Sospirò sconsolata, succhiando un po’ di latte alla fragola dal cartoncino.
Sospirò ancora una volta, cercando di capire quale parte masochistica del suo cervello l’avesse portata a sedersi su quella panchina, a rimuginare i giorni in cui, accompagnata da mamma e papà, veniva fatta dondolare sull’altalena del piccolo parco giochi della sua infanzia, adesso deserto.
Erano bei tempi, quelli.
Che non sarebbero tornati.
Adesso i suoi erano sotto terra, lei era sulla strada dei quaranta e il lavoro le toglieva talmente tanti pezzi di anima al giorno che era già un miracolo il potersi godere quel velocissimo momento di malinconia.
Chiuse gli occhi e si passò una mano su naso e palpebre, sollevando di poco gli occhiali dalla montatura esageratamente larga.
Non era necessaria la leggera nebbia che stritolava con soffici tentacoli le giostre, ad impedirle di vedere i colori del parco. Il grigiore di ogni cosa era una costante nella sua vita che nemmeno ricordava quando fosse cominciata.
Che destino crudele, quello umano: nascere, appassire, vedere tutte le cose che un tempo ti eccitavano perdere il loro valore, e poi morire.
Cosa le impediva di accorciare l’attesa…?
Scacciò quel pensiero oscuro scuotendo la testa vigorosamente e facendo oscillare a destra e sinistra la lunga coda di capelli scarmigliati e disordinati.
Non doveva pensarci a queste cose.
Per quanto negli ultimi giorni, questo tipo di pensiero si stesse facendo sempre più frequente.
Era una donna adulta, ormai.
La sua fase ‘Edge-lord’ avrebbe già dovuto essere finita da un pezzo.
Finì la sua bevanda, stringendo il bricchetto nel pugno, per poi buttarlo nel bidoncino a fianco della panca. Si alzò, ripulendosi la lunga gonna nera dalla polvere, afferrò la valigetta e si avviò verso casa, stiracchiandosi meglio che poteva. Controllò l’orario sul telefono: bene.
Aveva tempo di farsi una doccia, mangiare qualcosa e poi poteva dedicarsi un po’ la serata a se stessa, a guardare film horror o leggere qualche storia terrificante su internet.
Se c’era una cosa che le impediva di ‘Accorciare i Tempi’, quello era sicuramente il perdersi in mezzo a ciò che spaventava gli esseri umani.
Aveva perso voglia e motivazione per poter cominciare la sua carriera di scrittrice horror, ma ehi: cosa le impediva di vivere le avventure che avrebbe potuto scrivere lei ogni sera?
Intanto, avesse continuato a scrivere non avrebbe comunque avuto amici con cui condividere le sue storie.
Andava bene anche così.
“C-che freddo…”
Le temperature si erano abbassate di colpo all’improvviso, o era solo una sua impressione?
E com’è che ora la nebbia era tanto fitta da quasi cancellare ogni cosa davanti al suo sguardo, eccezione fatta per il marciapiede crepato?
Un lieve sorriso le increspò le labbra: pensare alle storie di paura e, subito dopo, viverne una, sarebbe stato davvero il colmo.
Ma chi voleva prendere in giro: non sarebbe mai successo.
“…Tu…”
Sgranò gli occhi.
La valigetta le cadde dalle mani.
Quella voce così flebile, soffocata, minacciosa ma a tratti anche … suadente?
Quella sillaba sembrò accarezzare le sue orecchie come uno strano e freschissimo balsamo.
Era convinta di essere da sola, mentre tornava a casa.
Non si era minimamente accorta che qualcuno si fosse appena avvicinato.
In un miscuglio di paura e curiosità, la donna voltò lentamente la testa.
I suoi occhi scuri incontrarono quelli glaciali e bellissimi di chi le aveva rivolto la parola.
“… mi trovi forse bella?”
Fu quello il primo giorno in cui incontrò la Kuchisake Onna, lo Spirito più Terrificante di tutto il Giappone.
Il giorno stesso in cui, il Mondo di Etsuko Emiya, riprese ad acquisire i colori che aveva perso.
[…]
Kuchisake era preoccupata.
Con sorpresa di un cazzo di nessuno.
Come l’ombrello quando fuori piove, lo spettro sapeva che doveva armarsi di una discreta dose di angoscia quando la sua compagna si metteva in testa di fare quelle gite fuori programma. Ormai aveva perso la speranza: non l’avrebbe mai semplicemente portata al mare, se in quello stesso mare non abitava qualche gigantesco mostro marino non-morto da pestare di botte a guardia di un qualche artefatto perduto che C’ERA SICURAMENTE UN MOTIVO se era stato perduto.
Quando le aveva detto di trovarsi un altro hobby, superato quello di andare a caccia di serial killer pazzi per conto suo, non aveva messo in conto tra le possibilità la ‘ricerca e collezione di oggetti maledetti’.
Non che avesse così tanto motivo di preoccuparsi: mentre lei era comunque uno Spettro piuttosto potente, la sua attuale ragazza poteva essere quasi definita come un incubo cosmico finito sulla terra, perciò il rischio di essere cancellate dall’esistenza permanentemente era alquanto lontano.
Ma quest’ultima tappa era stata consigliata da Aka Manto.
Non poteva voler dire niente di buono.
Per questo il vedere quella psicopatica discutere animatamente con quella povera ed anziana Nopperabo – aveva chiesto delle indicazioni sulla loro tappa, e quell’altra aveva invece chiesto con tono assolutamente rassicurante se voleva morire un’altra volta – che cercava in tutti i modi di dissuaderla, fallendo su tutta la linea, l’agitava più del previsto.
Bestemmiò quando vide la signora cedere.
Con una vaga espressione di sconfitta sul viso – per quanto un volto privo di lineamenti possa dimostrare emozioni – puntò il dito scheletrico verso il sentiero MENO BATTUTTO di tutta la cazzo di foresta, gracchiando qualche parola di avvertimento.
La pazza, con gli occhi rossi illuminati di gioia come quelli di una bambina, si era invece chinata in avanti con un dolce ringraziamento, per poi voltarsi tutta sorridente e dirigersi verso la compagna.
L’anziana tornò a proseguire sul suo bastone di legno bitorzoluto.
E nonostante non fosse vicinissima, Kuchi poté comunque udire un ‘Sti’ giovinastri… trapassati da così poco e già pensano di essere indistruttibili. Povero Giappone…’
“… non dovremmo ascoltare i consigli di uno spettro più anziano?” domandò Kuchisake, ancora fissa sulla schiena coperta dal grosso cesto di vimini forato della Nopperabo.
“Oh! E’ esattamente quello che intendo fare!” rispose Etsuko Emiya, cominciando a prendere la strada che le era stata indicata “sembra che passando da qui, si arrivi molto prima alla nostra destinazione. Voglio arrivarci esattamente quando sarà buio.”
Kuchisake chiuse gli occhi, si passò una mano sulle palpebre e sbuffò rassegnata. Si girò a guardarla con le sopracciglia aggrottate “Emi. Io intendevo tutta la parte in cui ha chiaramente fatto intendere che se vogliamo avere una seconda morte prematura, questo è il metodo più rapido.”
“Ma come puoi essere così preoccupata?” Etsuko si portò le mani dietro la schiena, poco sotto la ferita sanguinante, e si voltò palesando uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici, incastrato nell’altrettanto solita faccia da schiaffi “se hai paura, sai benissimo che c’è la tua bellissima ragazza a proteggerti, no?”
Questa volta, tuttavia, nemmeno quello bastò per convincerla.
“E chi protegge te, poi?”
“Ovviamente tu, sciocchina!” ridacchiò Etsuko, portandosi l’indice alle labbra e facendo l’occhiolino “se ci proteggiamo a vicenda, nemmeno il Diavolo in persona potrà sconfiggerci!”
“Questo perché sei tu il Diavolo, cretina” Kuchisake incrociò le braccia ed affilò lo sguardo “E se ti lasciassi andare da sola? Perché porca puttana non è passata nemmeno una settimana dalla tua ultima tappa infestata che ci ha quasi disintegrate?”
“Oh, suvvia, non essere così arcigna!” tornò a guardare in avanti “Questa… è più importante delle altre. Sarebbe stata la nostra prima tappa in assoluto, se l’avessi scoperta subito.”
O non l’avresti mai scoperta, se quella cazzo di Maschera si fosse fatta i cazzi propri.
Tornati al Bar avrebbe stretto i coglioni di quel bastardo con un laccio emostatico.
“E poi so che non mi lasceresti mai andare da sola in un posto pericoloso” la guardò da dietro la spalla. Poteva scorgersi ancora il suo sorrisetto beffardo “o sbaglio, Kuchi-chan?”
Quell’altra grugnì, con le gote che si fecero lievemente rossicce.
“Immagino ci sia poco da fare…” si massaggiò dietro la nuca.
Voltò lo sguardo di scatto, all’erta.
Quando quello incontrò solo una piccola maschera bianca, che si ritrasse subito dietro al tronco di un albero, rilassò la presa sulle cesoie.
Timidamente, la creaturina torno allo scoperto, incuriosita.
Kuchisake era sicura che avrebbero incontrato dei Kodama lungo il percorso: con i loro vestitini composti da foglie secche e stracci e le loro maschere circolari dai tre fori neri, disposti in modo da disegnare una specie di visino stilizzato, quei piccoli spettri dall’aspetto di ragazzino androgino e dai lunghi capelli bianchi seguivano i loro movimenti con un misto di interesse ed anticipazione, alcuni seduti con i piedi nudi a penzoloni sui rami, altri semi nascosti dietro gli alberi, con le manine dalle dita sottili appoggiate sulle cortecce.
Non si trattava di spettri ostili, se non rompevi loro i coglioni.
E doveva ammettere che la loro presenza la rasserenava un pochino e alleggeriva lo strano senso d’oppressione che aumentava man mano che si avvicinavano alla supposta ‘meta’.
E man mano che il cielo perdeva sempre più la sua luminosità.
Cosa ancora più accentuata dal fatto che gli alberi fossero tanto fitti da coprirne buona parte.
Da quando era passata da ‘motivo per cui aver paura del buio’ a ‘ho paura del buio’?
“Ok, per pura curiosità: quanto ci vuole far fuori a sto giro Aka?”
Fare conversazione con il motivo per cui era lì per cercare di non pensare di essere lì.
Era come andare in terapia da chi ti ha tagliato la gola dei genitori davanti agli occhi.
“Oh, non ti devi preoccupare di quello: ci siamo parlati per tutta la sera e abbiamo trovato una zona non troppo pericolosa, ma PERFETTISSMA per ciò che voglio fare!” Si portò l’indice alla guancia destra, tutta gonfia “Insomma… per lui, quantomeno…” mormorò a bassa voce, masticando le parole.
Kuchi borbottò a sua volta “Certo che ultimamente sembri passare molto tempo con quella Stupida Maschera, uh?”
Si bloccò.
Aveva VERAMENTE espresso quel pensiero ad alta voce?
Cazzo.
No! non doveva E NON POTEVA essere successo!
L’ultima cosa che doveva capitare- ecco.
Emi si era voltata con una faccia che avrebbe tanto voluto prendere a testate.
Bastarda lei e la sua linguaccia.
“Non dirmelo: Sei gelosa? Di Aka-Manto!?” domandò Etsuko, conscia di quanto quell’aggettivo fosse peggio di una mazza da baseball sulla fronte per lei.
“TSK!” la Donna dalla Bocca Tagliata incrociò le braccia e voltò lo sguardo verso destra, ben attenta a non incrociare quello dell’interlocutrice “N-non sono gelosa! Sono più matura e intelligente di così! P-però… solo… B-beh… ultimamente mi è sembrato di notare che siete diventati, ecco… diventati parecchio intimi. F-forse un po’ troppo. S-sono contenta che gli altri ti abbiano accettata così velocemente, però…”
La cosa mi dà così tanto fastidio che aprirei un secondo sorriso sulla gola di quel cascamorto.
Quello non lo disse ad alta voce, però.
Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, davanti a lei.
Scosse la testa e riprese a camminare, con le palpebre serrate.
“BAH! Lascia perdere. Piuttosto arriviamo in sto’ posto prima che sia notte fonda-”
Sbatté contro qualcosa.
Fece qualche passo indietro ed alzò di qualche centimetro lo sguardo, incontrando il viso distorto da un lieve e affettuoso sorriso della pazza.
“Cosa c’è-”
Senza preavviso, Etsuko prese le guance di Kuchisake con delicatezza e ne posò le proprie labbra sulla gota destra. Poi sulla sinistra, poi sulla fronte. Il contatto con la pelle era morbido e delicato come quello con un petalo di ciliegio in fiore.
Alcuni spiritelli guardoni si portarono le manine davanti al foro della bocca.
Altri sulle guanciotte pallide celate dalla maschera.
Dopo l’ultimo bacetto, durato più a lungo degli altri, Etsuko si allontanò appena dalla compagna, per poi avvicinarsi di nuovo e stringerla delicatamente tra le braccia, facendo aderire delicatamente il proprio corpo col suo. Quindi piegò il collo in avanti e si avvicinò all’orecchio di Kuchi “Non c’è pericolo che qualcuno mi possa portare via da te, Kuchi-chan. Sono diventata così amica di Aka solo perché lui è il motivo per cui posso stare assieme a te” sussurrò a fior di labbra, con dolcezza ed una certa malizia, a pochissimi centimetri dall’orecchio “Non ti devi preoccupare, ok? In questa non-vita, per me esiste solo una Maschera.”
E la mollò lì, barcollante e accaldata – più di quanto un trapassato dovrebbe essere – dandole le spalle e avviandosi, canticchiando un motivetto infantile che non conosceva mentre avanzava ciondolando, con le mani giunte dietro la schiena.
Il tempo di smettere di guardarla con occhi annebbiati dalla passione e dall’amore, che Kuchisake scosse la testa furiosamente e la puntò col dito.
“N-NON E’ VALIDO ATTACCARMI IN QUESTO MODO! MERETRICE! PERVERTITA! NINFOMANE!” la sua voce era acuta come quella di un gabbiano.
Per tutta risposta, la sua amata ridacchiò divertita.
I piani erano stati rispettati: erano arrivate a destinazione a notte fonda.
E se pensava che una volta raggiunta la meta, la sensazione di angoscia sarebbe finita, Kuchisake si dovette ricredere violentemente quando guardò oltre il cancello naturale, composto dai due alberi affusolati tra loro, piegati come un arco e ricoperti da una varietà incalcolabile di amuleti sacri.
I raggi lattei di una luna che sembrava quasi troppo grande nel cielo senza stelle per essere vera, illuminavano i resti di un piccolo villaggio dalle case di pietra, dai tetti di paglia spioventi e ricoperti di buchi, con porte e finestre che sembravano dare alle abitazioni espressioni doloranti.
Un unico piccolo pozzo composto da pietroni tondeggianti stava incastonato al centro.
La corda che un tempo doveva reggere il secchio era spezzata, penzolando mogiamente sospinta da un’aria che, in tutta onestà, la Donna dalla Bocca Tagliata nemmeno percepiva.
Foglie secche ed erbacce sporcavano la terra battuta dove sorgevano i casolari come gigantesche macchie di muffa. La decadenza e l’abbandono erano signori incontrastati, in quel luogo, ed era improbabile capire a quale epoca risalisse quel posto. Forse, addirittura prima dell’esistenza del Paese.
Kuchi percepì anche qualcos’altro.
O meglio, ne percepì la mancanza.
Già aveva notato l’assenza sempre più frequente di Kodama man mano che si avvicinavano alle rovine, quasi nessuno di loro volesse alloggiare tra gli alberi nei pressi di quel villaggio abbandonato. E ora che si trovavano proprio lì davanti, ebbe la certezza che l’aveva tenuta in ansia lungo tutto il viaggio: non c’erano spettri, lì dentro.
Non sono rari i villaggi abbandonati che non si riescono a trovare in nessuna delle mappe, e di solito sono i luoghi prediletti per spiriti o yokai dove andare a stabilirsi permanentemente, soprattutto per la loro lontananza dalla curiosità e le magagne portate dai vivi.
Incontrare uno di quei villaggi completamente deserti la diceva lunga sull’entità di quel luogo.
La storia le piaceva poco. Sempre meno dopo aver notato il sorrisetto eccitato di Etsuko.
“Chi mai costruirebbe un villaggio in un luogo così sperduto…?”
“Ovviamente chi non vuole vivere in mezzo agli altri, Kuchi chan. No?” mormorò l’altra donna come se avesse rivelato l’ovvietà più inutile ad un bambino di sei anni.
Quindi, con le scarpette nere che facevano scricchiolare le foglie, si avviò oltre il portale di alberi.
Per non lasciarla sola e per non rimanere sola a sua volta, la compagna la seguì a ruota.
E superato l’arco degli alberi, poté sentire nella sua interezza la pressione paranormale che quel luogo esercitava. Era drasticamente diverso dal Parco delle Anatre, o da qualsiasi altro luogo infestato avessero visitato. Sentì quasi le proprie viscere stringersi tra loro e dovette fermarsi per un secondo, premendosi una mano al petto per prendere fiato. Sollevò lo sguardo irritato verso quell’altra, che ancora camminava come se niente fosse. Anche se notò una lieve instabilità nella camminata, segno che per quanto il rito ‘Eldritch Horror’ l’avesse resa potente, non l’aveva resa del tutto immune all’energia negativa che permeava quelle rovine abbandonate.
Dove cazzo mi hai portata, fottuta psicopatica?
Una volta ripresa, Kuchisake attraversò il villaggio e raggiunse Etsuko, ferma ai piedi di una scalinata di pietra scavata nella roccia, circondata da erba incolta e lunga e sovrastata da un quintetto di Torii di legno marcio e bucherellato, da cui scendevano altri amuleti che non aveva mai visto prima.
“Wow.” Sussurrò la spilungona, con lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhioni rossi pieni di meraviglia “E’ molto più affascinante di quello che pensavo…”
Kuchi alzò lo sguardo a sua volta.
Sotto la mascherina medica fece una smorfia, mentre aggrottava le sopracciglia.
Quell’ affascinante era rivolto ad un gigantesco, dilapidato e assolutamente non minaccioso tempio, costruito in cima al promontorio dove portava la scalinata di pietra.
Pietre ovali e semicircolari, che ricordavano lapidi; piccole e ridenti sculture di gyzo – alcune delle quali decapitate, altre ancora che sembravano piangere lacrime nere dagli occhi chiusi – e qualche girandola di carta crespa immobile da chissà quanti anni, circondavano una struttura di legno nero suddivisa in tre basse pagode dai tetti di tegole rosse – alcune delle quali erano precipitate già verso il basso, abbandonate tra le statuette – e dalle enormi porte scorrevoli semichiuse, ricoperte di forellini sulle finestrelle di carta bianca.
Dei campanelli di metallo penzolavano dai bordi dei tetti, tintinnando ed emettendo suoni spettrali.
“Dobbiamo riconsiderare i tuoi gusti in fatto di architettura, Emi.” Borbottò Kuchi, per niente impressionata.
L’interlocutrice ridacchiò, muovendo il primo passo sul primo gradino.
“Mi spieghi adesso perché siamo sperduti nel nulla e stiamo per disturbare un tempio abbandonato da chissà quanti anni?” domandò poi, seguendola sulle scale.
“Mi pareva di avertelo accennato: lì dentro c’è una cosa di cui ho assolutamente bisogno. O perlomeno, mi auguro ci sia ancora.”
Se mi hai fatto fare tutta sta’ strada per un cazzo di niente, Etsu-baka…
“… non POTEVI accertarti subito che quanto cercavi fosse effettivamente qui, idiota?”
“Ma Kuchi-chan! Non ho dubbi che sia ancora qui!” voltò lo sguardo, sorriso enigmatico e sguardo inquietante armati. Kuchisake masticò un’imprecazione “… vedi, sono certa che l’hai notato prima di me: ma oltre a noi quaggiù non c’è assolutamente nessuno. E per dei motivi ben chiari.”
Kuchi aggrottò la fronte: non le piaceva mai quando quella partiva per la tangente e spiegava i motivi per cui i luoghi infestati che visitavano erano così pericolosi.
Portavano sempre bruttissime conseguenze.
“Il fatto…” passo dopo passo, arrivarono a metà scalinata, esattamente sotto ad uno dei Torii. Uno degli amuleti sfiorò i capelli di entrambe, e Kuchi ebbe una brutta sensazione appena percepì che questi non avessero alcun effetto su di loro “… è che questa gente, gli abitanti del villaggio, non si sono stabiliti qua solo per rimanere isolati dal mondo: è stato il mondo stesso ad isolarli.”
Kuchisake si bloccò, puntando lo sguardo sulla schiena sfregiata della compagna “Perché mai una cosa simile…?” chiese, anche se sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta.
L’altra voltò lo sguardo.
Gli occhi brillarono di rosso nella notte “Questa gente poverissima aveva capito che per poter sopravvivere in un ambiente tanto ostile, aveva bisogno della benedizione di qualcosa. Più di preciso, di una divinità. Una divinità talmente aberrante e oscura che né la luce del Paradiso né le fiamme e l’oscurità dello Yomi volevano. Una creatura di una fame tanto spietata ed esigente da arrivare a chiedere sacrifici di sangue, a chiunque richiedesse i suoi servigi. Dentro a quello” indicò il tempio “C’è un artefatto importantissimo che serviva per questo rituale di sacrificio. E ne ho assolutamente bisogno.”
Oh. Oh no.
“Emi… per favore… non dirmi che mi stai portando a casa di un DIO MALVAGIO per recuperare un cazzo di artefatto maledetto! Sai benissimo che in città ci sono una marea di mercatini che li vendono a prezzo ridotto! E sicuramente alcuni di quelli manco ancora ce li hai!”
“Suvvia! E’ molto più figo recuperarseli da sé questi oggetti, non credi? E poi, le divinità non esistono!” voltò lo sguardo. Qualcosa di enorme ed avvolto dalle ombre si mosse dietro al tempio abbandonato “E’ solo una leggenda”
“Ah… pure io lo sarei, in teoria.”
“Inoltre, non è detto che qualunque cosa abitasse qui, ci sia ancora! a giudicare dallo stato del posto, un giorno gli ex abitanti del villaggio devono aver rifiutato di continuare coi sacrifici – o se ne sono dimenticati – e il ‘Dio’ li ha molto probabilmente puniti. Sarà andato a stanziarsi da qualche altra parte dopo averli fatti tutti fuori.”
Qualcosa di gigantesco precipitò a pochi centimetri davanti a Etsuko, voltata del tutto verso la sua ragazza.
Un nuvolone di polvere e vento fece svolazzare i capelli dei due spettri.
Kuchisake sgranò gli occhi.
Atterrato a pochi gradini dalle due, distruggendo uno dei Torii con il suo peso e spaccando in più punti la scalinata e il promontorio, il gigantesco corpo scricchiolante e d’ossidiana di una colossale scolopendra sbatteva ritmicamente le zampe affilate come uncini al suolo, creando una cacofonia che avrebbe fatto raggelare il sangue al Dio dell’Oltretomba in persona.
Doveva raggiungere sì e no gli otto metri di lunghezza.
“… Ok, mi sbagliavo.” Emi tornò a guardare in avanti, per poi sollevare lo sguardo verso dove il corpo dell’animale s’innalzava.
Ma invece di esibire la testa dell’insetto, irta di antenne e tenaglie, l’essere esibiva altro.
Coperto da un lungo kimono rosso come il sangue, orlato d’oro e ornato da motivi floreali di camelie nere, il corpo femminile di quella che sembrava una geisha partiva dal resto del colossale mostro. Un fiocco violaceo gigantesco, che ricordava le ali di una farfalla, spuntava da dietro la schiena, coi nastri logori e sporchi tanto lunghi da strisciare a terra.
Capelli neri e lunghissimi, a loro volta, strisciavano al suolo, incorniciando un volto celato da una distorta e pallida maschera da demone: lo sguardo maniacale era composto da due occhi piegati in un’espressione che ricordava un miscuglio aberrante tra collera e disperazione, contornati da una spruzzata di vernice dorata, e sotto al naso appuntito della maschera si apriva una mezzaluna rovesciata irta di denti affilati come quelli di uno squalo, coi canini che sovrastavano in altezza e lunghezza il resto della dentatura.
Due corna avvolte nel rubino spuntavano dalla fronte corrugata, poco sopra agli occhi finti.
La mano scheletrica sinistra reggeva un ventaglio nero, aperto a mostrare il disegno estremamente dettagliato di un’austera pagoda che bruciava sullo sfondo di un cielo notturno, sopra ad una città in fiamme.
La mano scheletrica destra, l’asta nera di una lunghissima naginata. La grossa lama ricurva, cosparsa di ruggine, aveva sicuramente visto giorni migliori. Ma non serviva un fabbro esperto per capire che avrebbe potuto spaccare l’armatura di un samurai con facilità.
“Per spezzare una lancia in mio favore, ero convinta che i sigilli posti fuori dal villaggio per tenerla dentro avessero esaurito già tutto il loro potere” Etsuko chiuse gli occhi, si portò le mani alla nuca e tirò fuori la lingua “Tee-hee!”
“DOVREI STROZZA-” Kuchisake non finì la frase.
Etsuko si voltò appena in tempo per vedere il corpo di Kuchi, colpito in pieno stomaco da un affondo della parte posteriore del centopiedi con violenza, volare giù dalle scale e contro una delle abitazioni di pietra. Abitazione di pietra che, dopo essere stata sfondata, crollò su se stessa, celando lo Spettro ai suoi occhi.
“Wow. Non sono così solide come credevo.”
Il Dio emise una risata agghiacciante, femminile ma con un timbro così grave da ricordare quella di un gigantesco uomo adulto. Quindi sollevò la naginata e menò un fendente obliquo dall’alto verso il basso, mirato a colpire in pieno la seconda intrusa.
L’impatto seguente scaturì un’esplosione di scintille e il rumore del metallo contro al metallo distrusse per sempre il silenzio.
“Lo sai?” Etsuko spiò l’avversario da dietro la gigantesca lama scintillante a falce di luna, formatasi dalla venosa e pulsante protuberanza che adesso sostituiva il suo braccio destro. Il suo sguardo vermiglio mandò lampi di guerra “Dicono che attaccare senza preavviso l’amante di uno Spettro porti sfortuna.”
Il Dio emise un verso frustrato, per poi liberare la propria arma da quella della nemica e farla roteare sopra la testa, per poi farla riprecipitare dall’alto con violenza.
Etsuko aprì le braccia ed eseguì un balzo all’indietro, tracciando un arco con le gambe a mezz’aria componendo un perfetto giro della morte con il proprio corpo. Sotto di lei, altri ciottoli e polvere esplosero mentre la lama della naginata s’abbatteva su altri scalini.
Atterrò con grazia e le gambe piegate sulla terra battuta del villaggio.
“Rendiamo vera questa diceria, sì?”
Piegò il braccio sinistro verso il proprio petto, che cominciò a ricoprirsi di vene e strane escrescenze pulsanti e disgustose. Il braccio si gonfiò ancora, per poi esplodere in sangue nero e pezzi di carne, rivelando una seconda lama, lucente e ricurva, del tutto identica alla gemella destra.
Etsuko incrociò le due armi, chiuse gli occhi, per poi spalancarli e aprire le braccia di scatto, solcando il terreno e creando un lieve spostamento d’aria “Questa Notte, si ammazza un Dio.”
Il rumore delle zampe che battevano sulla pietra precedettero la discesa della divinità dal promontorio. La creatura si mosse giù dalla scalinata muovendosi come un gigantesco serpente, per poi sollevarsi sulla parte anteriore e menare la naginata verso lo Spettro.
Spettro che strisciò le lame-braccia al suolo, facendo scintillare il terreno, per poi incrociarle sopra la propria testa e bloccare l’attacco.
Il contatto violento delle armi generò un breve mulinello di foglie e polvere.
Etsuko spinse le braccia verso l’alto, allontanando l’essere che, dopo un ciondolante movimento del corpo, ripartì subito all’attacco più rapido e violento di prima, con una sequela di fendenti che schiantarono la lama arrugginita sulla lucida difesa della fantasma, facendo piovere scintille incandescenti sul villaggio e facendo brillare la notte come fosse giorno.
Profondi solchi neri riempirono il suolo, mentre foglie e fili d’erba svolazzanti venivano sminuzzati come da una falciatrice invisibile.
Il Dio rise.
Un suono che sembrava emergere dai meandri più profondi dell’Inferno.
Quindi afferrò l’arma con entrambe le mani – senza perdere la presa sul ventaglio – per poi cominciare a roteare la parte umana del corpo, trasformandosi per un attimo in una specie di elica umanoide.
Etsuko schioccò la lingua sul palato ed incrociò le armi davanti al viso, parando una serie di colpi che aumentarono gradualmente di potenza dopo il primo inferto.
Al sesto impatto, la sua guardia venne spezzata.
“nngh…” strinse il labro inferiore tra i denti, strisciando indietro a braccia spalancate.
Sollevò la testa pochi secondi dopo, in tempo per vedere il Dio piegare il braccio armato indietro e vibrare un violento affondo in avanti, alzando un recinto di polvere ai lati dell’asta.
La donna si alzò subito in piedi e sollevò la gamba destra, facendo piovere un pestone sul piatto della lama arrugginita e bloccandola al suolo, generando un possente spostamento d’aria.
E poco prima che l’avversario potesse liberarla, Etsuko eseguì un altro salto della morte all’indietro, atterrando a ginocchia piegate sul bordo del pozzo abbandonato, con le braccia aperte ai lati del corpo come le ali di un rapace.
Si abbandonò ad un paio di violenti sospiri, col sudore che colava dalla fronte assieme al sangue dietro la schiena. Il lato negativo del trasformare il corpo in un’arma, era che quando ti scontravi con qualcuno era letteralmente come usare tutta te stessa per parare ogni attacco.
Per cui, ora le sue braccia facevano un male porco.
Sollevò gli occhi infuocati sull’avversario, che si era ritratto su se stesso con un movimento a spirale del corpo, sollevando la mano armata di ventaglio e cominciando a scuoterla vigorosamente verso di sé. Il tempo di accorgersi che una tempesta di voglie e vento si stesse concentrando intorno al corpo del Dio non bastò per impedire ad Etsuko di prendersi quasi in pieno il seguente attacco
Ebbe giusto l’occasione di sgranare gli occhi e re-incrociare le braccia, poco prima che l’essere chiudesse il proprio ventaglio e lo sbattesse al suolo con estrema violenza, scatenando una potentissima onda d’urto di polvere, foglie e minuscoli granelli, tutti che vennero sparati in avanti con la velocità di un proiettile.
Alcuni di quelli intaccarono sulle lame, disintegrandosi o scheggiandole appena.
Altri non furono così magnanimi: sferzarono il suo corpo e lacerarono il vestito, martoriandola con numerosi lunghi tagli sanguinanti di nero. digrignò i denti per il dolore, mentre veniva sbalzata giù dal pozzo e pioveva al suolo atterrando dolorosamente di schiena, per poi tornare subito in piedi con una capovolta
Nell’esatto momento in cui il Dio ripartiva all’attacco, investendo il pozzo e trasformandolo in un cumulo di macerie. Etsuko ebbe poco tempo per rinsaldare il proprio corpo e ricevere il prossimo fendente, che riuscì comunque a parare, ma ebbe l’effetto di metterla in ginocchio.
Infilzò la lama destra al suolo, alzando gli occhi e vedendo la sua avversaria che sollevava la naginata sopra la testa, per poi farla piovere in avanti con una risata grave.
Fece per risollevarsi con tutte le sue forze per ricevere il prossimo attacco, evitando d’essere spezzata in due.
Ma non servì.
Il rumore inconfondibile di due cesoie che si aprivano precedette il seguente impatto, e la lama arrugginita della divinità venne bloccata tra le doppie lame delle gigantesche forbici di Kuchi, in piedi davanti a lei, con uno sguardo concentrato – ed incazzato – ed una larga ferita sanguinante sulla fronte.
L’espressione di Etsuko si rilassò in un sorriso “Mia eroina…”
“Vai a farti fottere” Kuchisake spinse verso l’alto, respingendo il Dio che non perse tempo a ritornare all’attacco con un secondo fendente “Dovrei lasciare che ti sbrani, nerd del cazzo.”
Come si suol dire, l’attacco è la miglior difesa, perciò ogni singolo colpo del nemico venne respinto da un altrettanto potentissimo fendente dello spettro, che mosse le sue cesoie come una pesantissima e solida mannaia. L’essere, spiazzato dall’immane violenza dell’avversaria, emise un lamento frustrato ed afferrò la propria arma a due mani, provando l’ennesimo attacco discendente. Al che, Kuchi smise di attaccare, schivando di pochi centimetri di lato e permettendo che la lama arrugginita si schiantasse ed incastrasse al suolo. Probabilmente l’essere capì che quello era tutto un suo piano, perché cercò disperatamente di recuperarla senza successo.
L’altra ghignò sotto la maschera.
Prese a correre sulla lunga asta di legno inclinata, per poi balzare arrivata a pochi centimetri dalla faccia mascherata. Si appese ad una delle corna scarlatte e, dopo aver fatto roteare le cesoie nella mano, sferrò una decina di violentissime pugnalate sul lato sinistro della nuca del mostro, che emise una sequela di lamenti isterici tentando di scrollarsela di dosso.
All’ultimo colpo, Kuchi fece roteare nuovamente l’arma e, poco prima che una mano grande quanto un bambino di dieci anni potesse afferrarle la vita, balzò indietro e sferrò un doppio calcio esattamente al centro della maschera bianca, che si ricoprì di crepe.
Alcuni pezzi di ceramica finirono a terra tintinnando, mentre il corpo del Dio barcollava, inciampava sulle innumerevoli zampe da scolopendra e crollava all’indietro, disteso sulle scale che portavano al tempio e sollevando un gran polverone.
“Ora” Kuchi atterrò al suolo e si voltò verso l’altra donna “Si può sapere quanto ci vuole ancora prima del tuo trick di deformazioni orripilanti e disgustose dove mangi il nemico di turno?”
“U-uhm…” Etsuko si alzò in piedi a sua volta, massaggiandosi una guancia con la punta di una lama e procurandosi un lieve taglietto. Kuchisake non osò commentare “Ecco…”
“Emi.”
“N-non credo possa funzionare. Insomma, non qui almeno. Ci metterei troppo a caricare un attacco simile e temo farebbe prima lei a farmi del tutto a pezzi…”
“Non potevi prepararti PRIMA DI-” un rumore sfrigolante attirò l’attenzione dello spettro incazzato, che abbassò lo sguardo. La lama della naginata, ancora incastrata nel terreno, pareva starsi riscaldando, arrossandosi come un pezzo di ferro sotto la fiamma ossidrica.
Una candida fumina cominciò a sollevarsi dall’arma “… ma cosa-”
“KUCHI-CHAN!”
Etsuko si mise davanti a lei, abbracciandola con forza e costringendola in ginocchio, ignara dell’urlo dolorante e gli insulti infuriati della compagna dopo essere stata stritolata da due lame ricurve.
Frapponendosi tra lei e la gigantesca arma, poco prima che questa esplodesse in un inferno di fiamme incandescenti, Etsuko generò dalla ferita sulla sua schiena quattro strati di rossa membrana carnosa e venosa, che ricoprirono i due spettri come una barriera. Le fiamme avvolsero la membrana, incenerendola, ma fortunatamente l’ondata di calore non investì del tutto i corpi delle due, che rimasero intatte.
Emi strinse comunque i denti per far fronte al dolore lancinante.
Come le membrane si sgretolarono, le due donne si separarono e voltarono debolmente lo sguardo verso la scalinata. La colossale naginata, roteando a mezz’aria, precipitò a terra, conficcandocisi dentro per la lama, a pochissimi centimetri dal corpo che lentamente si rialzava del Dio. Una mano afferrò l’asta bucherellata, mentre l’altra prese a far danzare vigorosamente il ventaglio. Con sempre più foga.
Alle due, parve quasi che il disegno su di esso prendesse vita.
Le fiamme cominciarono a danzare fameliche sulla vernice nera.
E nel mentre, l’aria che si raccoglieva intorno al corpo del Dio prese a farsi incandescente, fino a trasformarsi in vere e proprie volute di fuoco.
Le metà della maschera da Oni caddero a terra, infrangendosi del tutto.
E l’essere sollevò la testa verso di loro, rivelando incastonato in mezzo ai capelli un ovale di pelle grigia e screpolata, simile ad una maschera di cenere, al centro del quale si apriva un buco nero circondato da denti affilati e trasparenti come quelli di un pesce lanterna.
Granelli incandescenti presero a svolazzare intorno al kimono rosso, mentre venature rosse simili alle spaccature sulla pietra lavica di un vulcano attraversavano il corpo nero del centopiedi, quando il dio aumentò la stretta sull’asta di legno.
La lama incastrata nel suolo si accese come una torcia infuocata.
“… non posso credere sia più calda di me…” mormorò Etsuko, delusa.
“NON MI SEMBRA IL MOMENTO!”
Il Dio lanciò il ventaglio di lato, che venne divorato dalle fiamme, e poi afferrò l’arma a bimane ed emise un urlo frenetico, che avrebbe fatto gelare il sangue agli Shinigami. Colonne infuocate eruttarono da ogni latto, partendo dal sottosuolo. Alcune distrussero delle abitazioni.
Le fiamme avvolsero il tempio abbandonato, le sculture, i torii e gli alberi.
Le due donne si strinsero tra loro, proteggendosi dai frammenti volanti e dalle fiamme.
Poi, finita quella dimostrazione immane di potere distruttivo, la divinità tornò piegata in avanti, sospirando affannosamente e facendosi sostenere dalla propria arma, quasi quell’ultima azione avesse richiesto molta più energia di quanto pensasse.
“Ok” Kuchi affilò lo sguardo, mentre tornava in piedi “questo dimostra che, sicuramente, non abbiamo speranze di configgere questa cosa con metodi convenzionali. E se pure tu sei inutile, allora credo che l’unico altro modo per mettere questa rompicoglioni a tacere per sempre, sia un altro.”
“C-cosa intendi?” domandò Emi, guardandola dal basso verso l’alto.
“Quello che hai detto sugli dei è vero: gli Dei non esistono. O se esistessero, dubito gliene fregherebbe qualcosa dei nostri casini e sicuramente hanno meglio da fare che scammarci con sacrifici umani o altro” puntò l’essere che si stava riprendendo sempre più velocemente “Questa puttana è uno spirito come noi. Abbastanza antico e deve aver consumato tanta energia vitale da diventare potente come una creatura dei miti, ma come tutti i nostri simili, può essere divorato da chi è più forte.”
“… e tu lo sei?”
“Non esattamente” Kuchi affilò lo sguardo “ma potrei esserlo, se riesco ad evocare la mia Maledizione.”
Etsuko si fece subito in piedi, davanti a lei, con gli occhi brillanti ed un sorriso maniacale sulla faccia “MI FARAI FINALMENTE VEDERE LA KUCHISAKE ONNA SERIA!?”
Intanto, alle sue spalle, la divinità si stava riprendendo sempre più velocemente.
“Non so se prenderlo come un insulto. Ma sì. E non credo tu debba essere così esaltata” i capelli di Kuchisake presero a crescere all’improvviso. Etsuko si allontanò, perplessa, vedendo quei grovigli neri avvolgere il corpo dell’amata come una colonia di serpenti “Questa cosa richiede un sacco di energia, e l’aura di quella cosa renderà tutto più difficile. Dovrò farmi una mezza meditazione per caricarmi il giusto.”
“… avvolta nei capelli?”
“Avvolta nei capelli, sì.” rispose, con solo ormai la testa visibile.
A quel punto, Etsuko capì la situazione.
Si rivolse alla sua ragazza con un sorriso un po’ nervoso “K-Kuchi. Amorina… m-mi stai lasciando sola? Contro quello?”
“Oh suvvia. Sei la mia ragazza perfetta” le fece l’occhiolino “So che riuscirai a proteggere me e te senza problemi.”
E Kuchi smise di parlare. Al suo posto, cadde a terra un grosso bozzolo nero e peloso di forma ovale.
Emi rimase a guardarlo per un po’. Tutta l’energia che aveva dato vita al suo viso per tutta la serata sparita “… e’ un modo per tenermi il broncio, per caso?”
Il Dio apparve alle sue spalle, pronto per vibrare un fendente con la sua arma infuocata.
“OH MERDA!” trafelata, afferrò il bozzolo con le proprie braccia-lama come fossero tenaglie e si voltò di scatto verso la minaccia, ponendolo davanti a sé e di fronte alla punta della naginata. L’impatto generò una potentissima esplosione, e spettro e spettro in letargo vennero sbalzate all’indietro, andando a schiantarsi sull’arco d’alberi all’entrata del villaggio. Caddero poi in terra, ed Etsuko si voltò verso il bozzolo.
Non presentava nemmeno un graffio.
“SAPEVO che quello sciampo fortificante era miracolato!” allegra, poi, si voltò verso la minaccia, che emerse dalle fiamme come un signore dei demoni.
“E va bene, Kuchi. Me la stai facendo pagare per i miei scherzetti. Lo accetto” Si rimise in piedi, con rinnovato vigore. Incrociò le braccia e le riaprì di scatto, fendendo l’aria con le lame “ma dobbiamo lavorare sulla tua permalosità se vogliamo far funzionare questa relazione!”
Scattò verso la divinità.
E quell’altra non ci mise niente per imitarla.
La figura di merda di Etsuko fu accorgersi che, decisamente, combattere contro un’arma avvolta dalle fiamme sarebbe stato ENORMEMENTE più difficile che contro una spenta. Aggiungendo il fatto che ad ogni impatto, c’era una piccola esplosione di fiamme che devastava il suolo già martoriato con altri crateri incandescenti, la sua boria di poco prima andava sempre più a scemare.
Amore mio, per favore: non metterci un eternità perché altrimenti qua ci rimango! Di nuovo!
I suoi pensieri vennero interrotti da una sferzata verso il basso, che rischiò di amputarle le gambe se non avesse fatto un salto. E dovette eseguire un altro paio di rapidi passi all’indietro, quando il lungo solco arcuato che la naginata aveva tracciato davanti a lei esplose in una cresta di fiamme. Cresta di fiamme dalla quale il Dio riemerse con un ruggito furioso, strisciando la lama a terra e preparando un violentissimo attacco dal basso verso l’alto. La donna maledì ogni singola divinità shintoista esistente e, non appena la lama del nemico si separò dal suolo, balzò in avanti e chiuse le proprie lame davanti al corpo. il colpo che arrivò dal basso si rivelò estremamente più potente di ogni altri singolo attacco ricevuto in tutta la notte, e la sollevò da terra ad una decina di metri. L’esplosione infuocata che seguì, invece, contribuì nello spararla verso l’orbita, a roteare a mezz’aria fino a raggiungere il limite degli alberi e trovarsi accarezzata dal vento gelido della notte illuminata dalla Luna.
Mezza stordita, fermò la sua ascesa e puntò lo sguardo verso il nemico, che prese a sollevarsi in tutta la sua lunghezza sul corpo del centopiedi, pronto a vibrare un altro, e forse ultimo, fendente infuocato, che l’avrebbe spazzata indubbiamente via se non avesse fatto altro.
Dandosi una spinta con il proprio corpo, come se una piattaforma invisibile fosse apparsa alle sue spalle, Etsuko si proiettò in avanti, caricando entrambe le braccia dietro la schiena. Il vento si concentrò intorno al suo corpo, trasformandola in una specie di proiettile impazzito volante, che precipitò con furia verso la divinità, già pronta ad accoglierla.
A pochi centimetri dalla lama infuocata che stava per colpirla, lo spettro tese le braccia in avanti in un doppio affondo, che si schiantò con potenza immane sulla punta infuocata della naginata.
Un’onda d’urto così incandescente da far sembrare che il sole fosse precipitato sulla terra esplose nelle immediate vicinanze dello scontro. Le cime di innumerevoli alberi vennero divelte come decapitati da un’immensa falce.
La lama arrugginita s’infranse in migliaia di frammenti infuocati.
E il corpo di Etsuko cadde violentemente a terra, sanguinante e mutilato.
Ma di questo, lo spettro se ne accorse solo dopo.
“Fffffffffffff-” Emi, tiratasi su in piedi, con l’occhio sinistro chiuso a causa di una cascatella nera che dalla fronte – replicata dalla bocca col labbro spaccato – scendeva verso il basso, puntò lo sguardo sulle proprie braccia. I monconi sanguinanti che spruzzavano nero come fossero macabre pistole ad acqua, da cui spuntava un pezzo d’osso, le resero del tutto conscia della loro assenza “-fanculo.”
Crollò in ginocchio, stremata.
Ed innervosita, poiché la sua rigenerazione avrebbe richiesto TROPPO tempo per permetterle di avere una nuova difesa contro qualunque cosa sarebbe arrivata di seguito.
Alzò la testa: come si aspettava, benché fosse riuscita a spaccare l’arma dell’avversaria, quella non sembrava assolutamente decisa a seppellire l’ascia di guerra. Benché non avesse occhi, poteva percepire l’immenso rancore che provava nei suoi confronti in quel momento.
Vide la divinità stringere con forza l’asta della naginata, che venne avvolta da spirali di fiamme che sembravano avere vita propria. La vide sollevare l’arma, come un giavellotto, e puntarla verso di lei. Sicuramente non l’avrebbe trapassata facilmente come l’avrebbe fatto avesse avuto una punta affilata, perciò si preparò al peggio.
L’arma venne scagliata.
Emi chiuse gli occhi.
E il gelo avvolse ogni cosa.
“Mmmmmh… ne era passato di tempo… dall’ultima volta…”
Quella voce terribile ed incredibilmente sexy s’insinuò nella sua mente come fosse stata una paziente schizofrenica di una qualche casa di cura nei meandri più sconosciuti e insidiosi della Svizzera.
Sgranò gli occhi: davanti a lei, l’asta infuocata si trovava abbandonata a terra, come se la gravità l’avesse schiacciata al suolo poco prima che potesse raggiungerla ed impalarla. Brina candida avvolgeva in un abbraccio di morte non solo l’arma, ma anche tutto l’ambiente circostante.
Le fiamme, anche quelle più prorompenti, erano tutte spente.
E una nebbia spettrale bloccava la vista ad un palmo dal naso, insinuandosi tra ciò che rimaneva delle rovine e degli alberi. Anche il Dio aveva perso tutta la sua furia, e adesso stava indietreggiando guardandosi attorno come un animaletto confuso ed impaurito.
Dei passi riecheggiarono alle spalle di Emi, che si voltò di scatto, un sorriso a trentadue denti che le deformava il volto insanguinato.
La sua meravigliosa fidanzata apparve dalla nebbia con lo stesso portamento che solo un’imperatrice può avere. Con tutta la calma del mondo, avanzò verso la divinità, generando una ragnatela di ghiaccio ad ogni passo che colpiva il suolo. I lunghi capelli neri parvero allungarsi dietro la schiena, fluttuando sospinti da un vento invisibile.
E poi, anche il resto del suo aspetto cambiò: il soprabito rosso andò a spaccarsi ed infrangersi come un foglio di carta in acqua, rivelando un lungo kimono bianco dalla larga scollatura sul seno, così candido che pareva quasi irradiare una luce tutta sua, legato alla vita da un nastro rosso da cui partiva una lunga gonna nera. I suoi piedi, invece di calzare i soliti scarponi, adesso calzavano adorabili tabi blu scuro. Le grosse cesoie arrugginite, adesso, sembravano appena uscite da un negozio aperto da appena due ore.
“Mi dicono che sei un Dio…” sibilò la Kuchisake Onna, superando la sua compagna che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e avanzando, ad occhi chiusi, verso la creatura, che adesso aveva smesso d’indietreggiare “… Ma anche gli dei DEVONO inchinarsi davanti alla Regina degli Spettri.”
(SONO TUTTA BAGNATA)
la divinità del villaggio abbandonato sbatté al suolo, schiacciata da una pressione così intensa da generare diverse ragnatele di crepe dall’esatto punto in cui questa si schiantava, creando un buco che assumeva tutta la sua forma per intero.
Sollevò a fatica il volto privo di lineamenti, incontrando quello della nemica incombente.
“Dimmi, ora…” Kuchi aprì finalmente gli occhi. Una sclera nera come la pece avvolgeva nella propria oscurità le iridi gelide e brillanti come pietre preziose “… mi trovi forse bella?”
L’essere emise un grido isterico, liberandosi dal peso e sollevandosi sul corpo della scolopendra, alzando un braccio e tendendo le dita della mano scheletrica, dalla quale esplosero una cinquina di lunghissimi artigli neri. Senza emettere un suono, Kuchisake sollevò le cesoie.
Facendole scattare a pochissimi centimetri dal proprio orecchio.
Come colpito da una gigantesca lama invisibile, il braccio destro del Dio venne amputato con precisione chirurgica, roteando verso un muro ancora in piedi e sfondandolo, lasciandosi dietro una densa scia di sangue nero. La creatura emise un ennesimo ruggito furioso, tentando di attaccare col braccio rimasto.
Un altro scatto di cesoie, e quello fece la stessa identica fine del gemello.
Il Dio si ritrasse, scuotendo i monconi sanguinanti furiosamente.
“E adesso…”
Con un movimento misurato al millesimo di centimetro, Kuchisake si sfilò lentamente la mascherina dal viso, rivelando i violenti, incrostati e dolorosi tagli che le deturpavano il bellissimo viso da un orecchio all’altro, creando una specie di macabro e distorto sorriso sanguinoso.
Lacrime nere presero ad uscire dagli occhi e dai solchi sulla pelle, mentre reclinava il collo di lato e puntava lo sguardo fisso verso la preda “… mi trovi ancora bella?”
Il Dio snudò le zanne, spalancando la bocca più che poteva, dislocando la mascella in modo innaturale. Poi si sollevò verso l’alto in un movimento a spirale e si gettò verso la Donna dalla Bocca Tagliata, rabbioso. Per poi bloccarsi a pochi metri di distanza dalla stessa. Lui non la poteva vedere, ma adesso una gigantesca forbice che pareva generarsi direttamente dalla nebbia era apparsa sopra al suo corpo.
Le sue lame spettrali erano lievemente chiuse nel punto esatto in cui la parte umana lasciava spazio a quella della scolopendra, ma abbastanza salde da impedire qualsiasi altro movimento.
Kuchisake sorrise, soddisfatta “Come pensavo.”
Fece scattare le cesoie. Scattarono anche quelle colossali.
Il Dio non emise nemmeno un lamento.
Un’ondata di sangue nero esplose davanti al corpo dello spettro sfregiato, che rimase impassibile quando la stessa l’annaffiò da capo a piedi. Non perse occasione di passare un dito su una di quelle gocce che imbrattavano il viso, per poi leccarselo in modo sensuale.
Finita la cascata di sangue, della parte umana del Dio non rimaneva alcuna traccia, come fosse stata disintegrata sul posto. Come non fosse mai esistita. La parte da insetto, invece, scricchiolò allontanandosi spasmodicamente, per poi coricarsi sulla schiena e, dopo pochi ultimi movimenti spasmodici, finalmente rimase immobile per sempre.
Kuchisake chiuse gli occhi e sospirò un po’ di condensa, mentre i vestiti riassumevano le forme precedenti.
Intanto, le temperature tornarono normali e finalmente la nebbia andò a diradarsi, lasciando spazio solo alle rovine del villaggio illuminate dalla Luna.
“KUCHIIIIIIIIIIIIIII”
Suddetta ‘KUCHIIIIIIIIIIIIIII’ si voltò, aprendo gli occhi tornati come prima, vedendosi correre incontro una Etsuko brutalmente mutilata e sanguinante, decisamente intenzionata a stringerla in un abbraccio.
La corsa di quell’abominio venne interrotta da uno scarpone ben piantato sul muso.
Che non impedì a quella psicopatica di continuare a sorridere e scuotere i moncherini sanguinosi.
“Prima ti rigeneri, poi ne riparliamo.” Asserì Kuchisake, perentoria.
Ed un po’ schifata.
“… sei ancora arrabbiata?”
“Ci puoi scommettere che sono ancora arrabbiata.”
“E daaaaaaaai…” Etsuko alzò gli occhi al cielo e sbuffò, annoiata.
E Kuchi voleva TANTO suonarla di botte, come quando l’aveva fregata con il Nutri-Anatre.
Si voltò a guardarla dal basso verso l’alto: la pazza era seduta sopra alla carcassa del centopiedi gigante, con gli occhi verso la luna e le gambe che dondolavano. Il vestito candido e il bel viso erano ancora sporchi di sangue, ma fortunatamente tutte le ferite si erano rimarginate – tranne quella da trapassata dietro la schiena, ovviamente – anche se le dava un certo fastidio vederla così rilassata e tranquilla dopo quello che, indubbiamente, era stato lo scontro più duro della loro carriera di ‘cacciatrici di artefatti maledetti’.
Carriera alla quale LEI non aveva mai dato consenso, per giunta.
A differenza della compagna, adesso Kuchi era appoggiata con la schiena contro la stessa carcassa di invertebrato, senza la forza nemmeno di andare a raccogliere la mascherina abbandonata tra i resti del pozzo al centro del villaggio. Non usava la sua Maledizione da una non-vita, e quella notte era arrivata l’amara verità: era troppo vecchia per queste stronzate.
Voltò nuovamente lo sguardo verso la sua ragazza, accorgendosi con un certo imbarazzo che questa avesse cambiato posizione: abbracciando le ginocchia al petto e con la guancia destra appoggiata su di esse, adesso la stava tenendo d’occhio con le palpebre aggrottate ed un sorriso morbidoso sulle labbra.
Arrossì lievemente, sperando che quella non se ne accorgesse “Che hai da guardare adesso?”
“Niente… stavo solo pensando a quanto sono adorabili quelle cicatrici.”
“Fare la ruffiana non ti salverà da una lavata di testa, questa volta.”
“Ehi!” Emi alzò la testa, indispettita “Non sono mai ruffiana quando ti faccio i complimenti!”
“Adesso non me ne frega niente di questo” Kuchi assunse l’espressione più arrabbiata che poteva, benché fosse piuttosto difficile “Ora dimmi PERCHE’ CAZZO non mi hai detto che questo Spettro era così potente, prima di venire qui. E NON OSARE DIRMI che non lo sapevi!”
Etsuko e l’interlocutrice rimasero a guardarsi per qualche attimo, entrambe con una certa animosità nello sguardo. Fu la spilungona a cedere per prima, voltandosi di lato ed incrociando le braccia, le guanciotte gonfie che le deformavano il viso in modo adorabile “O-ovviamente perché poi avresti fatto storie. Non vuoi MAI andare a caccia di mostri e artefatti con me, ti lamenti sempre!”
“Vengo OGNI VOLTA assieme a te a caccia di mostri.”
“Però fai sempre scenate sul fatto che è pericoloso e che rischiamo di morire, tutte le volte! Come adesso!”
Kuchi si guardò intorno, interdetta, poi tornò a guardarla con un sopracciglio inarcato “E mi sbaglio?”
Emi non rispose, sbuffando dal naso.
E la Donna dalla Bocca Tagliata pinzò il suo con le dita.
La amava tanto, però alle volte dover far fronte a questa parte infantile di lei era una gran seccatura.
“Ascoltami” tornò all’attacco, cercando di addolcire un po’ la voce “Apprezzo che tu voglia liberare il mondo dagli spettri più pericolosi e malvagi, davvero. E’ già tanto l’aver ricevuto un compromesso con gli umani che altrimenti ci avrebbero sterminati dal primo all’ultimo, non avessimo messo la testa a posto. Quello che vuoi fare è sicuramente nobile, ma questo non deve intaccare sulla nostra incolumità! Magari mi lamento troppo – per motivi LEGITTIMI, vorrei ricordare – a volte, ma dobbiamo fare molta più attenzione quando andiamo a disturbare entità così forti. Spettri molto più forti di noi si sono fatti inchiappettare da minacce meno aberranti, a causa della loro scarsa preparazione, ed io non voglio fare quella stessa fine. Soprattutto, non voglio vederti essere divorata da qualche mostro prima di me.”
Etsuko continuò a non voler mantenere il contatto visivo, anche se la sua espressione offesa sembrava essersi fatta decisamente più colpevole.
“Quindi per favore, ti prego: se io divento meno fastidiosa con le mie lamentele, mi prometti che mi dici subito CHIARO E TONDO che cosa abbiamo per le mani? Renderebbe questa tua sindrome dell’eroe decisamente più facile da gestire.”
Etsuko restò ancora zitta per un po’.
Per poi sospirare rassegnata “E va bene, lo prometto. E prometto anche che non faremo queste ‘gite’ a così poco tempo di distanza l’una dall’altra” si voltò verso di lei con un sorriso da stronzissima “La mia fidanzata vecchietta sicuramente ha bisogno di qualcosa di un po’ più calmo, a volte-”
Un grosso pezzo di pietra centrò Etsuko in piena fronte, facendole piegare il collo all’indietro.
“Sono contenta di aver trovato un compromesso (e bada che potevo usare un frammento più grosso)” quindi tornò con le braccia appoggiate mogiamente sulle ginocchia, sospirando stanca “Ora, fammi il favore di andare a prendere ciò per cui siamo venute qui. Voglio lasciarmi alle spalle sto’ posto di merda.”
Come si fosse appena ricordata di aver lasciato il gatto sopra il forno accesso, Emi si rialzò di scatto, occhi spalancati e un grosso segno rosso sulla fronte “GIUSTO! DANNAZIONE! Me ne ero completamente scordata!” scavalcò la carcassa del centopiedi, incastrando il piede su di essa e finendo belle lunga per terra.
Si rialzò subito dopo sotto lo sguardo perplesso della compagna “Non ti muovere da lì! Arrivo subito!”
Kuchi la vide correre trafelata – rischiando d’inciampare di nuovo. Più di una volta – su per le scale che portavano al tempio abbandonato, stranamente ancora in piedi nonostante le fiamme.
Si portò una mano sugli occhi e scosse la testa, affranta.
Emi entrò piano nell’edificio dopo aver fatto scorrere la porta. Le sue scarpe fecero scricchiolare le assi di legno, e il suo sguardo andò a finire sulla scena che aveva davanti.
Vide ciò che esattamente si aspettava: circondate da una sequela di piccole candele sciolte e spente da chissà quanti anni, sopra una grossa base di pietra che si creava direttamente dalla montagna, illuminata dalla luce della luna che penetrava da un grosso buco sul soffitto, riposavano due corpi mummificati, conservati troppo bene per avere proprietà naturali. Indossavano kimono dalla fattura pregiata, benché rovinati e sporchi, e il loro viso era coperto da un soffice panno bianco ricoperto di motivi floreali dorati. A giudicare dai lunghi capelli neri che scendevano dall’altare e dalle forme decisamente delicate ed esili dei corpi, era difficile non capire si trattasse di due salme femminili.
La mano destra di una e quella sinistra dell’altra erano particolarmente vicine tra loro, come se nei loro ultimi momenti, queste povere anime avessero fatto di tutto per sentire l’una la presenza dell’altra, prima della fine.
Un morbido e lungo nastro rosa ed insanguinato legava i polsi scheletrici tra loro.
Un sorriso malinconico attraversò le labbra dello Spettro, che subito chiuse gli occhi e giunse le mani davanti al cuore, mormorando una breve ma sentita preghiera.
“Ce l’abbiamo fatta, finalmente!” Kuchi si alzò di scatto dal suo giaciglio, avviandosi verso la sua compagna che, finalmente, si era decisa a scendere dal tempio “Si può sapere che diavolo dovevi fare là dentro? Cominciavo a pensare fossi precipitata in una stanza segreta costruita sotto tutto questo macello.”
Etsuko non disse nulla, limitandosi a posare le scarpe fuori dalla scalinata, sorridendo mentre guardava con un’espressione indecifrabile – ma decisamente dolce – il nastro insanguinato che teneva tra le mani.
Kuchisake guardò interdetta l’oggetto “… seria?” lo puntò con le forbici “Tutto sto macello per… questo? Ci sono una marea di locali della catena ‘Liminal’ a Roppongi che ne vendono anche di più carini.”
Emi rimase in silenzio per un po’, senza smettere di guardare il nastro come se fosse la cosa più bella del mondo “… c’è una cosa che non ti ho detto, riguardo al rituale che veniva svolto in questo villaggio, prima che lo stesso venisse trasformato in una città fantasma dallo Spettro che abbiamo sconfitto.”
“… Spilungona, se mi stai per dire un’altra cosa che ci mette potenzialmente in pericolo, ti tiro un calcio in mezzo alla fronte.”
“Lasciami finire!” ridacchiò l’interlocutrice “Ecco, non ho specificato chi fossero le vittime sacrificali: si trattava sempre e solo di donne. Giovani, bellissime, e sempre in copia” strinse il nastro con affetto “tutte venivano sedate, vestite con kimono bianchi e con il viso coperto ed abbandonate in cima al tempio, in notti come questa, in attesa che il Finto Dio venisse a reclamare la loro energia vitale, facendole appassire e portandole alla morte. Immaginati: ragazze che nascono, e crescono, solo per poi essere mandate a morte in una maniera così crudele…”
Kuchi non disse niente, ascoltando con solennità.
Era… davvero così crudele.
E per cosa, poi? Per mantenere calma una divinità fasulla che può ritorcersi contro di te senza alcun preavviso? Queste erano le cose che probabilmente movevano Emi ad agire, per eliminare il male ancora più oscuro e tetro che si annidava nel Paese come un terribile parassita.
“Queste donne venivano tutte legate con questo nastro logoro” lo sollevò, mostrandolo bene alla luce della luna “Un nastro che quasi simboleggiava il legame dei sacrifici sia nel mondo dei vivi, che nel mondo sconosciuto che si trova dopo.” Serrò le palpebre. Le prossime parole furono sussurrate con dolcezza “Mi piace pensare, però, che l’ultimo momento di questo nastro non sia stato per simboleggiare solo qualcosa di così macabro. Voglio credere che le ultime due vittime sacrificali abbiano sancito un legame estremamente più potente, prima di morire, e che questo nastro rappresenti come ciò che provavano l’una per l’altra si sia rivelato così potente da, in qualche modo, far impazzire la divinità e farla ritorcere contro a chi l’aveva richiamata in precedenza. Voglio credere che adesso, tra le mie mani…” la strinse con dolcezza al petto “… ci sia una promessa di un’eternità passata insieme, per sempre.”
Kuchisake sbatté le palpebre.
Non era quasi mai capitato che Emi si lasciasse ad un monologo così sdolcinato e strappalacrime per un qualche pezzo di spazzatura maledetto che trovavano in giro. Era successo solo per un vecchissimo manga – primissima edizione – di Astro-Boy trovato tra le cianfrusaglie di un vecchio Serial Killer deceduto che ha tentato di tagliarle a pezzi con una motosega a denti di coccodrillo.
C’era da dire che quello sembrava quasi un oggetto da-
Le cesoie le caddero dalle mani.
Il calore avvolse il suo corpo, mentre i suoi occhi si facevano sempre più minuscoli.
Alzò lo sguardo sulla compagna, sperando che non la stesse guardando.
La stava guardando.
Un’espressione di dolcezza che non le aveva mai visto prima in viso.
La lasciò completamente spiazzata.
“A-aspetta un attimo…” Kuchi la puntò col dito, balbettando a fatica “Q-quello… questo nastro… M-mi stai forse… mi stai chiedendo di-”
“Che sciocca! Certo che no!” Etsuko ridacchiò animatamente “Non ti sto chiedendo di sposarmi!”
“… oh.”
Qualcosa si spezzò in mille pezzi dentro di lei.
E non era solo l’imbarazzo provato fino ad adesso.
“V-va bene allora…” alzò lo sguardo vacuo verso di lei “P-per un attimo mi hai fatto credere che-”
Emi porse a lei il nastro insanguinato, senza smettere di sorridere “Voglio che sia tu a farlo!”
Ciò che si era rotto si ricompose in un attimo. Assieme all’imbarazzo.
Assieme a qualsiasi altro tipo di emozione che nemmeno riusciva a capire.
Fanculo. COSA!? COME!?
Era QUESTO il suo obbiettivo finale!?
Avevano rischiato di… improvvisamente, per un momento, una voce infondo al suo cervello da trapassata le gridò fortissimo ‘ne è valsa la cazzo di pena’.
Ma attribuì questo pensiero allo stordimento arrivato da un nuovo super mega colpo di testa di quella psicopatica con cui aveva condiviso i momenti migliori della sua non-vita.
In vero, non sapeva a cosa attribuire nulla di tutto ciò che sentiva.
Era talmente incredula e senza parole da non riuscire nemmeno ad esprimersi.
“E-Emi… i-io…”
“Che c’è, non lo vuoi?”
Scosse la testa con abbastanza tanto vigore da farsi venire male al collo “N-NON HO MAI DETTO QUESTO! M-ma…”
“E allora non ci sono problemi, giusto?” Etsuko si avvicinò, le prese le mani tremolanti e posò quel nastro sporco dal valore di ogni singolo caveau di ogni singola banca presente nel mondo nelle mani “Ho fatto io il primo passo, quel giorno, quando tu hai fatto l’errore di approcciarmi e farmi per sempre dimenticare l’esistenza di qualsiasi altra donna nel resto del mondo. Ora prenditi le tue responsabilità, e accertami che questo sentimento che provo così intensamente per te non è unilaterale.”
Kuchisake guardò quel nastro che aveva tra le dita.
Provava paura, felicità, ed un grande imbarazzo, in quel momento.
Non aveva nemmeno il coraggio di guardare la compagna che, pochi minuti prima, aveva redarguito animatamente e alla quale aveva lanciato un pezzo di pietra piuttosto pesante.
“Emi, io non so cosa dire… non sono brava con-”
Fu tutto finito, quando ritornò a guardarla.
“Allora, cosa aspetti?” sussurrò Etsuko, che adesso stava guardando da tutt’altra parte, con una mano che le scostava una ciocca di capelli dal visto e il leggero vento che glieli scompigliava leggermente.
Il lieve rossore sulle gote faceva capire che, benché lo mascherasse meglio, era quasi imbarazzata forse anche più di lei dopo quell’ultimo stunt.
I raggi lunari bagnavano il suo corpo, facendolo brillare di una luce così intensa che sembrava quasi accecarla, trasformandola quasi in una dea ai suoi occhi.
Ogni singolo lineamento e ogni singolo particolare, a cominciare da quegli occhi rossi come il sangue, un colore così particolare e misterioso, e quei capelli d’ebano che sembravano filamenti estratti direttamente dall’ossidiana più pura, fecero accorgere, forse per la prima effettiva volta in tutta la sua non-vita, di quanto la sua compagna fosse la donna più bella sulla quale avesse mai poggiato il suo sguardo.
Imbarazzo, paura e qualsiasi altra emozione vennero spazzate via.
La Donna dalla Bocca Tagliata, Regina degli Spettri di Tokio, s’inginocchiò a terra, suscitando la sorpresa dell’interlocutrice, che voltò a guardarla con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
“… vago per questo mondo da così tanto tempo che ho smesso di contare gli anni…” cominciò Kuchi, tornando a guardare il nastro. Si passò una mano sulle ferite che solcavano le sue guance “ciò che porto qui, è un peso che mi perseguita per l’eternità. Ha sempre rappresentato il motivo per cui ho cominciato a guardare tutto ciò che mi circondava con l’odio che ha dato vita alla mia leggenda. Sono la mia maledizione, che mi ha scagliato una persona che avrebbe dovuto proteggermi, e che invece mi ha per sempre costretta a sentirmi inadeguata, debole e per sempre macchiata da cicatrici che mi rendono un mostro. Quella sera, quando ti ho attaccata, volevo solo spaventarti un po’, e vedere nei tuoi occhi il terrore umano che, per un po’, mi ha sempre fatto dimenticare quanto la vita di uno Spettro millenario sia quanto di più schifoso possa esistere sulla faccia della terra.” prese un sospiro “quando ti ho mostrato queste cicatrici, e nei tuoi occhi, assieme ad una legittima sorpresa, ho visto ciò che non mi sarei mai aspettata di vedere… avrei dovuto capire in quel preciso istante di essere finita nella tua trappola. Non so cosa sei, Etsuko Emiya, e sono sempre stata convinta fossi una qualche specie di strega in ritiro, che mi ha fatto uno dei più begli incantesimi possibili. Ma sta di fatto, che ho la certezza tu sia la prima persona al mondo che ha visto queste cicatrici e non ha visto qualcosa di disgustoso o repellente. Sei la prima persona che, per la prima volta, ha visto qualcosa di genuinamente bello, quando ho tolto quella stupida maschera. E non c’è un giorno che passo assieme a te in cui tu non me lo ricordi. Non sono brava con le dimostrazioni d’affetto, Emi, lo avrai notato. E nemmeno nel riportare i motivi per cui ti starei accanto anche dovessi decidere di buttarti dentro ad un vulcano in eruzione. Ma spero che basti questo” finalmente alzò lo sguardo verso la sua amata, guardandola con un’intensità con cui non guardava Aka nemmeno nei momenti in cui voleva più prenderlo a pugni in assoluto “Io ti amo, Etsuko Emiya. Quindi per favore, sposami.”
Sussultò appena, accorgendosi di un particolare della quale non si era ancora accorta: spesse lacrime trasparenti stavano attraversando le guance di Emi, scendendo copiose dagli occhioni fissi su di lei.
Non l’aveva mai vista piangere.
Si sentì decisamente in colpa.
E anche un po’ vittoriosa per averla finalmente colta di sorpresa, per la prima volta.
“N-non me lo avevi mai detto prima…” Etsuko si passò un dito sotto agli occhi, tirando su col naso “Non mi avevi mai detto che mi amavi…”
E che cazzo. Così mi fai sembrare la peggior fidanzata di sempre…
“Kuchi…” le lacrime non si erano fermate, però almeno adesso era tornata a sorridere. Meno male, altrimenti si sarebbe messa a piangere pure lei “… quel giorno, quando ci siamo incontrate per la prima volta… non passa un secondo della mia vita in cui io non lo benedica con tutta me stessa. Avevo accettato del tutto la mia solitudine e sentito che il mondo mi avesse, per sempre, dimenticata e relegata nel suo personale sgabuzzino di cose alla quale non frega niente di nessuno. Ogni mio piano, sogno, desiderio è andato man mano ad assopirsi e sgretolarsi. Ed ero in un luogo così oscuro, gelido e nebbioso, poco prima di vedere quelle tue adorabili cicatrici…” si passò il polso sotto all’occhio destro, sfregando debolmente “A-avevo bisogno… di un miracolo. Di qualcosa che mi impedisse di arrendermi, che mi desse la certezza che il vagare ancora su questa terra, a stancarmi ed a maledire ogni singolo giorno in cui dovevo alzarmi la mattina non fosse tutto inutile. Non so’ perché sei stata proprio tu, quel miracolo. Quando mi hai fatto quella domanda, forse ero troppo in trance e incredula che ciò che mi stava succedendo stesse veramente succedendo, ma ero del tutto sincera: ti bacerei, ancora ed ancora, fino all’infinito. E ti stringerei per tutta l’eternità, ricordandoti con dolcezza quanto tu sia la cosa migliore che mi sia mai capitata” la guardò con occhi ricolmi di sentimento, mostrando i denti candidi con un sorriso “grazie, Kuchi. Grazie per avermi incontrata quella volta; grazie per la pazienza che dimostri tutte le volte che faccio stupidaggini, e per non avermi mai lasciata sola nemmeno quando ti faccio perdere del tutto la pazienza; grazie per il semplice fatto di essere il Fantasma che ha deciso di perseguitare la mia vita.” Si portò una mano al cuore “Anche io ti amo. Così tanto che non posso fare a meno di piangere quando penso a quanto ti amo veramente. Quindi sì: accetto la tua proposta, mio Meraviglioso Fantasma.”
Kuchi sbatté le palpebre un paio di volte, poi dovette abbassare di scatto la testa, con il corpo avvolto dai tremori.
“M-maledetta che non sei altro…”
“K-Kuchi?”
Quando risollevò lo sguardo, rivelò le guance solcate di lacrime a sua volta
“N-non c’è davvero possibilità di vincere contro di te, uh?” ridacchiò la Donna dalla Bocca Tagliata, passandosi un dito sotto un occhio chiuso “Riuscirai sempre a farmi piangere, in un modo o nell’altro…”
Al chiaro della Luna di una notte senza stelle, tra le rovine solcate da un flebile venticello, due spettri si tenevano le mani a vicenda. I rispettivi polsi destri legati tra loro da un nastro insanguinato. Si guardavano con gioia e dolcezza, ed anche forse un pizzico d’incredulità.
Nessuna delle due, ancora, riusciva a credere che la persona che cercava da così tanto tempo si sarebbe trovata nel luogo e nel momento meno previsto in assoluto.
Nessuna delle due ancora era in grado di accettare che adesso, quella stessa persona, era lì di fronte, a decidere di condividere per sempre il resto dell’eternità con lei.
Ed era tutto bellissimo.
“Per sempre, Etsuko Emiya.”
“Per sempre, Kuchisake Onna.”
Etsuko mise le proprie mani sulle guance martoriate della sua amata, che la imitò poco dopo.
“愛しています” sussurrò Emi infine, a fior delle labbra dove poi appoggiò delicatamente le proprie, mentre il vento faceva danzare di entrambe i capelli e le circondava con un mulinello di foglie.
Quello non sarebbe stato sicuramente il loro ultimo bacio, e non era certo il primo, ma era come se lo fosse. Una promessa di un’eternità passata assieme, che non si sarebbe infranta – entrambe ne erano sicure – anche dopo che l’intero Universo avrebbe cessato di esistere.
E sperarono, nel loro piccolo, che assieme alla promessa sancita da quel nastro, le vite e gli amori dei sacrifici svoltisi tra quelle rovine avrebbero vissuto per sempre assieme a loro.
Sospirò ancora una volta, cercando di capire quale parte masochistica del suo cervello l’avesse portata a sedersi su quella panchina, a rimuginare i giorni in cui, accompagnata da mamma e papà, veniva fatta dondolare sull’altalena del piccolo parco giochi della sua infanzia, adesso deserto.
Erano bei tempi, quelli.
Che non sarebbero tornati.
Adesso i suoi erano sotto terra, lei era sulla strada dei quaranta e il lavoro le toglieva talmente tanti pezzi di anima al giorno che era già un miracolo il potersi godere quel velocissimo momento di malinconia.
Chiuse gli occhi e si passò una mano su naso e palpebre, sollevando di poco gli occhiali dalla montatura esageratamente larga.
Non era necessaria la leggera nebbia che stritolava con soffici tentacoli le giostre, ad impedirle di vedere i colori del parco. Il grigiore di ogni cosa era una costante nella sua vita che nemmeno ricordava quando fosse cominciata.
Che destino crudele, quello umano: nascere, appassire, vedere tutte le cose che un tempo ti eccitavano perdere il loro valore, e poi morire.
Cosa le impediva di accorciare l’attesa…?
Scacciò quel pensiero oscuro scuotendo la testa vigorosamente e facendo oscillare a destra e sinistra la lunga coda di capelli scarmigliati e disordinati.
Non doveva pensarci a queste cose.
Per quanto negli ultimi giorni, questo tipo di pensiero si stesse facendo sempre più frequente.
Era una donna adulta, ormai.
La sua fase ‘Edge-lord’ avrebbe già dovuto essere finita da un pezzo.
Finì la sua bevanda, stringendo il bricchetto nel pugno, per poi buttarlo nel bidoncino a fianco della panca. Si alzò, ripulendosi la lunga gonna nera dalla polvere, afferrò la valigetta e si avviò verso casa, stiracchiandosi meglio che poteva. Controllò l’orario sul telefono: bene.
Aveva tempo di farsi una doccia, mangiare qualcosa e poi poteva dedicarsi un po’ la serata a se stessa, a guardare film horror o leggere qualche storia terrificante su internet.
Se c’era una cosa che le impediva di ‘Accorciare i Tempi’, quello era sicuramente il perdersi in mezzo a ciò che spaventava gli esseri umani.
Aveva perso voglia e motivazione per poter cominciare la sua carriera di scrittrice horror, ma ehi: cosa le impediva di vivere le avventure che avrebbe potuto scrivere lei ogni sera?
Intanto, avesse continuato a scrivere non avrebbe comunque avuto amici con cui condividere le sue storie.
Andava bene anche così.
“C-che freddo…”
Le temperature si erano abbassate di colpo all’improvviso, o era solo una sua impressione?
E com’è che ora la nebbia era tanto fitta da quasi cancellare ogni cosa davanti al suo sguardo, eccezione fatta per il marciapiede crepato?
Un lieve sorriso le increspò le labbra: pensare alle storie di paura e, subito dopo, viverne una, sarebbe stato davvero il colmo.
Ma chi voleva prendere in giro: non sarebbe mai successo.
“…Tu…”
Sgranò gli occhi.
La valigetta le cadde dalle mani.
Quella voce così flebile, soffocata, minacciosa ma a tratti anche … suadente?
Quella sillaba sembrò accarezzare le sue orecchie come uno strano e freschissimo balsamo.
Era convinta di essere da sola, mentre tornava a casa.
Non si era minimamente accorta che qualcuno si fosse appena avvicinato.
In un miscuglio di paura e curiosità, la donna voltò lentamente la testa.
I suoi occhi scuri incontrarono quelli glaciali e bellissimi di chi le aveva rivolto la parola.
“… mi trovi forse bella?”
Fu quello il primo giorno in cui incontrò la Kuchisake Onna, lo Spirito più Terrificante di tutto il Giappone.
Il giorno stesso in cui, il Mondo di Etsuko Emiya, riprese ad acquisire i colori che aveva perso.
[…]
Kuchisake era preoccupata.
Con sorpresa di un cazzo di nessuno.
Come l’ombrello quando fuori piove, lo spettro sapeva che doveva armarsi di una discreta dose di angoscia quando la sua compagna si metteva in testa di fare quelle gite fuori programma. Ormai aveva perso la speranza: non l’avrebbe mai semplicemente portata al mare, se in quello stesso mare non abitava qualche gigantesco mostro marino non-morto da pestare di botte a guardia di un qualche artefatto perduto che C’ERA SICURAMENTE UN MOTIVO se era stato perduto.
Quando le aveva detto di trovarsi un altro hobby, superato quello di andare a caccia di serial killer pazzi per conto suo, non aveva messo in conto tra le possibilità la ‘ricerca e collezione di oggetti maledetti’.
Non che avesse così tanto motivo di preoccuparsi: mentre lei era comunque uno Spettro piuttosto potente, la sua attuale ragazza poteva essere quasi definita come un incubo cosmico finito sulla terra, perciò il rischio di essere cancellate dall’esistenza permanentemente era alquanto lontano.
Ma quest’ultima tappa era stata consigliata da Aka Manto.
Non poteva voler dire niente di buono.
Per questo il vedere quella psicopatica discutere animatamente con quella povera ed anziana Nopperabo – aveva chiesto delle indicazioni sulla loro tappa, e quell’altra aveva invece chiesto con tono assolutamente rassicurante se voleva morire un’altra volta – che cercava in tutti i modi di dissuaderla, fallendo su tutta la linea, l’agitava più del previsto.
Bestemmiò quando vide la signora cedere.
Con una vaga espressione di sconfitta sul viso – per quanto un volto privo di lineamenti possa dimostrare emozioni – puntò il dito scheletrico verso il sentiero MENO BATTUTTO di tutta la cazzo di foresta, gracchiando qualche parola di avvertimento.
La pazza, con gli occhi rossi illuminati di gioia come quelli di una bambina, si era invece chinata in avanti con un dolce ringraziamento, per poi voltarsi tutta sorridente e dirigersi verso la compagna.
L’anziana tornò a proseguire sul suo bastone di legno bitorzoluto.
E nonostante non fosse vicinissima, Kuchi poté comunque udire un ‘Sti’ giovinastri… trapassati da così poco e già pensano di essere indistruttibili. Povero Giappone…’
“… non dovremmo ascoltare i consigli di uno spettro più anziano?” domandò Kuchisake, ancora fissa sulla schiena coperta dal grosso cesto di vimini forato della Nopperabo.
“Oh! E’ esattamente quello che intendo fare!” rispose Etsuko Emiya, cominciando a prendere la strada che le era stata indicata “sembra che passando da qui, si arrivi molto prima alla nostra destinazione. Voglio arrivarci esattamente quando sarà buio.”
Kuchisake chiuse gli occhi, si passò una mano sulle palpebre e sbuffò rassegnata. Si girò a guardarla con le sopracciglia aggrottate “Emi. Io intendevo tutta la parte in cui ha chiaramente fatto intendere che se vogliamo avere una seconda morte prematura, questo è il metodo più rapido.”
“Ma come puoi essere così preoccupata?” Etsuko si portò le mani dietro la schiena, poco sotto la ferita sanguinante, e si voltò palesando uno dei suoi soliti sorrisi enigmatici, incastrato nell’altrettanto solita faccia da schiaffi “se hai paura, sai benissimo che c’è la tua bellissima ragazza a proteggerti, no?”
Questa volta, tuttavia, nemmeno quello bastò per convincerla.
“E chi protegge te, poi?”
“Ovviamente tu, sciocchina!” ridacchiò Etsuko, portandosi l’indice alle labbra e facendo l’occhiolino “se ci proteggiamo a vicenda, nemmeno il Diavolo in persona potrà sconfiggerci!”
“Questo perché sei tu il Diavolo, cretina” Kuchisake incrociò le braccia ed affilò lo sguardo “E se ti lasciassi andare da sola? Perché porca puttana non è passata nemmeno una settimana dalla tua ultima tappa infestata che ci ha quasi disintegrate?”
“Oh, suvvia, non essere così arcigna!” tornò a guardare in avanti “Questa… è più importante delle altre. Sarebbe stata la nostra prima tappa in assoluto, se l’avessi scoperta subito.”
O non l’avresti mai scoperta, se quella cazzo di Maschera si fosse fatta i cazzi propri.
Tornati al Bar avrebbe stretto i coglioni di quel bastardo con un laccio emostatico.
“E poi so che non mi lasceresti mai andare da sola in un posto pericoloso” la guardò da dietro la spalla. Poteva scorgersi ancora il suo sorrisetto beffardo “o sbaglio, Kuchi-chan?”
Quell’altra grugnì, con le gote che si fecero lievemente rossicce.
“Immagino ci sia poco da fare…” si massaggiò dietro la nuca.
Voltò lo sguardo di scatto, all’erta.
Quando quello incontrò solo una piccola maschera bianca, che si ritrasse subito dietro al tronco di un albero, rilassò la presa sulle cesoie.
Timidamente, la creaturina torno allo scoperto, incuriosita.
Kuchisake era sicura che avrebbero incontrato dei Kodama lungo il percorso: con i loro vestitini composti da foglie secche e stracci e le loro maschere circolari dai tre fori neri, disposti in modo da disegnare una specie di visino stilizzato, quei piccoli spettri dall’aspetto di ragazzino androgino e dai lunghi capelli bianchi seguivano i loro movimenti con un misto di interesse ed anticipazione, alcuni seduti con i piedi nudi a penzoloni sui rami, altri semi nascosti dietro gli alberi, con le manine dalle dita sottili appoggiate sulle cortecce.
Non si trattava di spettri ostili, se non rompevi loro i coglioni.
E doveva ammettere che la loro presenza la rasserenava un pochino e alleggeriva lo strano senso d’oppressione che aumentava man mano che si avvicinavano alla supposta ‘meta’.
E man mano che il cielo perdeva sempre più la sua luminosità.
Cosa ancora più accentuata dal fatto che gli alberi fossero tanto fitti da coprirne buona parte.
Da quando era passata da ‘motivo per cui aver paura del buio’ a ‘ho paura del buio’?
“Ok, per pura curiosità: quanto ci vuole far fuori a sto giro Aka?”
Fare conversazione con il motivo per cui era lì per cercare di non pensare di essere lì.
Era come andare in terapia da chi ti ha tagliato la gola dei genitori davanti agli occhi.
“Oh, non ti devi preoccupare di quello: ci siamo parlati per tutta la sera e abbiamo trovato una zona non troppo pericolosa, ma PERFETTISSMA per ciò che voglio fare!” Si portò l’indice alla guancia destra, tutta gonfia “Insomma… per lui, quantomeno…” mormorò a bassa voce, masticando le parole.
Kuchi borbottò a sua volta “Certo che ultimamente sembri passare molto tempo con quella Stupida Maschera, uh?”
Si bloccò.
Aveva VERAMENTE espresso quel pensiero ad alta voce?
Cazzo.
No! non doveva E NON POTEVA essere successo!
L’ultima cosa che doveva capitare- ecco.
Emi si era voltata con una faccia che avrebbe tanto voluto prendere a testate.
Bastarda lei e la sua linguaccia.
“Non dirmelo: Sei gelosa? Di Aka-Manto!?” domandò Etsuko, conscia di quanto quell’aggettivo fosse peggio di una mazza da baseball sulla fronte per lei.
“TSK!” la Donna dalla Bocca Tagliata incrociò le braccia e voltò lo sguardo verso destra, ben attenta a non incrociare quello dell’interlocutrice “N-non sono gelosa! Sono più matura e intelligente di così! P-però… solo… B-beh… ultimamente mi è sembrato di notare che siete diventati, ecco… diventati parecchio intimi. F-forse un po’ troppo. S-sono contenta che gli altri ti abbiano accettata così velocemente, però…”
La cosa mi dà così tanto fastidio che aprirei un secondo sorriso sulla gola di quel cascamorto.
Quello non lo disse ad alta voce, però.
Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, davanti a lei.
Scosse la testa e riprese a camminare, con le palpebre serrate.
“BAH! Lascia perdere. Piuttosto arriviamo in sto’ posto prima che sia notte fonda-”
Sbatté contro qualcosa.
Fece qualche passo indietro ed alzò di qualche centimetro lo sguardo, incontrando il viso distorto da un lieve e affettuoso sorriso della pazza.
“Cosa c’è-”
Senza preavviso, Etsuko prese le guance di Kuchisake con delicatezza e ne posò le proprie labbra sulla gota destra. Poi sulla sinistra, poi sulla fronte. Il contatto con la pelle era morbido e delicato come quello con un petalo di ciliegio in fiore.
Alcuni spiritelli guardoni si portarono le manine davanti al foro della bocca.
Altri sulle guanciotte pallide celate dalla maschera.
Dopo l’ultimo bacetto, durato più a lungo degli altri, Etsuko si allontanò appena dalla compagna, per poi avvicinarsi di nuovo e stringerla delicatamente tra le braccia, facendo aderire delicatamente il proprio corpo col suo. Quindi piegò il collo in avanti e si avvicinò all’orecchio di Kuchi “Non c’è pericolo che qualcuno mi possa portare via da te, Kuchi-chan. Sono diventata così amica di Aka solo perché lui è il motivo per cui posso stare assieme a te” sussurrò a fior di labbra, con dolcezza ed una certa malizia, a pochissimi centimetri dall’orecchio “Non ti devi preoccupare, ok? In questa non-vita, per me esiste solo una Maschera.”
E la mollò lì, barcollante e accaldata – più di quanto un trapassato dovrebbe essere – dandole le spalle e avviandosi, canticchiando un motivetto infantile che non conosceva mentre avanzava ciondolando, con le mani giunte dietro la schiena.
Il tempo di smettere di guardarla con occhi annebbiati dalla passione e dall’amore, che Kuchisake scosse la testa furiosamente e la puntò col dito.
“N-NON E’ VALIDO ATTACCARMI IN QUESTO MODO! MERETRICE! PERVERTITA! NINFOMANE!” la sua voce era acuta come quella di un gabbiano.
Per tutta risposta, la sua amata ridacchiò divertita.
I piani erano stati rispettati: erano arrivate a destinazione a notte fonda.
E se pensava che una volta raggiunta la meta, la sensazione di angoscia sarebbe finita, Kuchisake si dovette ricredere violentemente quando guardò oltre il cancello naturale, composto dai due alberi affusolati tra loro, piegati come un arco e ricoperti da una varietà incalcolabile di amuleti sacri.
I raggi lattei di una luna che sembrava quasi troppo grande nel cielo senza stelle per essere vera, illuminavano i resti di un piccolo villaggio dalle case di pietra, dai tetti di paglia spioventi e ricoperti di buchi, con porte e finestre che sembravano dare alle abitazioni espressioni doloranti.
Un unico piccolo pozzo composto da pietroni tondeggianti stava incastonato al centro.
La corda che un tempo doveva reggere il secchio era spezzata, penzolando mogiamente sospinta da un’aria che, in tutta onestà, la Donna dalla Bocca Tagliata nemmeno percepiva.
Foglie secche ed erbacce sporcavano la terra battuta dove sorgevano i casolari come gigantesche macchie di muffa. La decadenza e l’abbandono erano signori incontrastati, in quel luogo, ed era improbabile capire a quale epoca risalisse quel posto. Forse, addirittura prima dell’esistenza del Paese.
Kuchi percepì anche qualcos’altro.
O meglio, ne percepì la mancanza.
Già aveva notato l’assenza sempre più frequente di Kodama man mano che si avvicinavano alle rovine, quasi nessuno di loro volesse alloggiare tra gli alberi nei pressi di quel villaggio abbandonato. E ora che si trovavano proprio lì davanti, ebbe la certezza che l’aveva tenuta in ansia lungo tutto il viaggio: non c’erano spettri, lì dentro.
Non sono rari i villaggi abbandonati che non si riescono a trovare in nessuna delle mappe, e di solito sono i luoghi prediletti per spiriti o yokai dove andare a stabilirsi permanentemente, soprattutto per la loro lontananza dalla curiosità e le magagne portate dai vivi.
Incontrare uno di quei villaggi completamente deserti la diceva lunga sull’entità di quel luogo.
La storia le piaceva poco. Sempre meno dopo aver notato il sorrisetto eccitato di Etsuko.
“Chi mai costruirebbe un villaggio in un luogo così sperduto…?”
“Ovviamente chi non vuole vivere in mezzo agli altri, Kuchi chan. No?” mormorò l’altra donna come se avesse rivelato l’ovvietà più inutile ad un bambino di sei anni.
Quindi, con le scarpette nere che facevano scricchiolare le foglie, si avviò oltre il portale di alberi.
Per non lasciarla sola e per non rimanere sola a sua volta, la compagna la seguì a ruota.
E superato l’arco degli alberi, poté sentire nella sua interezza la pressione paranormale che quel luogo esercitava. Era drasticamente diverso dal Parco delle Anatre, o da qualsiasi altro luogo infestato avessero visitato. Sentì quasi le proprie viscere stringersi tra loro e dovette fermarsi per un secondo, premendosi una mano al petto per prendere fiato. Sollevò lo sguardo irritato verso quell’altra, che ancora camminava come se niente fosse. Anche se notò una lieve instabilità nella camminata, segno che per quanto il rito ‘Eldritch Horror’ l’avesse resa potente, non l’aveva resa del tutto immune all’energia negativa che permeava quelle rovine abbandonate.
Dove cazzo mi hai portata, fottuta psicopatica?
Una volta ripresa, Kuchisake attraversò il villaggio e raggiunse Etsuko, ferma ai piedi di una scalinata di pietra scavata nella roccia, circondata da erba incolta e lunga e sovrastata da un quintetto di Torii di legno marcio e bucherellato, da cui scendevano altri amuleti che non aveva mai visto prima.
“Wow.” Sussurrò la spilungona, con lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhioni rossi pieni di meraviglia “E’ molto più affascinante di quello che pensavo…”
Kuchi alzò lo sguardo a sua volta.
Sotto la mascherina medica fece una smorfia, mentre aggrottava le sopracciglia.
Quell’ affascinante era rivolto ad un gigantesco, dilapidato e assolutamente non minaccioso tempio, costruito in cima al promontorio dove portava la scalinata di pietra.
Pietre ovali e semicircolari, che ricordavano lapidi; piccole e ridenti sculture di gyzo – alcune delle quali decapitate, altre ancora che sembravano piangere lacrime nere dagli occhi chiusi – e qualche girandola di carta crespa immobile da chissà quanti anni, circondavano una struttura di legno nero suddivisa in tre basse pagode dai tetti di tegole rosse – alcune delle quali erano precipitate già verso il basso, abbandonate tra le statuette – e dalle enormi porte scorrevoli semichiuse, ricoperte di forellini sulle finestrelle di carta bianca.
Dei campanelli di metallo penzolavano dai bordi dei tetti, tintinnando ed emettendo suoni spettrali.
“Dobbiamo riconsiderare i tuoi gusti in fatto di architettura, Emi.” Borbottò Kuchi, per niente impressionata.
L’interlocutrice ridacchiò, muovendo il primo passo sul primo gradino.
“Mi spieghi adesso perché siamo sperduti nel nulla e stiamo per disturbare un tempio abbandonato da chissà quanti anni?” domandò poi, seguendola sulle scale.
“Mi pareva di avertelo accennato: lì dentro c’è una cosa di cui ho assolutamente bisogno. O perlomeno, mi auguro ci sia ancora.”
Se mi hai fatto fare tutta sta’ strada per un cazzo di niente, Etsu-baka…
“… non POTEVI accertarti subito che quanto cercavi fosse effettivamente qui, idiota?”
“Ma Kuchi-chan! Non ho dubbi che sia ancora qui!” voltò lo sguardo, sorriso enigmatico e sguardo inquietante armati. Kuchisake masticò un’imprecazione “… vedi, sono certa che l’hai notato prima di me: ma oltre a noi quaggiù non c’è assolutamente nessuno. E per dei motivi ben chiari.”
Kuchi aggrottò la fronte: non le piaceva mai quando quella partiva per la tangente e spiegava i motivi per cui i luoghi infestati che visitavano erano così pericolosi.
Portavano sempre bruttissime conseguenze.
“Il fatto…” passo dopo passo, arrivarono a metà scalinata, esattamente sotto ad uno dei Torii. Uno degli amuleti sfiorò i capelli di entrambe, e Kuchi ebbe una brutta sensazione appena percepì che questi non avessero alcun effetto su di loro “… è che questa gente, gli abitanti del villaggio, non si sono stabiliti qua solo per rimanere isolati dal mondo: è stato il mondo stesso ad isolarli.”
Kuchisake si bloccò, puntando lo sguardo sulla schiena sfregiata della compagna “Perché mai una cosa simile…?” chiese, anche se sapeva che la risposta non le sarebbe piaciuta.
L’altra voltò lo sguardo.
Gli occhi brillarono di rosso nella notte “Questa gente poverissima aveva capito che per poter sopravvivere in un ambiente tanto ostile, aveva bisogno della benedizione di qualcosa. Più di preciso, di una divinità. Una divinità talmente aberrante e oscura che né la luce del Paradiso né le fiamme e l’oscurità dello Yomi volevano. Una creatura di una fame tanto spietata ed esigente da arrivare a chiedere sacrifici di sangue, a chiunque richiedesse i suoi servigi. Dentro a quello” indicò il tempio “C’è un artefatto importantissimo che serviva per questo rituale di sacrificio. E ne ho assolutamente bisogno.”
Oh. Oh no.
“Emi… per favore… non dirmi che mi stai portando a casa di un DIO MALVAGIO per recuperare un cazzo di artefatto maledetto! Sai benissimo che in città ci sono una marea di mercatini che li vendono a prezzo ridotto! E sicuramente alcuni di quelli manco ancora ce li hai!”
“Suvvia! E’ molto più figo recuperarseli da sé questi oggetti, non credi? E poi, le divinità non esistono!” voltò lo sguardo. Qualcosa di enorme ed avvolto dalle ombre si mosse dietro al tempio abbandonato “E’ solo una leggenda”
“Ah… pure io lo sarei, in teoria.”
“Inoltre, non è detto che qualunque cosa abitasse qui, ci sia ancora! a giudicare dallo stato del posto, un giorno gli ex abitanti del villaggio devono aver rifiutato di continuare coi sacrifici – o se ne sono dimenticati – e il ‘Dio’ li ha molto probabilmente puniti. Sarà andato a stanziarsi da qualche altra parte dopo averli fatti tutti fuori.”
Qualcosa di gigantesco precipitò a pochi centimetri davanti a Etsuko, voltata del tutto verso la sua ragazza.
Un nuvolone di polvere e vento fece svolazzare i capelli dei due spettri.
Kuchisake sgranò gli occhi.
Atterrato a pochi gradini dalle due, distruggendo uno dei Torii con il suo peso e spaccando in più punti la scalinata e il promontorio, il gigantesco corpo scricchiolante e d’ossidiana di una colossale scolopendra sbatteva ritmicamente le zampe affilate come uncini al suolo, creando una cacofonia che avrebbe fatto raggelare il sangue al Dio dell’Oltretomba in persona.
Doveva raggiungere sì e no gli otto metri di lunghezza.
“… Ok, mi sbagliavo.” Emi tornò a guardare in avanti, per poi sollevare lo sguardo verso dove il corpo dell’animale s’innalzava.
Ma invece di esibire la testa dell’insetto, irta di antenne e tenaglie, l’essere esibiva altro.
Coperto da un lungo kimono rosso come il sangue, orlato d’oro e ornato da motivi floreali di camelie nere, il corpo femminile di quella che sembrava una geisha partiva dal resto del colossale mostro. Un fiocco violaceo gigantesco, che ricordava le ali di una farfalla, spuntava da dietro la schiena, coi nastri logori e sporchi tanto lunghi da strisciare a terra.
Capelli neri e lunghissimi, a loro volta, strisciavano al suolo, incorniciando un volto celato da una distorta e pallida maschera da demone: lo sguardo maniacale era composto da due occhi piegati in un’espressione che ricordava un miscuglio aberrante tra collera e disperazione, contornati da una spruzzata di vernice dorata, e sotto al naso appuntito della maschera si apriva una mezzaluna rovesciata irta di denti affilati come quelli di uno squalo, coi canini che sovrastavano in altezza e lunghezza il resto della dentatura.
Due corna avvolte nel rubino spuntavano dalla fronte corrugata, poco sopra agli occhi finti.
La mano scheletrica sinistra reggeva un ventaglio nero, aperto a mostrare il disegno estremamente dettagliato di un’austera pagoda che bruciava sullo sfondo di un cielo notturno, sopra ad una città in fiamme.
La mano scheletrica destra, l’asta nera di una lunghissima naginata. La grossa lama ricurva, cosparsa di ruggine, aveva sicuramente visto giorni migliori. Ma non serviva un fabbro esperto per capire che avrebbe potuto spaccare l’armatura di un samurai con facilità.
“Per spezzare una lancia in mio favore, ero convinta che i sigilli posti fuori dal villaggio per tenerla dentro avessero esaurito già tutto il loro potere” Etsuko chiuse gli occhi, si portò le mani alla nuca e tirò fuori la lingua “Tee-hee!”
“DOVREI STROZZA-” Kuchisake non finì la frase.
Etsuko si voltò appena in tempo per vedere il corpo di Kuchi, colpito in pieno stomaco da un affondo della parte posteriore del centopiedi con violenza, volare giù dalle scale e contro una delle abitazioni di pietra. Abitazione di pietra che, dopo essere stata sfondata, crollò su se stessa, celando lo Spettro ai suoi occhi.
“Wow. Non sono così solide come credevo.”
Il Dio emise una risata agghiacciante, femminile ma con un timbro così grave da ricordare quella di un gigantesco uomo adulto. Quindi sollevò la naginata e menò un fendente obliquo dall’alto verso il basso, mirato a colpire in pieno la seconda intrusa.
L’impatto seguente scaturì un’esplosione di scintille e il rumore del metallo contro al metallo distrusse per sempre il silenzio.
“Lo sai?” Etsuko spiò l’avversario da dietro la gigantesca lama scintillante a falce di luna, formatasi dalla venosa e pulsante protuberanza che adesso sostituiva il suo braccio destro. Il suo sguardo vermiglio mandò lampi di guerra “Dicono che attaccare senza preavviso l’amante di uno Spettro porti sfortuna.”
Il Dio emise un verso frustrato, per poi liberare la propria arma da quella della nemica e farla roteare sopra la testa, per poi farla riprecipitare dall’alto con violenza.
Etsuko aprì le braccia ed eseguì un balzo all’indietro, tracciando un arco con le gambe a mezz’aria componendo un perfetto giro della morte con il proprio corpo. Sotto di lei, altri ciottoli e polvere esplosero mentre la lama della naginata s’abbatteva su altri scalini.
Atterrò con grazia e le gambe piegate sulla terra battuta del villaggio.
“Rendiamo vera questa diceria, sì?”
Piegò il braccio sinistro verso il proprio petto, che cominciò a ricoprirsi di vene e strane escrescenze pulsanti e disgustose. Il braccio si gonfiò ancora, per poi esplodere in sangue nero e pezzi di carne, rivelando una seconda lama, lucente e ricurva, del tutto identica alla gemella destra.
Etsuko incrociò le due armi, chiuse gli occhi, per poi spalancarli e aprire le braccia di scatto, solcando il terreno e creando un lieve spostamento d’aria “Questa Notte, si ammazza un Dio.”
Il rumore delle zampe che battevano sulla pietra precedettero la discesa della divinità dal promontorio. La creatura si mosse giù dalla scalinata muovendosi come un gigantesco serpente, per poi sollevarsi sulla parte anteriore e menare la naginata verso lo Spettro.
Spettro che strisciò le lame-braccia al suolo, facendo scintillare il terreno, per poi incrociarle sopra la propria testa e bloccare l’attacco.
Il contatto violento delle armi generò un breve mulinello di foglie e polvere.
Etsuko spinse le braccia verso l’alto, allontanando l’essere che, dopo un ciondolante movimento del corpo, ripartì subito all’attacco più rapido e violento di prima, con una sequela di fendenti che schiantarono la lama arrugginita sulla lucida difesa della fantasma, facendo piovere scintille incandescenti sul villaggio e facendo brillare la notte come fosse giorno.
Profondi solchi neri riempirono il suolo, mentre foglie e fili d’erba svolazzanti venivano sminuzzati come da una falciatrice invisibile.
Il Dio rise.
Un suono che sembrava emergere dai meandri più profondi dell’Inferno.
Quindi afferrò l’arma con entrambe le mani – senza perdere la presa sul ventaglio – per poi cominciare a roteare la parte umana del corpo, trasformandosi per un attimo in una specie di elica umanoide.
Etsuko schioccò la lingua sul palato ed incrociò le armi davanti al viso, parando una serie di colpi che aumentarono gradualmente di potenza dopo il primo inferto.
Al sesto impatto, la sua guardia venne spezzata.
“nngh…” strinse il labro inferiore tra i denti, strisciando indietro a braccia spalancate.
Sollevò la testa pochi secondi dopo, in tempo per vedere il Dio piegare il braccio armato indietro e vibrare un violento affondo in avanti, alzando un recinto di polvere ai lati dell’asta.
La donna si alzò subito in piedi e sollevò la gamba destra, facendo piovere un pestone sul piatto della lama arrugginita e bloccandola al suolo, generando un possente spostamento d’aria.
E poco prima che l’avversario potesse liberarla, Etsuko eseguì un altro salto della morte all’indietro, atterrando a ginocchia piegate sul bordo del pozzo abbandonato, con le braccia aperte ai lati del corpo come le ali di un rapace.
Si abbandonò ad un paio di violenti sospiri, col sudore che colava dalla fronte assieme al sangue dietro la schiena. Il lato negativo del trasformare il corpo in un’arma, era che quando ti scontravi con qualcuno era letteralmente come usare tutta te stessa per parare ogni attacco.
Per cui, ora le sue braccia facevano un male porco.
Sollevò gli occhi infuocati sull’avversario, che si era ritratto su se stesso con un movimento a spirale del corpo, sollevando la mano armata di ventaglio e cominciando a scuoterla vigorosamente verso di sé. Il tempo di accorgersi che una tempesta di voglie e vento si stesse concentrando intorno al corpo del Dio non bastò per impedire ad Etsuko di prendersi quasi in pieno il seguente attacco
Ebbe giusto l’occasione di sgranare gli occhi e re-incrociare le braccia, poco prima che l’essere chiudesse il proprio ventaglio e lo sbattesse al suolo con estrema violenza, scatenando una potentissima onda d’urto di polvere, foglie e minuscoli granelli, tutti che vennero sparati in avanti con la velocità di un proiettile.
Alcuni di quelli intaccarono sulle lame, disintegrandosi o scheggiandole appena.
Altri non furono così magnanimi: sferzarono il suo corpo e lacerarono il vestito, martoriandola con numerosi lunghi tagli sanguinanti di nero. digrignò i denti per il dolore, mentre veniva sbalzata giù dal pozzo e pioveva al suolo atterrando dolorosamente di schiena, per poi tornare subito in piedi con una capovolta
Nell’esatto momento in cui il Dio ripartiva all’attacco, investendo il pozzo e trasformandolo in un cumulo di macerie. Etsuko ebbe poco tempo per rinsaldare il proprio corpo e ricevere il prossimo fendente, che riuscì comunque a parare, ma ebbe l’effetto di metterla in ginocchio.
Infilzò la lama destra al suolo, alzando gli occhi e vedendo la sua avversaria che sollevava la naginata sopra la testa, per poi farla piovere in avanti con una risata grave.
Fece per risollevarsi con tutte le sue forze per ricevere il prossimo attacco, evitando d’essere spezzata in due.
Ma non servì.
Il rumore inconfondibile di due cesoie che si aprivano precedette il seguente impatto, e la lama arrugginita della divinità venne bloccata tra le doppie lame delle gigantesche forbici di Kuchi, in piedi davanti a lei, con uno sguardo concentrato – ed incazzato – ed una larga ferita sanguinante sulla fronte.
L’espressione di Etsuko si rilassò in un sorriso “Mia eroina…”
“Vai a farti fottere” Kuchisake spinse verso l’alto, respingendo il Dio che non perse tempo a ritornare all’attacco con un secondo fendente “Dovrei lasciare che ti sbrani, nerd del cazzo.”
Come si suol dire, l’attacco è la miglior difesa, perciò ogni singolo colpo del nemico venne respinto da un altrettanto potentissimo fendente dello spettro, che mosse le sue cesoie come una pesantissima e solida mannaia. L’essere, spiazzato dall’immane violenza dell’avversaria, emise un lamento frustrato ed afferrò la propria arma a due mani, provando l’ennesimo attacco discendente. Al che, Kuchi smise di attaccare, schivando di pochi centimetri di lato e permettendo che la lama arrugginita si schiantasse ed incastrasse al suolo. Probabilmente l’essere capì che quello era tutto un suo piano, perché cercò disperatamente di recuperarla senza successo.
L’altra ghignò sotto la maschera.
Prese a correre sulla lunga asta di legno inclinata, per poi balzare arrivata a pochi centimetri dalla faccia mascherata. Si appese ad una delle corna scarlatte e, dopo aver fatto roteare le cesoie nella mano, sferrò una decina di violentissime pugnalate sul lato sinistro della nuca del mostro, che emise una sequela di lamenti isterici tentando di scrollarsela di dosso.
All’ultimo colpo, Kuchi fece roteare nuovamente l’arma e, poco prima che una mano grande quanto un bambino di dieci anni potesse afferrarle la vita, balzò indietro e sferrò un doppio calcio esattamente al centro della maschera bianca, che si ricoprì di crepe.
Alcuni pezzi di ceramica finirono a terra tintinnando, mentre il corpo del Dio barcollava, inciampava sulle innumerevoli zampe da scolopendra e crollava all’indietro, disteso sulle scale che portavano al tempio e sollevando un gran polverone.
“Ora” Kuchi atterrò al suolo e si voltò verso l’altra donna “Si può sapere quanto ci vuole ancora prima del tuo trick di deformazioni orripilanti e disgustose dove mangi il nemico di turno?”
“U-uhm…” Etsuko si alzò in piedi a sua volta, massaggiandosi una guancia con la punta di una lama e procurandosi un lieve taglietto. Kuchisake non osò commentare “Ecco…”
“Emi.”
“N-non credo possa funzionare. Insomma, non qui almeno. Ci metterei troppo a caricare un attacco simile e temo farebbe prima lei a farmi del tutto a pezzi…”
“Non potevi prepararti PRIMA DI-” un rumore sfrigolante attirò l’attenzione dello spettro incazzato, che abbassò lo sguardo. La lama della naginata, ancora incastrata nel terreno, pareva starsi riscaldando, arrossandosi come un pezzo di ferro sotto la fiamma ossidrica.
Una candida fumina cominciò a sollevarsi dall’arma “… ma cosa-”
“KUCHI-CHAN!”
Etsuko si mise davanti a lei, abbracciandola con forza e costringendola in ginocchio, ignara dell’urlo dolorante e gli insulti infuriati della compagna dopo essere stata stritolata da due lame ricurve.
Frapponendosi tra lei e la gigantesca arma, poco prima che questa esplodesse in un inferno di fiamme incandescenti, Etsuko generò dalla ferita sulla sua schiena quattro strati di rossa membrana carnosa e venosa, che ricoprirono i due spettri come una barriera. Le fiamme avvolsero la membrana, incenerendola, ma fortunatamente l’ondata di calore non investì del tutto i corpi delle due, che rimasero intatte.
Emi strinse comunque i denti per far fronte al dolore lancinante.
Come le membrane si sgretolarono, le due donne si separarono e voltarono debolmente lo sguardo verso la scalinata. La colossale naginata, roteando a mezz’aria, precipitò a terra, conficcandocisi dentro per la lama, a pochissimi centimetri dal corpo che lentamente si rialzava del Dio. Una mano afferrò l’asta bucherellata, mentre l’altra prese a far danzare vigorosamente il ventaglio. Con sempre più foga.
Alle due, parve quasi che il disegno su di esso prendesse vita.
Le fiamme cominciarono a danzare fameliche sulla vernice nera.
E nel mentre, l’aria che si raccoglieva intorno al corpo del Dio prese a farsi incandescente, fino a trasformarsi in vere e proprie volute di fuoco.
Le metà della maschera da Oni caddero a terra, infrangendosi del tutto.
E l’essere sollevò la testa verso di loro, rivelando incastonato in mezzo ai capelli un ovale di pelle grigia e screpolata, simile ad una maschera di cenere, al centro del quale si apriva un buco nero circondato da denti affilati e trasparenti come quelli di un pesce lanterna.
Granelli incandescenti presero a svolazzare intorno al kimono rosso, mentre venature rosse simili alle spaccature sulla pietra lavica di un vulcano attraversavano il corpo nero del centopiedi, quando il dio aumentò la stretta sull’asta di legno.
La lama incastrata nel suolo si accese come una torcia infuocata.
“… non posso credere sia più calda di me…” mormorò Etsuko, delusa.
“NON MI SEMBRA IL MOMENTO!”
Il Dio lanciò il ventaglio di lato, che venne divorato dalle fiamme, e poi afferrò l’arma a bimane ed emise un urlo frenetico, che avrebbe fatto gelare il sangue agli Shinigami. Colonne infuocate eruttarono da ogni latto, partendo dal sottosuolo. Alcune distrussero delle abitazioni.
Le fiamme avvolsero il tempio abbandonato, le sculture, i torii e gli alberi.
Le due donne si strinsero tra loro, proteggendosi dai frammenti volanti e dalle fiamme.
Poi, finita quella dimostrazione immane di potere distruttivo, la divinità tornò piegata in avanti, sospirando affannosamente e facendosi sostenere dalla propria arma, quasi quell’ultima azione avesse richiesto molta più energia di quanto pensasse.
“Ok” Kuchi affilò lo sguardo, mentre tornava in piedi “questo dimostra che, sicuramente, non abbiamo speranze di configgere questa cosa con metodi convenzionali. E se pure tu sei inutile, allora credo che l’unico altro modo per mettere questa rompicoglioni a tacere per sempre, sia un altro.”
“C-cosa intendi?” domandò Emi, guardandola dal basso verso l’alto.
“Quello che hai detto sugli dei è vero: gli Dei non esistono. O se esistessero, dubito gliene fregherebbe qualcosa dei nostri casini e sicuramente hanno meglio da fare che scammarci con sacrifici umani o altro” puntò l’essere che si stava riprendendo sempre più velocemente “Questa puttana è uno spirito come noi. Abbastanza antico e deve aver consumato tanta energia vitale da diventare potente come una creatura dei miti, ma come tutti i nostri simili, può essere divorato da chi è più forte.”
“… e tu lo sei?”
“Non esattamente” Kuchi affilò lo sguardo “ma potrei esserlo, se riesco ad evocare la mia Maledizione.”
Etsuko si fece subito in piedi, davanti a lei, con gli occhi brillanti ed un sorriso maniacale sulla faccia “MI FARAI FINALMENTE VEDERE LA KUCHISAKE ONNA SERIA!?”
Intanto, alle sue spalle, la divinità si stava riprendendo sempre più velocemente.
“Non so se prenderlo come un insulto. Ma sì. E non credo tu debba essere così esaltata” i capelli di Kuchisake presero a crescere all’improvviso. Etsuko si allontanò, perplessa, vedendo quei grovigli neri avvolgere il corpo dell’amata come una colonia di serpenti “Questa cosa richiede un sacco di energia, e l’aura di quella cosa renderà tutto più difficile. Dovrò farmi una mezza meditazione per caricarmi il giusto.”
“… avvolta nei capelli?”
“Avvolta nei capelli, sì.” rispose, con solo ormai la testa visibile.
A quel punto, Etsuko capì la situazione.
Si rivolse alla sua ragazza con un sorriso un po’ nervoso “K-Kuchi. Amorina… m-mi stai lasciando sola? Contro quello?”
“Oh suvvia. Sei la mia ragazza perfetta” le fece l’occhiolino “So che riuscirai a proteggere me e te senza problemi.”
E Kuchi smise di parlare. Al suo posto, cadde a terra un grosso bozzolo nero e peloso di forma ovale.
Emi rimase a guardarlo per un po’. Tutta l’energia che aveva dato vita al suo viso per tutta la serata sparita “… e’ un modo per tenermi il broncio, per caso?”
Il Dio apparve alle sue spalle, pronto per vibrare un fendente con la sua arma infuocata.
“OH MERDA!” trafelata, afferrò il bozzolo con le proprie braccia-lama come fossero tenaglie e si voltò di scatto verso la minaccia, ponendolo davanti a sé e di fronte alla punta della naginata. L’impatto generò una potentissima esplosione, e spettro e spettro in letargo vennero sbalzate all’indietro, andando a schiantarsi sull’arco d’alberi all’entrata del villaggio. Caddero poi in terra, ed Etsuko si voltò verso il bozzolo.
Non presentava nemmeno un graffio.
“SAPEVO che quello sciampo fortificante era miracolato!” allegra, poi, si voltò verso la minaccia, che emerse dalle fiamme come un signore dei demoni.
“E va bene, Kuchi. Me la stai facendo pagare per i miei scherzetti. Lo accetto” Si rimise in piedi, con rinnovato vigore. Incrociò le braccia e le riaprì di scatto, fendendo l’aria con le lame “ma dobbiamo lavorare sulla tua permalosità se vogliamo far funzionare questa relazione!”
Scattò verso la divinità.
E quell’altra non ci mise niente per imitarla.
La figura di merda di Etsuko fu accorgersi che, decisamente, combattere contro un’arma avvolta dalle fiamme sarebbe stato ENORMEMENTE più difficile che contro una spenta. Aggiungendo il fatto che ad ogni impatto, c’era una piccola esplosione di fiamme che devastava il suolo già martoriato con altri crateri incandescenti, la sua boria di poco prima andava sempre più a scemare.
Amore mio, per favore: non metterci un eternità perché altrimenti qua ci rimango! Di nuovo!
I suoi pensieri vennero interrotti da una sferzata verso il basso, che rischiò di amputarle le gambe se non avesse fatto un salto. E dovette eseguire un altro paio di rapidi passi all’indietro, quando il lungo solco arcuato che la naginata aveva tracciato davanti a lei esplose in una cresta di fiamme. Cresta di fiamme dalla quale il Dio riemerse con un ruggito furioso, strisciando la lama a terra e preparando un violentissimo attacco dal basso verso l’alto. La donna maledì ogni singola divinità shintoista esistente e, non appena la lama del nemico si separò dal suolo, balzò in avanti e chiuse le proprie lame davanti al corpo. il colpo che arrivò dal basso si rivelò estremamente più potente di ogni altri singolo attacco ricevuto in tutta la notte, e la sollevò da terra ad una decina di metri. L’esplosione infuocata che seguì, invece, contribuì nello spararla verso l’orbita, a roteare a mezz’aria fino a raggiungere il limite degli alberi e trovarsi accarezzata dal vento gelido della notte illuminata dalla Luna.
Mezza stordita, fermò la sua ascesa e puntò lo sguardo verso il nemico, che prese a sollevarsi in tutta la sua lunghezza sul corpo del centopiedi, pronto a vibrare un altro, e forse ultimo, fendente infuocato, che l’avrebbe spazzata indubbiamente via se non avesse fatto altro.
Dandosi una spinta con il proprio corpo, come se una piattaforma invisibile fosse apparsa alle sue spalle, Etsuko si proiettò in avanti, caricando entrambe le braccia dietro la schiena. Il vento si concentrò intorno al suo corpo, trasformandola in una specie di proiettile impazzito volante, che precipitò con furia verso la divinità, già pronta ad accoglierla.
A pochi centimetri dalla lama infuocata che stava per colpirla, lo spettro tese le braccia in avanti in un doppio affondo, che si schiantò con potenza immane sulla punta infuocata della naginata.
Un’onda d’urto così incandescente da far sembrare che il sole fosse precipitato sulla terra esplose nelle immediate vicinanze dello scontro. Le cime di innumerevoli alberi vennero divelte come decapitati da un’immensa falce.
La lama arrugginita s’infranse in migliaia di frammenti infuocati.
E il corpo di Etsuko cadde violentemente a terra, sanguinante e mutilato.
Ma di questo, lo spettro se ne accorse solo dopo.
“Fffffffffffff-” Emi, tiratasi su in piedi, con l’occhio sinistro chiuso a causa di una cascatella nera che dalla fronte – replicata dalla bocca col labbro spaccato – scendeva verso il basso, puntò lo sguardo sulle proprie braccia. I monconi sanguinanti che spruzzavano nero come fossero macabre pistole ad acqua, da cui spuntava un pezzo d’osso, le resero del tutto conscia della loro assenza “-fanculo.”
Crollò in ginocchio, stremata.
Ed innervosita, poiché la sua rigenerazione avrebbe richiesto TROPPO tempo per permetterle di avere una nuova difesa contro qualunque cosa sarebbe arrivata di seguito.
Alzò la testa: come si aspettava, benché fosse riuscita a spaccare l’arma dell’avversaria, quella non sembrava assolutamente decisa a seppellire l’ascia di guerra. Benché non avesse occhi, poteva percepire l’immenso rancore che provava nei suoi confronti in quel momento.
Vide la divinità stringere con forza l’asta della naginata, che venne avvolta da spirali di fiamme che sembravano avere vita propria. La vide sollevare l’arma, come un giavellotto, e puntarla verso di lei. Sicuramente non l’avrebbe trapassata facilmente come l’avrebbe fatto avesse avuto una punta affilata, perciò si preparò al peggio.
L’arma venne scagliata.
Emi chiuse gli occhi.
E il gelo avvolse ogni cosa.
“Mmmmmh… ne era passato di tempo… dall’ultima volta…”
Quella voce terribile ed incredibilmente sexy s’insinuò nella sua mente come fosse stata una paziente schizofrenica di una qualche casa di cura nei meandri più sconosciuti e insidiosi della Svizzera.
Sgranò gli occhi: davanti a lei, l’asta infuocata si trovava abbandonata a terra, come se la gravità l’avesse schiacciata al suolo poco prima che potesse raggiungerla ed impalarla. Brina candida avvolgeva in un abbraccio di morte non solo l’arma, ma anche tutto l’ambiente circostante.
Le fiamme, anche quelle più prorompenti, erano tutte spente.
E una nebbia spettrale bloccava la vista ad un palmo dal naso, insinuandosi tra ciò che rimaneva delle rovine e degli alberi. Anche il Dio aveva perso tutta la sua furia, e adesso stava indietreggiando guardandosi attorno come un animaletto confuso ed impaurito.
Dei passi riecheggiarono alle spalle di Emi, che si voltò di scatto, un sorriso a trentadue denti che le deformava il volto insanguinato.
La sua meravigliosa fidanzata apparve dalla nebbia con lo stesso portamento che solo un’imperatrice può avere. Con tutta la calma del mondo, avanzò verso la divinità, generando una ragnatela di ghiaccio ad ogni passo che colpiva il suolo. I lunghi capelli neri parvero allungarsi dietro la schiena, fluttuando sospinti da un vento invisibile.
E poi, anche il resto del suo aspetto cambiò: il soprabito rosso andò a spaccarsi ed infrangersi come un foglio di carta in acqua, rivelando un lungo kimono bianco dalla larga scollatura sul seno, così candido che pareva quasi irradiare una luce tutta sua, legato alla vita da un nastro rosso da cui partiva una lunga gonna nera. I suoi piedi, invece di calzare i soliti scarponi, adesso calzavano adorabili tabi blu scuro. Le grosse cesoie arrugginite, adesso, sembravano appena uscite da un negozio aperto da appena due ore.
“Mi dicono che sei un Dio…” sibilò la Kuchisake Onna, superando la sua compagna che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e avanzando, ad occhi chiusi, verso la creatura, che adesso aveva smesso d’indietreggiare “… Ma anche gli dei DEVONO inchinarsi davanti alla Regina degli Spettri.”
la divinità del villaggio abbandonato sbatté al suolo, schiacciata da una pressione così intensa da generare diverse ragnatele di crepe dall’esatto punto in cui questa si schiantava, creando un buco che assumeva tutta la sua forma per intero.
Sollevò a fatica il volto privo di lineamenti, incontrando quello della nemica incombente.
“Dimmi, ora…” Kuchi aprì finalmente gli occhi. Una sclera nera come la pece avvolgeva nella propria oscurità le iridi gelide e brillanti come pietre preziose “… mi trovi forse bella?”
L’essere emise un grido isterico, liberandosi dal peso e sollevandosi sul corpo della scolopendra, alzando un braccio e tendendo le dita della mano scheletrica, dalla quale esplosero una cinquina di lunghissimi artigli neri. Senza emettere un suono, Kuchisake sollevò le cesoie.
Facendole scattare a pochissimi centimetri dal proprio orecchio.
Come colpito da una gigantesca lama invisibile, il braccio destro del Dio venne amputato con precisione chirurgica, roteando verso un muro ancora in piedi e sfondandolo, lasciandosi dietro una densa scia di sangue nero. La creatura emise un ennesimo ruggito furioso, tentando di attaccare col braccio rimasto.
Un altro scatto di cesoie, e quello fece la stessa identica fine del gemello.
Il Dio si ritrasse, scuotendo i monconi sanguinanti furiosamente.
“E adesso…”
Con un movimento misurato al millesimo di centimetro, Kuchisake si sfilò lentamente la mascherina dal viso, rivelando i violenti, incrostati e dolorosi tagli che le deturpavano il bellissimo viso da un orecchio all’altro, creando una specie di macabro e distorto sorriso sanguinoso.
Lacrime nere presero ad uscire dagli occhi e dai solchi sulla pelle, mentre reclinava il collo di lato e puntava lo sguardo fisso verso la preda “… mi trovi ancora bella?”
Il Dio snudò le zanne, spalancando la bocca più che poteva, dislocando la mascella in modo innaturale. Poi si sollevò verso l’alto in un movimento a spirale e si gettò verso la Donna dalla Bocca Tagliata, rabbioso. Per poi bloccarsi a pochi metri di distanza dalla stessa. Lui non la poteva vedere, ma adesso una gigantesca forbice che pareva generarsi direttamente dalla nebbia era apparsa sopra al suo corpo.
Le sue lame spettrali erano lievemente chiuse nel punto esatto in cui la parte umana lasciava spazio a quella della scolopendra, ma abbastanza salde da impedire qualsiasi altro movimento.
Kuchisake sorrise, soddisfatta “Come pensavo.”
Fece scattare le cesoie. Scattarono anche quelle colossali.
Il Dio non emise nemmeno un lamento.
Un’ondata di sangue nero esplose davanti al corpo dello spettro sfregiato, che rimase impassibile quando la stessa l’annaffiò da capo a piedi. Non perse occasione di passare un dito su una di quelle gocce che imbrattavano il viso, per poi leccarselo in modo sensuale.
Finita la cascata di sangue, della parte umana del Dio non rimaneva alcuna traccia, come fosse stata disintegrata sul posto. Come non fosse mai esistita. La parte da insetto, invece, scricchiolò allontanandosi spasmodicamente, per poi coricarsi sulla schiena e, dopo pochi ultimi movimenti spasmodici, finalmente rimase immobile per sempre.
Kuchisake chiuse gli occhi e sospirò un po’ di condensa, mentre i vestiti riassumevano le forme precedenti.
Intanto, le temperature tornarono normali e finalmente la nebbia andò a diradarsi, lasciando spazio solo alle rovine del villaggio illuminate dalla Luna.
“KUCHIIIIIIIIIIIIIII”
Suddetta ‘KUCHIIIIIIIIIIIIIII’ si voltò, aprendo gli occhi tornati come prima, vedendosi correre incontro una Etsuko brutalmente mutilata e sanguinante, decisamente intenzionata a stringerla in un abbraccio.
La corsa di quell’abominio venne interrotta da uno scarpone ben piantato sul muso.
Che non impedì a quella psicopatica di continuare a sorridere e scuotere i moncherini sanguinosi.
“Prima ti rigeneri, poi ne riparliamo.” Asserì Kuchisake, perentoria.
Ed un po’ schifata.
“… sei ancora arrabbiata?”
“Ci puoi scommettere che sono ancora arrabbiata.”
“E daaaaaaaai…” Etsuko alzò gli occhi al cielo e sbuffò, annoiata.
E Kuchi voleva TANTO suonarla di botte, come quando l’aveva fregata con il Nutri-Anatre.
Si voltò a guardarla dal basso verso l’alto: la pazza era seduta sopra alla carcassa del centopiedi gigante, con gli occhi verso la luna e le gambe che dondolavano. Il vestito candido e il bel viso erano ancora sporchi di sangue, ma fortunatamente tutte le ferite si erano rimarginate – tranne quella da trapassata dietro la schiena, ovviamente – anche se le dava un certo fastidio vederla così rilassata e tranquilla dopo quello che, indubbiamente, era stato lo scontro più duro della loro carriera di ‘cacciatrici di artefatti maledetti’.
Carriera alla quale LEI non aveva mai dato consenso, per giunta.
A differenza della compagna, adesso Kuchi era appoggiata con la schiena contro la stessa carcassa di invertebrato, senza la forza nemmeno di andare a raccogliere la mascherina abbandonata tra i resti del pozzo al centro del villaggio. Non usava la sua Maledizione da una non-vita, e quella notte era arrivata l’amara verità: era troppo vecchia per queste stronzate.
Voltò nuovamente lo sguardo verso la sua ragazza, accorgendosi con un certo imbarazzo che questa avesse cambiato posizione: abbracciando le ginocchia al petto e con la guancia destra appoggiata su di esse, adesso la stava tenendo d’occhio con le palpebre aggrottate ed un sorriso morbidoso sulle labbra.
Arrossì lievemente, sperando che quella non se ne accorgesse “Che hai da guardare adesso?”
“Niente… stavo solo pensando a quanto sono adorabili quelle cicatrici.”
“Fare la ruffiana non ti salverà da una lavata di testa, questa volta.”
“Ehi!” Emi alzò la testa, indispettita “Non sono mai ruffiana quando ti faccio i complimenti!”
“Adesso non me ne frega niente di questo” Kuchi assunse l’espressione più arrabbiata che poteva, benché fosse piuttosto difficile “Ora dimmi PERCHE’ CAZZO non mi hai detto che questo Spettro era così potente, prima di venire qui. E NON OSARE DIRMI che non lo sapevi!”
Etsuko e l’interlocutrice rimasero a guardarsi per qualche attimo, entrambe con una certa animosità nello sguardo. Fu la spilungona a cedere per prima, voltandosi di lato ed incrociando le braccia, le guanciotte gonfie che le deformavano il viso in modo adorabile “O-ovviamente perché poi avresti fatto storie. Non vuoi MAI andare a caccia di mostri e artefatti con me, ti lamenti sempre!”
“Vengo OGNI VOLTA assieme a te a caccia di mostri.”
“Però fai sempre scenate sul fatto che è pericoloso e che rischiamo di morire, tutte le volte! Come adesso!”
Kuchi si guardò intorno, interdetta, poi tornò a guardarla con un sopracciglio inarcato “E mi sbaglio?”
Emi non rispose, sbuffando dal naso.
E la Donna dalla Bocca Tagliata pinzò il suo con le dita.
La amava tanto, però alle volte dover far fronte a questa parte infantile di lei era una gran seccatura.
“Ascoltami” tornò all’attacco, cercando di addolcire un po’ la voce “Apprezzo che tu voglia liberare il mondo dagli spettri più pericolosi e malvagi, davvero. E’ già tanto l’aver ricevuto un compromesso con gli umani che altrimenti ci avrebbero sterminati dal primo all’ultimo, non avessimo messo la testa a posto. Quello che vuoi fare è sicuramente nobile, ma questo non deve intaccare sulla nostra incolumità! Magari mi lamento troppo – per motivi LEGITTIMI, vorrei ricordare – a volte, ma dobbiamo fare molta più attenzione quando andiamo a disturbare entità così forti. Spettri molto più forti di noi si sono fatti inchiappettare da minacce meno aberranti, a causa della loro scarsa preparazione, ed io non voglio fare quella stessa fine. Soprattutto, non voglio vederti essere divorata da qualche mostro prima di me.”
Etsuko continuò a non voler mantenere il contatto visivo, anche se la sua espressione offesa sembrava essersi fatta decisamente più colpevole.
“Quindi per favore, ti prego: se io divento meno fastidiosa con le mie lamentele, mi prometti che mi dici subito CHIARO E TONDO che cosa abbiamo per le mani? Renderebbe questa tua sindrome dell’eroe decisamente più facile da gestire.”
Etsuko restò ancora zitta per un po’.
Per poi sospirare rassegnata “E va bene, lo prometto. E prometto anche che non faremo queste ‘gite’ a così poco tempo di distanza l’una dall’altra” si voltò verso di lei con un sorriso da stronzissima “La mia fidanzata vecchietta sicuramente ha bisogno di qualcosa di un po’ più calmo, a volte-”
Un grosso pezzo di pietra centrò Etsuko in piena fronte, facendole piegare il collo all’indietro.
“Sono contenta di aver trovato un compromesso (e bada che potevo usare un frammento più grosso)” quindi tornò con le braccia appoggiate mogiamente sulle ginocchia, sospirando stanca “Ora, fammi il favore di andare a prendere ciò per cui siamo venute qui. Voglio lasciarmi alle spalle sto’ posto di merda.”
Come si fosse appena ricordata di aver lasciato il gatto sopra il forno accesso, Emi si rialzò di scatto, occhi spalancati e un grosso segno rosso sulla fronte “GIUSTO! DANNAZIONE! Me ne ero completamente scordata!” scavalcò la carcassa del centopiedi, incastrando il piede su di essa e finendo belle lunga per terra.
Si rialzò subito dopo sotto lo sguardo perplesso della compagna “Non ti muovere da lì! Arrivo subito!”
Kuchi la vide correre trafelata – rischiando d’inciampare di nuovo. Più di una volta – su per le scale che portavano al tempio abbandonato, stranamente ancora in piedi nonostante le fiamme.
Si portò una mano sugli occhi e scosse la testa, affranta.
Emi entrò piano nell’edificio dopo aver fatto scorrere la porta. Le sue scarpe fecero scricchiolare le assi di legno, e il suo sguardo andò a finire sulla scena che aveva davanti.
Vide ciò che esattamente si aspettava: circondate da una sequela di piccole candele sciolte e spente da chissà quanti anni, sopra una grossa base di pietra che si creava direttamente dalla montagna, illuminata dalla luce della luna che penetrava da un grosso buco sul soffitto, riposavano due corpi mummificati, conservati troppo bene per avere proprietà naturali. Indossavano kimono dalla fattura pregiata, benché rovinati e sporchi, e il loro viso era coperto da un soffice panno bianco ricoperto di motivi floreali dorati. A giudicare dai lunghi capelli neri che scendevano dall’altare e dalle forme decisamente delicate ed esili dei corpi, era difficile non capire si trattasse di due salme femminili.
La mano destra di una e quella sinistra dell’altra erano particolarmente vicine tra loro, come se nei loro ultimi momenti, queste povere anime avessero fatto di tutto per sentire l’una la presenza dell’altra, prima della fine.
Un morbido e lungo nastro rosa ed insanguinato legava i polsi scheletrici tra loro.
Un sorriso malinconico attraversò le labbra dello Spettro, che subito chiuse gli occhi e giunse le mani davanti al cuore, mormorando una breve ma sentita preghiera.
“Ce l’abbiamo fatta, finalmente!” Kuchi si alzò di scatto dal suo giaciglio, avviandosi verso la sua compagna che, finalmente, si era decisa a scendere dal tempio “Si può sapere che diavolo dovevi fare là dentro? Cominciavo a pensare fossi precipitata in una stanza segreta costruita sotto tutto questo macello.”
Etsuko non disse nulla, limitandosi a posare le scarpe fuori dalla scalinata, sorridendo mentre guardava con un’espressione indecifrabile – ma decisamente dolce – il nastro insanguinato che teneva tra le mani.
Kuchisake guardò interdetta l’oggetto “… seria?” lo puntò con le forbici “Tutto sto macello per… questo? Ci sono una marea di locali della catena ‘Liminal’ a Roppongi che ne vendono anche di più carini.”
Emi rimase in silenzio per un po’, senza smettere di guardare il nastro come se fosse la cosa più bella del mondo “… c’è una cosa che non ti ho detto, riguardo al rituale che veniva svolto in questo villaggio, prima che lo stesso venisse trasformato in una città fantasma dallo Spettro che abbiamo sconfitto.”
“… Spilungona, se mi stai per dire un’altra cosa che ci mette potenzialmente in pericolo, ti tiro un calcio in mezzo alla fronte.”
“Lasciami finire!” ridacchiò l’interlocutrice “Ecco, non ho specificato chi fossero le vittime sacrificali: si trattava sempre e solo di donne. Giovani, bellissime, e sempre in copia” strinse il nastro con affetto “tutte venivano sedate, vestite con kimono bianchi e con il viso coperto ed abbandonate in cima al tempio, in notti come questa, in attesa che il Finto Dio venisse a reclamare la loro energia vitale, facendole appassire e portandole alla morte. Immaginati: ragazze che nascono, e crescono, solo per poi essere mandate a morte in una maniera così crudele…”
Kuchi non disse niente, ascoltando con solennità.
Era… davvero così crudele.
E per cosa, poi? Per mantenere calma una divinità fasulla che può ritorcersi contro di te senza alcun preavviso? Queste erano le cose che probabilmente movevano Emi ad agire, per eliminare il male ancora più oscuro e tetro che si annidava nel Paese come un terribile parassita.
“Queste donne venivano tutte legate con questo nastro logoro” lo sollevò, mostrandolo bene alla luce della luna “Un nastro che quasi simboleggiava il legame dei sacrifici sia nel mondo dei vivi, che nel mondo sconosciuto che si trova dopo.” Serrò le palpebre. Le prossime parole furono sussurrate con dolcezza “Mi piace pensare, però, che l’ultimo momento di questo nastro non sia stato per simboleggiare solo qualcosa di così macabro. Voglio credere che le ultime due vittime sacrificali abbiano sancito un legame estremamente più potente, prima di morire, e che questo nastro rappresenti come ciò che provavano l’una per l’altra si sia rivelato così potente da, in qualche modo, far impazzire la divinità e farla ritorcere contro a chi l’aveva richiamata in precedenza. Voglio credere che adesso, tra le mie mani…” la strinse con dolcezza al petto “… ci sia una promessa di un’eternità passata insieme, per sempre.”
Kuchisake sbatté le palpebre.
Non era quasi mai capitato che Emi si lasciasse ad un monologo così sdolcinato e strappalacrime per un qualche pezzo di spazzatura maledetto che trovavano in giro. Era successo solo per un vecchissimo manga – primissima edizione – di Astro-Boy trovato tra le cianfrusaglie di un vecchio Serial Killer deceduto che ha tentato di tagliarle a pezzi con una motosega a denti di coccodrillo.
C’era da dire che quello sembrava quasi un oggetto da-
Le cesoie le caddero dalle mani.
Il calore avvolse il suo corpo, mentre i suoi occhi si facevano sempre più minuscoli.
Alzò lo sguardo sulla compagna, sperando che non la stesse guardando.
La stava guardando.
Un’espressione di dolcezza che non le aveva mai visto prima in viso.
La lasciò completamente spiazzata.
“A-aspetta un attimo…” Kuchi la puntò col dito, balbettando a fatica “Q-quello… questo nastro… M-mi stai forse… mi stai chiedendo di-”
“Che sciocca! Certo che no!” Etsuko ridacchiò animatamente “Non ti sto chiedendo di sposarmi!”
“… oh.”
Qualcosa si spezzò in mille pezzi dentro di lei.
E non era solo l’imbarazzo provato fino ad adesso.
“V-va bene allora…” alzò lo sguardo vacuo verso di lei “P-per un attimo mi hai fatto credere che-”
Emi porse a lei il nastro insanguinato, senza smettere di sorridere “Voglio che sia tu a farlo!”
Ciò che si era rotto si ricompose in un attimo. Assieme all’imbarazzo.
Assieme a qualsiasi altro tipo di emozione che nemmeno riusciva a capire.
Fanculo. COSA!? COME!?
Era QUESTO il suo obbiettivo finale!?
Avevano rischiato di… improvvisamente, per un momento, una voce infondo al suo cervello da trapassata le gridò fortissimo ‘ne è valsa la cazzo di pena’.
Ma attribuì questo pensiero allo stordimento arrivato da un nuovo super mega colpo di testa di quella psicopatica con cui aveva condiviso i momenti migliori della sua non-vita.
In vero, non sapeva a cosa attribuire nulla di tutto ciò che sentiva.
Era talmente incredula e senza parole da non riuscire nemmeno ad esprimersi.
“E-Emi… i-io…”
“Che c’è, non lo vuoi?”
Scosse la testa con abbastanza tanto vigore da farsi venire male al collo “N-NON HO MAI DETTO QUESTO! M-ma…”
“E allora non ci sono problemi, giusto?” Etsuko si avvicinò, le prese le mani tremolanti e posò quel nastro sporco dal valore di ogni singolo caveau di ogni singola banca presente nel mondo nelle mani “Ho fatto io il primo passo, quel giorno, quando tu hai fatto l’errore di approcciarmi e farmi per sempre dimenticare l’esistenza di qualsiasi altra donna nel resto del mondo. Ora prenditi le tue responsabilità, e accertami che questo sentimento che provo così intensamente per te non è unilaterale.”
Kuchisake guardò quel nastro che aveva tra le dita.
Provava paura, felicità, ed un grande imbarazzo, in quel momento.
Non aveva nemmeno il coraggio di guardare la compagna che, pochi minuti prima, aveva redarguito animatamente e alla quale aveva lanciato un pezzo di pietra piuttosto pesante.
“Emi, io non so cosa dire… non sono brava con-”
Fu tutto finito, quando ritornò a guardarla.
“Allora, cosa aspetti?” sussurrò Etsuko, che adesso stava guardando da tutt’altra parte, con una mano che le scostava una ciocca di capelli dal visto e il leggero vento che glieli scompigliava leggermente.
Il lieve rossore sulle gote faceva capire che, benché lo mascherasse meglio, era quasi imbarazzata forse anche più di lei dopo quell’ultimo stunt.
I raggi lunari bagnavano il suo corpo, facendolo brillare di una luce così intensa che sembrava quasi accecarla, trasformandola quasi in una dea ai suoi occhi.
Ogni singolo lineamento e ogni singolo particolare, a cominciare da quegli occhi rossi come il sangue, un colore così particolare e misterioso, e quei capelli d’ebano che sembravano filamenti estratti direttamente dall’ossidiana più pura, fecero accorgere, forse per la prima effettiva volta in tutta la sua non-vita, di quanto la sua compagna fosse la donna più bella sulla quale avesse mai poggiato il suo sguardo.
Imbarazzo, paura e qualsiasi altra emozione vennero spazzate via.
La Donna dalla Bocca Tagliata, Regina degli Spettri di Tokio, s’inginocchiò a terra, suscitando la sorpresa dell’interlocutrice, che voltò a guardarla con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
“… vago per questo mondo da così tanto tempo che ho smesso di contare gli anni…” cominciò Kuchi, tornando a guardare il nastro. Si passò una mano sulle ferite che solcavano le sue guance “ciò che porto qui, è un peso che mi perseguita per l’eternità. Ha sempre rappresentato il motivo per cui ho cominciato a guardare tutto ciò che mi circondava con l’odio che ha dato vita alla mia leggenda. Sono la mia maledizione, che mi ha scagliato una persona che avrebbe dovuto proteggermi, e che invece mi ha per sempre costretta a sentirmi inadeguata, debole e per sempre macchiata da cicatrici che mi rendono un mostro. Quella sera, quando ti ho attaccata, volevo solo spaventarti un po’, e vedere nei tuoi occhi il terrore umano che, per un po’, mi ha sempre fatto dimenticare quanto la vita di uno Spettro millenario sia quanto di più schifoso possa esistere sulla faccia della terra.” prese un sospiro “quando ti ho mostrato queste cicatrici, e nei tuoi occhi, assieme ad una legittima sorpresa, ho visto ciò che non mi sarei mai aspettata di vedere… avrei dovuto capire in quel preciso istante di essere finita nella tua trappola. Non so cosa sei, Etsuko Emiya, e sono sempre stata convinta fossi una qualche specie di strega in ritiro, che mi ha fatto uno dei più begli incantesimi possibili. Ma sta di fatto, che ho la certezza tu sia la prima persona al mondo che ha visto queste cicatrici e non ha visto qualcosa di disgustoso o repellente. Sei la prima persona che, per la prima volta, ha visto qualcosa di genuinamente bello, quando ho tolto quella stupida maschera. E non c’è un giorno che passo assieme a te in cui tu non me lo ricordi. Non sono brava con le dimostrazioni d’affetto, Emi, lo avrai notato. E nemmeno nel riportare i motivi per cui ti starei accanto anche dovessi decidere di buttarti dentro ad un vulcano in eruzione. Ma spero che basti questo” finalmente alzò lo sguardo verso la sua amata, guardandola con un’intensità con cui non guardava Aka nemmeno nei momenti in cui voleva più prenderlo a pugni in assoluto “Io ti amo, Etsuko Emiya. Quindi per favore, sposami.”
Sussultò appena, accorgendosi di un particolare della quale non si era ancora accorta: spesse lacrime trasparenti stavano attraversando le guance di Emi, scendendo copiose dagli occhioni fissi su di lei.
Non l’aveva mai vista piangere.
Si sentì decisamente in colpa.
E anche un po’ vittoriosa per averla finalmente colta di sorpresa, per la prima volta.
“N-non me lo avevi mai detto prima…” Etsuko si passò un dito sotto agli occhi, tirando su col naso “Non mi avevi mai detto che mi amavi…”
E che cazzo. Così mi fai sembrare la peggior fidanzata di sempre…
“Kuchi…” le lacrime non si erano fermate, però almeno adesso era tornata a sorridere. Meno male, altrimenti si sarebbe messa a piangere pure lei “… quel giorno, quando ci siamo incontrate per la prima volta… non passa un secondo della mia vita in cui io non lo benedica con tutta me stessa. Avevo accettato del tutto la mia solitudine e sentito che il mondo mi avesse, per sempre, dimenticata e relegata nel suo personale sgabuzzino di cose alla quale non frega niente di nessuno. Ogni mio piano, sogno, desiderio è andato man mano ad assopirsi e sgretolarsi. Ed ero in un luogo così oscuro, gelido e nebbioso, poco prima di vedere quelle tue adorabili cicatrici…” si passò il polso sotto all’occhio destro, sfregando debolmente “A-avevo bisogno… di un miracolo. Di qualcosa che mi impedisse di arrendermi, che mi desse la certezza che il vagare ancora su questa terra, a stancarmi ed a maledire ogni singolo giorno in cui dovevo alzarmi la mattina non fosse tutto inutile. Non so’ perché sei stata proprio tu, quel miracolo. Quando mi hai fatto quella domanda, forse ero troppo in trance e incredula che ciò che mi stava succedendo stesse veramente succedendo, ma ero del tutto sincera: ti bacerei, ancora ed ancora, fino all’infinito. E ti stringerei per tutta l’eternità, ricordandoti con dolcezza quanto tu sia la cosa migliore che mi sia mai capitata” la guardò con occhi ricolmi di sentimento, mostrando i denti candidi con un sorriso “grazie, Kuchi. Grazie per avermi incontrata quella volta; grazie per la pazienza che dimostri tutte le volte che faccio stupidaggini, e per non avermi mai lasciata sola nemmeno quando ti faccio perdere del tutto la pazienza; grazie per il semplice fatto di essere il Fantasma che ha deciso di perseguitare la mia vita.” Si portò una mano al cuore “Anche io ti amo. Così tanto che non posso fare a meno di piangere quando penso a quanto ti amo veramente. Quindi sì: accetto la tua proposta, mio Meraviglioso Fantasma.”
Kuchi sbatté le palpebre un paio di volte, poi dovette abbassare di scatto la testa, con il corpo avvolto dai tremori.
“M-maledetta che non sei altro…”
“K-Kuchi?”
Quando risollevò lo sguardo, rivelò le guance solcate di lacrime a sua volta
“N-non c’è davvero possibilità di vincere contro di te, uh?” ridacchiò la Donna dalla Bocca Tagliata, passandosi un dito sotto un occhio chiuso “Riuscirai sempre a farmi piangere, in un modo o nell’altro…”
Al chiaro della Luna di una notte senza stelle, tra le rovine solcate da un flebile venticello, due spettri si tenevano le mani a vicenda. I rispettivi polsi destri legati tra loro da un nastro insanguinato. Si guardavano con gioia e dolcezza, ed anche forse un pizzico d’incredulità.
Nessuna delle due, ancora, riusciva a credere che la persona che cercava da così tanto tempo si sarebbe trovata nel luogo e nel momento meno previsto in assoluto.
Nessuna delle due ancora era in grado di accettare che adesso, quella stessa persona, era lì di fronte, a decidere di condividere per sempre il resto dell’eternità con lei.
Ed era tutto bellissimo.
“Per sempre, Etsuko Emiya.”
“Per sempre, Kuchisake Onna.”
Etsuko mise le proprie mani sulle guance martoriate della sua amata, che la imitò poco dopo.
“愛しています” sussurrò Emi infine, a fior delle labbra dove poi appoggiò delicatamente le proprie, mentre il vento faceva danzare di entrambe i capelli e le circondava con un mulinello di foglie.
Quello non sarebbe stato sicuramente il loro ultimo bacio, e non era certo il primo, ma era come se lo fosse. Una promessa di un’eternità passata assieme, che non si sarebbe infranta – entrambe ne erano sicure – anche dopo che l’intero Universo avrebbe cessato di esistere.
E sperarono, nel loro piccolo, che assieme alla promessa sancita da quel nastro, le vite e gli amori dei sacrifici svoltisi tra quelle rovine avrebbero vissuto per sempre assieme a loro.