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Autore: Maya Cullen    21/09/2009    1 recensioni
Cinque Mondi. Una volta erano quasi un mondo unico. Ora, dopo la nascita dei Custodi, sono separati. Sono cinque e solo loro possono attraversare i portali che collegano un mondo ad un altro. Cinque mondi, un unico passaggio. Almeno questo era ciò che avevano spiegato a Charlotte Leanor Mitchel. Ma questa unica, piccola certezza, viene a mancare proprio quando uno dei Custodi viene ucciso. Ed il motivo è ben più complesso di quello che può sembrare in un primo momento. E’ la mia prima FF originale. Spero vi piaccia. Fatemi sapere che ne pensate!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto: Eterna lotta       

 

       L'individuo ha sempre dovuto lottare per non essere sopraffatto dalla tribù.

Friedrich Nietzsche

 

 

Dieci anni fa.

Dopo una settimana dalla mia ultima uscita con Abel, trovai un bigliettino sotto la porta d’ingresso. Un solo numero di cellulare, scritto con una grafia elegante. Non era quella di Abel, ma sapevo che a quel numero avrebbe risposto lui. Mi avvicinai al telefono, un suono sordo mi rimbombava nelle orecchie. Con la mano a mezz’asta cercavo il coraggio di afferrare quella cornetta.

Non farlo.

Sorrisi, divertita. La mia mente si inventava sempre nuovi giochi e piacevoli intermezzi, per stemperare il mio nervosismo. Le voci erano il modo più frequente. E non erano che la riprova di quanto io in realtà non fossi per nulla normale. In fin dei conti lo sapevo, ma era pur sempre altamente ricreativo capire fino a che punto potessi spingermi.

-                        Non crederai di spaventarmi con così poco?

Mi chiesi quasi incredula.

Lascia che Abel Olsen trovi un altro rimpiazzo.

-                        E rimpiangere questo giorno a vita? – afferrai la cornetta – Mai.

Composi il numero, in fretta, senza pensare. E rimasi a bocca asciutta quando non sentii la voce di Abe dall’altra parte del filo. Era un uomo, certo, ma sicuramente più vecchio. La sua voce cordiale mi lasciò inconsapevolmente senza parole.

-                        Sono Charlotte Leanor Mitchel. – tentennai mentre lo sentivo fare ampi segni senza voce a qualcuno al suo fianco.

-                        Sono Sandor Signorina. – il chiacchericcio alle sue spalle si fece un po’ più smorzato. – Vuole parlare con il signor Abe?

-                        Si, si, grazie.

Balbettavo e questo mi rendeva ancor più nervosa.

La cornetta del telefono passò da una mano all’altra e poi, finalmente, quella voce.

-                        Chare? Sono io. – lo sentii prendere fiato – Non ti ha spaventato Sandor, vero?

-                        No – mentivo spudoratamente – L’importante è che non sia un cavallo a tre teste.

Abel smorzò una risata negando.

-                        Perfetto – continuai – Allora posso gestire tutto.

-                        Ci vediamo?

Lo sentii sorridere, quel suo sorriso contorto che sembrava nascondere una colpa abominevole nei miei confronti. Quello stesso sorriso che rivelava quanto in realtà mi reputasse ideale per quel compito. Mi diede appuntamento al porto, un luogo che secondo lui era ottimale. Molta gente, molti affari. Nessuno avrebbe dato retta a noi. Abel non poteva tuttava capire che, per quanto malsano, quello a me sembrasse un appuntamento romantico. Nessuno ci avrebbe badato, vero, ma se lo avesse fatto non sarebbe giunto che ad una sola, logica, inoppugnabile conclusione: era un incontro amoroso segreto.

Presi in fretta un golf da buttarmi sopra le spalle. Uno sguardo veloce allo specchio, non potei non notare che avrei potuto essere conciata decisamente meglio di come in realtà mi stavo azzardando ad uscire, ma una strana frenesia mi aveva preso dentro. Non la sapevo spiegare ma era come se mi prudessero le mani, come se finalmente stessi per fare qualcosa che andava veramente fatto.

Al porto, ovviamente, giunsi troppo presto. Abel non era ancora arrivato. E la tensione saliva. Ad ogni secondo. Ad ogni passo. Ad ogni nuova persona che incrociava il mio cammino. Mi sembrò di morire una decina di volte, prima di vederlo di fronte a me con il suo elegante cappotto in tweed con il bavero alzato e gli occhi stretti dal vento. Sorrisi, ma la sua risposta era troppo inquieta per non essere palese perfino per me. Si avvicinò ancora e, sempre in silenzio, appoggiò le mani sul parapetto che puzzava di stantio al mio fianco. Lo imitai, mettendomi nella sua stessa posizione. Mi ci vollero un paio di minuti per raggranellare tutto il mio coraggio e fare finalmente quel passo in avanti che mi spaventava così tanto. In fin dei conti, non dovevo fare altro che chiederlo.

-                        Come è morta?

Gli chiesi senza troppi giri di parole.Gli occhi verdi di Abel si erano voltati verso di me quasi supplicandomi di non chiederglielo. Eppure per decidere dovevo sapere.

-                        Noi non possiamo morire, a meno che non veniamo uccisi da un nostro simile.

-                        C’è qualcuno che ci vorrebbe morti?

Che domanda stupida ero riuscita a fare.

Abel annuì incerto. Già prima di quell’occasione mi aveva spiegato che il suo mondo, il mio futuro mondo, viveva di un concetto basilare: la segretezza. Ogni mondo era un universo a sé, con le proprie regole e le proprie magie, che gli altri ignoravano ed avrebbero dovuto continuare ad ignorare. Anche i Custodi ignoravano forme, magie ed incantesimi degli altri suoi compagni. Ecco perché io potevo vedere la vera forma di Maharet e lui no ed ecco perché io non potevo vedere le reali fattezze di Sàmon, Kuma, Siana ed Iko.Ecco perché i Custodi vivevano mischiati ai mortali, senza che nessuno conoscesse la loro identità. Almeno non quella magica che li distingueva.

-                        Quindi io ti sto vedendo come essere umano ma hai anche un’altra forma magica che a me non è permesso di vedere?

Tornai a chiedere sempre più intrigata.

-                        Esattamente.- Si era rilassato, a differenza delle altre volte. - Anche tu avrai una tua forma magica, una volta diventata come me. E nessuno di noi la potrà vedere.

Mi avvicinai a lui, sfiorandogli il braccio e cercando di immaginare quale spaventosa forma potesse assumere quel ragazzo che a me sembrava così terribilmente normale.

-                        Ma se nessuno la potrà vedere, a che serve?

-                        Quella tua forma è la chiave della tua immortalità Chare, ricordatelo bene. Gli appartenenti alla tua stessa razza la vedranno sempre e comunque; se ti trafiggono con una loro arma mentre stai usando i tuoi poteri e quindi stai sfruttando la tua forma magica, di te non resterà che cenere.

Sobbalzai improvvisamente preoccupata. Le fate mi avrebbero vista in maniera diversa, se diventavo la custode del loro portale. 

-                        La precedente custode è morta così? Uccisa da un suo simile?

La mia voce era improvvisamente diventata un sussurro.

-                        Stiamo ancora cercando di capirlo.

Il moto d’ira che gli percosse le viscere gli fece prendere un’espressione tesa e livida.

-                        E nel frattempo? Chi copre quel passaggio?

-                        Gli altri Custodi bloccheranno l’accesso fino al suo nuovo ritorno.

Avevo intuito subito che stesse citando a memoria il Necronomicon, il nostro Codice.

Mano a mano che Abel mi istruiva in ogni piccolo particolare di quella strana vita, vedevo sotto tutta un’altra luce il reale compito del Custode; nonostante avessi già preso la mia decisione. Una continua vita di rinunce non mi si confaceva decisamente, eppure il vortice di eventi in cui Abe mi aveva trascinato era stato peggio di una droga per me. Volevo quella vita perché era l’unica alternativa che mi fosse stata data al piattume che mi circondava.

Non ne sarei stata felice, alla lunga. Lo sapevo benissimo. Non ero abituata ad obbedire a nessuno se non a me stessa, non ero abituata nemmeno a condividere i miei pensieri o le mie idee con nessuno e tanto meno mi piaceva l’idea di rendermi responsabile della sopravvivenza di un intero popolo di fate. Odette era una di loro, ma era differente. Lei era davvero con me, in ogni momento, in ogni singolo pertugio della mia oscurità. Di lei, mi sarei occupata sempre volentieri. Maharet, per esempio, non mi faceva nascere lo stesso spirito protettivo. Forse, ma è solo un’ipotesi, dava l’impressione di essere forte abbastanza per non aver bisogno dell’aiuto di nessuno. O forse era l’innata consapevolezza da parte mia che, proprio lei, nonostante avesse intuito subito le mie potenzialità, non riuscisse ad accettare il fatto che io reputassi Abe più importante degli altri Custodi. Aveva capito subito che questa sarebbe stato il mio Tallone d’Achille per la vita.

Dopo quella chiaccherata sul porto, Abel azzardò una cosa che non mi aspettavo:mi fece salire in fretta in macchina per portarmi al Crocevia, per farmi conoscere gli altri. Ma, se dovevo essere sincera, l’opinione che mi feci non fu per nulla lusinghiera nei loro confronti Delia, la custode del mare, era troppo saccente e spocchiosa. Doyle, quello degli Spiriti, un piccolo ragazzino che, nonostante avesse il doppio dei miei anni, mi risultava terribilmente immaturo e scapestrato. Saul, la chiave del mondo dei Nani, era proprio come i suoi protetti, irritante, volgare e basso.

Ci furono solo saluti e convenevoli, nulla di più. Abel sembrava avere una innata fretta nel chiudere quella parte della giornata e mi trascinò veloce verso il giardino esterno. Incapace e soprattutto decisa a non voler prolungare la mia permanenza in compagnia dei Custodi rimasti, lo lasciai fare. Almeno si sarebbe calmato quanto prima. O almeno così credevo. Lo lasciai pensare, avevo ancora la sensazione che tra le sue mani reggesse qualcosa di mortalmente importante. Mi accovacciai sul cofano di Sàmon ed attesi. Il Protettore sembrò accettare di buon grado quella mia intrusione.  

-                        Credo che tu sia quasi pronta per diventare effettivamente la Custode del Quarto Passaggio.

Mi disse ricacciando indietro qualche accenno di stizza.

-                        Poi che cosa faremo?

Gli chiesi io, curiosa.

-                        Tu e Doyle comincerete a fare le solite ronde. Nulla di impegnativo.

-                        E tu?

L’ansia mi giocò un pessimo scherzo e non riuscii a trattenere la domanda.

-                        Il mio compito è proteggere il Crocevia.

Mi rispose quasi laconico.

-                        E quindi? - La mia insita capacità comprensiva stava elaborando ovviamente.  - Io e te non ci vedremo che qualche volta di tanto in tanto … magari in occasione di qualche stupida eclissi? E’ questo? -

Abe non mi rispondeva mai, quando io lo attaccavo preda dell’ira. Preferiva vedermi sbollire, ma quella volta non ero del tutto sicura che sarebbe riuscito in qualche modo nel suo intento.

-          Nessun coinvolgimento tra i Custodi, Chare. Quale parte di quel capitolo del Necronomicon non ti è chiara?

Mi ricordò più duro di quanto non fosse stato necessario.

Sobbalzai sconfitta ed improvvisamente l’idea di continuare a perpetuare quel compito che mi ero impegnata ad assumere non mi sembrava neppure lontanamente invitante. Era solo una condanna, se non potevo avere almeno un sorriso o una battuta di Abel come invece era stato negli ultimi tempi. Mi ero assuefatta troppo in fretta ai suoi modi di fare, ora staccarsene risultava troppo doloroso e violento per me. Alzai le spalle, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Se lui voleva fare il capo, non sarebbe stato di certo con me che avrebbe avuto modo di farlo.

Abel mi strinse il polso, cercando di trattenere me accanto a lui. Sapeva che, con quell’espressione, l’unico mio desiderio era quello di rimanere sola e soprattutto lontana da lui. Sapeva anche che, con il mio discreto caratteraccio, ciò che mi stavo approssimando a fare sarebbe stato un gesto eclatante, appariscente e forse molto teatrale. Lui non amava queste cose. Ma amava ancor meno vedere me che piangevo. Di questo ne ero certa.

Mi voltai a fissarlo negli occhi. Grandi e lucidi come sempre, mi fissavano quasi in cerca del perdono. Non mi era mai passato per la mente che il suo compito potesse risultargli difficile, perché lo svolgeva con una naturalezza al limite del divino. Ecco, in quel momento mi accorsi che avevo sopravvalutato Abel Olsen. Proprio come definiva la psicologia infantile, la presa di coscienza della fallibilità di un genitore è quasi un momento catastrofico, per ognuno di noi. In quel preciso istante, mentre attorno a noi il mondo era completamente immobile, mi rendevo conto che nulla mi avrebbe mai ridato il fratello che avevo agognato, sperato e trovato in Abe.

E mi ritrovai a rendermi conto anche di quanto fossi stata egoista. Persa nel mio limbo segreto di pensieri e speranze, avevo dato a lui l’incarico di portarmi via dallo squallore della vita che conducevo. Dalla mancanza di novità. Dalla possibilità di fare di me un qualcosa di speciale. Di far si che qualcuno mi accettasse perché, finalmente, ero qualcosa di perfetto ed inattaccabile.

Nulla poteva darmi tutto ciò, neppure la presunta infallibilità di Abel. Ed io ero stata molto sciocca anche solo a farmi sfiorare da un pensiero del genere.

Mi svicolai dalla situazione e mi chiusi veloce nell’abitacolo di Maharet.

-                        Ha sbagliato con te.

Mi confessò la voce suadente di Doyle al mio fianco.

Le mie sopracciglia si alzarono irritate ben più di quanto non mi potessi permettere con lui.

Mi voltai a fissarlo, nervosa, mentre con tutte le mie forze mi stavo obbligando a non piangere.

Lui si passò una mano tra i corti capelli castani, tagliati quasi a spazzola, e mi fissava inquieto con i grandi occhi nocciola che facevano ancora capitolare ogni ragazza gli passasse accanto. Ma a me, lui, non interessava.

-                        Sarebbe?

Gli chiesi secca.

-                        Ti ha dato troppa confidenza. Soffrirai per lui e non sto dicendo che tu ne sia innamorata.

Incrociai le braccia al petto cercando di trattenere dentro di me ogni sentimento. Il sole stava per tramontare, eppure non ne vedevo i colori. Il mondo era improvvisamente muto, come lo era il vento. 

Doyle aveva, ovviamente e come sempre, ragione. L’idea di rimanere soli per buona parte della propria vita doveva essere ben chiara a chi veniva scelto per essere un Custode. Io non l’avevo capito, nonostante tutta la mia intelligenza, perché avevo dato per scontato Abe sempre al mio fianco. Errore madornale.

Mi voltai a fissare Doyle quasi supplicandolo di dirmi cosa fare. Se un modo di sopravvivere c’era a quell’improvvisa sensazione di vuoto, lui doveva saperlo di certo. Era immaturo ed irresponsabile, certo, ma era comunque più vecchio di me. Non poteva non avere idea di ciò che mi passava per la mente, non poteva non sapere cosa dirmi o che consiglio darmi in quel momento. Non poteva essere quella la prima volta che succedeva un casino di quel tipo. Avrei voluto ritirare tutto, direi che la mia era stata una scelta irrazionale, istintiva, idiota. Se dovevo rimanere da sola, se essere una chiave significava non avere nessuno al mio fianco, Abe in testa, non volevo più quel compito. Ma non c’era modo di scappare da ciò che mi attendeva, oramai. Avevo dato la mia parola, purtroppo.

-                        Allontanati da lui Charlotte.

Mi suggerì in un sibilo Doyle mentre scendeva dall’auto e lanciandomi un ultimo sguardo triste.

-                        Prenditi una vita mortale per conto tuo, fingi di vivere come una mortale. Stai lontana dal Crocevia, se non per le nostre missioni.”

-                        Il male passerà?

Chiesi speranzosa.

-                        Non passa mai il nostro male, tesoro.

Chiuse la porta dell’abitacolo mentre mi rendevo conto che, quanto meno, non ero l’unica ad aver sofferto in quella bizzarra famiglia.

* * * volevo ringraziare di cuore BlueBird, Eibhlin, Lialian e Mogliettina che hanno inserito la storia tra le loro preferite e Cleo92, Meiss e Targul che l'hanno inserita tra le seguite...scusatemi la lentezza nel postare, ma è un periodo un po' pieno...diciamo che vi lascio il tempo di meditare bene su cosa posso migliorare nella mia storia!bacetti! Juls
  
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