“La famiglia è il
fondamento
di ogni società.”
EPILOGO
Il tamburo rintoccava come un orologio l’ininterrotto
incedere dei condannati verso il patibolo.
Uno alla volta,
tutti i ribelli che non erano morti in battaglia o non avevano avuto il
coraggio di mettere fine alla propria vita venivano portati fuori dalle gabbie,
e scortati da un picchetto percorrevano a passo di marcia la breve strada verso
il patibolo nella piazza centrale di Maligrad.
Niente corde o
pire. Si trattava pur sempre di nobili, in alcuni casi veri e propri eroi
militari, e almeno l’onore di una morte rapida si era deciso di concederglielo.
Aria, che
osservava la scena dalla terrazza di un palazzo, trovava quasi inverosimile un
cerimoniale tanto complesso e formale; anche nel modo in cui dispensava la
giustizia verso i traditori l’Impero non si smentiva mai.
Il Barone Severus
e sua figlia stavano in una gabbia a parte, e sarebbero stati gli ultimi.
Severus aveva
chiesto di poter salire al patibolo prima di Ophelia, e che gli fosse
risparmiato almeno il dolore di veder morire l’unica figlia rimastagli, ma il
Senato era stato inflessibile; il capo dei ribelli sarebbe morto per ultimo,
dopo essere stato costretto a guardare la fine di tutti i suoi seguaci. E per
lui, solo per lui, non ci sarebbe stata la rapida lama di una scure, ma la
lunga agonia dell’impiccagione.
Dopo quasi tre ore
di esecuzioni ininterrotte si era ormai prossimi alla fine; il popolo, che
all’inizio aveva salutato con un boato di esultanza ogni singolo colpo di
scure, ora sembrava quasi annoiato, e sembrava che la maggior parte fosse
rimasta lì solo per poter dire un giorno che erano presenti quando il più
infame dei traditori aveva incontrato la sua giusta fine.
Ophelia sembrava
una statua di ghiaccio, ma quando ormai mancavano solo una manciata di teste
prima che venisse il suo turno si abbandonò in un pianto disperato tra le
braccia del padre, che la strinse a sé accarezzandole gentilmente la testa.
Di fronte a quella
scena, Aria ebbe come una specie di epifania; la sua mente si mise a viaggiare,
rievocando ricordi che non si potevano certo definire piacevoli, ma che avevano
contribuito a fare di lei ciò che era.
Quella di Aria non poteva dirsi un’infanzia felice.
La madre, oltre ad
essere di salute cagionevole, non le dava molte attenzioni ed era spesso
scostante, come se non la considerasse realmente sua figlia, o non avesse
voglia di occuparsi di lei.
Era Victor il
figlio prediletto, l’erede designato che avrebbe ereditato il trono. La sua
nascita era stata una specie di miracolo, visto che era arrivata quando
entrambi i suoi genitori erano ormai piuttosto avanti con gli anni, e con molte
gravidanze infelici alle spalle. Forse per questo nei suoi primi anni di vita era
cresciuto così viziato e coccolato, mentre per lei invece era stato l’opposto:
lei doveva impegnarsi, dare molto e pretendere poco.
Peggio ancora, suo
padre si era messo in testa di farla crescere come un uomo, forse perché ormai
rassegnatosi al fatto che non avrebbe avuto un erede maschio.
Niente bambole,
solo soldatini; niente vestitini, ma uniformi; niente ricamo, ma lezioni di
scherma; nessun precettore o maestra di etichetta, ma generali da cui
apprendere l’arte della guerra e del comando.
A sette anni Aria
della bambina aveva solo l’aspetto esteriore, e solo perché sua madre, poco
prima di morire, aveva lasciato ad Alfred l’ordine tassativo di provare a farne
almeno una fanciulla adatta al matrimonio.
Poi, quando Victor
era cresciuto, di colpo tutte le attenzioni per quanto severe si erano spostate
su di lui, ma a quel punto ormai la rotta era tracciata nella mente di Aria.
Senza più una
madre, con un padre severo che la trascurava, e un fratello che più cresceva e
più diventava insopportabile nel suo ritenersi una sorta di predestinato, Aria
aveva bisogno di una valvola di sfogo.
E come era lecito
aspettarsi da una bambina cresciuta per diventare un soldato, l’aveva trovata
nella guerra.
Eirinn non aveva una
scuola ufficiali, ed era tradizione che i giovani di buona famiglia avviati
alla carriera militare andassero a frequentare l’Accademia Imperiale a
Maligrad.
In questo però suo
padre era stato stranamente refrattario, rifiutandosi a più riprese di
assecondare il suo desiderio di poter andare a ultimare la scuola nell’Impero e
successivamente iscriversi all’Accademia.
Questo almeno fino
al giorno in cui a Faria era arrivato Sua Maestà Arnold Ademar, da poco salito
al trono dopo la morte prematura del fratello maggiore.
L’Imperatore amava
i giovani di spirito, e per Aria sembrava aver sviluppato un interesse
particolare fin dal loro primo incontro.
Lei dal canto suo
aveva fatto del suo meglio per impressionarlo, presentandosi all’udienza con
l’uniforme della Guardia Ducale e chiedendo di poter sfidare il capo della sua
scorta. Il tutto ovviamente si era risolto in una sonora bastonata, ma era
servito ad impressionare positivamente Sua Altezza, che non aveva mancato di
invitare suo figlio Julius, anch’egli presente, a prendere esempio da una
ragazzina sei anni più giovane di lui.
A quel punto Aria
gli aveva esposto il suo desiderio di frequentare l’Accademia Militare; e
quando è il sovrano di cui il tuo regno è vassallo a chiederti una cosa è
difficile dirgli di no.
Così, il giorno
dopo aver compiuto tredici anni, Aria era finalmente salita a bordo della
carrozza che l’avrebbe portata a Maligrad, dove avrebbe frequentato l’ultimo
anno di scuola ordinaria per poi iscriversi all’Accademia.
Al suo fianco come
scorta, oltre ad alcune guardie inviate appositamente dalla capitale al comando
del Capitano Pullone, anche il maggiordomo Alfred.
Ancora non lo
sapeva, ma quel viaggio sarebbe stato assai più movimentato del previsto.
Il modo più facile per andare da Faria a Maligrad era prendere
la Via Altinia fino ad Acadia, quindi passare sulla Via Concordia che conduceva
dritti alla meta.
Ma quelli erano
tempi pericolosi; la rivolta dei Baroni andava guadagnando sostenitori a
oriente giorno dopo giorno, e la Via Altinia passava proprio ad un tiro di
lancia dai confini di alcuni feudi in rivolta.
Così la scorta
imperiale e quella ducale avevano concordato di fare il giro lungo attraverso
l’ovest, raggiungere la Via Imperiale e da qui procedere fino a Rhodes.
Tutto molto
semplice, non fosse per il fatto che subito dopo essere arrivata a Basterwick
la carovana era stata informata del fatto che la famigerata Banda Macaire aveva
preso ad assaltare chiunque percorresse la strada verso il confine a nord.
Una comune banda
di briganti non avrebbe mai osato alzare un dito contro il membro di una
famiglia reale; ma visto che nell’Impero in quel periodo erano in tanti a voler
creare problemi all’Imperatore era stato stabilito di far viaggiare Aria in
incognito, senza insegne o stendardi.
Per tutti Aria era
Lady Hanne, secondogenita del Marchese Jannsen, diretta nell’Impero per
conoscere il suo futuro sposo: il perfetto ostaggio, insomma.
E anche se la
scorta si sentiva abbastanza preparata da poter far fronte ad un pugno di
briganti, per non correre rischi si era infine deciso di allungare
ulteriormente il tragitto.
«Ci vuole ancora
molto per arrivare a Dundee?» disse Alfred sporgendosi dalla carrozza. «Lady
Aria è stanca.»
In realtà l’unica
cosa di cui Aria era stanca, oltre al sedile imbottito, era quel dannato
vestito da damigella che era stata costretta a indossare per rendere credibile
la sua finta identità; abituata com’era ormai a portare abiti maschili, mettere
una cosa simile per lei era, oltre che imbarazzante, anche terribilmente
scomodo.
«Abbiate pazienza,
signorina. Ancora qualche ora e saremo arrivati, e stanotte potrete dormire in
un letto come si deve.»
«Non posso credere
che le famose legioni imperiali si facciano spaventare in questo modo da dei
comuni briganti.»
«Fidatevi di me,
il Capitano Pullone è un soldato molto esperto. Se ha deciso di non correre
rischi è solo per la Vostra incolumità.»
«Sono
perfettamente in grado di badare a me stessa.»
«Non siate così
sicura di voi, Signorina. Siete indubbiamente un’abile spadaccina, ma il talento
serve a poco quando si ha a che fare con una banda di banditi che pensano solo
al profitto.»
Il signor Dyckings
che portava la carrozza era preoccupato anche per lo stato della strada, che
più si avvicinavano a Dundee può si faceva dissestata e pericolosa.
Così, quando la
carovana incrociò quattro bambini che giocavano, decise di chiedere loro
informazioni.
«Siete di Dundee?»
«Sì, signore.»
rispose educatamente una bella bambina con i capelli castani e gli occhiali
«Com’è la strada?
Questo vecchio rottame di carrozza non credo reggerebbe altre buche.»
«Se è a Dundee che
volete andare, mi sa che dovrete scegliere un altro percorso.» disse quello che
sembrava il capo della combriccola.
«Daemon ha
ragione.» disse l’altro bambino del gruppo. «Più avanti sono caduti dei massi.
Non credo proprio che riuscirete a passare.»
Visto che a suo
dire non ci si poteva fidare della parola di quattro bambini Pullone inviò uno
dei suoi uomini a controllare, ma questi poco dopo tornò indietro confermando
ogni cosa.
«Hanno ragione
Capitano, la strada è bloccata.»
«Possiamo
rimuovere i massi?»
«Forse sì, ma non
finiremo prima di notte.»
«In realtà c’è
un’altra via che potreste prendere.» disse il bambino di nome Daemon «Se
tornate indietro di due miglia troverete un sentiero che passa attraverso la
foresta aggirando la frana.»
«Lo si può
attraversare con la carrozza?» chiese Alfred
«Andando piano e
facendo attenzione ai rami bassi sì.» disse quasi ghignando la bambina con i
capelli rossi. «Ma la foresta è fitta, e perdersi sarebbe molto facile. Se solo
aveste qualcuno che potesse indicarvi la direzione giusta…»
«Giselle, sei
incorreggibile.» disse sottovoce l’altra bambina «Sono persone che hanno
bisogno di aiuto, non polli da spennare.»
«Per una volta non
fare la guastafeste, Mary.»
«Daemon, anche
tu?»
«La mia amica ha
ragione. Noi veniamo spesso a giocare qui, e conosciamo ogni albero di questa
zona. Con il nostro aiuto arriverete a Dundee prima del tramonto.»
«E visto che mio
padre è il proprietario della locanda del villaggio, forse potrei convincerlo a
farvi un trattamento di favore.»
La situazione
stava assumendo connotati quasi grotteschi; ma se Pullone era sul punto di
perdere la pazienza Alfred sapeva come trattare con i bambini.
«E va bene,
piccole pesti. Tre goldie a testa se ci portate fino a Dundee.»
«Facciamo cinque.»
«Septimus, ma
insomma!»
«E naturalmente ci
lascerete fare un giro sulla carrozza.»
In fin dei conti
era un piccolo prezzo da pagare per uscire da quel pasticcio, così i quattro
bambini furono fatti salire assieme ad Aria, mentre Alfred si accomodò accanto
al cocchiere.
Anche se era stata
cresciuta per essere un soldato Aria non aveva mai avuto a che fare con persone
di un ceto sociale troppo inferiore al suo; e quei quattro ragazzini, oltre ad
essere più piccoli di lei di almeno un paio d’anni, non solo erano rumorosi, ma
anche a dir poco irrispettosi.
Il loro capo in
particolare era una specie di cavallo imbizzarrito incapace di stare fermo, ma
che pur sembrando il più giovane di tutti teneva le redini del gruppo con
insospettabile carisma. Tutto l’opposto della ragazzina che chiaramente
stravedeva per lui, e che non faceva che scusarsi per le intemperanze dei suoi
tre amici.
«Vi prego di
essere paziente signorina, e vi chiedo scusa per il loro comportamento.»
«È tutto a posto. Tu
però sembri una ragazzina decisamente troppo educata per accompagnarti a questi
casinisti.»
«Come ci hai
chiamati, principessina? Guarda che qui abbiamo tutti un nome.»
«Scusa, ma eravate
così impegnati a lasciare impronte di fango sui sedili che dovete esservi
dimenticati di dirmeli.»
«Effettivamente…
In questo caso, io sono Septimus. Questo maschio mancato è Giselle, la
principessina è Mary, mentre lui è l’ultimo arrivato del nostro party, Daemon.»
«Ormai sono due
anni che faccio parte della tua banda Septimus, potresti anche smetterla di chiamarmi
l’ultimo arrivato.»
«Il tuo accento
non sembra di queste parti.» disse Aria.
«Vengo dal nord. I
miei genitori sono morti, e ora vivo con mio zio in una baita sulle montagne.»
«E tu invece chi
sei? Non sembri affatto la classica damigella di campagna.»
«Giselle, mostra
un po’ di rispetto. Vi prego di perdonarla, è un maschiaccio nel corpo di una
bambina.»
«Tranquilla. Però
ha ragione, io vengo da Eirinn. Mi chiamo A… Hanne. Lady Hanne. Sono diretta
nell’Impero per conoscere una persona.»
«Davvero?» ammiccò
Septimus. «Non sarà mica il tuo fidanzato?»
Ad Aria stava
quasi per partire istintivamente un ceffone, ma Giselle fu più veloce di lei e
stese il suo amico con un colpo degno di una lottatrice professionista.
«Sembri un vecchio
arrapato! Ma come fai ad avere di questi pensieri alla tua età?»
«Accidenti a te,
ma lo capisci o no che i tuoi pugni fanno un male cane?»
«Se continui così
non troverai mai una ragazza.»
«Se tutte le
ragazze sono come te, ne sarò ben felice!»
Aria provava quasi
invidia verso quei bambini, anche se non l’avrebbe mai detto. Nessuno di loro
era sicuramente ricco, e bastava guardare la costituzione minuta di Daemon, le
mani rovinate dalla lana grezza di Septimus o i lividi sul volto di Mary per
capire che la loro doveva essere una vita dura.
Eppure nonostante
ciò sembravano felici e molto uniti, pronti a fare qualsiasi cosa l’uno per
l’altro. Ed era una sensazione che Aria non aveva mai conosciuto.
Il sentiero indicato da Daemon e dai suoi amici non
era esattamente comodo, ma permise alla carovana di raggiungere Dundee quando
ormai era già sera.
Se non altro la
locanda gestita dal padre di Giselle era un locale accogliente benché umile, e
il modo in cui Aria e la sua scorta vennero accolti fu molto caloroso.
Pullone e i suoi
uomini erano abituati ad arrangiarsi, e anche se il dovere gli imponeva di
stare lontani dal sidro si fecero prendere ben presto dall’atmosfera gioiosa.
«Tu non vai a
casa?» chiese Aria quando si accorse che Daemon, malgrado l’ora tarda, si
attardava per dare una mano a gestire il locale pieno di avventori
«A quest’ora è
pericoloso girare da soli fuori dalle mura. In questi casi il padre di Giselle
mi permette di passare la notte nella stanza degli ospiti, e io in cambio lo
aiuto alla taverna.»
«Ma tuo zio…»
«Tranquilla,
capirà.» quindi allungò sfacciatamente la mano verso di lei dopo averle servito
lo stufato. «Soprattutto se porterò a casa delle buone mance.»
A differenza degli
altri suoi amici, Aria davvero non sapeva come inquadrare quel bambino; a prima
vista sembrava solo la piccola peste del gruppo, uno scavezzacollo tutto corse
e giochi senza nessuna fretta di diventare adulto.
Eppure sembrava
dotato di un fascino quasi ipnotico, un magnetismo particolare che spingeva la
gente attorno a lui a dargli fiducia; per non parlare dei suoi rari momenti di
maturità, durante i quali sembrava in grado di ottenere quello che voleva con
la sola forza delle parole.
«Hai un futuro
come esattore delle tasse.» disse scocciata prendendo una moneta
Nel momento in cui
le loro mani si toccarono Aria ebbe una specie di epifania, vedendo per un
istante che parve una vita intera cose che non sapeva spiegarsi.
Immagini di
soldati, di grandi battaglie, di cannoni e cavalli, di bandiere al vento e
stivali nel fango.
«Molto gentile. E
goditi lo stufato.»
Chi e cosa
accidenti era quel ragazzino?
Se la cucina e l’ospitalità erano di prim’ordine
altrettanto non si poteva dire per le camere.
Il materasso era
così scomodo che Aria malgrado fosse stanchissima prese sonno solo dopo mezzanotte,
rimuginando tra sé che forse sarebbe stato meglio andare a dormire con Pullone
e gli altri nella caserma della milizia piuttosto che in quel letto pieno di
pulci.
E per lei non ci
fu quiete neanche dopo essersi addormentata, dato che i sogni che fece furono
tutto fuorché piacevoli. Sognò di essere immersa in un mare di fuoco, incapace
di muoversi, e di sentire tutto il suo corpo bruciare facendole provare un
atroce dolore.
In una simile
situazione fu quasi un sollievo venire svegliata anzitempo; peccato che a
tirare giù dal letto lei e tutta la città nel cuore della notte fu nient’altro
che il frastuono delle campane d’allarme.
Corsa alla
finestra, Aria vide levarsi oltre le mura a nord delle inquietanti ombre rosse.
«Che sta
succedendo?» chiese appena Alfred entrò nella stanza
«Qualcuno sta
assaltando la città, Signorina. Il Capitano è andato a scoprire di più.»
Era poco probabile
che si trattasse di qualcuno interessato a lei, perché nessuno sarebbe stato
così stupido da mettere su un tale macello per fare del male ad una sola
persona.
E il rapporto che
consegnò poco dopo Pullone confermò questa teoria.
«Sono mercenari.
Li aveva assunti un signore locale per difendersi dai Macaire, l’idiota non li
ha pagati e loro si sono scatenati.»
«E per rifarsi
attaccano un’intera città?» disse Aria
«Lo sanno tutti
che questa zona è smilitarizzata da quando è stato firmato il trattato con
l’Unione. Ci sono solo la Guardia Cittadina e la Milizia a mantenere l’ordine,
ma sono solo contadini e avanzi di galera prestati all’esercito. Non hanno
nemmeno una catena di comando. C’è solo un comandante della Milizia ma pare sia
un sadico incapace, e per di più in questo momento non è in città. Ora è il suo
secondo a dare gli ordini, un certo Oldrick.»
«Ma com’è possibile
che ci sia un tale livello di disorganizzazione in una regione così
importante?» sbottò Alfred
«Resti fra noi, ma
ho sentito gran brutte storie sul Governatore Longinus. Pare che suo padre sia
un senatore molto importante. Avrà riscosso qualche vecchio favore.»
«E ora noi che
cosa facciamo?»
«L’unica cosa
fattibile, Lady Montgomery. Ce ne andiamo.»
«Cosa!?»
«Quei manigoldi si
stanno concentrando alla porta a nord, ma pare non siano in molti. Ho già
parlato con le guardie e con il sindaco. Se partiamo in dieci minuti dovremmo
poter abbandonare la città da sud ed essere al sicuro prima dell’alba.»
«Dovremmo
abbandonare queste persone!? Quei mercenari sono assassini e rapinatori.
Potrebbero fare una strage.»
«La cosa non ci
riguarda. La nostra unica priorità siete Voi. Il mio dovere è condurvi in salvo
a Maligrad, non occuparmi delle beghe di questo schifo di città.»
«Temo che il
Capitano abbia ragione, Signorina. La vostra incolumità è troppo importante per
metterla a rischio in questo modo. Se dovesse capitarvi qualcosa i rapporti tra
la nostra patria e l’Impero potrebbero guastarsi seriamente, per non parlare
dei problemi che causeremmo a Sua Maestà Ademar.»
Per tutto il tempo
del suo addestramento Aria aveva sognato il momento in cui avrebbe potuto mettere
alla prova quanto appreso in una vera battaglia.
Ma non fu tanto
questo a spingerla ad ignorare infine le esortazioni delle sue guardie, ma la
consapevolezza che in quanto soldato e in quanto nobile proteggere i deboli era
un compito al quale non poteva sottrarsi.
Del tutto
indifferente al fatto di avere due uomini che la fissavano la ragazzina si
tolse la camicia da notte, e aperto il suo baule da viaggio infilò in pochi
attimi l’uniforme della Guardia Ducale.
«Che fate,
Signorina!?»
«Io non fuggirò.
Voi restate pure qui se volete. Questa gente ha bisogno di qualcuno che li
guidi e intendo farlo, con o senza il vostro permesso.»
«Questa è follia!
Signor Alfred, aiutatemi a portarla fuori qui.»
Invece Alfred,
dopo un attimo di incredulità mista ad ammirazione, si mise accanto alla sua
signora, fissando il Capitano con occhi di fuoco.
«Io sono il
maggiordomo della Famiglia Montgomery, e obbedisco unicamente a loro. Se la
Signorina ha preso questa decisione io resterò al suo fianco.»
Per qualche motivo
Pullone non ci provò nemmeno a discutere con quel vecchio dall’aria solo
apparentemente inoffensiva, e rassegnatosi si accodò ai due nel tragitto dalla
locanda alle mura della città, dove la battaglia era già entrata nel vivo.
I mercenari non
avevano né scale né rampini, così avevano recuperato un carro riempiendolo di
tronchi e usandolo come un ariete stavano cercando di sfondare le porte, mentre
i loro compagni arcieri fornivano loro copertura.
I balestrieri
dell’Eirinn Occidentale erano famosi non tanto per la loro abilità, quanto per
il fatto che si diceva fossero praticamente inesauribili; non importava quanti
ne si uccideva, il loro numero non sembrava voler diminuire.
Ma non si trattava
né di un sortilegio né di qualche forma di allenamento particolare;
semplicemente una balestra era un’arma che qualunque contadino era capace di
usare con un addestramento minimo.
«E voi che ci fate
qui!?» strillò Aria quando vide Daemon, Septimus e Giselle intenti a scagliare
a loro volta dardi oltre le mura con armi adatte a loro. «Questo non è posto
per dei bambini!»
«Senti chi parla,
guarda che avrai sì e no due anni più di noi.» rispose Giselle mentre
ricaricava la sua arma
«Potrebbero
uccidervi da un momento all’altro! Dovete andarvene!»
«Ti sei scordata
che siamo sul confine?» disse Septimus. «Qui tutti veniamo addestrati per
questo fin dai tempi della scuola. E se cerchi Mary, sta dando una mano a
trattare i feriti.»
Aria stava aprendo
gli occhi su di una realtà che non si sarebbe mai aspettata; anche se non le dispiaceva
il suo essere un soldato qualche volta aveva pensato che suo padre fosse stato
troppo severo a pretendere così tanto da lei.
Ora invece
scopriva che fuori dal suo palazzo c’erano bambini a cui veniva insegnato a
impugnare un’arma prima ancora che a leggere e scrivere.
«D’accordo, come
volete. Ma obbedirete ai miei ordini. E lo stesso vale per tutti voi! Da questo
momento, assumo il comando della difesa di questa città!»
«E tu chi ti credi
di essere per dire una cosa del genere?» chiese uno
«Sono la Duchessa
Aria Montgomery, figlia primogenita di Berthold Montgomery Granduca di Eirinn!
E in nome di questa autorità d’ora in avanti farete tutti quello che dico, mi
sono spiegata?»
Nessuno protestò.
Non tanto per via
dello status, quanto piuttosto perché a quasi tutti, inclusi Daemon e i suoi
amici, sembrò davvero che Aria avesse tutti i crismi per guidarli in quella
situazione disperata.
Sotto la sua guida
i tiratori si fecero più coordinati e precisi, ma nonostante ciò i mercenari
riuscirono comunque a portare il loro ariete improvvisato fino al portone.
Oltretutto le
merlature delle mura non erano così alte da fornire copertura adeguata contro
le frecce degli assalitori, e dopo meno di mezz’ora da che la battaglia aveva
avuto inizio i ballatoi erano già pieni di morti e feriti.
Aria avrebbe
voluto inviare qualcuno ad occuparsi degli arcieri nemici, ma a parte la sua
guardia e pochi elementi della milizia nessuno aveva un cavallo, e il rischio
di finire tra l’incudine e il martello era troppo grande.
«Quanti soldati
abbiamo a disposizione?»
«I venti legionari
del Capitano e un centinaio tra guardie cittadine e miliziani. Alcuni civili
hanno delle lance, ma dubito sappiano usarle come si deve.» rispose Alfred
«Sono troppo
pochi. Siamo sicuri che il portone resisterà?»
«Temo di no. È
grosso, ma anche molto vecchio. Probabilmente basteranno pochi colpi perché i
cardini saltino.»
«Dobbiamo
eliminare più nemici possibili prima che riescano ad entrare. Fate venire altri
balestrieri.»
«Li stiamo
finendo. Sapranno anche tenere in mano una balestra, ma sono pur sempre dei
civili. Alcuni vengono colpiti prima ancora di aver tirato una singola
freccia.»
Nel mentre i
nemici, oltre alle frecce, avevano iniziato a tirare anche delle pietre, una
delle quali fu sul punto di colpire Aria mentre lei era occupata a dare ordini
a destra e manca.
«Attenta!»
Anche se Daemon
indossava un elmetto di cuoio l’urto fu abbastanza forte da fargli perdere
conoscenza.
Il gesto lasciò
Aria senza parole; i suoi servi e le sue guardie erano tenuti a rischiare la
vita per lei, ma quella era la prima volta che qualcuno si metteva in pericolo
in modo disinteressato per proteggerla.
«Un medico,
presto!» gridò vedendo che il ragazzino non dava segno di riprendersi
Mary, Giselle e
Septimus arrivarono di corsa permettendo ad Aria di tornare a concentrarsi
sulla battaglia, ma proprio quando stavano per aiutare il guaritore a portarlo
giù dalle mura Daemon finalmente riaprì gli occhi.
«Aïe... ma tête...
est-ce qu'un cheval m'a frappé?»
«Sia lodata Gaia.»
disse Mary abbracciandolo
«Calme-toi, mi fa
male tutto.»
«Scusa, mi sono
fatta trasportare.»
«Ci hai fatto
prendere un bello spavento, accidenti a te.»
Daemon però era
strano, e non solo per le strane cose che diceva o il modo in cui parlava.
«Tranquilla, ora
mi sta passando tutto. Grazie dell’interessamento Gi… Gina… Giulienne…»
«Giulienne? Cos’è,
non ricordi neanche il mio nome? Sono Giselle.»
«Sì, scusa.
Giselle. Se non altro sembra che almeno io riesca a capirvi. E suppongo voi
capiate me.»
«Ma quanto forte
ti hanno colpito?» disse incredulo Septimus. «D’accordo che sei sempre stato
strano, ma così è troppo.»
Daemon si rimise
quindi in piedi, guardandosi attorno come un comandante che ispeziona il campo
di battaglia.
«Ascoltatemi bene.
Voi e gli altri bambini fate il giro della città. Prendete quelli che non
possono combattere e portateli tutti al sicuro nel municipio. Io devo parlare
con Aria. Accidenti a te, Faucheur. Potevi anche scegliere un momento migliore.»
e detto questo se ne andò a passo svelto.
«Aspetta, Daemon.»
tentò inutilmente di chiamarlo Giselle. «Ma che gli è preso tutto d’un tratto?
Non sembra nemmeno più lui.»
Quando una freccia
la mancò di pochissimo però, lei e gli altri si resero conto che la situazione
stava diventando davvero pericolosa.
«Sapete che vi
dico, forse è meglio fare come ha detto.»
Daemon nel
frattempo aveva raggiunto Aria poco lontano, e guardandolo negli occhi la
ragazza per un attimo pensò di avere a che fare con un estraneo.
«Che ci fai qui?
La tua ferita sta sanguinando. Dovresti essere in infermeria.»
«La situazione sta
precipitando. Tra poco quei mercenari riusciranno ad entrare. E se i nostri
balestrieri saranno ancora qui quando succederà non ci sarà modo di difenderli.
Potrebbe finire in una strage.»
In quel momento
uno dei nemici riuscì non visto ad arrampicarsi in cima alle mura, e balzato
sul ballatoio corse verso Aria gridando e brandendo la spada. Presa alle spalle
la ragazzina fu colta di sorpresa, ma Daemon con freddezza quasi sconvolgente
raccolse la balestra di un soldato morto, prese la mira e centrò quell’uomo
nella croce degli occhi, uccidendolo sul colpo.
«Devi ascoltarmi.
Stiamo finendo i balestrieri, e continuare con questa difesa ad oltranza ci
farà solo uccidere. Se vogliamo evitare di dover abbandonare la città in mano a
quegli animali, dobbiamo essere noi a scegliere il campo di battaglia.»
«Che intendi
dire?»
«Ho un piano, ma
mi serve il tuo aiuto e quello dei tuoi soldati.»
Aria non riusciva
a credere di stare disquisendo di strategia nel bel mezzo di una battaglia con
un bambino di dieci anni.
«Di che piano si
tratta?»
Nessuno poté
sentire i loro discorsi, fatto sta che poco dopo Aria chiamò a raccolta
Pullone, Alfred, Oldrick e tutti i capisquadra.
«Possiamo ancora
salvare Dundee ed evitare altre morti. Capitano Pullone, raduni tutti i suoi
uomini e chiunque sia in grado di montare su un cavallo e radunatevi alla porta
sud in attesa del mio arrivo. Per tutti gli altri, da questo momento siete
tutti agli ordini di Alfred. I suoi ordini varranno quanto i miei.»
Ancora una volta,
nessuno sollevò una parola di obiezione. Anche perché ormai la situazione era
così disperata che veniva comodo avere così qualcuno così carismatico e sicuro
di sé da riuscire a tenere la situazione in pugno; e poco importava che a farlo
fosse una ragazzina.
«Conto su di te, Alfred.
E fa attenzione.»
«Vale lo stesso
per voi, Signorina. Siate prudente, ve ne prego.»
L’ordine arrivò perentorio, e fu visto dai pochi
balestrieri e coscritti ancora incolumi come una benedizione.
«Ritirata!
Abbandonare le posizioni!»
La cosa non sfuggì
ai mercenari, che naturalmente la interpretarono come la decisione da parte
degli abitanti di abbandonare la città. Avrebbero perso averi e case, ma almeno
avrebbero avuto salva la vita.
«Se ne stanno
andando! È il momento! Forza ragazzi, spingete! La città è nostra!»
Infervorati da una
vittoria che ormai sembrava a portata di mano, così come il bottino che li
attendeva, i banditi si radunarono attorno all’ariete, che dopo pochi colpi
ebbe ragione delle vecchie porte aprendo loro la via di Dundee.
«Gli arcieri
restino fuori! Se qualcuno tenta di scappare da qui ammazzatelo a prendetegli
tutto! Tranquilli, cercheremo di lasciare qualcosa anche per voi!»
Una volta dentro i
banditi notarono che tutte le strade più strette e piccole erano state bloccate
da delle barricate di fortuna, realizzate probabilmente nel tentativo di
rendere loro più difficile la razzia.
Ma la cosa non gli
importava; alcuni di loro erano già stati a Dundee, e sapevano che la maggior
parte delle ricchezze della città erano custodite nella cassa del municipio e
nel granario. Il resto poteva anche aspettare, ma i veri soldi erano lì.
Così proseguirono
imperterriti lungo la strada principale, bruciando e distruggendo tutto quello
che trovarono sul loro cammino.
Alla fine, tutto
quello che trovarono a frapporsi fra loro e la loro meta era un’ennesima
barricata all’ingresso della piazza, poco più di una staccionata, che
abbatterono come un’onda che si infrange su di una barca scalcinata.
Ma fu proprio per
via di quel mucchio di pietre, sedie e tavoli che non si accorsero della
presenza pochi metri più indietro di tre file di balestrieri con le armi
puntate verso di loro.
«Fuoco!» urlò Alfred
al loro fianco.
I mercenari, colti
completamente alla sprovvista, caddero a decine. E quello era solo l’inizio, perché
ad un secondo comando del maggiordomo altri balestrieri sbucarono da dietro i
tetti degli edifici tutto intorno, scaricando sui nemici una nuova serie di raffiche.
Alcuni degli
assalitori colti dal panico cercarono la salvezza in qualche vicolo secondario,
solo per scoprire che dietro quelle barricate erano appostati guardie cittadine
armate di lance e scudi; l’ideale per combattere in spazi così ristretti.
Il maldestro
tentativo dei mercenari rimasti sulla strada principale di assalire i
balestrieri fu vanificato nel momento in cui questi adottarono un cambio di
tattica.
«La prima e la
seconda fila restano in ginocchio!» gridò Alfred seguendo i consigli della sua
padrona «La terza fila si alza in piedi e spara! Dopo aver sparato, la terza
fila avanza di cinque passi, si inginocchia e ricarica! La nuova terza fila si
alza, spara e avanza!»
Sottoposti da un
fuoco incessante, considerato che la maggior parte di loro indossava
equipaggiamenti essenziali e brandiva solo piccoli scudi rotondi, i mercenari
iniziarono a perdere terreno, venendo ricacciati sempre più indietro verso la
porta.
Poi, quando i
nemici ebbero subito sufficienti perdite, venne il momento di colpire duro, e
guidati da Oldrick i membri della milizia si lanciarono in un assalto frontale
cui si unì in un secondo momento lo stesso Alfred. Il vecchio maggiordomo per
l’occasione diede prova di celare sotto l’elegante completo nero ed il
portamento composto abilità insospettabili, scagliando in ogni direzione
raffiche di pugnali che ogni volta andavano a segno senza lasciare scampo.
Con quella che
sembrava una facile razzia che stava assumendo per loro i contorni di una
strage molti mercenari a quel punto cercarono la salvezza fuggendo da dove
erano venuti, ma li attendeva una nuova, brutta sorpresa.
Dopo aver lasciato
la città da sud, Aria aveva guidato un manipolo di cavalieri al galoppo tutto
attorno alle mura, piombando da un momento all’altro sugli arcieri mercenari
che attendevano ancora all’esterno della città e facendone scempio.
Uccisi o messi in
fuga gli arcieri, la giovane Montgomery aveva quindi ordinato di varcare
nuovamente le porte e sorprendere alle spalle i mercenari ancora impegnati in
combattimento lungo la via principale, che assaliti da ogni lato e senza alcuna
via di scampo furono costretti ad arrendersi.
La battaglia era
finita in un modo in cui nessuno si sarebbe aspettato.
E per quello che
restava della notte fu festa grande tra i cittadini di Dundee.
Al sorgere del sole la città appariva molto provata.
C’erano molti
danni, soprattutto per le case e le attività della via principale, ma niente
che non si potesse sistemare, e il bilancio delle vittime tutto sommato non fu
così drammatico.
Aria era l’eroina
della battaglia, e la gente fece a pugni per poterle stringere le mani e
ringraziarla per il suo aiuto.
Lei era la prima a
sapere di non meritare tutti quei complimenti, e che la persona che avrebbe
dovuto riceverli era un’altra.
Ma non poteva dire
niente. Era una parte fondamentale dell’accordo che aveva dovuto accettare per
capire come trasformare un’imminente tragedia in un trionfo da ricordare.
«Ancora non
capisco perché tu abbia insistito affinché fossi io a prendermi il merito del
tuo piano.» disse a Daemon quando riuscirono finalmente a restare da soli. «Ora
per questa gente saresti un eroe.»
«È stata solo
un’intuizione. E poi l’idea di erigere le barricate è stata tua. A me non serve
notorietà. La vita che conduco qui mi piace molto. Voglio godermela ancora per
un po’, senza avere addosso attenzioni indesiderate.»
«Potrei mettere
una buona parola per te all’Accademia Imperiale.»
«Apprezzo
l’offerta, ma sappiamo entrambi che sarebbe inutile. Sono un orfano cresciuto
in una provincia di confine. Al massimo mi farebbero lavorare nelle cucine.»
«Si deve pur
partire in qualche modo. Non mi interessa chi sei o da dove vieni, ma solo
quello che puoi fare per aiutare il nostro Paese e i suoi abitanti.»
«Sarà. Ma se
davvero c’è qualcosa di grande che mi aspetta nel mio futuro, voglio essere io
a scegliermi la mia strada. E per il momento sento che la mia strada porta
qui.»
Solo dodici ore
prima Daemon era un ragazzino scalmanato che pensava quasi solo a divertirsi,
per quando dotato indubbiamente di un grande carisma. Ora parlava e si
comportava quasi come un uomo.
Forse, pensava
Aria, aveva semplicemente voluto sempre tenere nascosta quella parte di sé per
poter continuare a godere di un’infanzia serena; o forse stava solo attendendo
il momento giusto per rivelare la sua vera essenza.
E questa seconda
ipotesi in realtà quasi la spaventava.
«Come preferisci.
Ad ogni modo, se cambiassi idea, sai dove trovarmi. Ti basterà scrivermi una
lettera. Anche io ho dei progetti per il mio futuro, e sono determinata a
realizzarli.»
«In questo caso,
sarà interessante scoprire chi di noi due arriverà per primo a coronare le sue
aspirazioni.»
Poco dopo la
carovana fu pronta a partire, e per Aria venne il momento di riprendere il suo
viaggio verso nord.
Prima di andarsene
Aria promise al sindaco e alle altre autorità cittadine di perorare la causa di
Dundee una volta arrivata a Maligrad, per far sì che un presidio imperiale
riprendesse possesso del forte cittadino scongiurando in futuro eventi simili.
Tutta Dundee si
radunò per salutarla ed augurarle buona fortuna, e ricambiando la loro
gentilezza con cenni della mano mentre la carrozza si metteva in marcia, per la
prima volta la giovane primogenita dei Montgomery sentiva di aver fatto
qualcosa di davvero importante nella sua vita.
La sensazione di
aver aiutato delle persone indifese ed aver compiuto fino alla fine il proprio
dovere era una delle più appaganti che avesse mai provato.
Ma quella felicità
era parzialmente offuscata dal pensiero di un ragazzino dalla mente
insondabile, che ora la osservava seduto a cavalcioni delle mura insieme ai
suoi amici.
Si sarebbero
rivisti, ne era certa.
E quasi di sicuro,
sarebbe avvenuto su di un campo di battaglia.
Lo schianto dell’ascia che si abbatteva sul collo di
Ophelia e le urla della folla riportarono Aria alla realtà.
Quante cose erano
successe da quel giorno.
E ora sapeva di
non essersi sbagliata nel giudicare Daemon.
Nel momento stesso
in cui aveva udito le prime voci su quanto stava accadendo laggiù, a due passi
dalla sua terra, aveva capito subito che dietro doveva esserci la sua mano.
Allora era questo
che intendeva quando aveva parlato di qualcosa di grande che vedeva nel suo
futuro.
Il pensiero di
avere fallito era un macigno che le schiacciava l’anima.
Non solo non era
riuscita a raggiungere prima di lui i traguardi che si era prefissata per la
sua vita, ma era consapevole che ora non ne avrebbe più avuto l’occasione.
E in tutta onestà
ancora non riusciva a spiegarsi come mai fosse lì ad assistere a quella macabra
processione verso il patibolo dall’alto di un balcone invece che dall’interno
di una di quelle gabbie.
Ciò che aveva
fatto era il crimine più imperdonabile che si potesse commettere contro
l’Impero, a prescindere dalle ragioni che l’avevano spinta ad agire in quel
modo.
Saedonia non aveva
pietà per i traditori, o per chi pretendeva di sovvertire l’ordine
imperturbabile della sua società.
Probabilmente era
solo una questione di tempo, ma sarebbe arrivato anche il suo turno.
Ma anche se aveva
sempre saputo che poteva finire solo in quel modo non aveva alcun rimpianto, ed
era pronta ad andare incontro al suo destino.
Daemon doveva
essere fermato, in un modo o nell’altro.
Troppo grande era
il cambiamento di cui si era fatto portabandiera, e troppo vasta la sua
ambizione di farlo dilagare come un’onda distruttrice su tutta Erthea.
Anche lei voleva
cambiare il mondo tanto quando lui, ma non in quel modo, e non al prezzo che
sicuramente un tale sconvolgimento avrebbe richiesto.
«La sete di sangue
della plebe mette i brividi. Hanno visto morire decine di persone, e ancora non
gli basta.»
«Vostra Maestà!?»
«Ero sicuro di
trovarti qui.»
Entrambi volsero
quindi nuovamente lo sguardo verso la piazza mentre Severus, scortato da due
guardie, saliva stoicamente la scala verso il patibolo.
«Mi dispiace.»
disse Ademar. «Avrei tanto voluto che finisse in un altro modo.»
«Per quanto possa
valere, Vostra Maestà, ci tengo a farvi sapere che ho agito nel migliore
interesse Vostro e dell’Impero. I miei ufficiali hanno solo obbedito ai miei
ordini, perciò vi supplico di non essere troppo duro con loro.»
«Sei pronta a
morire, dunque?»
«Ho giurato a mio
padre e a Voi di combattere con tutta me stessa, per Eirinn e per Saedonia,
allo stesso modo.»
«A quanto pare le
prime notizie portate dagli esploratori erano vere, purtroppo. Faria è caduta.
Il Granduca Montgomery è morto, e tuo fratello è fuggito. Eirinn è ora sotto il
controllo delle forze ribelli.»
I pugni di Aria si
serrarono allo spasimo, e anche se cercò di nasconderle alcune lacrime scesero
dai suoi occhi. Aveva desiderato per tanti anni di rivedere suo padre prima che
Gaia lo chiamasse a sé, e ora non avrebbe potuto farlo più.
Se non altro il
pensiero di poterlo rivedere presto la rincuorava almeno un po’.
«So di non
meritare nulla dopo quello che ho fatto. Ma se la vostra amicizia con la mia
famiglia è grande come mi avete sempre raccontato, io vi supplico di onorare la
promessa che mi faceste quel giorno. Quando anche io sarò morta la Famiglia
Montgomery non esisterà più, ma il Generale Lefde saprà onorare più che
degnamente l’eredità di mio padre. Avete la mia parola che se sceglierete lui
come nuovo sovrano, egli non vi deluderà mai.»
«Dunque sei
pronta?»
Severus nel
frattempo si era consegnato nelle mani del boia, che dopo avergli stretto il
cappio al collo si apprestava a tirare la leva.
L’Imperatore fece
un cenno ad una delle sue guardie; Aria era già pronta ad allungare i polsi per
farsi mettere i ceppi, invece Ademar le mise in mano un bastone d’avorio
sormontato dalla testa dorata di un leone.
«Vostra Maestà…»
«Le legioni che
hanno combattuto ad oriente contro i ribelli sono ancora molto provate per il
lungo periodo trascorso al fronte. Ci vorranno ancora alcune settimane per
riformarle e riequipaggiarle, quindi si uniranno a quelle già pronte a marciare
contro lo Stato Libero.»
«Ma cosa…»
«Congratulazioni,
Generale Montgomery. Da questo momento, siete il Comandante dell’Esercito
Meridionale. Dieci legioni.»
Aria era talmente
sconvolta che neppure il boato assordante della plebe nel momento in cui il
boia aprì la botola riuscì a farla trasalire.
«Io…» cercò di
dire mentre Ademar si voltava per andarsene
«In realtà avrei
voluto salvare entrambi. Ma il Senato in questo è stato irremovibile. Hanno detto
che l’Imperatore in tutta la sua vita ha il potere di graziare una sola persona
accusata di alto tradimento. Ho dovuto fare una scelta tra te e lui. Sta a te
ora convincermi di aver fatto quella giusta.»
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Con questo, anche
il Volume 5 è terminato.
E come promesso, è
giunto il momento di fare quelle considerazioni di cui avevo accennato all’inizio.
Ci ho pensato a
lungo in questi due mesi e mezzo.
La verità è che
mentre la versione inglese della light novel su Wattpad sta riscuotendo un
consenso crescente, quella italiana pubblicata qui su EFP, pur tenendo conto
della differenza di pubblico, sta passando molto in sordina.
Pazienza le recensioni,
che fanno piacere ma che comunque sono un’aggiunta, sicuramente molto utile in
alcuni casi per aiutarmi a tastare i gusti dei lettori e avere un rapporto con loro
(come accade appunto su Wattpad); il problema è che anche le letture sono molto
inferiori a quelle che mi sarei aspettato.
Per questo motivo
avevo preso in seria considerazione l’idea di sospendere la pubblicazione qui
su EFP, e continuare solo con quella in inglese su Wattpad.
Poi però ho capito
che sarebbe una decisione doppiamente senza senso, sia perché la storia nasce
in italiano, per poi venire successivamente tradotta in inglese (quindi non si
tratta di un lavoro “in più” che devo fare), sia perché non sarebbe giusto nei
confronti di chi questa storia comunque la sta seguendo, e magari non ha
voglia/modo di passare alla versione in inglese.
Quindi ho deciso
che per il momento continuerò a pubblicare anche qui.
Il prossimo Volume
verrà rilasciato tra due settimane, Domenica 11 Agosto.
A presto!^_^
Cj Spencer