Shinjuku, Tokyo, inizi del 1986.
L’aveva accompagnata a casa, dopo una cena improvvisata in un fast food in stile americano appena inaugurato vicino alla loro abitazione. Ryo aveva aperto la porta d’ingresso e aveva salutato Kaori, dicendole che sarebbe rimasto un po’ in giro. Quella sera erano entrambi vestiti in maniera più ricercata, ma solo perché, prima di cena, erano stati a salutare una cliente abbastanza distinta e di una certa età che, oltre ad averli pagati bene, aveva regalato loro due coupon per una cena omaggio, in occasione della recente apertura di quel fast food, di proprietà di suo figlio maggiore. Una cena che si era rivelata gradevole. Sia Ryo sia Kaori avevano bevuto parecchia birra, oltre ad aver mangiato una marea di junk food, ché tanto quelle erano solo schifezze; ma che importava? L’atmosfera di quella serata era qualcosa che lo sweeper non avrebbe dimenticato facilmente. Così, lasciatosi la porta di casa alle spalle, uscì nuovamente, per cercare di smaltire il senso di nausea che si portava, nonostante una paradossale felicità nell’animo. Stava male, perché stava bene oppure non sapeva davvero come sentirsi, durante quella ormai notte.
“Ho bevuto troppo, molto più di Kaori”, pensava, camminando con le mani in tasca e la testa che gli sembrava leggera.
Ripensava a com’era vestita la sua socia e, ogni tanto, abbassava lo sguardo per guardare il suo, di look, diverso dal solito: un completo giacca e pantaloni sul grigio, camicia viola, cravatta piccola nera e un cappotto del medesimo colore di quest’ultima. Nel taschino della giacca c’erano infilati degli occhiali da sole totalmente neri. Quella sera si piaceva, Ryo, diversamente da come talvolta si vedeva. Perché, sì, tutte lo trovavano bellissimo, ma lui non sempre si percepiva così, soprattutto perché i suoi quasi due metri talvolta non lo mettevano a proprio agio. Ma perché aveva scelto di proseguire la nottata in giro? Solo per una boccata d’aria? Non poteva rimanere con Kaori? In effetti, nessuno lo obbligava a stare in casa con lei, eppure sentiva di aver compiuto la scelta sbagliata. Si recò in un bar che frequentava poco, in una stradina stretta e piena di izakaya. Era gestito da un ex criminale, il quarantacinquenne Juro, che faceva anche il barman ed era un bell’uomo, nonostante l’enorme sfregio lungo la parte sinistra del viso e un occhio di meno. Soprattutto, sapeva ascoltare Ryo come pochi altri.
- Ma dai, Saeba, proprio tu! Non ci vedevamo da un po’… - disse Juro.
- Sempre pochi clienti, vero? -
- Già, specie a quest’ora… ora sei anche l’unico e credo resterai tale. Prendi qualcosa? –
- Il solito, quello che mi hai sempre fatto trovare –
L’aveva accompagnata a casa, dopo una cena improvvisata in un fast food in stile americano appena inaugurato vicino alla loro abitazione. Ryo aveva aperto la porta d’ingresso e aveva salutato Kaori, dicendole che sarebbe rimasto un po’ in giro. Quella sera erano entrambi vestiti in maniera più ricercata, ma solo perché, prima di cena, erano stati a salutare una cliente abbastanza distinta e di una certa età che, oltre ad averli pagati bene, aveva regalato loro due coupon per una cena omaggio, in occasione della recente apertura di quel fast food, di proprietà di suo figlio maggiore. Una cena che si era rivelata gradevole. Sia Ryo sia Kaori avevano bevuto parecchia birra, oltre ad aver mangiato una marea di junk food, ché tanto quelle erano solo schifezze; ma che importava? L’atmosfera di quella serata era qualcosa che lo sweeper non avrebbe dimenticato facilmente. Così, lasciatosi la porta di casa alle spalle, uscì nuovamente, per cercare di smaltire il senso di nausea che si portava, nonostante una paradossale felicità nell’animo. Stava male, perché stava bene oppure non sapeva davvero come sentirsi, durante quella ormai notte.
“Ho bevuto troppo, molto più di Kaori”, pensava, camminando con le mani in tasca e la testa che gli sembrava leggera.
Ripensava a com’era vestita la sua socia e, ogni tanto, abbassava lo sguardo per guardare il suo, di look, diverso dal solito: un completo giacca e pantaloni sul grigio, camicia viola, cravatta piccola nera e un cappotto del medesimo colore di quest’ultima. Nel taschino della giacca c’erano infilati degli occhiali da sole totalmente neri. Quella sera si piaceva, Ryo, diversamente da come talvolta si vedeva. Perché, sì, tutte lo trovavano bellissimo, ma lui non sempre si percepiva così, soprattutto perché i suoi quasi due metri talvolta non lo mettevano a proprio agio. Ma perché aveva scelto di proseguire la nottata in giro? Solo per una boccata d’aria? Non poteva rimanere con Kaori? In effetti, nessuno lo obbligava a stare in casa con lei, eppure sentiva di aver compiuto la scelta sbagliata. Si recò in un bar che frequentava poco, in una stradina stretta e piena di izakaya. Era gestito da un ex criminale, il quarantacinquenne Juro, che faceva anche il barman ed era un bell’uomo, nonostante l’enorme sfregio lungo la parte sinistra del viso e un occhio di meno. Soprattutto, sapeva ascoltare Ryo come pochi altri.
- Ma dai, Saeba, proprio tu! Non ci vedevamo da un po’… - disse Juro.
- Sempre pochi clienti, vero? -
- Già, specie a quest’ora… ora sei anche l’unico e credo resterai tale. Prendi qualcosa? –
- Il solito, quello che mi hai sempre fatto trovare –
- Attento: ricordati che un bicchiere di questo tira l’altro e ho l’impressione che tu abbia già bevuto abbastanza, stasera. Con chi te la sei spassata? Scommetto che nemmeno ti ricordi più –
- Sbagliato… ho solo cenato con la mia socia in un fast food che hanno appena aperto. Niente di che. Poi ho fatto due passi per smaltire la mezza sbornia e ho pensato di fare un saluto a questa faccia sfregiata che mi ritrovo qui davanti –
Juro smise per un attimo di asciugare un bicchiere per guardare male Ryo, ma poi cambiò espressione, sorridendogli.
- Quante volte questa faccia sfregiata ti ha parato il culo, Saeba? –
- E mi ha offerto dei drink –
- Ma stasera non ti offrirò nulla, sappilo. Voglio disincentivarti a bere: hai una brutta cera. Di solito l’alcool lo reggi meglio e passi da un locale all’altro o, meglio, da una tipa all’altra e accumuli debiti su debiti –
- Prima era così…ora un po’ meno. Non mi sembra giusto comportarmi così ogni sera: il tempo passa e non posso più devastarmi come una volta. Il Ryo che hai appena descritto non vive più in questo modo da mesi, anche se ogni tanto mi concedo i miei svaghi preferiti. O almeno ci provo –
- Dì la verità: non riesci più a sc*pare da quando ti sei messo in casa la sorella di Makimura, eh? -
- Ma smettila… e dammi un altro bicchiere! Vedi, è che spesso il lavoro mi porta stanchezza e poi, sì, vado in bianco, però pazienza, non posso costringere nessuna ad andare per forza con me. Che situazione… –
- Nemmeno la Makimura, eh? –
- Beh, lei non mi ha mai permesso di infilarmi nel suo letto, ma poi perché dovrei? Si tratta della mia socia. E poi non ha ancora ventun anni, più di dieci meno di me. Suo fratello me l’ha affidata per prendermene cura, non per cercare di portarmela a letto, accidenti –
- Almeno è maggiorenne… -
- Ah, ecco. Il problema per te sarebbe risolto… ma no, non funziona così. Non voglio crearle problemi -
Per un attimo regnò il silenzio, Ryo continuava a bere e cercò di non toccare più il tasto “Kaori” con Juro, provando a cambiare discorso. Si parlò di baseball, di nuovi locali aperti a Kabukicho, di malviventi finiti al fresco e poi Ryo andò in bagno, dato che tutto quell’alcool gli stava per far esplodere la vescica. Mentre si lavava le mani, si guardò allo specchio e notò che era pallido come uno zombi. “Ryo, che cavolo hai?” pensò, fissando il riflesso del proprio volto. In quell’istante non si piaceva, quasi si odiava e aveva voglia di tirare un pugno al vetro.
Tornato dal bagno, stava per sedersi nuovamente al bancone e non si rese conto che qualcosa gli era caduto dal cappotto. Glielo fece notare Juro e, non appena cercò di mettersi in tasca ciò che stava rischiando di perdere, Ryo si sentì incalzare dal barman.
- Fa’ vedere… Ma dai, vi siete fatti delle foto alla macchinetta delle fototessere. Dalle facce stupide, mi sa che avevate già cenato e bevuto a volontà. Ah, no, questa foto almeno è seria. Quindi è lei la Makimura? Ora me la ricordo, credo di averla vista da qualche parte, ma non con te. Forse era con suo fratello. Beh, è carina… anzi, carina è dire poco. Certo, è un po’ punkettona, dall’aria sfrontata, ma, con una così c’è da perderci la testa. Sei fortunato… –
- Non esagerare -
- Perché vi siete fatti queste foto? Almeno lo avete capito, visto che eravate abbracciati? Lei sembrava seduta sulle tue gambe –
- Sì, mi si era seduta addosso per entrare meglio nell’inquadratura e io la tenevo abbracciata. Insomma, è successo che tornavamo a casa a piedi, abbiamo visto questa cabina per fototessere e deciso di entrare. Anzi, lo ha deciso Kaori e io l’ho assecondata. Però… è stato divertente, abbiamo riso parecchio e si vede. Guarda che combina l’alcool… -
- E te le sei portate dietro? Potevi darle a lei -
- Non ci ho pensato. Poi gliele darò –
Ryo si fece porgere un altro drink e iniziava a perderne il conto. Juro decise che quello sarebbe stato l’ultimo.
- Ma allora… Kaori ti piace? –
- Perché mi chiedi qualcosa di cui sai già la risposta? Stiamo parlando quasi sempre di lei, stanotte –
- Ti piace solo fisicamente? –
- Uffa… continui a farmi domande inopportune e decidi pure di non volermi dare più niente da bere! Comunque, no, non mi piace solo fisicamente, ma voglio contare sulla tua discrezione. L’ultimo… dammi l’ultimo bicchiere. Ti prego! –
- No… puoi anche spararmi ma non voglio averti sulla coscienza –
- Dammi da bere, idiota… Altrimenti non ti sparo, ma ti spacco la faccia –
- Ehi, calmati… Ti do l’ultimo e un po’ diluito. Ma solo se rispondi alla mia domanda: ti sei innamorato? Dimmi la verità. Ami Kaori? –
- La cena più bella della mia vita l’ho fatta in un fast food pacchiano, ti rendi conto? –
Ryo si appoggiò al bancone tenendosi la testa, che gli stava per scoppiare.
- Allora hai risposto alla mia domanda. Perché non glielo dici? Che la ami, intendo –
- Non so come fare… All’inizio mi sembrava tutto più semplice: con lei ci provavo continuamente, poi non ho idea di cosa sia successo. Non ci provo più; anzi, la respingo, faccio finta di interessarmi alle altre, quando, invece, la verità è un’altra –
- Ti spaventa l’idea di aver trovato la donna della tua vita? –
- La donna della mia vita? Ti rendi conto della cavolata che hai appena sparato? Te l’ho detto, ha solo vent’anni… e ha tutto il diritto di essere libera di divertirsi, di fare quello che vuole e magari trovare un coetaneo; ammesso che abbia voglia di avere una situazione seria, vista l’età. Però, credimi, non ci sto capendo più nulla e mi sento un idiota, perché lei, in fondo, vive con me e ha scelto lei di farlo. E poi andiamo d’accordo, riusciamo a intenderci su tante cose, anche se siamo diversi, ma quando litighiamo ha sempre la meglio lei su di me. Mi viene da darle ragione. E come litighiamo all’improvviso, così sappiamo fare pace, come se ci conoscessimo da una vita e non capisco perché… Oddio, che macello… -
- Perché ora ne sei innamorato e tutto si complica. E va a finire che temi che possa rifiutarti, se volessi fare un passo in avanti. Ho ragione? Devi trovare un modo di dirle quello che provi per lei, ma non stare a pensarci troppo o a studiarti un metodo: certe cose arrivano spontanee. Dai, finisci l’ultimo drink e torna a casa da lei – incalzò Juro.
Ryo annuì, poi finì il drink, pagò e si alzò per uscire.
- Ehi, Saeba. Se la lasci andare via, sei solo un imbecille –
Ryo ripensava alle parole di Juro e decise che sarebbe tornato a casa, ma camminava a fatica e la testa gli girava troppo. Decise di andarsi a sedere su una panchina, per aspettare che la sbornia per lo meno si attenuasse per permettergli di rincasare. Accanto a quella panchina, c’era un distributore di bibite e, disattendendo l’intenzione di smaltire tutto l’alcool che aveva in corpo, Ryo comprò una lattina di birra. Si sedette, la stappò e iniziò a bere. Poi si infilò gli occhiali da sole, nonostante fosse notte e non diede peso al suo gesto, intento ad allentarsi la cravatta e ad appoggiarsi alla panchina, con le mani nelle tasche del cappotto e le gambe allungate. Non riuscì a reggere quella posizione che per pochi minuti, dato che lo fece scivolare e finire in avanti, per terra, sbattendo il sedere.
“Ahia! Non riesco a stare nemmeno seduto…” pensò Ryo.
Si sollevò, mettendosi in ginocchio per afferrare la birra e finirla e, una volta in piedi per andare a gettare la lattina nel cestino, avvertì dei fastidiosi conati e rigettò tutto il, per così dire, malessere di quella serata.
- Oh, Cristo! – esclamò – La mia bella cena… finita qui per terra. Tutto degno di te, Ryo Saeba -
Si era liberato dagli effetti dell’alcool, ma continuava a non sentirsi bene. Erano i pensieri ciò che non era riuscito a rigettare. Quelli erano lì, nella sua testa. Decise di sdraiarsi sulla panchina per cercare di riprendersi. Il forte senso di nausea non era ancora passato, ma si era decisamente attenuato. Riposarsi gli sembrava la scelta migliore. Non voleva farsi trovare in quello stato da Kaori; ammesso che fosse ancora sveglia. Ma perché avrebbe dovuto aspettarlo in piedi? Perché accadeva spesso così: che lei lo attendeva in soggiorno, fingendo di guardare la tv. Temeva sempre che potesse succedergli qualcosa. Voleva cercare una cabina per telefonarle e dirle che stava per tornare a casa, ma nei paraggi non c’era alcuna traccia di cabine telefoniche. Sdraiato, con ancora gli occhiali da sole calati sugli occhi, un braccio sulla fronte, Ryo tornò a pensare alla strana serata al fast food. Che diamine c’era di tanto speciale ad aver mangiato in un posto come quello, simili a tanti che spuntavano come funghi nella Tokyo degli anni 80? C’era lei; ecco cosa c’era. Il suo sorriso, i gesti, le parole, le risate, le arrabbiature improvvise e, soprattutto, i suoi grandi occhi espressivi… tutto in un unico momento, in quel luogo dai neon fastidiosamente colorati, dalle panche scomode e dal cibo pieno di grassi e nemico della facile digestione. Kaori gli era sembrata più bella delle altre volte, con un abbigliamento tra l’elegante e il casual che lei sapeva portare benissimo. E quell’aria un po’ sorpresa e un po’ ribelle… I fumi dell’alcool non ottenebrarono le immagini di quella ragazza che scorrevano nella sua mente, così vivide come se lei fosse ancora davanti a sé. Ripensava, inoltre, al cuore che gli era andato all’impazzata per tutto il tempo di quella memorabile cena. E poi quelle sciocche fototessere… Che serata meravigliosa!
“Perché è successo? Questa ha compiuto vent’anni, si è infilata a casa mia, non se ne è più andata e non mi sento più lo stesso. Makimura, perdonami, di tua sorella dovevo solo prendermi cura e invece…” pensava tra sé e sé l’uomo “Perché me ne sono innamorato? Che cos’ha di diverso dalle altre? Riuscirò mai a capirlo?”
Immerso in quegli interrogativi, Ryo si sentiva cedere, sul punto di addormentarsi.
“Sono un cretino, ma… lei è la cosa più bella che mi sia capitata… sì”.
Si sentiva crollare e, allo stesso tempo, lo teneva ancora desto il suo pensiero verso Kaori. Ma, soprattutto, la desiderava. Si sentiva a pezzi, eppure in quel momento gli era venuta una gran voglia di trovarsi tra le sue gambe, come se stare dentro di lei gli avrebbe dato un barlume di dolce sicurezza. Ma no! Non voleva pensare a lei in quel modo, eppure l’alcool gli aveva tolto inibizioni che si trovavano anche solo nella sua testa. Doveva tornare a casa, però si sentiva senza forze. Si accorse, inoltre, di essere eccitato e non poteva essere diversamente. Abbozzò un sorriso misto a un senso di disgusto, per poi chiudere gli occhi.
Era caduto in un sonno profondo, su quella panchina, nel cuore della notte.
Mezz'ora dopo
“Perché è successo? Questa ha compiuto vent’anni, si è infilata a casa mia, non se ne è più andata e non mi sento più lo stesso. Makimura, perdonami, di tua sorella dovevo solo prendermi cura e invece…” pensava tra sé e sé l’uomo “Perché me ne sono innamorato? Che cos’ha di diverso dalle altre? Riuscirò mai a capirlo?”
Immerso in quegli interrogativi, Ryo si sentiva cedere, sul punto di addormentarsi.
“Sono un cretino, ma… lei è la cosa più bella che mi sia capitata… sì”.
Si sentiva crollare e, allo stesso tempo, lo teneva ancora desto il suo pensiero verso Kaori. Ma, soprattutto, la desiderava. Si sentiva a pezzi, eppure in quel momento gli era venuta una gran voglia di trovarsi tra le sue gambe, come se stare dentro di lei gli avrebbe dato un barlume di dolce sicurezza. Ma no! Non voleva pensare a lei in quel modo, eppure l’alcool gli aveva tolto inibizioni che si trovavano anche solo nella sua testa. Doveva tornare a casa, però si sentiva senza forze. Si accorse, inoltre, di essere eccitato e non poteva essere diversamente. Abbozzò un sorriso misto a un senso di disgusto, per poi chiudere gli occhi.
Era caduto in un sonno profondo, su quella panchina, nel cuore della notte.
Mezz'ora dopo
- Ehi, ma chi è quello? –
- Il solito senzatetto… ormai la città ne è piena –
- Un senzatetto vestito così bene? Non mi pare –
Due agenti di polizia parlavano tra loro e si avvicinarono a quello strano uomo ben vestito e con gli occhiali da sole che dormiva beato su una panchina. Notarono la pistola che spuntava da sotto la giacca e si allarmarono. Si sentirono intimoriti.
- E-ehi, tu, tutto bene? – domandò uno degli agenti.
Ma Ryo non se ne accorse. Era sprofondato in un sonno pesantissimo.
- Arrestiamolo, è armato – mormorò l’altro.
- Ma è vivo, almeno? –
- Certo che è vivo, non lo senti respirare profondamente? Sta dormendo -
Intenti a parlare tra loro, non si accorsero che Ryo si era svegliato e puntava loro la pistola.
- Allora? Che problemi ci sono? Non vedete che stavo riposando? –
Ryo si tolse gli occhiali da sole, li mise in tasca e fissò i due agenti con aria poco raccomandabile.
- Ma tu sei armato e quindi… -
- Nogami… Saeko Nogami. Chiedete a lei e lasciatemi in pace –
Ma lo sweeper era ancora troppo in preda ai fumi dell’alcool da non accorgersi che erano appena arrivati altri agenti, che lo arrestarono.
Fu rilasciato di mattina, grazie proprio a Saeko, e finalmente riuscì a rincasare.
“Ok, adesso aprirò la porta e lei mi ammazzerà” pensò Ryo, accennando un sorriso e girando la chiave nella toppa.
- Prima che tu dica e mi faccia qualsiasi cosa, Kaori, fammi lavare la faccia e buttarmi sul letto. Sono devastato – le disse.
Provò a immaginare la reazione della ragazza, che però, in quell’istante, non arrivò. Non aveva idea di come reagire al fatto che colui con cui aveva trascorso una bella cena informale e fatto delle foto in preda all’allegria fosse rincasato solo in quel momento. Che cosa doveva pensare, lei, davanti a uno come Ryo, che l’unica cosa che era riuscito a fare era gettarsi di peso sul letto, di mattina? Si avvicinò alla porta della camera dello sweeper, non ebbe esitazione nell’aprirla e lo osservò, notando il suo pessimo stato.
- Sai, Ryo – gli disse, appoggiata allo stipite della porta – tu puoi fare quello che vuoi della tua vita: è la tua, non la mia. Però, vedi… presentarti alle 9 di mattina così, in quelle condizioni, senza almeno aver avuto il pensiero di avvisarmi, mi fa pensare che stare in questa casa, farti da assistente, ma anche, forse, da madre, da domestica o da quello che accidenti vuoi, qui dentro, non abbia alcun senso. Davvero, forse dovrei prendere e andarmene, lasciarti qui, in balia di te stesso. Così, nel tuo nulla. Perché di questo si tratta: del nulla. In effetti, quando penso che tu abbia un po’ di cervello, anche minimo, mi illudo, ma poi sei bravissimo a smentirmi sempre, con il tuo tempismo perfetto –
Iniziò ad alzare la voce.
- Perché non ti è passato per l’anticamera del cervello di fare una caspita di telefonata, almeno per dirmi: “Ehi, stupida, guarda che io passerò la notte con la prima poverina che mi capiterà a tiro e non aspettarmi in piedi” è troppo per uno come te! Tu ora ti aspetti che ti faccia qualcosa, perché sono la solita gelosona che vorrebbe riportarti sulla retta via e tu quasi ci godi a farti rimproverare, per non so quale masochismo di cui sei paradossalmente dotato, ma no… che cosa dovrei farti? Però, ti prego, una sola cosa ti chiedo: lasciami in pace fino a domani. Concedimelo. Non parlarmi, non cercarmi, arrangiati tu, fingendo che non esista, come quando mio fratello era ancora vivo e tu eri un miserabile, incapace persino di farsi un uovo al tegamino. Facciamo così? Davvero, è meglio per entrambi. Forse, un giorno, proverai un minimo di rispetto verso chi si preoccupa per te; anche per questo “mezzo uomo” che passa con te la maggior parte della tua giornata –
Ryo, che era sdraiato prono, si mise supino e si sollevò leggermente.
- No, aspetta, Kaori… mi hanno arrestato… non andartene, lasciami spiegare: due agenti di polizia mi hanno trovato ubriaco su una panchina e, vedendo che ero armato, mi hanno messo le manette. Ci è voluta quasi tutta la notte per farmi rilasciare e meno male che mi ha aiutato Saeko, che ha messo una buona parola. Non sono stato con nessuna, mi ero solo fermato a bere al bar di un mio vecchio amico e ho esagerato con l’alcool. Se sei rimasta ad aspettarmi, ti chiedo scusa, non ho avuto davvero la possibilità di avvisarti. Le tue parole mi stanno facendo sentire una m*rda e hai ragione. Sarei dovuto rimanere a casa, non so perché sia voluto uscire di nuovo… E tu eri qui, a sentirti un’idiota che aspettava il ritorno del vero idiota –
- Guarda che sono andata a dormire presto, per smaltire l’alcool di troppo, però se mi avessi avvisata, non mi avresti disturbato. Sarei poi tornata a dormire. Ma perché hai bevuto così tanto? Avevamo già esagerato a cena… -
- Non vedevo Juro da un po’ e, tra una chiacchiera e l’altra, non mi sono accorto di aver bevuto troppo. Comunque, per me va bene: oggi farai finta che non esista e, se vorrai, domani riprenderemo la vita di sempre –
- No, lascia perdere. Ti perdono. Però non buttare via la tua salute così –
Kaori ormai si era calmata e si allontanò.
- No, - mormorò Ryo, accertandosi che lei non ascoltasse le sue parole – perché la mia salute ormai sei tu -