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“La cena”
“La cena”
Fabio Morini uscì dall'ospedale dopo una quindicina di giorni. Non erano state settimane semplici per lui, tutt'altro. Il dolore a volte era lancinante, la noia lo invadeva e, talvolta, la voglia di mollare tutto, di dire basta, s'insinuava nei meandri della sua mente e gli ottenebrava il cuore. Solo le visite di Alessia e di Stefano, quasi giornaliere, riuscivano a calmarlo e trasmettergli la forza necessaria per guarire quanto prima per tornare alla vita di sempre. Erano la sua medicina migliore, per questo medici e infermieri furono ben contenti di chiudere un occhio sull'orario e sul fatto che fossero entrambi minorenni e quindi, a essere pignoli, non sarebbero potuti entrare se non accompagnati da un adulto. Inoltre, Stefano, per la prima volta in vita sua, beneficiò del peso del cognome che portava.
Non mancò giorno che i due ragazzi non facessero visita a Fabio. Stefano gli portava i compiti che avevano assegnato in classe, con tanto di appunti presi durante le spiegazioni, preoccupandosi che non restasse indietro con il programma. In fondo, quello era il quarto anno, l'Esame di Stato era molto più vicino di quanto credessero. Senza contare che lui l'anno successivo si sarebbe trovato dall'altra parte dell'oceano, chi avrebbe aiutato l'amico a studiare? Ma, ovviamente, la fidanzata attirava su di sé tutte le attenzione del paziente – con la gamba tenuta su da un'impalcatura che avrebbe stupito il migliore degli architetti. Ci scherzavano su, Fabio e Stefano, ma a volte era davvero tosta!
Inoltre, Stefano aveva l'incarico di passare a prendere Alessia, di portarla in ospedale e poi di riaccompagnarla fin sotto casa.
«Accertati che entri nel palazzo» gli diceva sempre Fabio Morini ogni sera, quando i due si salutavano con una stretta di mano. E, puntualmente, Stefano rispondeva di sì, poteva stare tranquillo. Alessia, dietro di loro, si emozionava sempre di fronte a tanta premura.
Ogni volta che la ragazza scendeva dal motorino e gli passava il casco che aveva indossato, gli chiedeva di restare per la cena, i suoi genitori ci tenevano tanto a ringraziarlo per quello che stava facendo.
Dopo l'incidente, ad Alessia non era rimasto che confessare ai suoi di avere un fidanzato. Sia lei, sia Anita, si erano aspettate che una maledizione calasse su di loro, invece i due si erano dimostrati molto più affabili di quanto avevano creduto le ragazze. Senza scenate melodrammatiche, avevano ammesso di averlo intuito e che erano tanto dispiaciuti per Fabio. Infine, avevano espresso il desiderio di conoscerlo, quando si fosse dimesso, ammesso che lui lo desiderasse. Non volevano far pressione su nessuno. Anita e Alessia erano rimaste a bocca aperta, ma sollevate (soprattutto la più piccola).
Di fronte a quegli inviti, Stefano gentilmente declinava:
«Non vorrei che a tua sorella venisse un infarto» ci scherzava su, e Alessia non poteva fare altro che annuire con un sorriso. Non aveva tutti i torti, in fondo. Se Anita se lo fosse ritrovato in casa, avrebbe dato i numeri.
Una di quelle sere, però, i due giovani incrociarono il papà delle sorelle Lentini di ritorno dal turno pomeridiano alla stazione di Porta Susa.
Pioveva a dirotto da diverse ore e non accennava a migliorare, erano tutti e tre bagnati come pulcini.
«Stefano!» lo salutò l'uomo, riparandosi nell'androne del palazzo. Sua figlia minore lo raggiunse con un paio di balzi. «Che fai lì? Dai vieni, ti asciughi, mangi qualcosa e appena smette un po' vai via.» Aggiunse, accompagnando le parole con un cenno della mano che lo incitava ad entrare.
«No, davvero, grazie. Non posso restare.»
«Certo che puoi! È il minimo, dai sali!»
Stefano pensò che a casa sua non c'era nessuno. Neanche Carmensita, dal momento che aveva chiesto un giorno di permesso per andare a trovare la sorella a Milano, da cui sarebbe rientrata solo dopo le ventitré. Una casa enorme, vuota e fredda. Ad attenderlo in frigo una tramezzino da riscaldare nel microonde. Forse.
Un rombo tuonò sulle Alpi, il tempo sembrava peggiorare invece di migliorare.
«Siete sicuro signor Lentini? Non vorrei dare fastidio...» Entrambi urlavano per farsi sentire sopra al fruscio scrociante dell'acqua.
«Scherzi! Vieni, vieni! Metti il motorino qui sotto.» L'uomo gli tenne aperto il portone mentre Stefano vi entrava, lasciando il veicolo contro la parete di sinistra. Salirono i cinque gradini che precedevano l'ascensore. Un gabbiotto vuoto era la testimonianza che lì una volta c'era un portiere a tenere d'occhio il condominio. Si trattava di quei vecchi edifici della città di Torino, con mura spesse e fredde, marroni come tronchi d'albero.
«Tesoro, siamo tornati!» Si annunciò il padrone di casa, entrando nel suo appartamento. «E abbiamo un ospite!»
La signora si affacciò dalla cucina, in mano teneva un mestolo e un grembiule a quadri bianchi e verdi, con le papere.
«Oh, Stefano! Che piacere! Vieni, vieni. Togliti il giubbotto che sei tutto bagnato.»
«Ciao mamma!» Alessia scoccò un bacio sulle guance della madre. Stefano osservò la scena quasi a disagio: non ricordava neanche quando era stata l'ultima volta che aveva baciato sua madre. O viceversa. «Vado a cambiarmi. Anita?»
«È nella sua stanza.» Rispose la donna, prendendo da mano a Stefano il giubbotto che questo le porgeva.
«Mi dispiace signora, è tutto bagnato» disse.
«Chiamami Anna, per piacere. E stai tranquillo, lo mettiamo ad asciugare in lavanderia. Antonio?» La signora Lentini chiamò suo marito, il quale rispose un con “sì?” dalla camera da letto. «Per favore, accompagna Stefano nel bagno degli ospiti e fagli vedere dove sono gli asciugamani e il phon.»
«Ooocchei!!!» Rispose l'uomo da lontano.
«Se non ti asciughi quei capelli, domani ti sveglierai con un bel decimino di febbre. Tieni, metti queste» Anna lasciò ai piedi del ragazzo un paio di pantofole. «Sono di Antonio, spero non siano troppo piccole. Sei bello alto» gli sorrise e il ragazzo ricambiò, mentendo che gli calzavano a pennello.
Stefano uscì dal bagno in punta di piedi e con fare sospetto. Si sporse oltre la soglia del soggiorno, stanza attigua al bagno degli ospiti. La casa si sviluppava lungo il corridoio, dove si aprivano ben sei porte. La prima a destra, partendo dall'ingresso, dava alla cucina; seguiva sulla parete di sinistra la sala da pranzo, dove si trovava in quel momento; quindi c'era la camera da letto dei coniugi Lentini – aveva visto Antonio entrarvi e uscirne un paio di volte – ; proprio di fronte a questa era sita la stanza di Alessia; poi il bagno famigliare e, infine, in fondo a tutto, l'unica porta che ancora non si era né aperta né chiusa: la camera di Anita.
Uscì piano, lanciando uno sguardo di sottecchi verso la cucina, da cui provenivano le voci di Antonio, Anna e Alessia. Discutevano tra loro su quale fosse la risposta giusta. fra le quattro date, al quesito posto al concorrente di uno show televisivo. Perfetto. Stefano si mosse in direzione opposta, adagiando l'orecchio alla porta che, secondo i suoi calcoli, doveva essere la stanza della compagna di classe. Dal suo interno, tuttavia, non si udiva assolutamente niente. Bussò un paio di volte con le nocche, attese una risposta che non arrivò mai, per questo si decisa a entrare.
«Si può?» disse annunciandosi, mentre lasciava scorrere lentamente la porta sui cardini e sbirciava all'interno.
Anita era di spalle, davanti al PC, con le cuffie nelle orecchie non si era accorta di nulla. Stava scrivendo a computer. Stefano la osservò battere sulla tastiera con una deterinazione che non le aveva mai visto prima. Sorrise, dando uno sguardo fugace all'ambiente.
Non si era mai chiesto come potesse essere la stanza di Anita Lentini, di solito quelle cose non lo interessavano. Ma, dovette ammettere, tutto ciò che c'era lì dentro, dalla mobilia agli oggetti, rispecchiavano l'adolescente che l'abitava. Uno scaffale di legno chiaro contava una trentina di romanzi, da lontano Stefano riconobbe alcuni titoli. Ai ripiani inferiori c'erano i libri di testo della scuola, dizionari, quaderni. Lo zaino era stato abbandonato ai piedi di una sedia, sopra la quale c'era una felpa e un jeans oversize, la sua divisa preferita, insomma, ripiegati con cura. Il letto di ferro battuto era sgombro, fatta eccezione per un unico peluche datato sorretto dal cuscino; sul comodino lì vicino c'erano un racconto fantasy e una vecchia foto di lei bambina.
Stefano tornò con l'attenzione sulla compagna di classe: se contava sull'effetto sorpresa non doveva perdere tempo, sarebbe potuta accorgersi di lui o gli altri membri della casa avrebbero potuto beccarlo lì dentro e non ci avrebbe fatto una bella figura. Perciò, avanzò con passo leggiadro, chinandosi in avanti per tirarle via una cuffia dall'orecchio:
«Ciao, Lentini!» disse con voce sommessa.
Anita scattò in piedi e si riparò dietro la scrivania, una mano sul cuore che galoppava contro il petto e un'espressione terrorizzata sul volto.
«Che-che...» deglutì.
«Piano, Lentini. Respira. Non sono mica un fantasma. Boooh!» Fece Stefano, mimando uno zombie che si muove a scatti. Rise da solo, sedendosi davanti allo schermo dove prima c'era accomodata lei.
«Alessia, giuro l'ammazzerò un giorno o l'altro!»
«Esagerata!» Continuò lui, come se nulla fosse accaduto, come se trovarsi lì fosse la cosa più normale del mondo. Scosse il mouse e lesse qualche riga del documento di Word che pocanzi teneva incollata su di sé l'attenzione di Anita. «Vediamo un po' che cosa stai scrivendo...»
La ragazza tirò via la presa della corrente, il PC si spense di colpo. Stefano sollevò uno sguardo allibito:
«Sei pazza! Sai che puoi fottere la scheda video?»
«Non fa niente!» Ribatté la ragazza.
«Spero almeno tu abbia salvato o dovrai riscrivere tutto d'accapo.» Stefano si alzò, questa volta raggiungendo il comò vicino al letto e fingendo di interessarsi al libro fantasy, ma in realtà il suo obiettivo era un altro oggetto che aveva adocchiato appena entrato lì dentro: la foto di lei bambina.
«”Cronache del Mondo Emerso” di Licia Troisi» Stefano soppesò il racconto un paio di volte, volgendo poi ad Anita un sorriso di scherno. «Chissà quando imparerai a leggere qualcosa di serio, al posto di questi romanzetti rosa.»
«Senti, non sono fatti tu... no, no, no!» Anita girò intorno alla scrivania – sbattendo con il bacino contro l'angolo del mobile – quando capì che Stefano aveva notato la fotografia. Le si gelò il midollo mentre se la portava sotto agli occhi.
«Sei tu da piccola? Ma che carina!» Alzò gli occhi castani su di lei, mentre un sorrisetto criminale gli correva da un angolo all'altro della bocca. «E sei tutta nuda!»
«Idiota!» Anita gli tirò via la foto dalle mani, era tutta rossa in viso e sentiva un gran calore che le irradiava le membra, nonostante la colonnina di mercurio fosse intorno ai tre gradi centigradi.
«Ani! Vieni?!» Alessia si affacciò nella stanza, meravigliandosi di trovarvi anche Stefano. «Ah, sei qui? Perfetto! È pronto!» Aggiunse, pimpante.
«Ottimo! Ho una gran fame!» Stefano uscì per primo, sembrava euforico.
Anita intanto riponeva nel proprio angolo il portafoto, osservando per qualche secondo l'immagine che la ritraeva a pochi anni di vita, mentre faceva il bagnetto in una bacinella di plastica azzurra, sorretta dalle braccia di suo padre. Era sorridente, felice e, inevitabilmente, nuda.
«Ehi, tutto a posto?» Alessia la riportò con la mente al presente. «Sei tutta rossa. Non è che hai la febbre?»
«Di avvertirmi che stasera a cena ci sarebbe stato anche quell'idiota ovviamente non ti è venuto in mente?!»
«L'ha invitato papà. Ma che problema hai con Stefano?»
«Nessuno. Neanche uno, guarda!» Rispose Anita, oltrepassandola.
Irrimediabilmente, l'argomento principale della serata in casa Lentini furono Anita e Alessia. Stefano si comportò da ospite perfetto, tanto da far riemergere nel cuore della signora Anna e di suo marito Antonio il rimorso per non aver tentato la sorte provando a mettere al mondo un figlio maschio. Lo avevano desiderato tanto, ma quando era nata Alessia avevano deciso di comune accordo di fermarsi: non potevano permettersi un terzo figlio.
Il ragazzo aiutò la donna a sparecchiare, alzandosi ancor prima che lo facessero le sue figlie.
«Toccherebbe a loro farlo, non a te!» Disse lei, alzando volutamente il tono di voce per farsi sentire.
«Stasera toccava ad Anita!» Chiosò Alessia.
«Non è un problema per me», sorrise Stefano.
«Ad avercene di figli come te!» Sospirò ancora Anna, lanciando un'occhiata in direzione di suo marito, il quale non era per niente avvezzo ai lavori domestici.
«Ho notato che i vostri nomi cominciano tutti per A. È un caso o è voluto?» Chiese ad un tratto Stefano, riprendendo il suo posto tra Antonio e Alessia, di fronte c'era Anita, quest'ultima seduta fra la sorella minore e la mamma.
«Diciamo che all'inizio è stato un caso, con l'arrivo di Alessia è stato voluto» rispose Anna, adagiando al centro del tavolo il vassoio con la caffettiera e quattro tazzine.
«Anita porta il nome di mia mamma» intervenne il signor Lentini, prendendo dalle mani della moglie la tazza che gli veniva offerta. «E poi abbiamo pensato di dare ad Alessia un nome che cominciasse con la A, tanto per non escluderla dal club» scherzò l'uomo, strappando un sorriso a tutti.
«Tieni Ani», la mamma le lasciò il caffè sotto al naso, lei lo annusò: adorava quell'odore. «Stefano, tu ne prendi un po'?»
«Sì, grazie» rispose il giovane ospite, fissando lo sguardo sulla compagna di classe. Non sapeva le piacesse il caffè. «Trovo che Anita sia un bel nome» aggiunse, soffiando nella tazzina il liquido nerastro e bollente. E per nascondere il ghigno. Anita per poco non si strozzava ingoiando. Tossì un paio di volte, pulendosi il muso con il tovagliolo. Se solo avesse potuto rispondergli a tono!
«Vero?» Le fece eco la madre della ragazza, la quale per Anita aveva un debole, inutile negarlo. Forse perché era la primogenita, forse perché era più simile a lei caratterialmente. «A lei non piace.»
«Mamma!» La rimproverò la figlia.
«Mi fa venire in mente la moglie di Garibaldi. Forte, coraggiosa, fedele compagna del suo uomo», Stefano sorseggiò sfidando con lo sguardo Anita Lentini. Sembravano tornati ai primi mesi di scuola dell'anno precedente, quando in classe si lanciavano frecciatine in continuazione.
«La moglie di Garibaldi è morta per seguire il suo uomo» gli fece il verso proprio la ragazza.
«Tu non corri questo rischio, immagino...»
«Di morire dici? Tutti prima o poi dovremmo passare a miglior vita.» Anita bevve l'ultima goccia di caffè rimasta nella propria tazzina.
«Non intendevo quello...» sussurrò Stefano sporgendosi in avanti per lasciare la tazzina vuota sul vassoio e accorciare la distanza fra i loro volti.
Anita non fu certa di capire bene cosa volesse intendere con quell'affermazione. Quale rischio, secondo la sua mente bacata, non correva?
Essere forte e coraggiosa?
Essere fedele al suo uomo?
Avere un uomo?
Dio, che faccia di schiaffi gli avrebbe fatto!
Al momento di salutarsi si riunirono tutti sul pianerottolo, eccetto Anita che rimase sulla soglia dell'abitazione, quasi nascosta allo sguardo indiscreto di Stefano. Si stavano consumando le corde vocali a furia di tutti i convenevoli: “torna presto”; “sei il benvenuto”; “vieni quando vuoi, ti aspettiamo”; “grazie, è stato un piacere”; “scusate il disturbo”; “nessun disturbo, anzi, grazie a te per la compagnia”.
Come no, pensò Anita a quell'ultima frase in particolare, quando la voce della madre che le chiedeva di buttare la spazzatura e accompagnare Stefano fin giù le bloccò il respiro.
«Tocca a te, tesoro! Alessia è andata ieri!» La madre le passò la busta di plastica nera, la figlia aveva l'aria afflitta e sconfitta. Sbuffò, cominciando a scendere i primi scalini della rampa. Erano al quarto piano.
«Non prendi l'ascensore?» Chiese Stefano, che aveva già pigiato il tasto per richiamarlo.
«No» rispose solo la compagna di classe.
«Ha paura» spiegò Alessia – beccandosi l'ennesima occhiataccia da parte della sorela maggiore. A lui non rimase che entrare nel vano ascensore.
L'aspettò con le braccia conserte e le spalle contro il gabbiotto del portiere, le gambe incrociate e l'aria baldanzosa. Quando lei lo raggiunse si sforzò di non dar peso al sorrisetto di scherno che teneva dipinto sulle labbra.
«Fingi che io non esista ora?»
«Indovinato.»
«Ah, ho capito! Vuoi cambiare strategia: non mi dai confidenza così farò di tutto per attirare la tua attenzione!»
Anita uscì in strada, seguita da Stefano, il quale era rallentato dal motorino che stava spingendo con entrambe le mani sullo sterzo.
L'aria era gelida e l'umidità della pioggia penetrava nelle ossa. Aveva smesso di piovere, per ora, ma i lampi e il rimbombo dei tuoni in lontananza annunciavano un nuovo temporale. Febbraio era sempre così da quelle parti d'Italia.
«Non mi rispondi neanche più?»
Anita aprì il cassonetto dell'immondizia e vi gettò il sacchetto scuro che teneva in mano. Il coperchio si richiuse con un tonfo che emanò una ventata maleodorante.
«Sei stato inopportuno stasera, lo capisci?» Sbottò lei, allo stremo della pazienza. «Sei venuto in casa mia, senza che io lo sapessi. Ecco cosa succede quando lascio che siano gli altri a prendere decisioni che coinvolgono anche me!»
«Guarda che è stato tuo padre a invitarmi! E prima di entrare nella tua stanza ho bussato – non come qualcuno che si è intrufolata senza permesso! – ma tu avevi la musica sparata a palla nelle orecchie!»
«Hai violato la mia privacy!»
«Esagerata!» Stefano avanzò verso di lei, tirandosi dietro il veicolo, a pochi metri dall'ingresso del condominio. Le accarezzò le punte dei capelli castani, lisci come spaghetti, meravigliandosi si sentirli morbidi e setosi al tatto. Di nuovo quell'espressione criminale stampata in faccia: «Stai tranquilla, non dirò a nessuno che ti ho visto nuda», sghignazzò.
Anita gli diede un colpetto sul dorso della mano e si allontanò, rossa come un peperone:
«Perché non è vero! Idiota!» Ormai aveva perso il conto di quante volte aveva proferito quell'insulto nell'arco di una paio d'ore, ad alta voce e – in particolare – nella sua testa. Fece per andare via, quando la voce di Stefano la trattenne qualche minuto ancora.
«Scusami. Non credevo ti seccasse tanto.»
Anita si girò a guardarlo, era salito in sella al veicolo e stava indossando il casco. Un tuono esplose sopra di loro, seguito da un fulmine violaceo che illuminò le nubi bluastre.
Thunder&Storm, pensò lei, senza alcun nesso.
«Pioveva e a casa non c'era nessuno. Sarei uscito con Fabio, se lui non stesse in ospedale, o sarebbe venuto lui da me a mangiare una pizza, giocare alla Play.» Mise in moto, togliendo il cavalletto con un colpo di tacco.
Ad Anita si strinse il cuore. Anche lui si sentiva solo, come lei? Ripensò alle parole della madre in ospedale, alla situazione del padre e della sua seconda famiglia. Alla partenza per l'America...
«Stefano» lo chiamò, e attese che si voltasse a guardarla prima di continuare. «Fai attenzione, sta per venire giù un acquazzone.»
«Non capisco se me lo dici perché sei davvero preoccupata o come malaugurio.» Risero entrambi. «Buonanotte, Lentini. Ci vediamo domani a scuola.» Stefano si immise nella carreggiata deserta e all'incrocio Anita lo vide svoltare a sinistra. Tornò all'interno dell'androne del palazzo, con l'animo un po' più leggero. In fondo, averlo avuto a cena era stato divertente.
Stefano rientrò a casa sua un attimo prima che il cielo riversasse sulle loro teste il finimondo. Lasciò cadere le chiavi nel posacenere di ceramica vietrese sulla consolle all'ingresso e si sorprese di notare la luce accesa in cucina. Vi entrò, trovando Carmensita sulla sedia a dondolo, un poncho di lana sulle spalle e i suoi inseparabili ferri. La donna si voltò a sorridergli:
«Stefanito, dove sei stato?»
«A casa di... amici» rispose lui, restando sulla soglia della porta. «Sei tornata presto. Se lo avessi saputo sarei rientrato prima.»
«Ma no, hai fatto bene a stare con degli amici. Hai cenato?»
«Sì.» Stefano si trattenne qualche secondo di troppo e la governante non poté non notare il suo tormento. Gli occhi le si addolcirono:
«Pene d'amore?»
Stefano Parisi sorrise, a volte si chiedeva se quella donna non fosse un'indovina.
«Lei è una brava ragazza, Carmensita. E io, invece...» Stefano si passò una mano fra i capelli bruni, tirando indietro il ciuffo. «Le spezzerei il cuore...» Ecco, l'aveva detto. Carmensita si alzò e lo raggiunse. Gli carezzò una guancia come faceva di consueto quando stava per dire una cosa importante che chiedeva la massima attenzione:
«Anche tu sei un bravo ragazzo, mì amor. Anche tu. Tienilo a mente.»
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Ciao bella gente!
In via del tutto straordinaria ho pubblicato dopo dieci giorni circa, ma a partire da questo capitolo ritorno all'aggiornamento precedente, ossia ogni 15 gg.
Questo è stato l'ultimo capitolo "tranquillo", nel senso che dal prossimo ci sarà un crescendo che ci porterà poi alla conclusione dell'intera vicenda- anche la prof.ssa Dell'Arco ha ancora qualcosa da raccontare...
Eh sì, ormai non manca più moltissimo alla fine, diciamo che siamo ai 3/4 del racconto :)
Come sempre, io vi ringrazio tantissimo per il tempo che state dedicando a Ⱦhunder&Storm, senza di voi probabilmente la loro storia sarebbe rimasta rinchiusa in un file sul mio pc. Perciò, grazie! <3
Augurandovi uno splendido weekend (infuocato), vi abbraccio forte forte,
Nina^^