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Autore: Sidney Prescott    16/07/2024    0 recensioni
Inghilterra del 1910; il nuovo secolo porta aria di novità e di sogni, ma la gente nonostante tutto continua ad ignorare una verità importante: l’esistenza di un mondo parallelo in cui il soprannaturale la fa da padrone senza alcun freno!
L’associazione Hunter, antichi cacciatori discendenti da nobili famiglie fondatrici, è l’unica barriera tra il mondo umano e quello ultraterreno, il cui compito è proteggere gli uomini da ciò che non conoscono e impedire che un simile fardello venga rivelato, distruggendo l’equilibrio tra sanità mentale e pura follia.
Una delle stirpi fondatrici, il casato Griffith, dovrà lottare con tutte le sue forze per mantenere intatto il confine tra umano e sovrumano, ma ad un carissimo prezzo: la propria famiglia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Chapter 21: Dance of Swords.

Current Day.


Part two: twilight.

«Mi dispiace infinitamente, ma non c’è più nulla da fare, lord,lady Griffith…il bambino non ce l’ha fatta!
Questo è un giorno infausto per tutti noi…»
«Ne siete sicura? Miss Maggie?Non..»
L’anziana ostetrica negò con il capo, confermando i timori dei coniugi Griffith e di ogni residente dell’immensa magione, brutalmente svegliati dalle doglie improvvise della giovane lady nel cuore della notte. Un inizio inaspettato e burrascoso, un epilogo tragico ed ingiusto; moglie e marito si strinsero in un affranto abbraccio, circondati dalla freddezza di quelle gelide pareti di marmo, dagli sguardi gravi e bassi dei servitori, dagli occhi inquieti e dispiaciuti degli ospiti, dal volto sconvolto del giovane marito, appoggiato con entrambe le mani alla ringhiera della balconata, fuori da quella opprimente sala.
Il tristo mietitore se n’era portato via un altro in silenzio, ed era uscito invece seguito da urla di dolore e pianti di disperazione, ma che durarono ben poco; la pioggia coprì ogni rumore, ogni respiro, anche quello assente di Sheelah, chiusa nella sua stanza da ore, incapace anche solo di osservare la luce flebile di un nuovo giorno oltre le cortine.
Stava rannicchiata e vuota in quell'angolo del suo letto, senza voler vedere un’anima che non fosse quella dell’amato fratello maggiore, il quale aveva ancora gli occhi carichi di sofferenza; le stringeva la mano da ore, non l’aveva mai lasciata andare, ancora seduto per terra accanto al materasso nel silenzio più completo, non osando interromperlo mai.
Un lieve bussare finalmente fece crollare il muro del limbo in cui la mente della ragazza era finita; schiuse le labbre, sussurrando un debolissimo “avanti”.
«Gwen…? Sono io, Saul…posso entrare?»
«Mia sorella non vuole vedere nessuno, quindi puoi andar..»
«No, no, entrate pure miss Burke…vi prego! Non fatevi scrupoli…»
Duncan si voltò verso la sorella, ma quella lo rabbonì con un gesto della mano tremante, ma necessario per far avanzare la bionda lady che non potè non scambiare uno sguardo indecifrabile con lo stesso grifone a pezzi, non solo nel corpo ma anche nell’anima, con i lividi di quel combattimento ancora visibili sulla pelle. Saul e Sheelah si guardarono nelle iridi sature di un clima oppressivo che entrambe conoscevano, uno che Duncan non avrebbe potuto capire così facilmente, un silenzio carico di molte più parole di quante altri avrebbero mai potuto comprendere; la Burke si tolse i guanti, avvicinandosi al capezzale della giovane senza nemmeno un abbozzo di sorriso, sapendo bene quanto fosse inutile fingere. Le si sedette accanto, annuendo ad un qualcosa che solo loro potevano sapere, sospirando con una certa difficoltà. I suoi pugni si strinsero fino a farsi color latte, proprio sulle sue magre ginocchia, forse ancora personalmente sconvolta da tutto ciò che aveva visto fino ad allora.
Sheelah si asciugò dalle guance emaciate le lacrime salate, mettendole una mano sulla sua.
«Non dovete…devi…non devi cercare le parole giuste per questa occasione; non esistono, Saul…a volte non possiamo farci proprio niente, giusto?
Dobbiamo prendere le cose come vengono!
Dio opera per via imperscrutabili e noi siamo solo…»
«Smettetela..smettila,smettila di appellarti ad un Dio che forse nemmeno esiste! Smettila di predicare, di subire, di ascoltare consigli di cui nemmeno ti importa…smettila e basta!
Tutto questo è orribile, e hai ogni diritto di urlare e sentirti a pezzi…»
Sheelah la guardò con un cenno di comprensione, ma fece solo spallucce, tornando ad osservare la stessa culletta vuota che non sarebbe mai stata riempita; ritornò a guardare negli occhi blu Saul.
«A che prò, me lo dici? A che servirebbe? Non l’hai sentita mia madre, poco fa…”potrai riprovarci, tra qualche tempo!” o anche la stessa ostetrica “sei ancora così giovane, ne avrai a nidiate di marmocchi!”
Tutto è così facilmente sostituibile che è privo di significato…ma è questo il nostro compito…è questa la nostra sorte, giusto?
Quindi, miss Burke, la prego di non incitare il mio animo contro una guerra già persa…»
«NON…
Non è una guerra persa, Sheelah!
Se sei viva c’è ancora un motivo, non credi? Hai perso tuo figlio, ma questo non significa certo che non hai nient’altro per cui vivere! Sei molto di più che un semplice programma, sei una donna!
Con un cervello, con dei sogni…con…una vita che non può essere limitata solo da un merdosissimo anello.»
Senza alcuna esitazione, la mano di Saul scaraventò nel vuoto la fede d’oro della giovane Griffith contro il muro, lasciando Duncan con il respiro in gola, non aspettandosi affatto simili parole da una persona la cui famiglia era la colonna portante del tradizionalismo inglese. 
Le mani delle due giovani finirono per incrociarsi, quasi a rafforzare quel legame interiore travagliato; uno silenzioso, l’altro visibile e sofferto, uno nascosto, l’altro chiaro e insostenibile.
«Credimi, ho già visto due delle mie sorelle rovinate da questo tipo di vita, da un marito che non amavano, da una vergogna che la società non poteva accettare!
Mia sorella maggiore ha scelto di accettare il suo ruolo e di recitarlo in sordina, mentre di nascosto distrugge ciò che ne resta della sua dignità, e l’altra?»
L’immagine delle labbra di lord Cillian su quelle di Charlotte ancora tormentava la sua memoria, la sua ragione, stringendo un pugno di lenzuola quasi a stracciarle. Sheelah la fermò, sollevandole il viso verso il suo, avvolto in una pace quasi sinistra, bizzarra, come se non avesse appena perso un figlio che portava in grembo da 9 mesi.
«Ma io l’ho accettato, sebbene avrei potuto fare diversamente…tu invece no! Sei in continua lotta sotto queste vesti, e morirai se non te ne disfi al più presto!
Io ho già fatto i conti con me stessa…Evelyn, perchè è questo il tuo nome, giusto? Saul è solo un odiosa copertura che vostro padre tanto ama mettervi addosso per una colpa che nemmeno esiste, su cui imputa ogni sua insoddisfazione personale, ma tu non ne hai alcuna colpa, Evelyn.
Prima lo capirai, e meglio sarà..e ora..vi pregherei ad entrambi di lasciarmi in pace, per favore…»
«Sheelah…ma…» 
Lady Burke non riuscì a terminare la frase, trovandosi le mani gelide ma presenti di Duncan sulle sue spalle, quasi ad intimarle il più delicatamente possibile di rispettare i desideri di sua sorella, almeno una volta.
E così fu.
Non si parlarono, uscirono solamente da quella triste stanza ancora decorata in stile completamente fanciullesco, quasi di bambina; che razza di mondo, di sistema era quello?
Una ragazzina ancora bambina che doveva generare un altro bambino a sua volta! No. 
Questo Saul non lo poteva sopportare.
Duncan si fermò non appena si accorse che la giovane non era più alle sue spalle, bensì ferma e tremante in un punto buio del corridoio in preda ad una violenta crisi di nervi che venne in breve scaricata su ogni mobilio di passaggio. Gli occhi azzurri del giovane grifone finirono per sgranarsi mentre il suo viso divenne ancora più pallido, ma non rimase con le mani in mano; non ci fu speranza per salvare i costosi vasi di lady Griffith, o alcuni dipinti dal valore inestimabile, la furia di quella giovanissima donna sembrò finalmente prendere il sopravvento che tanto aveva celato dietro a vesti inadatte a se per anni infiniti, insopportabili, soffocanti.
Nemmeno le braccia di Duncan avvolte attorno a se stessa riuscirono a fermarla, cosa di cui il ragazzo si sorprese: tanto minuta, ma altrettanto impetuosa ed orgogliosa, come una colomba purissima che non avrebbe mai perso il desiderio di volare. Finì pure per essere scagliato contro il muro di schiena, ma il grifone non si sognò di lasciarla andare, rimandendo piuttosto così, fermi e zitti per diversi minuti, mentre alcune lacrime tiepide cadevano sulle mani dello stesso ragazzo.
Saul non trovò modo di giustificarsi, ma non era certamente suo compito farlo, non quella volta.
«Mi dispiace…Evelyn…» 
«Vaffanculo…vai a fanculo pure tu! TU, E TUTTI GLI UOMINI DI MERDA CHE CERCANO DI FOTTERCI DAL PRIMO MOMENTO IN CUI SIAMO NATE, VAFFANCULO A TUTTI QUELLI COME VOI CHE NON FANNO ALTRO CHE FARCI SENTIRE INADEGUATE e…e sbagliate!
Sbagliate perché vogliamo essere libere,senza costrizioni, senza obblighi assurdi, senza delle maledette scadenze da rispettare…questo siamo per voi!
Delle schifose scadenze…ci volete sposate prima dei vent’anni, cosicché ci sia più possibilità di darvi figli sani, e maschi, degni di portare il vostro cognome, affinchè porti avanti la vostra merdosa eredità fatta di ignoranti credenze e menzogne!
Non siete uomini, siete fantasmi che osannano vecchie storie di cui non sarete mai i protagonisti, siete le vostre stesse vittime infelici che si inchiodano al pavimento pur di non farsi trascinare dai vostri veri interessi e sogni, e ciò che è peggio…è che ci inchiodate insieme a voi…
LASCIAMI!» 
«Se fossi stato veramente come quel tipo di uomo di cui tu parli, allora sappi che ti avrei già dato uno schiaffo a quest’ora!
E mi rifiuto di credere che pur di dar corda al tuo odio faresti di tutta l’erba un fascio…» 
Sebbene i loro visi non fossero l’uno dinanzi a quello dell’altro, Saul e Duncan sembrarono quasi in una sorte di pace condivisa, a terra in ginocchio fra i cocci rotti e i fiori appassiti, in un momentaneo di silenzio importante. Quella non rispose, ma il ragazzo continuò, ammorbidendo la presa sulle sue spalle sottili.
«Noi due non ci conosciamo bene, miss Burke, e devo dire che sei un tipo davvero singolare, e che ha come specialità dar sui nervi!
Mi dispiace per come ti ho trattata l’altro giorno, mi dispiace averti giudicata come tutti hanno sempre giudicato me e la mia famiglia, non mi reputo poi così diverso a questo punto, ma ti prometto…per quel che può valere, anzi ti assicuro, che non sarò mai quel tipo di persona, di uomo, per nessuno…nessuna donna, mai.
E non lo faccio solo per te, ma per me,per mia sorella, per una figlia che potrei mai avere ma per cui non mi sento degno di essere il padre!
Te lo giuro, Evelyn…» 
Giurare, promettere, proclamare, erano tutti splendidi versi per poter stravolgere o incantare le orecchie di una fanciulla, ma non certo quelli per assicurare una donna, che basava le proprie fondamenta su altri tipi di certezze, e quelle si chiamavano fatti. Evelyn ed Eris avevano sentito a lungo la voce di un uomo, padre, superiore, compagno che fosse, vantare parole basate su un onore fallace, e quelli erano i risultati; la prima in ginocchio, la seconda con il viso rivolto verso una lastra di marmo bianco, eterno riposo di un’altra donna morta troppo presto, che giaceva in un letto di celate verità e di sogni mai realizzati. Le rose erano fresche, si poteva sentire il loro tenue profumo anche se camuffato dall’eccesso di gerani  e altre piante completamente prive di significato; il mozzicone ardente della sigaretta di Eris diventava intensamente rosso ad ogni boccata di fumo, forse l’unica cosa in grado di ardere ancora vivo, poiché gli occhi del ex capitano erano più spenti di quella Madonna dalle mani giunte, messa ad avamposto della privata cappella di famiglia di casa Griffith. Il grifone arrogante era stato scolpito anche li, a sfregio anche della morte stessa; quella sorrise sarcastica, forse perchè nemmeno ricordava quel vile dettaglio; molti nomi ormai decoravano gli interni di quella struttura tetra e ingrigita ma li ignorava tutti, tutti tranne quello di sua madre. Rimase ad osservare la fotografia incastonata permanentemente nell’ovale dorato, non riconoscendo in se stessa nemmeno un briciolo di somiglianza; ne sorrise ancora di più con l’amaro nelle viscere, facendo cadere irrispettosamente la cenere proprio al suolo.
«Ogni tanto mi guardo allo specchio e cerco di ricordarmi com'era la mamma...
Sai, magari nelle affinità, o nella forma del viso, o degli occhi!
Poi smetto di guardarmi perché lo specchio, anche se tutto rotto, non potrà mai essere la causa principale della mia amnesia; la mamma ed io non ci siamo mai somigliate, perché non ci siamo nemmeno mai conosciute e mai lo faremo!
Anzi...sono la cosa più lontana da lei che ci possa essere, e onestamente va bene anche così; se l’avessi eguagliata avrei dovuto soddisfare aspettative che questa faccia di cazzo mi consente bellamente di azzerare, non pensi...papà?» 
Se Trystan era un dolore vivo e bruciante, Eris invece era la morsa altalenante della tagliola di un cacciatore, che tagliava lentamente la carne in base agli inavvertiti movimenti del malcapitato; Rhys rimase sulla soglia della porta, con gli occhi ancora intrisi di una pena appena sofferta, pena che per la figlia maggiore non sembrò significare granchè, ma era rimasta nei paraggi abbastanza a lungo da sentire i lamenti funebri di un termine assai sciagurato. 
Un padre ed una figlia messi su una scacchiera inclinata verso il baratro della depressione più acuta, dai sintomi contagiosi sebbene riversati in due forme nettamente differenti, ma non meno malati o tossici. La sigaretta di Eris venne spenta contro la fotografia di uno dei tanti caduti di quella antica famiglia, il quale non avrebbe certamente reclamato per uno sfregio così impudente.
«Che succede, comandante Griffith...?
L'ultima volta che ci siamo visti, mi aveva ribadito che ai membri di questa famiglia non era permesso piangere.
Ma vedo che c'è stato un cambio di gestione...
Lady Rhiannon è diventata più audace dopo la mia partenza? A giudicare dai fiori, oserei dire che l’asfissia è un modo assai creativo per nascondere il terribile olezzo della viltà, ma a ciascuno i suoi sistemi! Giusto?»
Chiese lei quasi come se non si stesse rivolgendo ad un padre assente da 10 anni, quanto più al giardiniere di famiglia. Il comandante mosse dei passi in avanti, osservando con i suoi occhi il mostruoso frutto delle sue scelte passate, che si era presentato alla sua porta con tanto di conto fra le mani; il suo cuore era compromesso e quel cambiamento fu duro da reggere, ma non abbastanza dall’impedirgli di avvicinarsi ancora, un passo sempre più avanti a ciò che non avrebbe mai dovuto lasciar andare. Eris indietreggiò impulsivamente, arrivando così al muro, proteggendosi con l’alone di fumo fitto che sembrava renderla offuscata e distante da chiunque provasse ad avvicinarla. Rhys si fermò, rispettando implicitamente quel desiderio.
«L’ultima volta che ci siamo visti ero sordo, cieco e anche muto, quindi non posso certamente lasciare sola mia moglie davanti alle tue accuse…Eris.»
La mano della cacciatrice tremò al sentire il suo nome pronunciato da quella voce, lontana dal tono di rimprovero o di delusione, o almeno, non rivolta verso se stessa, quanto più verso chi aveva appena parlato. Rimase impassibile agli occhi, ma la sua anima era testimone muta della decadenza di un uomo che aveva sperato di rivedere ogni giorno in 10 anni, per insultarlo, amarlo, odiarlo, venerarlo, ucciderlo e abbracciarlo. 
«Non saranno i tuoi rimorsi, vecchio, a cambiare tutto quello che è già successo…credimi! Ci ho messo tanto tempo a capirlo, ma ormai ho accettato il fatto che l’unico modo per pagare per le proprie colpe è spegnersi lentamente, e noto che tu lo stai facendo nella maniera peggiore di tutte.»
Il grifone di casa Griffith alzò le braccia al cielo, lasciandosi quasi osservare in tutto il suo essere, come un imputato sotto gli occhi freddi e giudicanti di un giudice, non avendo più alcuna paura del verdetto finale, anzi, abbracciava con umiltà la sua sentenza, a differenza di qualcun altro.
«Se così sarà, allora spero di farlo solo dopo averti almeno lasciato qualcosa per cui valga la pena vivere!
Qualcosa che non sia un vuoto retaggio dorato, un titolo per cui tanti hanno pagato e che ora come ora...non so proprio cosa farcene…perchè darei fuoco anche a questa casa, se tu solo potessi guardarmi diversamente da come fai ora…ma certe cose bisogna guadagnarsele con i fatti, e non con le parole di un vecchio penitente come me…»
«Amen.»
Rispose Eris quasi con una certa reticenza, allontanandosi da quel muro gelido pur di levarsi quell’immagine pietosa davanti lo sguardo, ma non si poteva certamente nascondere, non in casa sua, non in quel labirinto di specchi da cui scappare era quasi impossibile.
Rhys la prese per un braccio, aggrappandosi quasi nel tentativo di non farla scappare via, di nuovo.
«Non posso costringerti a parlarmi, Eris, ma vorrei almeno che mi ascoltassi, solo per un momento, te ne prego.
Non posso cambiare quello che ho fatto e lo sai, e non servirebbe a niente chiederti perdono, perché noi Griffith non siamo così misericordiosi, ma voglio cambiare quello che potrebbe essere…
So di Luther, so cosa ti ha proposto! Conosco bene quel avido bastardo ma spero anche di conoscere quello che ne resta di mia figlia…»
«Oh, credimi, se mi conoscessi bene ti farei gelare il sangue nelle vene, comandante. Ogni giorno passato ad odiarti è nullo confronto a quello che tu potresti provare per me, se solo sapessi davvero…chi sono…
E non saresti così disposto a proclamarmi “tua figlia” davanti a chi ti conosce da una vita!»
«Ancora con questa storia?! Hai passato pure troppo tempo con quel nostalgico e rancoroso di Trystan per parlare così, ma ora basta!»
Il padre prese vigorosamente per le spalle la giovane figlia, facendo breccia oltre quel muro pesante di distacco, sorprendendo le stesse iridi immobili di Eris, solcate da un lampo di rimorso, o forse più di sincero pentimento nel vedere quei ruoli invertirsi più velocemente della notte dopo il freddo giorno.
«Basta…il passato è passato, Eris! Non mi importa cosa tu o lui abbiate detto o fatto, che importanza può mai avere per me? Ora vi ho entrambi qui, e non ho intenzione di perdervi con tanta facilità, e non sarà nemmeno Luther a portarti via da me…»
Inavvertitamente, la ragazza mise una mano su quella del padre ancora fissa sulla sua spalla, guardandolo confusamente.
«Di che cosa stai parlando? Perchè hai tanto a cuore le decisioni di quel frocio? Lui non conta niente per me, e non sarà la sua stupida pretesa a farmi cambiare idea.»
«Forse non la tua, ma quella del Gran Consiglio? Chissà. Vedi…ho passato anni, tanti, a cercare di nascondere le debolezze di questa famiglia, come tuo nonno fece con noi prima di voi, ma non serve a niente!
Non è mai servito a niente, se non a rovinarci la vita fino ad un punto di non ritorno…Eris…quello che cerco di dirti è che io non voglio che tu rientri nella Hunter!
Io…voglio che tu possa vivere la tua vita come una donna libera, magari…chissà, sposata, con dei figli, ma non così, non come me!
Perchè non potrai mai essere felice finchè porterai questo con te…»
Il comandante recuperò dalla tasca di Eris proprio lo scintillante distintivo di capitano, porgendoglielo proprio sotto il viso, come una prova schiacciante sul banco delle evidenze. 
La figlia guardò quella sorda di medaglia d’argento con un peso nel cuore, tornando poi ad osservare i grandi occhi scuri di suo padre con un velo di amara nostalgia, una che celava dietro tanti ricordi, molti più di quelli che Rhys avrebbe mai potuto conoscere.
Riprese quel distintivo, conservandolo nuovamente al suo posto.
«Ed è qui che ti sbagli, papà. Io non voglio essere come le altre lady che circolano in questo paese di parrucconi, io non voglio essere come mia madre, come tua moglie, come Sheelah…
Anzi, piuttosto che pensare a me, ora, dovresti curarti di lei, di Duncan, io ormai so badare a me stessa! E se pensi che la causa della mia infelicità sia stata una tua scelta, allora non hai davvero capito niente di me…tu sei stato solo quello che ha rovinato la vita della mamma, ma alla mia ci sto mettendo mano personalmente…come?
Scelte sbagliate, uomini sbagliati, fiducia mal riposta, e poi, diciamoci la verità...io e te senza la Hunter saremmo come due gladiatori senza un’arena. Abbiamo bisogno di sfogare il nostro malcontento nella violenza, nella dissolutezza, in tutto ciò che possa alleviare il nostro cordoglio anche solo per una notte…
Quindi non sarà mettendomi una fede al dito che cambierai la mia prospettiva, anzi, mi farai inselvaggire ulteriormente! Quindi…grazie, ma no, grazie.»
«No, no, no. No,questa non sei tu, e lo so per certo. Perché io ero come te, e ti sbagli. Stanno parlando i tuoi demoni, il tuo risentimento…tutto quello che non avrei mai voluto trasmetterti!
Eris non diventare come me, non farlo…»
«Eppure, sacrificheresti la felicità di Duncan pur di concedermi la mia! Ho sentito delle voci scimmiottare qualcosa di un matrimonio, con la sorellina di quella bagascia che mi ha sollevato…Batrix Lovett. Dimmi, mio fratello sa di avere i giorni contati, o lo scoprirà il giorno in cui dovrà sposarsi?»
Padre e figlia si guardarono di nuovo negli occhi con intenzioni diverse, alcuni più onorevoli di altre, ma entrambi ancora pendenti verso il precipizio di una morente speranza, sempre più evanescente.
«Tu hai pagato a sufficienza per i miei errori, Eris. Duncan ormai è un giovane uomo e non ha intenzione di prendersi un briciolo di responsabilità; so che è un ragazzo…come so che Sheelah…»
«Eppure niente di tutto questo ha impedito a te o alla tua signora di sistermarli ancora prima di rendersene conto, o dico male?
Non esistono figli di serie A o di serie B, lord Griffith, ma possono esistere solo i tuoi figli, e basta! Altrimenti avresti dovuto pensarci prima di tradire mia madre con la sua stessa sorella…quindi non venirmi a parlare di felicità coniugale, saresti solo uno sporco ipocrita…»
La presa di Rhys finì per sciogliersi, lasciando passare oltre quella figura nera, che si fermò un’ultima volta prima di andare via.
«Quando ami qualcuno diventi vulnerabile, io stavo per diventare cieca, fisicamente e mentalmente parlando, perché ho lasciato che le mie debolezze potessero prendere il sopravvento. Non sapevo più chi avevo accanto, se era l’uomo che amavo o il nemico che avevo finito per condurre tra le mie lenzuola, ed è una lezione che ho pagato con tutto ciò che una donna può avere di più caro…»
Sospirò, ripercorrendo con il polpastrello la profonda cicatrice sul viso.
«Tu invece con cosa pagherai, padre…? Vedo ancora dei loculi vuoti in quella cappella, quindi spera di riempirlo prima tu dei tuoi figli, perché credo sia un dolore a cui pochi sopravvivono, specialmente se sei stato tu a metterceli dentro.»
E con ciò, anche la campana di una chiesa suonò grava li nei paraggi, ponendo fine ad un primo e sofferto atto che conteneva in sé troppo dolore per poter essere spiegato a parole, parole ascoltate anche da chi non aveva alcun diritto di attingere a quella conversazione, ma quel qualcuno aveva già fatto fin troppo, quindi origliare non era poi di certo un peccato così scandaloso, non per una come Rhiannon Thorn. Eris aveva percepito il suo sguardo seguirla per la magione già da diversi istanti, ma non le avrebbe concesso il lusso di perseguitarla, non in casa sua. Si tolse i guanti, gettandoli da qualche parte nel salone principale, non curandosi affatto di averli appena scaraventati sul viso sonnecchiante di Diego, addormentato sul sofà accanto al fuoco, il quale rimase zitto e fermo non appena sentì una seconda figura seguire quella dell’ex capitano.
«Nessuno ti ha mai insegnato che origliare è tipico della servitù, zia? 
Oh già, dimenticavo…che quello era il tuo posto prima di sposare mio padre. Dimmi, come te la passi? Ti piace il tuo status quo? 
Immagino di si. Attenzione a non esagerare però, anche l’Impero romano è caduto…»
Con strafottenza, Eris prese posto sulla poltrona di suo padre, non molto lontana dal fuoco ardente, accomodando le lunghe gambe sul tavolo di cristallo probabilmente acquistato dalla stessa lady di casa, poggiandoci deliberatamente gli stivali sopra. La donna guardò negli speculari occhi verdi la nipote mentre stringeva compulsivamente le mani giunte sul grembo, non avendo potere alcuno su di lei se non quello che tanto torturava fra le mani: sembravano essere dei fogli, delle lettere, ma Eris non si lasciò impressionare, tornando ad osservare il fuoco.
«Cosa sarebbero? Le tue volontà testamentarie? Tranquilla, mi premurerò personalmente di lasciarti in pasto ai cani…e sono caritatevole, eh!
Un così bel corpicino, nutrito con i soldi della mia famiglia andare così, sprecato? Owf, sono crudele, ma so distinguere un buon investimento da uno infruttuoso.
I cani proteggono, cacciano, le cagne invece gemono e basta.»
«Speravo che le bestiole a cui voi caproni armati date tanto la caccia ti avrebbero dilaniata, negli anni, ma vedo che Dio ha altri piani anche per te, nipote.
Ti trovo bene…in salute, sebbene mi stupisca parecchio che nemmeno una malattia venerea ti abbia stroncato! E Trystan di bordelli ne ha frequentati parecchio…»
Affermò quella, di nero vestita, sfogliando quegli scritti proprio sotto la luce giallastra delle fiamme. Diego dovette mordersi la lingua non appena quella insolente insinuazione arrivò dritta a destinazione, accendendo una luce folle negli occhi di Eris che prese a tamburellare con le unghie sui braccioli.
«Sembri conoscerlo bene, eri anche tu nel suo fanclub di puttane? Ne hai tutta l’aria. E l’età..si intende.»
«Disse la presidentessa del suddetto fan…club…non mi dirai che il tuo amante non ti ha riferito dello scomodo scambio di lettere con mia figlia?
Vero?»
Eris rise, quasi ghignò alla provocazione di Rhiannon, massaggiandosi la stessa fronte ma non smise un secondo di tenere gli occhi ben saldi sul suo obiettivo; scosse il capo, sollevò le spalle in alto.
«Non sei cambiata nemmeno di un centesimo in questi lunghi anni! Mia madre stava morendo e tu lentamente ti infilavi nel suo letto di nozze nell’attesa che mio padre capisse che eri la sua salvezza, la sua ancora di certezze!
Tua figlia…tua…figlia ha appena perso un figlio e la prima cosa che fai è minacciarmi con il suo  diario? Oh, Rhiannon, vorrei avere la tua prontezza, a volte!
E che intenzioni avresti ora, sentiamo…sono tutta orecchie..» fece fintamente intimorita la giovane, rubando un chicco d’uva dal cesto di frutta fresca sullo stesso tavolinetto in bilico sotto il tacco del suo stivale.
La lady di casa non era sicuramente una donna sprovveduta, ma il suo essere tanto gelido e calcolatore era cosa assai lontana dall’umano amore di una madre presa nel suo cordoglio, anzi. Eppure aveva passato troppo tempo a costruire il suo castello di carte e non sarebbero state le accorate parole di suo marito a distruggerlo,affatto.
«Ho sempre saputo in cuor mio che saresti tornata, magari armata come la volta in cui cercasti di uccidere me e mio figlio…»
«Uccidere tuo figlio? Pff, non farla tragica, Shakespeare, tuo figlio non ha colpe, tranne quello di essere stato partorito da una stronza, ma per il resto è un ragazzo sano e per bene, cosa che sfugge nel tuo vocabolario, e credo che valga lo stesso per Sheelah…anche se non posso avanzare la presunzione di conoscerla poi così bene, siccome l’ultima volta che ci ho parlato aveva appena iniziato a scrivere e leggere…»
«Infatti se non fosse stato per le sue lettere, non avrei mai saputo della tua relazione fuggiasca! Iniziata proprio sotto questo tetto, in questa casa…che ne sarebbe di tuo padre se solo lo sapesse? Anzi, se sapesse che sua figlia e suo fratello…il suo unico fratello…»
«Sai…pensavo che avessi toccato il fondo quando hai deliberatamente rubato l’uomo a tua sorella, ma vedo che non c’è mai fine..al baratro della bassezza umana. Continua pure, lady Thorn…vai, prosegui, urlalo pure ai 4 venti, uccidi mio padre e tutto quello che ne resta….ma ti ricordo che in questi anni sono diventata capitano e il titolo lo danno solo a chi è tiratore scelto…»
Eris guardò la zia dal basso verso l’alto, con il viso parzialmente illuminato dal fuoco.
«…stavolta potrei non mancare il bersaglio, non pensi anche tu? E c’è un’altra cosa che probabilmente potrei non mancare; nessun problema se mi unisco a voi per la festa del futuro comandante Darcy,si?»
No. Miss Eris Griffith non lo avrebbe mancato, e lady Thorn, anzi, Griffith, avrebbe fatto bene a tenerlo a mente, mentre fuori la pioggia tornò a battere più impetuosa di prima, come non mai.
Eppure il maltempo del Galles non sembrò contagiare il resto della macabra isola britannica, anzi, negli accampamenti a nord tutto sembrava essere tranquillo, pure troppo per i gusti di Boris, che abbandonò sulla sua scrivania quel faldone infinito di documenti da controllare ed archiviare.
Era sempre stato bravo, dopotutto, a far sparire le prove, ma ora l’età iniziava a farsi sentire, anche per un hunter come lui.
Si alzò per sgranchirsi le gambe intorpidite, approfittandone per andare a controllare la tenda del capitano ancora convalescente cui sembrava riservare un po troppe premure, ma nulla che potesse allarmare cadetti o altri superiori; dopotutto nessuno metteva la parola di quell’uomo in discussione, giusto?
Nessuno, tranne lo stesso capitano ormai fuori dal letto da qualche momento; Boris guardò con stupore l’interno della tenda a soqquadro, quasi fosse passato un uragano, notando poi sotto al letto dello stesso ragazzo una vecchia di scatola di legno malandata che attirò la sua attenzione. Si guardò attorno prima di prenderla ed aprirla, non trovandoci chissà che di prezioso all’interno; l’appoggiò sulla scrivania, tirando velocemente fuori diverse lettere, tante, troppe, ingiallite, mal ridotte, alcune stracciate, altre più recenti, altre risalenti a molti anni prima. All’uomo venne quasi un colpo quando riconobbe quella calligrafia, quel mittente e a volte destinatario; sbattè forte il pugno sul tavolo, guardandosi le spalle.
Risultava quasi un piccolo ometto accanto a lui, ma dopotutto, aveva preso tutto da suo padre, quel piccolo e arrogante bastardo con lo sguardo da folle e la stazza da wendigo.
«Nessuno ti ha mai detto che è da maleducati frugare nella posta d’altri, nonno…?»
Boris si voltò furioso verso il ragazzo, guardandolo dritto in quegli inquietanti occhi contornati dal viso pallido e da due profondissime occhiaie; quelle lettere finirono ovunque, specialmente in faccia al capitano, quasi a volergliele far ingoiare.
«Sei un autentico bastardo che non sa mai quando deve fermarsi prima del disastro; avevi promesso che tra te e tua madre non c’erano state più conversazioni…Kelly!»
Quello rispose appena annoiato, non battendo nemmeno le palpebre per la conversazione soporifera, anzi, andò perfino a buttarsi a capofitto nel suo letto, appoggiato sul suo stesso braccio.
«E Teseo aveva promesso ad Arianna che sarebbe tornato a prenderla, suvvia! Sono solo semplici ed innocenti letterine, vecchio paranoico…e poi chi vuoi che venga a controllarti qui su?»
Il russo si passò nervosamente una mano fra i capelli, guardando come nulla potesse turbare il viso del suo sciagurato nipote; finì per sedersi proprio alla scrivania, non senza essersi tracannato un sorso di vodka.
«Quando ti sei svegliato?»
«Meglio che tu non lo sappia, ma si, ho riposato abbastanza bene, e ora…» fece per alzarsi, ma lo sguardo dell’altro lo intimò a sedersi di nuovo.
«Non penserai seriamente di cavartela così facilmente! Che cosa diavolo è successo, Kelly? Che cosa stai combinando sotto al mio naso!? Ho fatto di tutto affinchè rimanessi illeso e al sicuro, e ora scopro che mi stai mentendo…da più di 7 anni?»
Evgenij Novacek, nient’altro che la pura e mera maschera di Kelly Darcy, roteò gli occhi a tutta quella tragedia, ricambiando quelle accuse con un divertito cenno della mano che riportò in seguito sotto il suo capo.
«Non farla così tragica; tu hai mentito al mondo intero sulla mia esistenza per più di 20 anni, insomma, detieni ancora tu il titolo per il miglior bugiardo cronico! Oh, andiamo Boris…non avrai davvero pensato che sarebbe bastato un proiettile per uccidermi? Così mi offendi.»
Gongolò, giocherellando con la collanina d’argento dal ciondolo tondo su cui finì per specchiarsi diverse volte, tenendola sempre stretta in pungo; Boris la guardò con un’espressione corrucciata e poco serena, ricordando l’ultimo gesto della ex capitana riguardante la storia travagliata di quella catenina.
«Per proteggerti, ha rinunciato al suo posto di comando…lo sapevi?»
«Questa è la versione che vuoi leggere tu, mica quella che conosco io. Non bisogna interpretare così superficialmente il personaggio di Eris Griffith, mio caro vecchio, perché si tende a cadere facilmente nel banalizzare il tutto in una povera ed indifesa vittima.
Lo sai che provare compassione per il diavolo è una stronzata, si?»
«Eris, il diavolo? E se lei fosse davvero il diavolo, tu cosa saresti? Impudente figlio di puttana?»
Nonno e nipote si guardarono, faccia a faccia, a distanza nettamente più ravvicinata; come se fosse stato un rosario, Kelly baciò profanamente la medaglietta d’argento, appendendosela al collo come uno scenico crocifisso.
«Il suo non così umile ma abile seguace doppiogiochista, Boris…lo sono sempre stato, e credimi, non è stato poi così facile nasconderti tutto, ma grazie al tuo infinito buon cuore è stato quasi semplice farti le scarpe, in senso buono eh!»
Il vecchio superiore lo tirò su dal letto per i lembi della camicia ma quello non sembrò opporre resistenza, segretamente divertito nel vedere il castello del nonno iniziare a sgretolarsi sotto il peso delle menzogne; il polso di Boris venne afferrato da quello di Kelly che gli sussurrò velenoso parole indelebili, scandendo bene lettera dopo lettera.
«Sapevi che sarebbe successo, vecchio, lo sapevi dal primo giorno in cui mi hai accolto sotto la tua protezione che sarei tornato a reclamare ciò che mi spetta di diritto, e non sarai tu, i tuoi superiori o quella sega di Cillian Darcy a prendersi il mio di tesoro. Ho passato anni a fingere di essere un tuo compaesano del cazzo, una recluta confinata nelle terre più merdose e dimenticate da Dio; sono stato zitto e ho obbedito, subito, sono passato da un orfanotrofio all’altro ma dentro di me sapevo che c’era altro che bolliva in pentola.
Sai, è stato facile…mi serviva solo una piccola spia che mi facesse da corriere, che mi tenesse informato su quello che succedeva fuori da qui, che mi facesse…da pony express, mettiamola così…e tutto lentamente andava prendendo forma!
Quentin alla fine una sua utilità l’ha dimostrata ed è rimasto zitto, anche se devo ammettere che non ha uno stomaco forte come pensavo, ma lo sterminio a nord non l’ha fatto dormire per diverso tempo, quindi non potevo più fidarmi di lui, capisci, vero?
C’è molto di più in gioco, un qualcosa che va oltre i cervelli primitivi dei cacciatori che parsimoniosamente allevi, anno dopo anno. La Hunter è solo un ricordo, un comodo alibi, il presente invece…me lo sto creando da me!»
Gli strinse il polso quasi a spezzarglielo, ma non accade, poiché Belinsky lo lasciò andare con una certa repulsione contro lo stesso materasso, con la camicia completamente stropicciata.
«Sei pazzo esattamente come tua madre…non c’è dubbio! Voi con i vostri merdosi sogni di conquista, con la vostra ribellione del cazzo…non ci sono stati abbastanza morti? Ho mentito per anni, Kelly, ho coperto la merda dei miei superiori per talmente tanto tempo che nemmeno so più cos’è vero e cosa no, e ora viene a dirmi che hai finto di essere dormiente solo svegliarti un giorno proclamarti padrone di questo gran cazzo?
Voi giovani…non potete comprendere quanto tempo ci sia voluto per porre rimedio ai danni di altri avventati mocciosi che, come voi, hanno scatenato una guerra, con gli stessi obiettivi, guidati dagli stessi immorali ideali…e guardali ora.
Fantasmi che proseguono per inerzia nelle loro miserabili vite: ne vale poi la pena sacrificare tutto questo?!»
La domanda era retorica, ma il biondo finse di pensarci su, annuendo sarcasticamente con una mano sotto al mento. Se non l’avesse cresciuto lui stesso, Boris l’avrebbe già ucciso quand’era in fasce.
«Se pensi che te lo lascerò fare…»
«Che cosa farai, uh? Che farai? Boris? Come giustificherai la mia assenza? Vero, in tanti mi vogliono morto, a partire dalla mia incestuosa nemesi, ma arrivare ad uccidermi? Oppure come coprirai un mio improvviso viaggio, o una missione ai confini del mondo?»
«Oh, l’ho già fatto, credimi!
Non sei il primo hunter che allontano o faccio sparire, quindi non tentarmi…solo perchè sei un moccioso o perchè sei mio nipote non crederti poi così al sicuro, ragazzo! Sono di buon cuore, ma non rincoglionito al punto da lasciarti portare il caos…credi che sia stato un caso?
Uh?»
«Continua pure con la recita, nonnino caro! Non c’è niente che possa dissuadermi…»
«Nemmeno il capitano Griffith? Uh? Fai il frocio senza cuore quanto ti pare, ma lei per te conta ancora qualcosa…ed è proprio per questo che te l’ho tenuta lontano finchè ho potuto!
Tu l’hai ferita e nemmeno te ne sei reso conto, perché vedevi solo te stesso sulla tua strada della vittoria, e l’hai scavalcata; è per questo che ho iniziato a mettervi l’uno contro l’altro…altrimenti avreste finito per uccidervi a vicenda.»
Kelly si voltò meccanicamente verso lo stesso capostipite con uno strano guizzo negli occhi, ma che nascose con quel subdolo alone di indifferenza, appoggiato coi gomiti al muro.
«Tu? Ma davvero? Stai cercando di colpire i miei punti deboli pensando che cambi idea? Eh no, vecchio. Quella tattica funziona con i Griffith, mica coi Darcy…»
«TU NON SEI UN DARCY, KELLY! Sei solo il figlio bastardo di una delle sorelle menomate di Charles, tutto qui! Pensi che Cillian sia un lord educato, per bene, dai modi raffinati solo perché è cresciuto in un bel palazzo, tra tazze di porcellana e costosi merletti?
No, Kelly…»
Il peso della verità lo inchiodò al muro, lasciando che le sue spalle aderissero alla fredda e umida pietra come le spalle di Cristo contro la sua croce; ci fu un breve silenzio che fu colmato in fretta dalle stesse parole dell’uomo più anziano che stava rivivendo lo stesso film un’altra volta. 
«…sono dei folli, e Cillian è il capo del circo! Apparentemente perfetto, posato, misurato, stoico, ma basta un barlume di follia per accendere la sua psiche corrotta…io lo conosco bene, e non si farà problemi a farti sparire come ha cercato di nascondere tua madre!
O come ha nascosto altri dettagli sensibili che avrebbero nettamente pregiudicato la sua scalata come comandante, quindi si…Cillian è un pazzo pericoloso!»
«Caro nonno, non stai facendo altro che stuzzicare la mia curiosità…e poi, se credi che questo Ciliegino sia tanto pericoloso…aspetta di vedere cosa so fare io, prima di giudicare…
Sai, una volta mi sono innamorato…»
Tra le mani del cacciatore finirono i proiettili incrostati di sangue che gli furono rimossi a seguito della sua aggressione, dalla quale ormai erano trascorse diverse settimane; mise la punta smussata di quella ferraglia in controluce, osservando la patina color carminio creata dalla sua stessa emorragia, quasi sorridendo ironicamente.
«…o almeno, per quel che uno come me può definire come amore. Pensavo che fosse tutto ciò di cui un uomo poteva avere bisogno; quegli occhi che ti guardano dritto nell’anima, e non perché sanno che potresti essere un uomo migliore, che romanticizzano l’idea di un “noi”, verso il coronamento di un sogno.
Sono gli occhi di chi sanno in realtà che mostro si cela dietro al viso che sfiori ogni notte, di chi accetta con pienezza il tuo vero io senza provare a modificarlo, compatirlo o peggio, perfino comprenderlo; credevo che non ci fosse niente di meglio, finchè non ho assaggiato anche il sangue, con quel gusto amaro, orribile,esattamente come lo ero io, e come si può amare un qualcosa di così spregevole?
Esatto, non si può, ma solo quando capisci che non puoi amare qualcosa che finisci per odiarla…e non esiste devozione più profonda di quella dell’odio.»
Boris tremò nel vedere quel bagliore di sinistra ed inspiegabile fede, ma non Kelly, scostando dal suo viso anche l’ultimo biondo boccolo che gli copriva gli occhi, rendendo indelebilmente chiaro quel concetto, impossibile da offuscare.
«Odiarci è ciò che ci mantiene focalizzati sul nostro obiettivo, che ci distrugge dentro ma che ci tiene vivi, e ogni volta che guarderò quel marchio sul suo viso, che ho reso mio in eterno, allora lei  desidererà deturpare il mio!
Chissà che un giorno non ci riesca, ma avrà ogni giorno modo di vendicarsi, e io sarò qui ad attenderla…forse…
E se questa non è fedeltà, mio onorevole vecchio, allora non so proprio cosa possa esserlo.»

 
L'antico mito narra le vicende della principessa Arianna, figlia del re Minosse di Creta, e il giovane Teseo di Atene; la fanciulla, perdutamente innamorata, aiuta l'impavido ateniese a uccidere il mostruoso fratellastro affamato di carne umana: il Minotauro rinchiuso nel labirinto di Cnosso.
   
 
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