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Autore: Ariadirose    07/05/2024    2 recensioni
È che con te mi sento al sicuro. Sei la mia famiglia. E da molto prima di oggi che sono tua moglie.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lo sbocciare della rosa

 

“Mhmm… che succede…”.

“Niente, André”, pronunciava Oscar sottovoce. “François si è svegliato: ora accendo una candela…”. Si alzava poi dal letto per avvicinarsi a suo figlio:

“Piccolo, che cos’hai? Non ce la fai proprio a non svegliarti la notte, eh?”, gli diceva prendendolo tra le braccia, amorevole, sebbene piuttosto stanca.

“Direi di no… che ore saranno?”.

“Le quattro del mattino… André, perché non vai a dormire nella stanza libera in fondo al corridoio… così almeno non ti disturbiamo”.

“No, no. Non preoccuparti, figurati se mi disturbate…”, fece un discreto sbadiglio dietro la mano; “… anzi, intanto vi guardo, come siete belli. Piano piano vedrai che mi riaddormento. Tu come stai?”, domandava insonnolito. “Ma questo bimbo nostro ha sempre fame?”.

“Non è solo fame. È che mi vuole”.

“Come dargli torto...”.

Lei sorrise al marito.

“Non voglio andarmene, ma stare con voi… è così impegnativo tutto quello che fai, questo furfante non ti fa mai riposare… Io almeno finora l’ho fatto: ma tu ti sei già alzata per François, non è vero?”.

“Sì, si era messo a piangere anche circa tre ore fa”.

“Grazie per il dono che mi hai fatto, dando alla luce nostro figlio”, allungò il braccio per intrecciare le dita a quelle di lei.

“Lo hai dato anche tu a me, lo sai. Mi hai sempre dato qualunque cosa”, le venne ancora da aggiungere, mentre guardava suo figlio, come con l’istinto di vuotarsi: “E poi tu hai creduto sempre in noi. Io non l’ho fatto, invece”.

“Ti piace proprio tormentarti, eh? Che pensieri ti metti a fare, alle quattro del mattino!?”, si tirò un po’ su con il viso sostenendolo col gomito. “Non credi, amore mio, che dovresti solo cercare di non angustiarti più? Che una persona straordinaria come te, che ha dovuto dimostrare, da sola, più di un uomo e di una donna insieme ciò di cui si è resa capace, avrebbe solo diritto di stare bene?”.

“Sola però non lo sono stata mai”, gli chiese un bacio, non potendosi avvicinare, per non disturbare il bambino che si tranquillizzava al suo seno.

Lui le si accostò per porgerle le labbra, e poi si accucciò accanto a loro due, per guardarli ancora più da vicino.

“Vorrei provare, vorrei provare veramente a non pensare più al passato, a guardare solo avanti… ma come posso farlo? Quando sono consapevole di esser stata tanto ingiusta con te…”.

“Solo una volta lo sei stata. Una volta sola, in realtà”. Si sistemò il cuscino per mettersi un po’ più seduto a parlare con lei, che evidentemente sentiva bisogno di aprirsi. “Ma non hai nulla da farti perdonare, perché io non sono stato da meno. Tu sei sempre pronta ad ammettere le tue responsabilità: e io? Mi sono vergognato per averti umiliata così quella volta… ancora mi detesto, se ci penso…”.

“Quella sera sono stata meschina… quando tu hai finito col dichiararmi il tuo amore”.

“L’ho fatto nel peggiore dei modi”.

“Però io ti ho creduto. Quando me lo hai detto, ti ho creduto subito. Avrei potuto non farlo, ma credevo in te, a quel che dicevi”.

“Non lo avevi proprio capito, prima, però”.

“No, non lo avevo capito. Eppure quello che provavi per me, non era poi così nascosto, a ripensarci oggi. Il tuo amore mi era sempre accanto, come mi eri accanto tu”, gli rivolse uno sguardo eloquente.

“Quando sono andata in Normandia”, proseguiva accostando la testa allo schienale del letto, dando seguito ai suoi pensieri, “non volevo farti soffrire, sentivo di non essere in grado di ricambiarti. Ripensavo a quello che hai fatto per venirmi a salvare, perdendo il tuo occhio. E ciò che dicesti, in quel giorno all’alba, rivenne a galla, a cercarmi, e mi feci male; nel pensare a quanto ero stata vigliacca a non capire”.

“Ma io rifarei tutto quello che ho fatto, credimi Oscar. Ti dissi la verità. Davvero sono stato più felice che non sia stata colpita tu. Che non fosse stato il tuo bel viso deturpato dalla cicatrice, che non sia stata tu a rischiare di perdere il tuo occhio”.

“E io quella sera ti ho allontanato come il più inutile degli uomini, come se tu non fossi nulla per me...”.

“Ed era vero: non contavo nulla per te?”.

“Eri il mio più caro amico. Ma io, accecata dalla mia rabbia, ti voltai le spalle. Lo feci in ogni senso, presa solo da me. Volevo dimostrare di essere un uomo: di essere come te”.

“Quanta fatica inutile. Cercare di essere diversi da quello che si è1. Quando tu non potevi che essere una rosa, sei sempre stata una rosa splendida per me…”.

“Io non potevo smettere di essere una donna, questo è vero. Ma tu potevi smettere di essere l’uomo sempre al mio fianco”.

Si rivolse diritta al suo sguardo, più in basso, sul cuscino: “Sono l’unica persona in grado di difenderti, mi dicesti in ufficio, giunto tra i miei soldati. Come sempre non parlasti a caso. Mi resi conto che quella volta, nella mia camera, ti avevo allontanato per tale motivo. Era quel senso di protezione che, nel mio folle tentativo di sentirmi maschio, era necessario mi abbandonasse: la protezione del tuo amore. Qualcosa doveva averlo capito prima ancora di me: doveva averlo capito al mio posto. Che mi amavi, e che dovevo tenerti separato per questo. Quella minaccia che temevo, segreta, in me, da qualche parte, cui non pensavo presa solo dal mio desiderio di fuggire, si era già materializzata. Era fin troppo tardi ormai per scappare”.

“Come mai ti soffermi su queste cose, proprio adesso”.

“Vi penso ogni notte. Ogni notte, quando François mi sveglia”. Si girò a guardarlo, come volendo provare sollievo alla sua colpa.

“Non mi hai mai detto però quando hai capito di amarmi”.

“È venuto dopo… non tanto dopo. Dopo Girodelle”.

“Non mi poteva proprio vedere, il tuo capitano dai lunghi capelli”.

“Quando chiese la mia mano a mio padre, fui stupita dei suoi sentimenti, non me li aspettavo. Come non me li aspettavo da te. Però quando seppi che era innamorato, non sono stata a pensare quando fosse successo qualcosa che potesse averlo fatto legare a me. Non ho solidarizzato con il suo dolore per il mio rifiuto, pur avendo provato cosa significava sulla mia pelle. Né sono stata a domandarmi come mai non avessi intuito, sospettato prima il suo interesse per me. E invece l’ho fatto quando me lo hai detto tu, me lo sono chiesto: ed è stata parte della mia stessa incredulità”.

André si stava svegliando molto di più, a dispetto dell’orario, intrigato da quelle ammissioni intime di sua moglie, circa il loro trascorso… e, riflettendo su quanto espresso da lei, gli venne automatico intervenire, mentre si disponeva sdraiandosi ancora sul fianco, riprendendo a sostenersi la testa col gomito: “Noi eravamo molto più amici, rispetto a te e Girodelle: forse per questo ti sei chiesta come mai non te ne fossi accorta con me, e non te lo sei posta con lui”.

Oscar adagiò il bambino, rilassato, contro la spalla, prima di alternare ad allattarlo con l’altro seno. “Certo. Noi eravamo degli amici: ma come potrebbe esser stato questo il motivo, se quella sera mi dimenticai persino della tua amicizia?”.

André rimase in silenzio, mentre seguiva con attenzione madre e figlio, in quell’alimentare rito di amore e nutrimento.

“La verità è che a differenza di quel che provava Girodelle”, proseguiva Oscar, “quel che custodivi tu, io non l’avevo compreso. Tu eri innamorato di me! Non mi sembrava di apprendere qualcosa che non conoscevo e basta, piuttosto di apprendere qualcosa che avrei dovuto sapere. Che avevo sbagliato a non riconoscere. Come se riemergesse, con la tua ammissione, quel tentativo che a mia stessa insaputa avevo messo in atto: di sotterrare i tuoi sentimenti, di non accorgermene. Offuscandomi completamente”.

André si riabbassò con il dorso sul materasso, tenendo le mani sotto il cuscino, fisso su di lei.

“Poi arrivò quella sera di pericolo, a Saint Antoine…”.

“Già: Fersen. Una visita opportuna... almeno una volta”, aggiunse provando ad alleggerire quella sensazione di terrore, provata allora da entrambi.

“Fu quella sera che mi resi conto di amarti…”.

“Davvero? Non mi hai mai detto nulla del genere...”, aggiungeva André più incuriosito e appassionato.

“Gridai con una forza, un impeto, una rabbia, che il mio André era in pericolo. Dovevo venire a salvarti, non mi importava nient’altro, solo venire a cercarti e uccidere chiunque avesse cercato di farti del male”.

“Lì? davanti a Fersen?”.

“Davanti a Fernen”.

“Accidenti! La ruota girava a mio favore, e manco lo sapevo! Pensa che io credevo che pure quella volta ti avesse allontanato da me!”, si rannicchiò il cuscino sotto le braccia.

“Lui ribadì quello che aveva sentito, mostrandosi stupito. Ma poi, comprendendo velocemente, si attivò per aiutarmi, venendo a trascinarsi via la folla...”.

“Ah ecco… ecco perché lui, qui da noi...”, ammise come arrivando a una conclusione.

“Cosa”.

“Quel che ti diceva, qui a casa nostra: che gli avevi fatto capire quanto io contassi per te”.

“E come fai a saperlo”.

“Perché origliavo, è ovvio”.

“E me lo dici così: candidamente?”.

“Ma se lo hai detto tu, scusa, di sapere di aver sposato un ficcanaso! Ho mai negato di essere un ficcanaso?”.

Lei fece cenno di no con la testa.

“E ho mai avuto timore di arginare la tua collera? A proposito, come mai non ti arrabbi”.

“Perché l’ho fatto anch’io: anch’io avevo origliato i vostri discorsi”.

“Davvero?”, disse quasi ridendo.

“Sì, volevo sentire cosa dicevate, prima che vi raggiungessi”.

“E così poi dici a me di essere impiccione!”.

“Perché: io ho mai negato di essere impudente?”.

“No, ma io ti voglio così. Impudente. E pure un po’ imbrogliona!”.

“Come imbrogliona!?”.

“Certo: stai tanto a stupirti quando ammetto di avere origliato io, e invece scopro che lo hai fatto pure tu! Ah, ma a me va bene, sai: così ti insegna tuo marito un po’ di disciplina. Ti rinchiudo con me in cella di rigore”.

“E mi metterebbe in riga quel ficcanaso di mio marito?”.

“Non lo nego, io sono sempre stato un po’ curioso… diciamo bene informato”.

“Diciamo pure pettegolo”.

“Era solo il mio ruolo di sensale di corte!”, sunteggiava André, per poi, più cautamente destreggiarsi nella sua posizione con lei: “Ma non sono stato mai indiscreto o irriguardoso con te, ammettilo. Avrei potuto vederti nuda molto prima di quella sera. Rubarti un bacio ogni volta che ti tiravo fuori dai guai, o dirti quanto ti volevo bene, con la scusa di aver bevuto un bicchiere di troppo. E persino allungare un po’ più le mani, quando venivo a rifugiarmi dietro di te, dalle mestolate di mia nonna”.

“E pensi te lo avrei lasciato fare?”.

“No, direi di no. Ma per te ne valeva la pena, valeva la pena che corressi il rischio, ti assicuro. Non l’ho mai fatto, mica per non rischiare: piuttosto per rispettarti e lasciarti libera di capire. Di sbocciare. Come poi hai fatto. E anche per la paura di perderti… Anch’io ho finto, Oscar. Tu facevi finta di non poter essere una rosa, ma io pure fingevo; di non poterti amare, mostrandomi solo come un amico. E infine, proprio per questo, ho terribilmente sbagliato…”.

Lei negava con la testa, come a discolparlo. “Sei stato stupendo. Sempre: pure con lo svedese!”, gli diceva facendogli il verso.

“No, ho mancato verso di te. Prima di aver commesso il mio errore, è vero, mi facevo bastare ciò che non era certo tutto, ma per me era molto. Non potevo mica prenderti, come faccio adesso, o guardarti mentre allatti nostro figlio”, le disse emozionato, porgendole ancora forte la mano, estratta da sotto il cuscino. “Vedere però quanto sei bella, ascoltare la tua voce, sentirti suonare. Sentirti ridere; per fortuna accade molto di più, adesso. E sei incredibile quando mi sorridi…”, le disse, mostrandosi con il suo occhio rilucente.

“Io non rifarei tutto quello che ho fatto: ti amerei da molto prima”, ne era sicura lei.

Lui le strinse ancora la mano, consapevole del valore delle sue affermazioni. Di quel reciproco perdono. Ipnotizzato dall’armonia, l’amorevolezza del loro bambino in braccio; quel benessere che finì col rilassarlo del tutto.

“Guarda André, le nostre chiacchiere mattutine hanno finalmente fatto addormentare François…”, Oscar si posò con lo sguardo sul piccolo, intenerita dalla sua fragilità.

“Si lascia cullare dalle nostre voci, come doveva accadergli quando era dentro di me. Capita persino mentre duelliamo con la spada, con il percuotere delle lame: nostro figlio predilige delle singolari ninne-nanne. Riposa bene, bambino mio”, disse evitando di baciarlo, temendo di svegliarlo di nuovo.

Si voltò poi verso André, anche lui, splendido, si era nel frattempo abbandonato al sonno. “Il nostro parlare ha finito per far addormentare anche te”, lo toccò solo con lo sguardo, per non incorrere nello stesso rischio di destarlo. E gli si sdraiò accanto, dopo che ebbe riposto, coprendolo bene, François nel lettino, vicino al loro. Nel rifugio di quel tesoro immenso, sospirò mentre soffiava sulla candela. Per chiudere daccapo gli occhi e provare a riposare ancora un poco, prima che a svegliarli insieme giungesse stavolta il giorno.

1Verso di un brano di Giovanni Truppi.

   
 
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