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Autore: whitemushroom    19/06/2024    1 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La chiesa all'interno era minuscola, una delle più piccole che Njal avesse mai visitato. Le tre file di panche erano praticamente una attaccata all'altra, senza una navata vera e propria come aveva invece visto altrove. Vi erano un paio di statue di legno dipinto di un paio di santi, peraltro anche bruttine, sistemate ai lati interni del portone, e un grosso crocifisso posto su una pala accanto all'altare più spoglio che avesse mai notato. Non vi erano dipinti, né maioliche particolari come quella che adorava l'esterno, al massimo dei bassorilievi su legno scuro difficili da interpretare. Certo, in vita sua non era entrato in molte chiese, ma questa era senza dubbio la meno appariscente di tutte; per un istante la sua mente tornò alle immagini che aveva visto durante il contatto con gli Scarti, dove il piccolo edificio gli era apparso in pieno giorno, circondato da bambini che giocavano e qualche signore anziano che ne usciva. Doveva essere stato un posto di ritrovo solo per i pochi abitanti di quella frazione di Ischia e poco altro, ma preferì non attardarsi troppo su quelle memorie condivise.
Nonostante il buio, le candele ai piedi delle statue e del crocifisso erano accese, proprio come quelle all'esterno, ai piedi del santo.
“Facciamo un po’ di luce, ti va?”
Hector aveva recuperato una candela, e prese ad usarla per accendere uno ad uno i piccoli lumini rossi. Ne sistemò un po’ nelle apposite rastrelliere votive, poi prese a metterne altri a terra, lontano dalle panche, illuminando per quanto possibile il pavimento con quelle fiammelle fioche. Njal lo imitò, pur rendendosi conto di vedere bene al buio; lo seguì senza fiatare, tendendo l'orecchio all'esterno nel timore di sentire di nuovo la voce di Scaevola o il crepitare leggero delle creature che lo accompagnavano, ma l'unico rumore erano i piccoli passi suoi e di Hector che in quel silenzio impietoso sembravano violenti come una marcia di soldati.
Il suo compagno aveva un'espressione mesta. Finì di sistemare tutti i lumini sui gradini davanti all'altare, poi si mise seduto su una delle panche in prima fila, invitandolo a sedersi accanto a lui. “Immagino che non vedi l'ora che qualcuno risponda alle tue domande…”
“È un buon momento?”
In realtà stava esplodendo dalla curiosità. Non voleva sembrare maleducato o invadente, ma sapeva che non sarebbe riuscito a trattenere ancora per molto tutte le cose che gli si accavallano nella testa. La sua faccia probabilmente era un libro aperto, perché dopo averlo guardato negli occhi abbassò il capo. “Non so. Non credo esista un buon momento per queste cose, ma cerchiamo di farlo diventare tale, che dici?”.
Gli rivolse un accenno di sorriso, ma al giovane parve il sorriso più triste che avesse mai visto. “Credi nelle fate, Njal?”
“Ehm… come, scusa?” rispose, cercando di mettere sul serio a fuoco la domanda dell'altro.
Hector, dal canto suo, non aveva cambiato espressione, né dava idea di prenderlo per i fondelli.
“Sei libero di dirmi di no. Tranquillo, non è un’interrogazione”.
Il ragazzo continuò per qualche istante nel suo silenzio, fisso sugli occhi un po’ lucidi dell'altro e sul riflesso che le candele giocavano sui suoi occhiali. Ovvio che non credeva a certe cose che al massimo popolavano le storie dei suoi nonni, ma era chiaro come il sole che Hector già sapesse la sua risposta. Infatti l'altro proseguì, liberandolo dall'imbarazzo. “Diciamo che tra riscaldamento globale, sovrappopolazione, crisi energetica e altri argomenti, sono d'accordo sul fatto che le fate non siano il primissimo problema dell'umanità. O, in ogni caso, negli ultimi mille anni sono state un danno piuttosto gestibile o controllabile da pochi individui. Questa Notte invece è il segnale che qualcosa sta prendendo una brutta piega. Quel Vex Scaevola… è uno di loro. È una fata”.
“Scusa se le fate me le ricordavo diverse…” gli rispose Njal. A parte alcuni spiritelli che Astrid ogni tanto si divertiva a disegnare sui fogli degli appunti, tutte le fate di cui era mai venuto a conoscenza nei libri illustrate erano donne bellissime, altere, con un abito lungo e talvolta delle ali quasi trasparenti. La faccia rozza del suo avversario e le enormi spalle non ricadevano nei canoni estetici delle fate nemmeno per errore.
“Temo che la parola Fata possa essere un po’ vaga per i non esperti nel settore. Daoine Maithe sarebbe il termine più corretto, se riuscissi a pronunciarlo in lingua ancestrale senza impiccarti con gli accenti. E i Maithe sono piuttosto permalosi, quindi anche loro preferiscono essere chiamati Fate da noi umani. O hym, come dicono loro” disse Hector “E le fate non sono tutte uguali”.
Da qualche parte entrò una leggera folata di vento, un refolo che spense un paio di candele. L'odore leggero del fumo arrivò alle narici del ragazzo, riportandogli in mente nomi, ricordi, immagini: i racconti dei suoi nonni e dei vecchi erano tempestati di creature magiche e dispettose che vagavano per il mondo, ma non aveva mai davvero prestato molta attenzione.
“I Daoine Maithe sono tanti, diversi, e sono abbastanza convinto che tu non abbia molta voglia di una lezione accelerata di sociologia ancestrale, di cui peraltro non sono esperto. Quindi andrò subito alla parte che ti interessa. Vex Scaevola è un Duraharn . Una di quelle fate che non vorresti incontrare nemmeno per errore. Grossa, malevola, pericolosa”.
“Che fosse malevola e pericolosa lo avevo capito” rispose il ragazzo. Non gli era sfuggito il costante moto degli occhi del suo interlocutore, con le pupille che vagavano nervosamente da una parete della chiesa all'altra come nel timore che il loro inseguitore potesse buttare giù un muro e farli a pezzi. Così come non gli era sfuggito il gesto costante di Hector di rigirarsi il proprio ciondolo con le dita tra una frase e l'altra. Lanciò uno sguardo di sfuggita al gioiello, e stavolta vi era un flebile bagliore da una gemma di colore rosso. “Ma cosa ha fatto ad Astrid? E cosa vuole da me?”
“Non so cosa sia successo alla tua ragazza, mi dispiace. Ma so cosa sta succedendo a te”.
“Cosa?”
Gli parve che il suo compagno stesse impiegando un'eternità a snocciolare le parole. Una parte di sé lo avrebbe preso per le spalle fino a fargli sputare l'osso.
Hector deglutì a secco, facendosi ancora più piccolo. “Sei stato… infettato. Più o meno. Ti sarai accorto che qualcosa nel tuo corpo non va, immagino”.
Il ragazzo annuì, cercando di processare in modo razionale le parole; la mano gli andò alla ferita alla base del collo, che da quando era entrato nel perimetro sacro aveva preso a pizzicare come un ago fastidioso ma sopportabile. L'altro annuì, avvicinando una mano alla base del collo: Njal lo lasciò fare, quasi impietrito, ed Hector gli scostò la sciarpa esponendo la pelle. Al suo tocco la sensazione di fastidio si placò. “Quando un Duraharn morde un essere umano, sortisce due effetti. Il primo è quello che si nutre: sono gli unici Maithe a nutrirsi di umani, e questo già basta a farti capire il pericolo. Il secondo, è l’Evoluzione: la vittima infettata diventa un giovane Duraharn, completamente asservito a colui che lo ha trasformato”.
“A raccontarla così, Hector, sembra una storia di vampiri”.
“Beh, molti autori umani hanno un po’ romanzato i Duraharn. Poi ci hanno aggiunto qualcosa per renderli interessanti, ma fidati che l'argento non fa loro assolutamente nulla, che negli specchi si vedono benissimo e non spariscono in un nugolo di pipistrelli. La luce del giorno li infastidisce, ma questo vale per molti Daoine Maithe”.
Al giovane tornò alla mente il momento in cui aveva provato a fuggire dall'ospedale, e di come gli fosse sembrato di andare a fuoco nell'esatto momento in cui aveva messo piede nel piazzale assolato. Si ricordò anche di come si fosse sentito meglio quando, una volta rientrato nella sua stanza, Hector lo aveva schermato dalla luce socchiudendo le persiane. Anche immaginare la luce si rivelava fastidioso. “Quindi sono un Duraharn? Perché, fidati, io non obbedirei a quel grandissimo bastardo nemmeno se mi pagassero”
“E qui si crea il dilemma. L’Evoluzione è un processo velocissimo. Le proteine infettanti viaggiano col sangue, e i globuli rossi impiegano meno di un minuto per effettuare il giro completo del tuo organismo. Tra il morso e la trasformazione non passano che pochissimi minuti. Quando ti sei presentato nella piazza e mi hai spinto sugli scogli eri sconvolto e la tua mutazione era iniziata, ma… qualcosa la stava rallentando. O Vox potrebbe averti solo sfiorato, creando una Evoluzione imperfetta. Non lo so. Il tuo corpo sta rifiutando il tuo nuovo status, e questo spiega la tua nausea e la sensazione di rimettere. Purtroppo però, il cambiamento è innescato. Se lasciato così, avresti a occhio e croce un paio prima di degenerare del tutto”.
“Ma è passata più di una giornata!”
“E qui temo di arrivare alla seconda parte della storia. Sono io a tenere a bada la tua Evoluzione”.
Con l'altra mano espose il proprio pendente, senza mai però rimuovere il ciondolo dal collo. Lo inclinò in modo tale che Njal potesse vederlo: la pietra al centro, che sembrava un minuscolo diamante, guardandola con estrema attenzione fluttuava al centro del pendaglio senza nulla a trattenerla. Intorno vi erano nove cerchi di filigrana dorata anch'essi uno separato dall'altro, tenuti insieme da chissà cosa. Su ciascuno di essi vi era una pietra preziosa ed una di esse, quella color rosso, brillava come la luce di uno dei lumini della chiesa. Solo l'ultimo cerchio, il più esterno, era attaccato alla catenina, ma tutti gli altri erano separati e sembravano rimanere in quella posizione solo per magia. Il ragazzo lo aveva osservato soltanto in ospedale, ma senza dubbio non aveva prestato davvero attenzione al fatto che quel gioiello non seguisse nessuna legge fisica. Hector teneva nel palmo con delicatezza.
“All'inizio non ero sicuro di cosa ti fosse successo. Nella festa, con la confusione, ammetto di aver avuto dei dubbi. Ma poi mi sono avvicinato ed ho sospettato un attacco di un Duraharn. L'unica soluzione che mi sia venuta in mente è stata ridurre al minimo il tuo battito cardiaco, bloccando la diffusione dell'infezione. Ho ovviamente implementato la diffusione dell'ossigeno anche per via tissutale, altrimenti saresti morto”.
Njal trattenne il respiro, alla ricerca del senso di quel fiume di parole: quando erano andati nel B&B aveva notato in effetti di riuscire a percepire in maniera amplificata il battito di Hector, ma di avere difficoltà nel sentire il proprio. Si portò il pollice alla giugulare per controllare, ed in effetti gli ci volle del tempo prima di sentire un unico, debolissimo battito. Si tastò ancora, stavolta al polso, ma già aveva la sua risposta.
“Mi dispiace, ma non riesco ad eliminare del tutto l'infezione di quella creatura. Per entrare nella chiesa ho ricoperto i tuoi ematociti con una parete che copre l'espressione della proteina di Vex abbastanza da non attivare la Firma della Santa Sede e non farti bruciare sul colpo, ma non so davvero quanto a lungo posso impedire la tua trasformazione. Mi dispiace”.
Ritirò la mano da lui, per poi di nuovo spostare lo sguardo verso ogni angolo della chiesa pur di non guardarlo in faccia. “Vorrei poter fare di più”.
“Hector, il fatto che tu parli di bloccare il mio cuore e lo fai passare per una cosa normale mi preoccupa quasi quanto quella fata lì fuori che vuole portarmi via. Sei un Maithe anche tu? Perché giuro che se mi dici di essere un drago in incognito è la volta buona che ci credo sul serio!”.
“Ti prego, non scomodare i draghi. Ci mancano solo quelli!” fece l'altro. Si mordicchiò il labbro, ancora una volta nella chiara ricerca di una spiegazione accettabile, gesto che fece spazientire Njal ancora di più. Gli sembrava che tutto stesse diventando sempre più lento, estenuante, ma forse era soltanto la voglia istintiva di trasformare quella mole di informazioni in un pugno verso qualunque bersaglio, fosse stata anche una panca.
“Diciamo che il modo migliore per definirmi sia magus. O mago, come si dice adesso”.
“Tutto normale, Hector. Normalissimo” rispose, nella speranza che l'altro afferrasse il sarcasmo.
“Senti, io non so come spiegartelo senza risultare un cretino, va bene?”
“Strano, credevo di essere io il cretino, visto che non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo e tu sì!” esplose. Batté la mano sul sedile e si tirò in piedi di scatto. Il pugno che aveva immaginato di tirare fino a pochi istanti prima si trasformò in un violento colpo di palmo sul legno che esplose in un serie di schegge. La seduta si piegò in due come se non vi fosse appena atterrato il pugno di un ragazzo di diciotto anni, ma la zampa di un elefante; il rumore riecheggiò nella navata e persino la vetrata colorata all'ingresso vibrò per risposta. Njal ci aveva messo tutto il proprio peso e se non fosse stato per il suo equilibrio sarebbe caduto in avanti. Accanto a lui, Hector si era alzato di scatto ed era indietreggiato di un passo, facendo sparire il ciondolo sotto il maglioncino. Gli occhi erano puntati alla sua mano e poteva sentire alla perfezione il cuore dell'altro accelerare, nonché tutti i muscoli delle gambe tesi per scappare. Non aveva aperto bocca, rendendo il silenzio successivo ancora più pesante. Vi era chiaramente un'ombra di paura dietro i suoi occhiali e forse fu quello a spingere Njal a ritirare la mano.
“Scusa” mormorò. Guardò il danno combinato, poi di nuovo il suo compagno di viaggio.
“Sei tu che devi scusarmi. Sei rimasto coinvolto in un problema che riguarda quelli come me. Al tuo posto avrei la stessa reazione”. Si mise seduto sul pezzo rimanente della seduta, senza mai perdere quel sorriso triste sotto il quale poteva davvero nascondere qualunque cosa. “Anzi, io sarei scappato a gambe levate!”
Njal sbuffò, esausto. Gli avrebbe voluto rispondere che sarebbe scappato pure lui da quell'isola se avesse saputo come fare e se non avesse dovuto scoprire cosa fosse successo ad Astrid. Con quei mostri fuori dalla chiesa che non aspettavano altro che saltargli addosso e con il cellulare fuori uso non sarebbe nemmeno riuscito a raggiungere il porto senza perdersi o morire. L'idea gli fece risalire la voglia di prendere a pugni anche la statua in legno del crocifisso, ma piuttosto si alzò, fece dei passi larghi e si sedette sugli scalini di marmo che portavano all'altare, cercando un po’ di conforto nel freddo del pavimento.
Il piccione che sembrava accompagnare sempre Hector apparve da un angolo della chiesa, e gli si poggiò vicino ai piedi con le penne arruffate. Njal lo aveva visto chiaramente venire distrutto da Vex nel loro scontro, ma ormai non aveva molto senso meravigliarsi di un pennuto. “È il tuo famiglio?” chiese, nella speranza che quel poco di libri fantasy sui maghi che aveva letto gli fornissero qualche conoscenza in più.
“No. È più una mia estensione. Ma non chiedermi forme troppo grosse o complesse, perché faccio schifo” disse. Mormorò qualcosa a voce bassa, ed il piccione prese a girare intorno a Njal; al primo giro mutò aspetto, assumendo la forma di un gabbiano, per poi diventare un gufo piccolissimo ed un merlo. Quando terminò il volo e si ripoggiò davanti a lui, aveva assunto di nuovo le sembianze di un piccione. Incuriosito, il ragazzo lo toccò, ed al tatto era come un animale vero e proprio.
La creatura si fece toccare, per poi svanire in uno sbuffo di piume.
“Per fortuna in anatomia faccio meno schifo che in zoomanzia, anche se c'è da dire che sarebbe impossibile fare peggio di me in zoomanzia” disse, con un tono che cercava di allentare la tensione. Senza il minimo successo.
Il ragazzo avrebbe voluto continuare a commentare la natura surreale di tutta quella storia, ma in effetti purtroppo tutto trovava senso. Aveva visto di persona il taglio lungo la testa di Hector dopo lo schianto con l'automobile ed il sangue lungo il finestrino, eppure in quel momento la pelle dell'uomo era perfetta, senza nemmeno un livido o una cicatrice. Ed il fatto che fosse sopravvissuto ad una caduta dagli scogli assumeva adesso una sfumatura molto, molto più particolare. “Beh, almeno puoi curarti a piacimento. Mi pare una cosa comoda” commentò, memore delle decine di slogature della sua vita durante gli allenamenti. “Ma non è che per caso puoi fare qualcosa per quelle creature lì fuori? Qualcosa tipo uno Stupeficium o una Avada Kedavra?”
“Ehm… Temo che negli anni la figura di noi magi abbia subito un po’ di esagerazioni nella gente comune. Siamo più degli specialisti che non…”
“Puoi fare apparire tipo una fenice o un ippogrifo?” chiese, rovistando nelle sue conoscenze base di fantasy.
“Sono un po’ troppo grandi per le mie capacità. Per uno zoomante più abile sarebbe semplice, ma credo che al momento siano un po’ fuori scala, per me”.
“Andrebbe bene anche una palla di fuoco, in questo momento”.
“Le mie conoscenze di chimica della combustione sono definibili come inesistenti” disse “Ma se vuoi posso farti scegliere il colore del piccione”.
“Dimmi che stai scherzando, Hector”
“Il piccione lo vuoi grigio, bianco o nero?”
Solo l'autocontrollo impedì al ragazzo di alzarsi, prendere una delle statue di legno e spaccarla contro una parete.
Stava girando in tondo. Gli parve di sentirsi addosso il ghigno di Vex Scaevola che rideva della sua situazione. Se non fosse stato per la vivissima sensazione delle schegge di legno lungo il palmo della mano avrebbe potuto pensare di essere nel sogno più vivido della sua esistenza. La storia di Hector era così inverosimile da dover avere da qualche parte un fondo di verità, ed il problema era che tutto, dal piccione multiforme alla sensazione di potenza del suo corpo, collimava con quella versione. Si ricordò della fame di domande che lo aveva assalito nel tragitto per arrivare al Bed, e di quanto adesso non fosse sicuro di poter digerire un'altra spiegazione di quel tipo.
Non aveva idea di cosa volesse dire nello specifico “evolvere” in un Duraharn come Vex, e non era sicuro di voler approfondire subito l'argomento. Non poteva negare che la nuova forza, le energie e quei salti di diversi metri lo avevano catturato; tornando in mente allo scontro e all’inseguimento contro quegli esseri chiamati Scarti, la sensazione di malessere e rifiuto del proprio corpo era stata sovrascritta dalla pura e semplice bellezza di quel Flip oltre ogni limite. Qualunque cosa fosse seriamente una fata Duraharn, Vex ne faceva parte, e a parte il fatto che fosse un fottuto bastardo non gli era sembrato poi così diverso da un umano.
Ad essere sincero, in quel momento la sua testa aveva ripreso a muoversi in direzione di Astrid. Il suo accompagnatore brancolava nel dubbio quanto lui, e a parte prendere a pugni la fata lì fuori fino a farle sputare la verità, non aveva nessun indizio su dove la avesse trattenuta o su cosa le fosse accaduto.
Era chiaro persino a lui che la soluzione della chiesa fosse solo momentanea: l'espressione da predatore del suo nemico aveva ben poco da celare, perché il ragazzo sapeva benissimo che se lo sarebbero ritrovato addosso nell'esatto momento in cui avessero deciso di uscire dal perimetro benedetto. In fondo al cuore sapeva di aver bombardato Hector di richieste perché sapeva di non essere in grado di fronteggiare Vex, ma era evidente che il magus non fosse il proverbiale asso nella manica su cui contare in uno scontro.
Non ebbe finito di formulare quel pensiero che i suoi occhi incriociarono di nuovo quelli del compagno: il riflesso della luce delle candele sulle lenti spesse riusciva a nascondere solo in parte l'espressione delusa dell'uomo, resa ancora più evidente dalla bocca piegata verso il basso e dall'ennesimo moto nervoso delle dita sul ciondolo. Ancora una volta, non appena si accorse di essere osservato, Hector rimise il suo solito sorriso strano e Njal si pentì di ciò che aveva pensato.
“In ogni caso, Hector, grazie” disse. Lo mormorò un po’ tra i denti, ma le parole uscirono bene non appena ebbe il coraggio di metterci dentro un po’ di fiato. Se c'era una cosa su cui suo padre aveva sempre insistito, era l'educazione. “Non sarei mai arrivato fin qui se non fosse stato per la tua magia. Avresti potuto benissimo farti gli affari tuoi e lasciarmi trasformare”.
“Non sono quel tipo di persona. E poi mi hai detto che la tua ragazza era in pericolo” fece, sollevandosi dalla panca. “Se non avessi fatto nulla non avrei avuto più il coraggio di guardarmi allo specchio. Vorrei davvero avere i poteri che ti servono, ma…”
“Mi stai tenendo in vita. Direi che è la cosa più importante, no?”
  
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