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Autore: NowhereBoy    02/07/2024    1 recensioni
Ennis è un giovane ragazzo gay, appena trasferito a Napoli da Chicago, per scappare da un passato non troppo remoto. Ha comprato un appartamento ad un prezzo decisamente basso, e ben presto ne scoprirà la ragione.
La casa, infatti, è infestata da cinque spiriti eccentrici. Riuscirà Ennis a convivere con loro e con i ‘suoi’ fantasmi?
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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6.
La lingua era da considerarsi davvero un problema. Ennis si impegnava davvero tanto per imparare il più in fretta possibile l’italiano. Ed in questo, doveva ammetterlo, gli spiriti erano stati di grande aiuto, poiché anche se non interagiva direttamente con loro nella lingua natia, riuscire a comprendere cosa dicevano lo aiutava con l’associazione di parole e concetti molto più velocemente.
Questo nel parlato, però. Nello scritto, era tutt’altro che semplice.
A lavoro, negli ultimi tempi, gli erano stati assegnati diversi libri per bambini da tradurre dall’italiano all’inglese. Si stava rivelando un esercizio molto tranquillo, anche piuttosto divertente, per certi versi. Tuttavia, si trattava sempre di libri per bambini.
Non era preparato, dunque, alla complessità degli articoli trovati su internet, perlopiù risalenti agli anni Trenta e non collegabili direttamente alla famiglia Donati, o al dottor Marino. La scrittura era antica, con termini che non conosceva e che faticava a trovare in costruzioni traducibili per lui. Non che si aspettasse qualcosa di diverso, certo, ma all’entusiasmo s’andava lentamente sostituendo la frustrazione, e contemporaneamente, s’aggiungeva la necessità e la curiosità di sapere qualcosa in più su di loro. Perché se Gervais probabilmente aveva torto riguardo le possibili domande che avrebbero potuto rivolgergli, sicuramente conoscere la loro storia, e il movente vero della loro morte, poteva dargli qualche suggerimento sul perché erano rimasti sulla Terra, per aiutarli ad andare via.
Ora, se proprio Ennis voleva essere onesto con sé stesso, il vero bisogno, o comunque il desiderio, di allontanarli non c’era. Anzi, era quasi piacevole tornare a casa e passare momenti a cucinare con Marilena, o a conversare con il dottor Marino e Gianni in salotto. Nonostante il piacere che provava ad avere i fantasmi intorno, portava avanti le sue ricerche prima di andare in ufficio e subito dopo. Dopotutto, in cuor suo sapeva che il posto di quegli spiriti non era l’interno del sesto piano di quella palazzina storica di Chiaia. Doveva loro la pace.
 
Dopo l’incontro con Elia, non voleva restare a casa. Percepiva una sorta di agitazione, come se l’incombere dell’estate portasse con sé una frenesia negli spiriti, che si traduceva in un ambiente poco sereno per lui.
 I fantasmi erano comparsi molto raramente, anche se di notte sentiva Gianni passeggiare nella stanza di fianco la sua. Era sicuro fosse il signor Donati, lo riconosceva dai passi sicuri e nervosi. Colui che aveva visto ogni giorno, era stato Franco. Il più delle volte appariva poco prima che uscisse di casa, nei pressi della porta d’ingresso e lo salutava, ricordandogli di fare attenzione ai colpi di calore e di bere molta acqua tiepida.
Salvatore, invece, era un piccolo uragano. E grazie al cielo appariva di rado! Correva nel corridoio, giocava a campana in uno dei salotti, saltava fuori da dietro il tavolo, facendolo trasalire. Era quasi divertente, anche se non era mai stato abituato ad avere bambini in casa. Marilena, invece, sembrava viva quando cucinavano.
Elia non era più ricomparso. Ma quando Ennis chiudeva gli occhi per dormire, erano i suoi occhi tristi che gli apparivano in sogno.
Nella frenesia dei giorni che erano seguiti il primo incontro con il ragazzo in soffitta, però, Ennis aveva notato un dettaglio, che lo aveva riempito di domande. Di piccoli cambiamenti nella casa, da quando vi abitava lui, ce n’erano stati molti. Primo fra tutti, l’arrivo della televisione, che era stato accolto dal signor Gianni con un distaccato «Le diavolerie del progresso… già quegli aggeggi che vanno in giro senza filo sono strani. Sai, quella cosa che chiami “telefono”. D’altronde, voi americani siete sempre stati strani. Ma che fine faremo? Andremo in giro svestiti, costruiremo automobili per una persona sola e comunicheremo con la forza del pensiero?» E detto ciò, s’era alzato e aveva lasciato la stanza, stizzito, senza dargli la possibilità di replicare.
Ma il cambiamento più evidente era la porta della soffitta. Da quando l’aveva trovata, per una questione di mera praticità, dal momento che vi accedeva per far arieggiare l’ambiente umido, aveva deciso di lasciarla scoperta, spostando l’armadio che la celava in uno dei due salotti. Ma quello spostamento era stato accolto dai fantasmi nella più totale indifferenza. La cosa confondeva Ennis, dal momento che era convinto che la loro morte fosse in qualche modo collegata ad Elia in soffitta. Com’era possibile, dunque, che passasse così inosservata? Prima di aprire l’argomento con gli spiriti, tuttavia, Ennis voleva avere una risposta alle ricerche che stava portando avanti con immensa fatica. Dunque, non chiese.
 
Aveva preso l’abitudine, quindi, di frequentare sempre più spesso il BR, il caffè che l’aveva accolto il primo giorno a Napoli. La signora era sempre gentile e disponibile, in un’accoglienza genuina che gli faceva bene al cuore. Inoltre, gli sembrava irrispettoso nei confronti dei fantasmi, fare ricerche su di loro mentre erano in casa con lui. E poi, avrebbero fatto domande cui non avrebbe saputo rispondere.
Si trovava proprio al BR, circa una settimana dopo la cena con Gervais. Aspettava l’amico e, approfittando del ritardo, stava facendo altre ricerche col portatile.
«Come ti stai trovando a Napoli?» domandò la proprietaria, avvicinatasi al tavolo con un pacchetto di sigarette aperto, offrendogliene una. Gli ultimi raggi di sole, insieme ad un venticello piacevole, rendevano quel momento uno dei più piacevoli della giornata. «Volevo chiedertelo da un po’, in verità.»
«Molto beni.» aveva risposto Ennis, parlando con molta lentezza e rifiutando le sigarette con un cenno di mano. «Napoli è una sorpresa.»
«E con la casa? Ti sei sistemato o hai bisogno di qualcosa?»
L’americano annuì. «Ancora ho fatto poco spostamenti, ma mi piace.»
La signora sorrise, mentre si sedeva al posto vuoto di fronte a lui, lasciando i pochi clienti alle cure del cameriere che aveva assunto da poco. Ignorò il computer al tavolo, che Ennis provvide a chiudere in maniera istintiva, seppur lentamente per non destare sospetti. Non voleva dare troppe spiegazioni.
«Sai, sono proprio contenta che tu stia bene, in quella casa. Before you moved in, a family with a little child had bought it. But they sold it after less than a month. (Prima che ci andassi a vivere tu, l'aveva comprata una famiglia con un bambino piccolo. Ma l'hanno venduta dopo nemmeno un mese.)» e detto questo, si accese la sigaretta. Prese una lunga boccata, fissando la cicca. Poi gli sorrise.
Ennis restò sorpreso di quelle parole. Soprattutto, perché la signora aveva aspettato così tanto per dirglielo?
«Ah, sì? Como mai? È casa così bella.» domandò. Sembrava che la signora volesse dirgli qualcosa, ma temesse allo stesso tempo di dire le parole sbagliate.
«Certo, certo. Non ho dubbi al riguardo. Non so perché. Parlavano di una casa fredda. Avevano delle brutte sensazioni. Like something doesn’t want them there (come se qualcosa non li volesse lì.)»
Ennis si grattò la guancia, fingendosi pensieroso.
«I don't know what I can tell you. I feel really good there. Welcomed. (Non so proprio cosa possa dirti. Io mi trovo davvero bene. Accolto.)» pose l’accento su quell’ultima parola, e guardò la signora con un mezzo sorriso. Quindi lei spense la sigaretta fumata a metà, e senza aggiungere nulla, tornò a lavoro.
Poco dopo, arrivò Gervais ad interrompere i suoi pensieri.
«Ehilà, amico mio!» aveva salutato, sedendosi. «come va?»
«Beni.»
«Bene! Con la ‘e’ finale. Concentrati, Ennis. Non fai questi errori.» lo rimbeccò il francese, grattandosi distrattamente la pancia. Quindi ordinò un tè freddo.
«Niente caffè?» domandò Ennis.
«No. Ne ho già bevuti cinque, oggi. Non ce la faccio più.»
Tra una chiacchiera e l’altra, l’americano mise via il computer. Era la prima volta che si vedevano dalla cena a casa di Gervais. L’amico lo aggiornò su un maldestro tentativo di approccio con Filomena.
«Ho provato a portare un caffè, ieri. Dal distributore. Ma sono inciampato al filo del computer ed è finito tutto sulla sua camicia bianca.» Mentre lui si copriva il viso con entrambe le mani, Ennis scoppiava a ridere di gusto.
«She’ll hate you! (Ti odierà!)»
L’amico sbuffò. «Certamente! Ma le cose semplici non mi sono mai piaciute.» E quando le risate scemarono, il francese schioccò le dita, come se si fosse improvvisamente ricordato di un fatto. Disse: «E come va la storia dei fantasmi?»
A quella domanda, Ennis si paralizzò di colpo, insicuro di aver capito bene.
«Ghosts? (Fantasmi?)» domandò, e l’amico annuì di rimando.
«Oui. You asked me about some ghosts, if I remember correctly, last time. How is this going? Did they tickle you in your sleep o something like that? (Si. Mi avevi chiesto riguardo dei fantasmi, se non ricordo male, la scorsa volta. Come procede la cosa? Ti hanno fatto il solletico nel sonno o qualcosa del genere?)»
Il tono di scherno dell’amico lo fece rilassare, sintomo del fatto che l’amico non gli avesse creduto.
«Male. Sto cercandi noticie su casa mia, ma non capisco molto beni, bene! È casa vecchia, vorrei sapere di più su la famiglia che viveva lì.»
Gervais, allora, gli domandò « But why are you doing this research now? Shouldn't you have done them before buying it? (Ma come mai stai facendo queste ricerche ora? Non avresti dovuto fare ricerca prima di comprarla?)»
Ennis fece spallucce. «Curiosità. Quando l’ho comprata volevo solo scappare da Chicago.»
Il francese fece un cenno di assenso col capo.
«Ha senso… va bene, dove cominciamo?»
Ennis si accigliò. «Cominciamo?»
«Da dove cominciamo? Ti aiuto. I will be the translator of a translator, since I know Italian better than you. It'll do me good, I need to distract myself. (Sarò il traduttore di un traduttore, dato che conosco l’italiano meglio di te. Mi farà bene, ho bisogno di distrarmi).»
«Da Filomena?»
«Da Filomena.»
 
Così, nei giorni successivi, i due amici si recarono all’Archivio di Stato, alla ricerca di articoli degli anni Trenta e Quaranta, ma non trovarono molto. Gervais, a tutti gli effetti, si stava rivelando una risorsa più che utile, al di là della lingua. Infatti, essendo un architetto che lavorava affiliato ad uno studio di restauro, era abituato a fare ricerche storiche su edifici antichi e sapeva dove andare a cercare, e cosa. Ennis guardava affascinato il suo amico, immerso fino al naso dentro i libri, concentrato come mai l’aveva visto prima. He must love what he does (deve amare quello che fa) pensava.
Così scoprirono che l’edificio dove abitava Ennis era piuttosto recente.
Si trovavano alla biblioteca della facoltà di Architettura, una benedizione considerando che giugno volgeva al termine e lì avevano una splendida aria condizionata. Stavano consultando un libro sul Risanamento napoletano, quando saltò fuori una cartolina.
«Guarda! Questa è casa tua.» disse Gervais, indicando la stampa. «Here it says that it was built at the end of the 19th century and bought by a rather rich family, Donati. It was all a single building, then divided into apartments and some were taken by relatives, so the sons, others were sold (Qui dice che è stata costruita alla fine dell’ottocento e comprata da una famiglia piuttosto ricca, i Donati. Era tutta un unico palazzo, poi diviso in appartamenti e alcuni li hanno presi i parenti, quindi i figli, altri sono stati venduti.). Ehi, vai a vedere che tu vivi nella casa di un figlio di questo Amedeo Donati.» e sorrise ad un Ennis emozionato. Donati. La prima coincidenza.  
Ora avevano finalmente un nome da cercare! E contenti del traguardo raggiunto, a così pochi giorni dall’inizio delle ricerche, decisero di concedersi un meritato caffè alle macchinette della facoltà. Un caffè orribile, a volerla dire tutta.
Aspettando che l’erogazione finisse, Gervais riempiva il silenzio raccontando di un cantiere che stava seguendo e che gli stava togliendo ogni energia. Ed era così assorto nel suo racconto, da non rendersi conto che Ennis non lo stava ascoltando. E la sua attenzione divenne ancora più nulla all’apertura della porta alle loro spalle, quando era rimasto paralizzato vedendo chi fosse appena uscito di lì.
Il ragazzo in questione si mise in coda dietro di loro, fissando il cellulare che stringeva tra le mani e ci mise un po’ a rendersi conto che Ennis, imbambolato, era rimasto a guardarlo con negli occhi un misto di paura e curiosità.
Gervais si dilungava nel suo racconto, mischiando francese e inglese, con qualche parola in napoletano. Parlava più per parlare, che per raccontare fatti.
Il ragazzo, notando Ennis, si guardò un attimo intorno, spaesato. Poi si toccò il viso, chiedendosi cosa avesse di strano per farsi fissare in quel modo. Aveva l’impressione che quel tipo avesse appena visto un fantasma. Quindi, accennò un sorriso colmo di disagio e mormorò un «ciao…?» dal sapore più di una domanda che di un effettivo saluto.
«Elia...» uscì dalle labbra di Ennis, continuando a guardare quello che sembrava effettivamente essere il ragazzo della soffitta, seppur decisamente più… vivo, nonostante le leggere occhiaie sotto i suoi occhi.
«Oh, no. Non sono Elia, mi dispiace.» fece, infilandosi il telefono in tasca e cacciando delle monetine che cominciò a contare, cercando di distrarsi da quella situazione.
Così, l’americano si ricosse, sbattendo le palpebre e passandosi una mano tra i capelli.
«Scusa… ho pensato che eri una personi che conosco.»
«Tranquillo, non c’è problema.» disse lo studente. «Capita.»
La macchinetta annunciò con un fischio il termine dell’erogazione, quindi in fretta Ennis afferrò il bicchierino, prese Gervais sotto braccio, che non si era minimamente accorto di quanto accaduto, e lo trascinò il più lontano possibile da quel corridoio.
I made an ass of myself (che figura di merda) pensò.
 
Le ricerche, dunque, stavano cominciando a procedere secondo una direzione. Gervais non faceva domande.
E intanto, Ennis cercava di ridurre al minimo le interazioni con gli spiriti. Tornava sempre più tardi nel suo appartamente. Questo perché, a chiusura dell’università, i due amici finivano sempre per fermarsi in qualche bar, talvolta per riordinare gli appunti, talvolta solo per raccontarsi. Altre volte, semplicemente, Ennis si attardava al lungomare, per godersi il tempo.
Quando abitava a Chicago, la vita era frenetica. Aveva poco tempo a disposizione per sé stesso. Tra una corsa e l’altra, c’erano sempre commissioni da sbrigare, eventi cui andare o Martin di cui prendersi cura. Era faticoso, delle volte, essere il suo compagno. Doveva ricordargli anche gli appuntamenti dal medico. Se ne prendeva cura come con un figlio. E forse per questo non avevano mai adottato un cane, anche Ennis ne desiderava davvero tanto uno. Ora che si trovava a Napoli, a dire il vero, l’idea di prendersi una compagnia non l’aveva nemmeno presa in considerazione. Quel povero animale sarebbe stato tutto il giorno solo. Fantasmi a parte, ovvio.
Prendersi quei momenti per sé stesso, faceva davvero bene ad Ennis. E così, formulò un pensiero che gli fece male, ma di cui non si pentì. I don’t miss home (Casa non mi manca). Non aveva veri amici, in America. La sua intera esistenza ruotava attorno a Martin e quando lui l’aveva lasciato, era caduto in pezzi. Certo, l’incidente dei suoi genitori era arrivato poco dopo la rottura. Ed era stato arrabbiato con Martin, per non essersi presentato al funerale. Ma poi non gli era importato più di niente. Non aveva provato nulla nemmeno quando aveva scoperto dei tradimenti.
La morte dei suoi genitori era stata così improvvisa, da averlo lasciato muto per giorni interi. Non aveva un vero e proprio rapporto con loro, ad essere sincero. Da quando era uscita fuori la storia dei fantasmi, s’era creata una sorta di frattura, un allontanamento fatto di incomprensione reciproca, che era diventato ancora più forte quando aveva capito di essere omosessuale. Con quella consapevolezza, non poteva che essere più lontano da quello che i genitori volevano per lui. Fortunatamente c’era Phil ad essere il modello di figlio perfetto. Ma Ennis non odiava suo fratello. Si amavano, a modo loro.
La verità era che a mancare non era mai stato l’amore, ma le parole.
Mentre era sulla spiaggia, pensò che sarebbe stato divertente se al funerale dei suoi, sia durante il rito cristiano per sua madre che in quello chippewa per suo padre, gli spiriti dei genitori gli fossero apparsi. Sarebbe stata una bella rivincita, per modo di dire. Forse, quella conversazione alla I see you, my son. I want you and I hear you (ti vedo, figlio mio. Ti voglio e ti sento) era la cosa che gli sarebbe servita. Ma che non sarebbe mai arrivata. Quindi s’era sballato con Gervais.
Aveva passato ventinove anni ad ascoltare suo fratello Phil, ventuno ad ascoltare sua sorella Evelyn, diciotto ad ascoltare i suoi genitori, quindici ad ascoltare Gervais e nove ad ascoltare Martin.
Ed ora, ad ascoltare Ennis c’era il mare di Napoli.
 
Tornando a casa, una sera dell’ultima settimana di giungo, gli venne ansia. Non era la sensazione dell’avvento di una catastrofe, ma solo di una piccola, brutta notizia. Un qualcosa che non avrebbe voluto sapere. Per un attimo, gli balenò l’idea che, riordinando la soffitta, un giorno avrebbe trovato i resti delle ossa di Elia, e scacciò il pensiero scuotendo il capo.
Era quasi arrivato al suo portone quando il cellulare prese a suonargli in tasca, e il nome di suo fratello Phil brillò sullo schermo.

Angolo dell'autore:
ciao a tutti! Il prossimo capitolo sarà piuttosto intenso e mi scuso per aver inserito i fantasmi così poco, come nello scorso capitolo, ma le mie esigenze narrative erano altre. Prometto che il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a loro. è quasi tutto scritto, quindi dovrebbe arrivare molto più rapidamente. 
intanto vi ringrazio per il sostegno che mi dimostrate.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione o un messaggio privato, dato che per noi autori è l'unico modo per avere un riscontro sul nostro lavoro. 
vi abbraccio tutti!
NowhereBoy

 
   
 
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