente come unico amico».

«E ci stai riuscendo, a ritagliarti questa felicità?» aveva insinuato lui, glissando su quell'"amico" che gli aveva fatto arrotolare le budella dall'emozione.

Drande era tornata a concentrarsi sul famoso calzino.

Se non fosse stato per Ian...

Se non fosse stato per Ian, forse un barlume di felicità lo avrebbe avuto anche lei, ora che gli implausibili occhi verdi di quel ragazzo le riempivano le giornate.

Ma di Ian non voleva parlare.

«Senti, zingara» era tornato alla carica Korim, «discendi da una generazione di chiromanti, no? Tua madre ti avrà pur insegnato i trucchi del mestiere!»

«Non voglio fare la chiromante» aveva sentenziato lei, torcendo il calzino senza pietà.

«C'è altro che sai fare, accattona?»

Drande lo aveva trapassato da parte a parte con lo sguardo: «No».

«Bene. Allora verrai con me alla fiera di San Gottardo, su in collina, e farai la chiromante, che ti piaccia o no. E ti assicuro che porterai a casa più soldi di quanti tu ne abbia mendicati in una vita intera».

«Non ci penso nemmeno!» aveva protestato la ragazza, ma quando lui l'aveva afferrata per un polso, trascinandola via dal catino del bucato, le sue resistenze erano crollate in un attimo.

«Tu hai paura, zingara, ma non puoi sfuggire in eterno al tuo destino. E comunque ci sarò io a darti manforte».

«Capirai che garanzia!» lo canzonò Amina, che si era gustata la scena da lontano.

«Ehi, pulce, non ritenerti fuori dai giochi: avremo bisogno anche di te. Per prima cosa fa vestire tua sorella da mille e una notte, deve essere bellissima!»

Ebbene, era stata una sua proposta, ma quando l'aveva vista uscire dalla roulotte vestita con gli abiti della sua madre, a Korim si era mozzato il fiato.

Una lunga e vaporosa gonna verde cangiante, un grembiule celeste, un'ampia camicia bianca che le lasciava scoperte le spalle e uno scialle rosso drappeggiato sul capo e il décolleté. I capelli pettinati all'indietro e lasciati ricadere selvaggi sulla schiena, due orecchini enormi ad anello e il viso pulito.

Era bellissima.

«Sembri una zingara» era stato l'unico pseudo-complimento che gli era riuscito di proferire.

«È esattamente quel che sono!» aveva osato controbattere la ragazza, abbozzando un sorriso.

«Non eri una donna rom?» l'aveva canzonata il Diavolo, sperando che un battibecco aiutasse il suo cuore a calare di pulsazioni. Ma Drande non aveva raccolto la provocazione.

«Tieni questo» le aveva detto allora, piantandole in mano il suo giaccone. «Mettilo addosso, o in moto congelerai».

«Andiamo in moto? UAO!» si era entusiasmata Amina.

«E con cosa pretendevi che ci andassimo? In volo, forse?!»

«Magari!» aveva riso la piccola, sorridendogli complice.

Le aveva caricate in moto (moto di Batch, che si era fatto prestare per l'occasione, promettendogli che in capo a tre giorni avrebbe scovato una nuova voce per rimpiazzare Fix e salvare così la band) ed era scivolato ruggendo lungo le strade dei quartieri bassi e la tangenziale, su, su fino alla piccola frazione di Castelcolle, dove si svolgeva la rinomata fiera di San Gottardo.

Parola sua, si era sempre guardato bene dal mettere piede alle sagre di paese dedicate ai santi patroni, ma quel giorno era entusiasta di essere là, alla faccia del suo braccio che martellava infuocato.

Era stato un pomeriggio indimenticabile.

Korim aveva fatto sedere Drande su un basso muretto, proprio in mezzo alle bancarelle della fiera.

«Tu stai qui buona, che io e Amina ti facciamo un po' di pubblicità, ok? Quando ti spediamo un cliente, tu leggigli nel cuore. Avrai successo, vedrai!»

«Ma io... Cosa vuol dire che devo leggergli nel cuore?» esitava la ragazza.

«Non preoccuparti: ti suggerirò io!» le aveva strizzato l'occhio.

Poi era sparito (letteralmente!), non senza il disappunto di Drande, che continuava a chiedersi dove fosse andato a imboscarsi quel traditore che le aveva promesso una mano e poi si era volatilizzato in mezzo alla folla della fiera.

Invisibile, Korim si affiancava ad ogni persona nel cui animo poteva leggere anche solo un minimo barlume di interesse verso la chiromanzia e sussurrava alla sua mente, spingendola ad ascoltare gli inviti di Amina e a seguirla.

La piccola guidava il cliente verso Drande ed ella iniziava a leggergli la mano e fargli le carte, seguendo quanto le aveva insegnato sua madre. Nel frattempo il Diavolo, mantenendosi invisibile, frugava nell'animo del malcapitato e, servendosi dell'Antica Lingua, riferiva ogni cosa alla ragazza, facendo attenzione a che la sua voce sovrumana non sembrasse, alle orecchie inesperte dell'emozionatissima Drande, altro che il chiacchiericcio della sua stessa coscienza.

Tradimenti, amori spezzati, nostalgie per amici perduti, sogni e rimpianti, frustrazioni e sensi di colpa pesanti come macigni, dolci fantasticherie e ideali calpestati... Drande ripeteva a ogni suo interlocutore tutti i dettagli che Korim le suggeriva, ed era difficile dire se risultassero più stupiti i clienti nel sentirsi messi a nudo nel profondo, oppure la zingara nel constatare come ogni sua intuizione corrispondesse al vero.

Ma il più entusiasta in tutta la faccenda era stato Korim stesso, quando, dopo neppure un'ora di questo lavoro di squadra, si era accorto che non c'era più alcun bisogno del suo intervento: a parte la coda di gente in attesa che si era formata davanti alla ragazza, ciò che più lo riempiva di soddisfazione era il fatto che Drande se la stesse cavando egregiamente da sola. Il suo terzo occhio si era spalancato in maniera abnorme, i suoi vortici energetici roteavano in modo ordinato e armonioso, come se scandissero un'antica danza rituale, ed ella Vedeva.

Vedeva con naturalezza oltre le cose terrene, anche se non se ne rendeva conto.

Era stupita, felice, orgogliosa di sé. Korim glielo poteva leggere in faccia, anche se non poteva Leggerglielo nel cuore.

Drande aveva guadagnato un mucchio di soldi ed era raggiante, e lui sapeva di avere una parte del merito in questa sua gioia e ne gongolava.

Oh, se ne aveva gongolato, in quel momento!

C'era riuscito: aveva fatto qualcosa di positivo per la ragazza e la soddisfazione che ne stava ricavando era così nuova per lui da inebriarlo. Voleva aiutarla ancora e ancora, per sentire la gloria del merito riverberagli nell'animo altre mille volte.

Nonostante il dolore lancinante al braccio, si sentiva libero e onnipotente.

La sua strategia, per una volta, sembrava quella giusta: Amina, con le sue facoltà innate, tagliava fuori il suo Mondo e la sua maledetta Gerarchia e lui, senza il loro fiato sul collo, finalmente poteva fare fino in fondo quel che voleva, anche se era una cosa che un Diavolo non avrebbe dovuto fare.

Se i poteri di Drande si fossero svegliati del tutto, forse davvero la Gerarchia non avrebbe più potuto raggiungerlo, neppure tramite il Marchio!

Era deciso: avrebbe proseguito su quella strada.

A costo di autodistruggersi.

L'importante era non distruggere lei.

Aveva rafforzato al massimo la propria Schermatura, per evitare che la ragazza la penetrasse spontaneamente: sapeva che, se solo Drande avesse voluto Guardarlo, ora che per la prima volta stava dominando le proprie facoltà extrasensoriali, lo avrebbe Visto nel suo reale aspetto senza fatica, ma, finché la giovane aveva altro per la testa, la sua identità era relativamente al sicuro.

L'aveva portata a cena in una pizzeria del paese, poi a mangiare un gelatone in un grazioso caffè del centro.

Il sorriso di Drande era stato meraviglioso e lui se n'era ubriacato per tutto il tempo.

Avevano parlato pochissimo ma, in fondo, non ne avevano alcun bisogno.

«E per il cantante come farai?» aveva osato domandare lei, smontando dalla moto, una volta giunti al campo.

«Cantante?...» si era stupito Korim, i cui pensieri erano del tutto persi fra gli occhi della ragazza e il suo décolleté, maliziosamente sottolineato dalla camicia vaporosa e lassa.

«Il tuo amico ti ha prestato la moto perché tu reclutassi un nuovo cantante» gli aveva ricordato Amina, che non si perdeva mai una virgola dei discorsi dei grandi.

«Ah già. Beh, ho mentito» sorrise candidamente il Diavolo.

«Ma il tuo amico si arrabbierà» si preoccupò la sorella maggiore.

«Sai quanto me ne frega! Ciò che conta è che ci sei riuscita, Drande, a me interessa solo quello».

La giovane era arrossita e aveva abbassato gli occhi: «Però non voglio che litighi con qualcuno per colpa mia».

«E allora perché non ci vai tu, a cantare nella band?»

I due giovani si erano voltati all'unisono verso la bimba, che aveva proferito queste parole come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.

«Non dire stupidaggini, Amina» aveva cercato di rimproverarla Drande, ma Korim si era illuminato.

«Ma certo, come ho fatto a non arrivarci da solo?! Amina ha ragione, tu hai una voce stupenda. Ti farò cantare con noi!»

«Ma no! Ma io... Che ne so io, di rock?!» protestava Drande, ma lui non aveva sentito ragioni e il giorno dopo l'aveva presentata a Molotov e agli altri.

Questi, ovviamente, si erano lamentati in tutti i modi, primo perché era una femmina e secondo perché era pure rom, ma dopo averla sentita cantare nessuno aveva più avuto da ridire.

A parte Bizarq, ovviamente, che era letteralmente terrorizzato da lei. Korim aveva così da insistere, nel dirgli che era tutto sotto controllo, ma il suo Compare non faceva che accusarlo di essere impazzito, e da quel momento aveva finito per guardarlo con una certa diffidenza.

Certo, a Korim un po' mancavano gli sguardi adoranti di Bizarq, ma la speranza in un futuro migliore che ora vedeva dipinta nelle iridi di Drande lo ripagava ampiamente della perdita.

Erano seguiti quindici giorni di prove intensive, durante i quali la band aveva fatto di tutto per armonizzarsi alla sua nuova voce.

L'impresa fu persino meno ardua del previsto: Drande non sapeva leggere la musica, ma aveva un ottimo orecchio ed era passata dalle ninna nanne popolari alla Heavy Metal senza battere ciglio. L'unica vera difficoltà per lei era stata prendere confidenza con il microfono.

Il gruppo aveva rivisto pesantemente il repertorio per adattarlo alla sua estensione vocale e il risultato era stato decisamente brillante, nonché parecchio originale.

Avevano passato pomeriggi e pomeriggi nella loro sala prove (lo scantinato del condominio dove abitava Batch, dalle pareti tappezzate di materassi e contenitori vuoti delle uova che fingevano senza successo di insonorizzare qualcosa), avevano rischiato di essere cacciati a pedate dagli inquilini del piano di sopra, avevano saltato almeno sei volte la cena pur di sfruttare ogni minuto e infine avevano debuttato al Secret Blues con la loro nuova voce.

Era stato un successo clamoroso, tanto che il direttore del locale aveva chiesto loro di tornare qualche settimana dopo. E suonare lì non era roba per pivelli.

L'unico rammarico del gruppo era stata l'assenza di Fix: la sua voce e quella di Drande avevano performances diverse, e proprio per questo insieme avrebbero fatto faville. Ma il ragazzino s'era fatto due giorni d'ospedale e ora veniva marcato stretto dal padre, che non lo mollava un attimo. L'aveva pure cambiato di scuola, trasferendolo dall'istituto statale che frequentava prima a un liceo privato per fighetti, chissà poi con l'intenzione di ottenere cosa.

In ogni caso Drande, con la sua figuretta aggraziata e la sua voce portentosa, aveva fatto colpo sul pubblico, che l'aveva letteralmente osannata, ma anche su Molotov, che da quando l'aveva conosciuta sembrava essersi scordato della cubista del Number X, dietro le cui curve aveva sbavato con religiosa dedizione per almeno sei mesi.

E pensare che nessuno era riuscito a convincerla a mettersi almeno un paio di jeans, o una minigonna: in quanto a vestiario, la ragazza si era dimostrata più testarda di Fix, e se ne era venuta al concerto con il suo sottanone. Quello buono, quantomeno. Ma Molotov doveva avere la capacità di radiografare le donne con gli occhi, a giudicare da come si attardava a soppesare i fianchi della gitana.

Introversa, timida e di poche parole, Drande non aveva però dato corda a nessuno in particolare nel gruppo (con grande dispiacere dell'umano e grande sollievo del Diavolo), eppure sembravano trovarsi tutti a proprio agio con lei. Tranne Bizarq, ovviamente.

Oh, a proposito, Korim aveva fatto schifo, quella sera. Il suo braccio si era corroso per tutta la lunghezza e le dita non riuscivano a ballare correttamente sulle corde del basso. Nonostante le doti taumaturgiche di Amina, che annullavano il dolore e fugavano la febbre, il suo senso del tatto era andato e neppure i suoi poteri riuscivano ormai camuffare gli errori.

«Dovresti andare da un dottore» lo esortava Drande ogni sera, quando, una volta rientrati dalle prove, si dedicava per mezz'ora buona a pulirgli la piaga e a disinfettarla.

«Sta' zitta e fasciala, donna!» glissava lui, poi lasciava le due ragazze per dedicarsi al suo Lavoro.

Oh, dedicarsi era una parola grossa: diciamo che faceva presenza, senza combinare assolutamente nulla, tanto che persino Bizarq era impensierito.

«Ohé, Korim, ma cos'è che c'hai? È da quando hai portato la zingara a cantare con noi che non ci stai più di testa. Non ti sarai di nuovo fatto friggere il cuore da una donna, eh?»

«Fatti i cazzi tuoi, Bizarq».

«Oooh, ma allora c'ho visto giusto: ti sei innamorato!»

Eh già, Bizarq non riusciva a spiegarselo, ma il suo Compare aveva questa strana capacità di cadere preda delle femmine. E di femmine che non avevano nulla di diabolico, per giunta. Che faticaccia, dover far coppia con uno così svalvolato!

«Guarda che rischiamo di finire un'altra volta nei guai...»

«Leva quel plurale: al massimo nei guai ci finirei da solo, Bizarq. Il tuo culo è ben protetto, mi pare».

«Sì, ma senza di te io che faccio? Ehi, mi stai ascoltando?! Dove diavolo vai, Korim? Ehi!»

«Fottiti. E prova a farti un po' di ossa da solo, che potresti averne bisogno» aveva grugnito Korim, piantando in asso il Compare e abbandonando il rave party a cui stavano prendendo parte.

Poi aveva vagato per la città per ore, con l'aspetto che si ritrovava e il cervello in fibrillazione.

Si era davvero innamorato di Drande?

Merda, forse sì.

Bizarq c'aveva preso, anche se gli seccava ammetterlo.

Perché sì, Drande era bella.

Perché sì, Drande, nella sua riservatezza, aveva un fascino che lo stregava.

Ma non era questo che la rendeva speciale. E non era neppure il suo potere taumaturgico, né la forza travolgente della sua aura.

Se pensava a Drande (e ci pensava tutto il giorno, accidentaccio!), stava male da morire.

Quando non era con lei, stava male da morire.

Quando finalmente le era accanto, era anche peggio.

Merda.

La desiderava e non poteva nemmeno accarezzarla. Ma per quello aveva il callo.

Il dramma era che a lei aveva mostrato tratti di quel lato di sé che aveva coltivato per tanti anni ma che non aveva mai potuto svelare a nessuno, nemmeno a quella gatta di Valeel. Glielo aveva mostrato senza parole e senza smancerie e adesso voleva, bramava con tutto se stesso che Drande continuasse a guardarlo.

Perché, se non avesse avuto più nessuno con cui essere se stesso, sarebbe impazzito.

Ma quel «se stesso» era comunque un Diavolo.

Malriuscito, ok.

Passibile di licenziamento, ok.

Ma Diavolo era e Diavolo rimaneva, senza scampo.

E questo non voleva che lei lo vedesse.

Non aveva più le palle di correre questo rischio, come aveva fatto il primo giorno, perché sapeva che lei non lo avrebbe mai accettato.

Drande temeva quelli come lui, e aveva ragione.

Se ciò che lo legava alla ragazza fosse stato solo il desiderio, se la sarebbe cavata egregiamente. Il problema era proprio che sotto quest'aspetto dirompente ce n'era un altro: c'era qualcosa “di molle”.

“Di molle”, già.

Non avrebbe saputo definire altrimenti ciò che provava, sapeva solo che sentiva sciogliersi lo stomaco e i reni e le giunture delle gambe ogni volta che la guardava.

E sapeva solo che tutta questa squaglievolezza gli faceva male, perché lo faceva sentire incompleto e insoddisfatto, non nel corpo, ma nell'anima.

Il giorno prima era stato quasi sul punto di dirglielo, mente la guardava preparare la cena.

«Drande...»

L'aveva richiamata in un soffio. Lei s'era voltata, pacata.

«Sì?»

«I-io...»

La ragazza aveva inclinato dolcemente il capo da un lato, esortandolo a continuare.

«Ecco, io...»

Si era incantato a guardarla, poi di colpo si era ricordato della sua natura, aveva distolto lo sguardo e aveva bluffato ignobilmente.

«Niente. Volevo solo dirti che non vedo l'ora che sia pronto: ho fame».

«Non avevo mai visto il tuo lato timido» aveva azzardato lei con un lieve sorriso, mente le sue guance prendevano colore.

Korim era tornato a fissarla: che avesse capito?

Lei si era voltata di schiena, tornano ai fornelli.

«Anch'io» aveva proferito in un soffio, e Korim non era riuscito a capire se stesse parlando dei propri sentimenti o della cena. Ma non aveva avuto le palle di chiedere ulteriori spiegazioni.

«Credo di amarti», voleva dirle questo.

Ma era vero?

Quando aveva amato Phael, l'aveva amata più di se stesso, l'aveva messa al primo posto, fino a sacrificare sogni e speranze per il bene di lei.

Valeva lo stesso anche nei confronti di questa zingarella? In fondo, la stava semplicemente usando.

Era lei il centro, o era lui stesso?

L'amava o aveva soltanto bisogno di lei?

Ma, soprattutto, c'era davvero distinzione fra le due cose?

Non lo sapeva.

Si ritrovò nei pressi del proprio condominio ancora attanagliato da questi pensieri.

La notte era inoltrata, ma l'alba ancora lontana. Al levarsi del sole sarebbe tornato alla roulotte delle due zingare, ma avrebbe potuto approfittare delle ore di buio che rimanevano per concedersi qualche ora di sonno.

Non dormiva da quattro giorni, dopotutto, ed era stanco morto.

Entrò dunque nel palazzo utilizzando le chiavi del portone e si lanciò su per le scale, pregustando una bella doccia calda, quando sul pianerottolo fra il secondo e il terzo piano si ritrovò davanti una figura di donna.

Camicia scozzese, salopette sportiva e una nuvola di bei ricci castani che ricadevano sciolti su una giacca a vento scura.

Ci mise qualche secondo a riconoscerla:

«Rita?!»

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: solandia