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Autore: Jamie_Sand    02/05/2024    1 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 21

 

Penelope Light era sempre stata una persona paziente. Lo era stata fin da bambina, quando era considerata un po’ strana dai figli degli amici dei suoi genitori e sopportava in silenzio le loro angherie, quando a scuola cercava di non sentire la noia nello studiare cose che sapeva già o che semplicemente non le interessavano. 

Era stata paziente a Hogwarts, quando aveva scoperto che nemmeno lì sarebbe stata davvero una delle tante, in quanto nata babbana. 

E poi era stata paziente con Percy, che ci aveva messo mesi a rivolgerle la parola e altrettanto tempo a dichiararsi a lei. 

Era sempre stata paziente, accondiscendente, una brava bambina che non dava problemi, una figlia modello, un’ottima studentessa. Era convinta che se fosse stata abbastanza buona, se avesse modificato la sua personalità a immagine e somiglianza di chiunque le stesse vicino, allora nessuno l’avrebbe mai lasciata da sola, nessuno l’avrebbe mai tradita o criticata.

Eppure non era abbastanza, perché tanto lei non era mai abbastanza

Non era stata abbastanza per i suoi genitori nemmeno con i voti altissimi che aveva avuto a scuola, perché lei era una strega e nessuno in famiglia capiva i suoi successi, nessuno li capiva nemmeno ora che, giovanissima, era tra i migliori curatori del San Mungo. 

E, a quanto pareva, non era stata abbastanza nemmeno per Percy, visto che l’aveva lasciata sola per rincorrere una sconosciuta, sparendo per tutto il giorno e mettendola in una posizione molto difficile con la famiglia Weasley. Il pranzo alla Tana era stato un incubo, una tempesta di domande su dove fosse finito Percy, domande a cui nemmeno lei sapeva dare una risposta. 

Seduta su una delle sedie della cucina di casa sua, Penny stava quindi immaginando ogni scenario possibile. 

Magari, mentre lei era lì a struggersi, lui stava scopando con quella troietta. 

Magari era caduto in un fosso ed era morto. 

Magari l’aveva semplicemente lasciata e non l’avrebbe più rivisto. 

Gliene aveva perdonate così tante, era passata sopra a così tante cose che si sentiva stupida a sorprendersi così di ciò che era successo poche ore prima. Dopotutto di segnali ce n’erano stati, anche se lei si era rifiutata categoricamente di vederli: Penelope non ricordava l’ultima volta in cui Percy avesse sprecato un gesto di tenerezza nei suoi confronti. Raramente facevano l’amore ma, quando capitava, consisteva tutto in un gelido e fugace rapporto fisico, alla fine del quale Percy si voltava dall’altra parte, mentre Penny rimaneva a fissare il soffitto con aria ferita dalla totale indifferenza di lui. 

Non c’era una cosa nella loro relazione che andasse bene, ma l’amore rende ciechi, e Penny, anche in quel momento, non voleva vederci niente.

Quando sentì la porta d’ingresso della casa aprirsi, la giovane diede un’occhiata all’orologio appeso a una delle pareti. Erano quasi le cinque del pomeriggio e lui era appena tornato a casa. 

Lei non parlò, non disse una parola nemmeno quando Percy apparve sulla soglia della cucina, mortificato. 

– Ciao, Penny. – Le disse, cauto. 

Penny attese un attimo prima di parlare, poi prese un respiro profondo e si alzò in piedi. – Cosa vuoi per cena? – Domandò candidamente, facendogli un sorriso. 

Percy strinse gli occhi dietro alle lenti degli occhiali, fissandola come se lei avesse appena parlato in un'antica lingua sconosciuta. – Cosa voglio per cena? – Ripeté perplesso. 

– Sì, tra poco è ora di cena. – Rispose tranquillamente lei. – Io ho mangiato molto a pranzo alla Tana, quindi non ho fame… ah, a proposito: ho detto alla tua famiglia che non sei venuto oggi per impegni di lavoro assolutamente impossibili da rimandare. – 

Percy, sempre più sorpreso, la guardò in silenzio per un attimo, senza parlare. Penelope aveva gli occhi arrossati e le labbra turgide. Aveva pianto, questo era certo. 

– Penny, dobbiamo parlare. – Iniziò. 

– No. – Lo interruppe la strega, assumendo all’improvviso un tono raggelante. – Non voglio sapere niente, Percy. Qualsiasi cosa sia successa, io non la voglio sapere. – 

– Penelope, per favore… – 

– No! – Urlò lei, stringendo i pugni. Era tremante e rigida, i suoi occhi chiari e arrossati avevano appena ripreso a inumidirsi. – Non farmi questo, Perce… non raccontarmi niente, ti prego… ti prego, facciamo finta di niente e andiamo avanti. –

Percy, incredulo, scosse la testa. Tornando a casa si sarebbe aspettato una lunga e violenta discussione, si sarebbe aspettato pianti e urla, ma Penny, lì ferma davanti a lui, sembrava non avere nessuna intenzione di lasciarlo andare. 

Si sentì soffocare, immobilizzato da una forza invisibile intenzionata a fargli a vivere quella vita per sempre, in quella casa, insieme a Penelope.

– Non possiamo andare avanti. – Disse, nervoso. – Non possiamo fare finta di niente, Penny. Non ce la faccio più… – 

Penny sospirò e tirò su con il naso, poi si mosse, fece il giro del tavolo, ritrovandosi in un attimo davanti a lui. – Qualsiasi cosa sia successa oggi… io ti perdono. – Disse. 

– Ma io non voglio che mi perdoni! – Sbottò Percy, facendo un passo indietro. C’era qualcosa di così inquietante in lei, nel suo tono, nella sua accondiscendenza. – Non voglio che mi perdoni, Penny. Io me ne voglio andare. È finita, lo capisci? Basta. – 

Le labbra di lei tremarono, poi il suo viso fu scosso da un fremito. – Ti prego, Perce… no. – Mormorò, mentre una lacrima le rigava il viso. – Io ho fatto di tutto per te… ho amato per entrambi, ho sopportato di tutto… ho pensato che forse ti fosse successo qualcosa di orribile durante la guerra, sono stata paziente… e ora tu… tu mi vuoi lasciare per quella ragazza? Ma dov’era lei mentre stavi male? Dov’era durante il funerale di Fred? Io c’ero, Percy. Nessuno ti amerà mai come ti amo io, nessuno. – 

– Ma io non voglio essere amato così. – Asserì Percy. 

Lo sguardo di lei si fece più duro. – Non sai quello che dici. – Ribatté stizzita. –  È quella puttana che ti ha confuso le idee. – 

Percy trasalì. – Non chiamarla così. – Le intimò. – Lascia fuori Audrey da tutto questo, sono io qui quello in torto, solo io. – 

Penelope fece una risata vuota di allegria, si asciugò gli occhi con il dorso della mano e tirò su con il naso. – Oh, Percy… che ti ha fatto quella lì per ridurti in questo stato? Hai rubato gli ultimi tre anni della mia vita e tutto quello che riesci a fare è difenderla! – 

– Lei non c’entra niente. – Rimarcò fortemente Percy. 

– Hai ragione, è con te che me la devo prendere. – Annuì Penny. – Sei tu il traditore bastardo qui. – 

– Io non ti ho mai tradita, Penny, mai. – Giurò il giovane. – Ti rispetto troppo per farti una cosa del genere, rispetto troppo il sentimento che ho provato per te negli anni. – 

– Tu non hai idea di cosa sia il rispetto, ma dovevo capirlo… visto come ti sei comportato con la tua stessa famiglia anni fa! – 

Percy sussultò appena a quelle parole. Eccolo, il suo punto debole. 

– Non sei una persona fedele, non sei leale. – Proseguì Penelope, scuotendo la testa, lo sguardo truce. – Ma io ti amo… ti amo, e sono stata così stupida da non vedere chi sei davvero dietro questa tua aria da uomo d’onore… e quella ragazzina con cui te la spassi… sei caduto davvero in basso. – 

– Ti ho detto di lasciala fuori! – Esclamò Percy. – Sei arrabbiata con me, Audrey non c’entra niente, lo vuoi capire o no? E te lo ripeto: non ti ho tradita. C’è stato un bacio, una volta sola, prima della battaglia, perché ero certo che sarei morto quella notte. Nulla più di questo. Ho sbagliato tutto negli ultimi tre anni, ho sbagliato a tornare con te, ho sbagliato a far finta che lei non fosse mai esistita, e spero davvero che un giorno tu possa perdonarmi, ma non ti ho tradita; non con il mio corpo, almeno. – 

– Non mi importa niente di tutto questo. – Disse Penny, dopo aver preso un respiro profondo. – Possiamo risolvere tutto. – 

– Forse non hai capito. – Fece lui, coriaceo. – Tra noi due è finita, io me ne vado. – 

– Tu non puoi andare via! Non puoi lasciarmi! – Esclamò la ragazza, prendendolo per le spalle. – Capisci cosa stai facendo? Cosa dirò ai miei genitori? Hanno comprato questa casa per noi! – 

Percy la spinse via. – Non me ne importa niente di cosa diranno i tuoi genitori! Sono stanco di questa tua mania per le apparenze, sono stufo! Non dovevo tornare con te, ma sai perché l’ho fatto? Perché non riuscivo a dirti di no. Non sono tornato con te perché ti amavo, Penny… io amavo un’altra donna! Ma tu eri sempre lì… non mi hai lasciato il tempo né lo spazio per soffrire. Eri sempre lì… e io pensavo a lei. – 

– E adesso la ami? – Singhiozzò Penelope. – L’hai amata per tutto questo tempo? –

Percy annuì e espirò di botto come uno che si era appena tolto un peso dal petto. 

Penelope invece pianse, si portò le mani al viso e tremante domandò: – Che cos’ha di così speciale? – 

Lui alzò i lati delle labbra e scosse la testa. – Tutto. – Sussurrò, semplicemente. – Lei non è perfetta, anzi è quanto di più lontano avessi mai immaginato per me stesso. Lei è una di quelle che odia i bambini, non sa cucinare, non è per niente convenzionale. Ma c’è qualcosa in lei… come se la sua presenza nella mia vita fosse scritta nel mio destino. Per questo la amo. La amo e basta, senza ragioni. – 

Penelope si lamentò come un animale ferito. – Non te ne andare… – Mormorò, con la voce soffocata dal pianto, avvicinandosi a lui. – Ti prego, Perce… risolviamo tutto insieme… non mi lasciare. –

Lui scosse la testa e indietreggiò. – Io me ne vado. – Disse. 

Si voltò, percorse il tratto di corridoio che divideva la cucina dalla porta d’uscita, Penny, disperata, subito dietro di lui.

– Non troverai nessun’altra come me! – Esclamò lei mentre lui lasciava quella casa. 

Quando Percy si ritrovò in strada, sotto la luce fioca così tipica dell’imbrunire, senza più un posto in cui stare e con nessuna delle sue cose a seguito, si sentì improvvisamente libero. Da quel momento in poi poteva essere ciò che voleva, aveva davanti un milione di scelte diverse e poco importava cosa avrebbe detto la gente, cosa avrebbero pensato i suoi genitori e quelli di Penelope. 

Camminò lungo il marciapiede senza guardarsi indietro, senza un piano, finché non calò la sera. Non aveva soldi babbani con sé, dunque l’unico posto che potesse dargli del cibo e un degno riparo per la notte era il Paiolo Magico. 

Quando si ritrovò lì, seduto su uno degli alti sgabelli messi in fila davanti al bancone, a guardarsi attorno, Percy percepì per la prima volta una spiacevole sensazione di vuoto. 

Alcune vecchie erano sedute in un angolo e sorseggiavano un bicchierino di sherry, una di loro fumava una lunga pipa. Un omino col cappello a cilindro stava parlando al vecchio barman. Una mago e una strega sui trent’anni faticavano a tenere sotto controllo i loro cinque figli. Sembravano tutti parte di qualcosa, tutti tranne lui. 

Forse aveva fatto un errore, forse era stato precipitoso. Guardò i numeri scritti sul suo palmo e decise in quel momento che sì, avrebbe chiamato Audrey, ma prima si sarebbe preso il tempo per respirare, per capire chi diamine era quando era solo, quando non aveva un ruolo da recitare. 

Il sordo brusio delle conversazioni attorno a lui fecero da colonna sonora ai suoi pensieri tristi finché Percy non si alzò dal bancone lasciando qualche galeone sopra di esso e uscì. Forse no, quella notte non doveva rimanere da solo. Ma dove poteva andare? Non poteva di certo tornare a casa e spiegare a sua madre che aveva lasciato Penelope… tutti in famiglia la adoravano e nessuno l’avrebbe capito. Non poteva nemmeno andare da Audrey, che viveva con il padre e lo zio e che aveva ritrovato solo da poche ore. 

Alla fine la sua scelta ricadde sui suoi unici veri amici: Oliver e Katie, che vivevano nella fattoria della famiglia di lei in Galles, quella in cui Audrey era rimasta nascosta durante la guerra. 

Percy si smaterializzò lì, ritrovandosi avvolto nell’oscurità della collinetta su cui l’abitazione sorgeva. Attraversò il prato umido e, quando si ritrovò davanti alla porta d’ingresso, bussò. 

Attese poco e poi la soglia si aprì con un cigolio. Katie, in pigiama e sorpresa dalla presenza dell’amico, lo fissò senza dire niente per una manciata di secondi, dopo gli sorrise e lo invitò a entrare.

– Tu e Penelope vi siete lasciati? – Domandò. 

– Sì. – Rispose tranquillamente lui. 

Katie annuì. – Be’, finalmente direi. Facevate proprio schifo insieme. –

Percy mugugnò una risposta che poteva voler dire qualsiasi cosa, poi chiese: – Posso restare a dormire qui stanotte? – 

– Puoi restare quanto ti pare. – Lo tranquillizzò Katie. – Andiamo di là, Oliver vorrà sapere tutto. Lo sai quanto ama spettegolare. – 


-ˋˏ ༻❁༺ ˎˊ-

 

I due mesi successivi furono per Percy l’occasione perfetta per prendersi del tempo per autocommiserarsi e per pensare a tutto quello che nella sua vita non era andato come aveva previsto. Aveva venticinque anni e la vita  adulta non gli aveva regalato nessuna delle cose che aveva sognato da ragazzino: faceva un lavoro che non lo soddisfava, viveva nella casa di campagna della famiglia di una delle sue pochissime amicizie, aveva lasciato la sua storica fidanzata ma nessuno nella sua famiglia ne era a conoscenza. 

Katie diceva che fosse tutto normale, che dopo una lunga relazione malsana era normale sentirsi un po’ persi e rimuginarci su. Tuttavia Percy aveva fatto del rimuginare la sua specialità, passando gran parte del suo tempo a porsi una vasta gamma di domande: come era arrivato a quel punto? Quale era stato l’esatto momento della sua vita in cui le cose avevano iniziato ad andare male, ma male sul serio? Forse quando aveva lasciato la sua famiglia? Quando aveva conosciuto Audrey? Quando Fred era morto? Oppure quando aveva scelto di tornare con Penelope nonostante la mancanza di sentimenti nei confronti della giovane? Ma soprattutto, perché si sentiva così triste?

Aveva la sensazione di aver rotto una diga: il fiume di sentimenti negativi che aveva incanalato e celato con successo in quei tre anni sembrava aver rotto gli argini, invadendo ogni parte del suo corpo e della sua mente. Si sentiva in balia di qualcosa di oscuro e pensante che tramava per portarlo sempre più a fondo. 

Non era solo tristezza, era qualcosa in più, qualcosa che, in quel momento, nella mente di Percy, non aveva ancora un nome. 

Nei giorni successivi all’incontro con Audrey, i numeri che lei aveva scritto sul suo palmo iniziarono a farsi man mano meno marcati, fino a sparire del tutto. All’inizio aveva deciso di aspettare qualche giorno prima di chiamarla, finché non passarono settimane e poi mesi. Un giorno, forse avrebbe trovato la forza di presentarsi davanti a casa sua, ma sentiva che non era quello il momento. Non aveva niente da offrirle se non tristezza e angoscia, ogni tanto faticava persino ad alzarsi dal letto per andare a lavoro: che senso aveva pensare di poter costruire un rapporto sano in quel momento?

Alla fine di giugno, Percy sembrava condurre la sua vita di sempre, senza però più una casa sua in cui stare e declinando con maestria ogni invito a pranzo che sua madre gli faceva. 

A luglio, infine, il mago lasciò la fattoria dei Bell, sebbene Katie fosse molto preoccupata per lui, e si trasferì in un piccolo appartamento non troppo lontano dal Paiolo Magico, di proprietà di una vecchia babbana che gli aveva proposto un affitto abbordabile. Fu in quel periodo in cui riuscì a confessare ai suoi genitori che tra lui e Penelope era finita, e mentre suo padre aveva liquidato la questione dandogli una pacca sulla spalla, la signora Weasley aveva vissuto la cosa come un piccolo lutto:

– Una ragazza così bella, così educata! – Aveva esclamato, contrita. – Vi dovevate sposare, e tu te la sei fatta scappare! – 

Molto più spesso di quanto avrebbe avuto il coraggio di ammettere, Percy pensava a Audrey, chiedendosi per quanto tempo ancora quella tristezza lo avrebbe tenuto bloccato, lontano da lei. 

Katie e Oliver erano convinti che si stesse autosabotando, che l’odio che sentiva nei confronti di sé stesso fosse più forte dell’amore che provava per lei, che fosse depresso. Forse avevano ragione, o forse Percy aveva solo paura di avvicinarsi a chi l’aveva già ferito una volta, nemmeno lui riusciva a capirlo. Restava il fatto che non se la sentiva di vederla in quel momento; anzi non se la sentiva di vedere nessuno. 

Ma mentre lui tentava di raccogliere i cocci della sua vita con scarso successo, Audrey si era rassegnata all’idea che fosse finita lì, che non l’avrebbe mai più rivisto. 

L’idea di aver chiuso con lui, stavolta in modo pacifico, da buoni amici, la faceva sentire un po’ più in pace rispetto alla volta precedente, tre anni prima. Iniziò a pensare a lui un po’ più raramente, e quando capitava non sentiva più quel vuoto nel petto, così tipico di una perdita. 

All’inizio di giugno le capitò di sedersi al pianoforte di suo padre, scoprendo di essere ancora capace, di avere ancora quel dono, cosa che la portò a recuperare pian piano un rapporto con la musica. Era un po’ come tornare in bicicletta dopo parecchi anni dell’ultima volta: la sua voce aveva perso agilità, ma era ancora la sua voce, era ancora capace di usarla.

Aveva così trovato un piccolo locale in cui esibirsi ogni giovedì, dove veniva pagata in birra e “visibilità”. La birra non era poi così male, ma per quanto riguarda la visibilità… be’, lasciava un po’ a desiderare dato che la clientela del locale era costituita principalmente da persone che il più delle volte non la ascoltano nemmeno. 

Jude, che non approvava molto la scelta di sua figlia, non faceva altro che ripeterle di rimettersi a studiare, che in futuro avrebbe potuto insegnare canto, cosa che però non sembrava entusiasmare molto Audrey. 

A luglio Jude partì per esibirsi in alcuni concerti in giro per gli Stati Uniti, lasciando Audrey ed Elijah a Londra, sperando di non ritrovarli in qualche guaio al suo ritorno. 

In uno di quei lenti e afosi pomeriggi estivi, Audrey si ritrovò sul divano insieme a suo zio, con indosso una canottiera leggera e un paio di pantaloncini di un vecchio pigiama di tessuto rosa che avevano visto decisamente giorni migliori, una scatola di cereali in grembo e l’aspetto di una che non si guardava allo specchio da un po’. Elijah, al suo fianco, se ne stava a petto nudo, con lo sguardo perso nel vuoto dietro le lenti degli occhiali, e una lunga pipa tra le labbra da cui veniva fuori un denso fumo bianco. 

Faceva caldo, troppo caldo per essere produttivi.

– Adoro le vostre droghe. – Dichiarò Audrey, masticando a bocca aperta i cereali che stava mangiando. – Voi maghi siete fortissimi quando si tratta di irretire i sensi. – 

– Irretire i sensi? Ma come parli? – Rise Elijah, passandole la lunga pipa. 

– Parlo come parlerebbe Percy. – Rispose Audrey, con nonchalance, dopo aver aspirato una lunga boccata di fumo. 

– Ah, Percy. Percy Weasley. – Annuì il ragazzo, con aria assente. – Non ti ha mai richiamato. – Constatò.

– Sì, grazie per avermelo ricordato. – Disse lei, soffocando una piccola risatina. – Sai, meglio così però. – 

– E perché mai? – 

Audrey scrollò le spalle, passò nuovamente la pipa allo zio e con la mano di nuovo libera prese un’altra manciata di cereali e se la portò alla bocca. – Perché poi magari ci saremmo messi insieme e avrei dovuto farci sesso. – 

Elijah la guardò perplesso. – E quindi? – Chiese ridacchiando.

– E quindi non voglio farlo. – Spiegò Audrey, come se fosse ovvio. 

Il mago si mise a sedere rivolto nella direzione di lei, visibilmente interessato. – Vuoi dirmi che non l’hai mai fatto prima d’ora? – 

Audrey sbuffò e alzò gli occhi al cielo. – Certo che l’ho fatto. – Chiarì, con voce strascicata. – Negli ultimi tre anni anche fin troppo, ora che ci penso… ma un conto è il sesso fatto tanto per fare, un altro è l’intimità. Con Percy sarebbe stato così, capisci? Intimità. Non mi piace l’intimità. – 

Elijah la osservò con curiosità. – Wow… sei proprio incasinata. – Disse, con aria assorta. 

– Già… lo so. Questo perché mio padre è stato assente, mentre mia madre preferiva scopare con ogni sconosciuto che le rivolgesse la parola invece che darmi affetto. – Spiegò Audrey. — Anche Percy è incasinato. – Continuò. – Non verrebbe fuori nulla di buono. La nostra relazione sarebbe incasinata, il sesso incasinato, i nostri bambini incasinati… – 

– Però sarebbero bambini bellissimi. – Disse Elijah con leggerezza. – Dimmi, secondo te sarebbero neri? – 

– E chi lo sa… chi lo sa. – 

– Secondo me no. – Sentenziò Elijah, mettendosi la pipa tra le labbra. 

– Spero che abbiano i capelli rossi come i suoi. – Audrey sorrise sognante.  

– Magari succederà, perché tu sei anche irlandese. – 

– Oooh… è vero! – Esclamò Audrey. – Sono irlandese, è vero… ma basta parlare di me, che non sono abbastanza fatta per non deprimermi. – Continuò sogghignando. – Come va con quel ragazzo che ti piace? – 

Elijah prese una profonda boccata di fumo e poi passò la pipa alla ragazza. – Intendi dire Charlie? – Domandò rilassato. 

– Che ne so come si chiama? –  

– Sì, Charlie. Il fratello di Percy. – 

Audrey tossì come se il fumo le fosse andato di traverso, battendosi una mano sul petto. Quando si voltò verso lo zio aveva gli occhi lucidi e sgranati e la bocca aperta dalla sorpresa. – Charlie quello dei draghi? – Si accertò. – Charlie quello dei draghi, il fratello di Percy… è gay? – 

– Sì, be’, non dichiaratamente gay. – Spiegò Elijah. – Lui è gay quando nessuno lo guarda. A Hogwarts ha avuto persino una fidanzata. –  

Audrey scosse la testa con disapprovazione. – Male, molto male. – Sentenziò, aggrottando le sopracciglia, prima di affondare la mano nella scatola di cereali. – Non ti merita. – 

– Nemmeno Percy ti merita. – 

– Ben detto! Anzi sai cosa ti dico? Credo sia giunto il tempo di… –

Il campanello suonò e Audrey lasciò quella frase a metà. Abbandonò la pipa e la scatola di cereali sul divano, si alzò barcollando e si diresse all’ingresso. Quando la spalancò, ritrovandosi davanti la faccia conosciuta di Oliver Baston, si pentì di essere andata ad aprire quella porta in quelle condizioni. Si sentì arrossire e, prima ancora che lui potesse aprir bocca per parlare, disse: 

– Che ci fai qui? Come sai dove abito? – 

Oliver liquidò quella domanda con un gesto sbrigativo della mano. Poi entrò prima ancora di essere invitato a farlo e disse: – Dobbiamo parlare di Percy. – 


 
   
 
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