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Autore: Sidney Prescott    19/08/2024    0 recensioni
Inghilterra del 1910; il nuovo secolo porta aria di novità e di sogni, ma la gente nonostante tutto continua ad ignorare una verità importante: l’esistenza di un mondo parallelo in cui il soprannaturale la fa da padrone senza alcun freno!
L’associazione Hunter, antichi cacciatori discendenti da nobili famiglie fondatrici, è l’unica barriera tra il mondo umano e quello ultraterreno, il cui compito è proteggere gli uomini da ciò che non conoscono e impedire che un simile fardello venga rivelato, distruggendo l’equilibrio tra sanità mentale e pura follia.
Una delle stirpi fondatrici, il casato Griffith, dovrà lottare con tutte le sue forze per mantenere intatto il confine tra umano e sovrumano, ma ad un carissimo prezzo: la propria famiglia.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Chapter 22: Dance of Swords.
Current Day.

Part three: moonlight shadow.

«Lei è un bifolco, un caprone e un arrogante!
Deve andarsene da qui.»
«Ah si? Io l’unica persona maleducata e petulante che vedo qui è lei, signora…»
«SIGNORINA! Ma come si permette? Gira nudo come un selvaggio per tutto il lungolago e sarei io quella maleducata?! Ma come osa!
Si rivesta, dannato zotico, ci sono delle persone che vengono qui per leggere e per studiare…e non per trovarsi le sue grazie al vento, depravato.»
«AH! Questa è buona; lei forse non lo sa, signorina, ma questo parco appartiene ai Griffith, quindi ho il diritto di stare come voglio e quando voglio, anche con le palle al vento se mi gira, perciò…»
«COSA?! ANIMALE! LEI NON…conosce un minimo di rispetto per il gentil sesso…o per qualsiasi cosa sia la decenza! E poi la famiglia Griffith ha istituito un parco pubblico, dove la gente normale convive, con i vestiti addosso!»
«Lei è tutto tranne che gentile, mi creda…miss? Ah già, non mi interessa affatto, ecco! 
Che seccatrice…»
Sebbene i tragici avvenimenti e il cordoglio per la nipote, Trystan non era proprio il tipo da rimanere inchiodato tra quelle opprimenti mura maledette, sentendo già nostalgia dei suoi campi di battaglia e delle sue sperdute terre scozzesi; Cardiff era casa sua ma ormai si sentiva un completo estraneo per chiunque, per Rhys, per l’amata zia, per la tormentata nipote, anche per se stesso. L’acqua era il suo elemento, l’unico posto in grado di ricostituire la sua pace interiore persa da tempo, nello stesso lago che un tempo frequentava con il fratello maggiore tra un tuffo e un altro, ma erano solo placidi ricordi in un mare di menzogne da lui stesso creato. La voce stizzita di una donna non fece che dargli il tedio dal momento in cui era uscito dalla fonte, starnazzando come un’oca impazzita, parlando di pudore, di decenza; ma da quando doveva scusarsi anche per quello?
Si passò una mano tra i lunghi e fradici capelli neri, sospirando, prima di ricevere in testa un libro tirato dalla stessa signorina, affatto intenzionata a rinunciare al suo posto per un nudista qualsiasi.
«Ma che razza di pervertito è lei, uh? Lo sa che conosco lord Griffith? Una sola parola sulla sua indecenza e la faccio appendere come una salacca!»
Fece quella, con le mani sottili sui fianchi, mettendosi imperterrita davanti allo stesso nudo tenente con quello sguardo infastidito, cocciuto e sfacciato. Era una donna sui 30 anni passati, forse anche 35, dall’aspetto delizioso corrucciato in un’espressione sdegnata, tutto sotto il suo cappellino di paglia per ripararsi dal morente sole sulla via del tramonto.
Trys fece una smorfia, ricambiando quell’attitudine come se si stesse specchiando.
«Siamo in due, che vogliamo fare, miss rompicoglioni? Mi denunci a mio fratello? Prego, fai pure, ma non ti offendere troppo se ti trovi a testa in giù nelle profondità del lago…»
«Mio…cosa? Voi sareste un Griffith? Ma per cortesia, al massimo lo stalliere! Un lord non si esprimerebbe mai come un pecoraio, e io ne ho conosciuti di diversi!»
Rispose la donna incrociando le braccia sotto al petto, quasi ridendo per l’assurdità. Il tenente sollevò le sopracciglia, ricopiandola in maniera snervante in ogni movimento, ora divertito da quel battibecco improvvisato. Si avvicinò di un passò di troppo, ma la donna glielo impedì, puntandogli contro l’appuntito ombrellino da sole.
«Un altro passo, maniaco, e ti infilzo!
Guarda che sono cresciuta al porto, so come difendermi…»
«Ohhh, scusa…ora si che me la sto facendo sotto! E dimmi…tutti quei marinai li hai colpiti a suon di…Jane Austen? Uh. E io che credevo fossi una campagnola illetterata come tutte le domestiche che si sbatte mio fratello.»
Osservò l’uomo con un sospiro non troppo convinto, raccogliendo da terra un’edizione vecchia ma ancora intatta di “Ragione e Sentimento”, la quale però gli venne gelosamente tolta dalle mani della donna; cambiò espressione, forse offesa dalle sue parole.
«Non so chi siate voi, ma lord Rhys è un uomo da bene, non è quel genere di persona! Ha permesso a me e alle mie ragazze di venire a far lezione nel suo parco, che ha reso pubblico da ormai 10 anni. Non ha mai sfiorato nemmeno con lo sguardo me o una delle mie allieve, quindi si vergogni…accusare una persona di simili volgarità!
E comunque, non sono affatto una campagnola illetterata.»
Ringhiò quella a denti stretti, fissando l’uomo nei suoi grandi occhi verdi che, per un momento, tremarono, forse avendo davvero osato troppo con quella sua pungente linguaccia. Mise le mani in alto, dichiarando resa solo dopo essersi messo addosso qualcosa, gettata sempre in faccia dalla miss, non poi così oltraggiata da quella vista, rimanendone del tutto indifferente.
«Non volevo offendervi…maestra?»
«Insegnante. Sono un’insegnante di lettere. Evidentemente non siete poi così vicino a quello che definite vostro fratello per parlarne tanto male…»
«O forse voi non lo conoscete come lo conosco io, miss…?»
«Silver…Silver Flint.»
Trystan annuì, quasi in saluto, iniziando ad abbottonarsi per inerzia la camicia sempre di spalle.
«Miss Flint. Devo ammettere che in 10 anni sono successe più cose di quanto potessi aspettarmi anche in una terra come questa, dove non succede mai nulla. E così Rhys è diventato un femminista? Wow. E che mi direte? Che ora prega, forse? O magari che è pure fedele a questa moglie. Ma vaffanculo…le persone non cambiano.»
Ringhiò silenziosamente anche lui, solamente che sembrò rivolgere quel verso tormentato a se stesso più che a Silver, la quale lo udì perfettamente ,con un guizzo negli occhi grigri, quella frase sentenziata. La sua presa sul libro si irrigidì, muovendo un passo in avanti.
«Vi sbagliate. Non è vero…se c’è anche solo una piccola parte di noi, se c’è volontà, se c’è la forza d’animo, tutto è possibile!
Dio…ma perché ne parlo con un cavernicolo come lei? Uno che si permette di insultare anche chi non conosce?!»
«Io? Perché, lei? Con quei suoi modi stizziti, disgustati, ma chi si crede di essere? Pensa davvero che basti un vestitino amidato, un bel parasole per ripulire le sue di origini? »
«Figlio di..» disse miss Flint, ma si trattenne, con i pugni stretti ai fianchi.
«Coraggio!
Avanti, lo dica, glielo leggo negli occhi che vorrebbe insultarmi, ma lei si trattiene perché adesso si crede migliore di questo “stalliere”, giusto? Beh, non pensavo di dirlo, ma sì, dolcezza mia, questa terra su cui stai mettendo piede, è mia.
No, non ti prendevo in giro…è mia tanto quanto lo è del tuo “lord Rhys”, perchè pensa…io e quello stronzo siamo fratelli.
Oh,oh perché quel faccino tanto confuso? SIAMO FORSE COSì DIVERSI IO E LUI? No, non lo siamo.»
Le urla di Trystan fecero fuggire dalle fronde degli alberi una schiera di passerotti e rondini appollaiate, levando così un frusciare d’ali che colmò il silenzio in seguito a quel frastuono. Silver rimase gelata sul posto, non più così indifferente a quelle parole di apparente invidia o gelosia, o entrambe le cose, o forse c’era molto di più tenuto imbottigliato dietro a quel viso di pirata navigato.
L’uomo si perse in una risata nervosa per quella situazione assurda, sorpassando a falcate ampie la minuta donna, quasi a cancellare quella reazione incontrollata che aspettava di esplodere dal primo momento in cui era tornato a casa; si sentiva sotto processo, accusato anche dagli occhi di una donna che non aveva mai visto, ma che, a suo volta, aveva visto tanto.
«Dimentichi tutto…faccia finta di non aver sentito!»
Silver ci pensò per un secondo, ma poi negò col capo.
«Dovrei? Teme forse che riferirò il suo brillante monologo a suo fratello? No, non sono quel tipo di persona, ma temo che…entrambi siamo partiti col piede sbagliato, lord…»
«Trystan. Lord ci chiami qualcun altro…mio fratello, visto che è una sua fan.»
Silver si morse un labbro sinceramente sbigottita, raggiungendo immediatamente quell’uomo sfacciato con i lembi della gonna stretti nelle sue mani.
«Io non sono una “fan” di nessuno, signor Griffith! E non mi permetto, a differenza sua, di spacciarmi da profonda conoscitrice di nessuno, giudico solamente dalle azioni di una persona, le quali sono l’unica cosa che davvero conta a questo mondo poichè è tutto ciò che lasceremo…
Io non conosco suo fratello come lo conoscerà lei, e non ci vuole certo un genio per capire che lei nutra risentimento anche per il suo stesso riflesso nello specchio, ma per quel che ne so…»
Disse con il cuore in gola, determinata e affatto intimidita dal titolo o identità dell’uomo che aveva davanti, schierandosi a spada tratta verso la sua idea.
«...è stata l’unica persona ad appoggiarmi quando nessuno si sarebbe sognato di aiutare una ex…sgualdrina…a mettere su un progetto di studio per le ragazze di questa zona, figlie delle vostre stesse domestiche, e nessuna di loro è stata mai sfiorata da un Griffith!
Quindi si..Trystan…le persone possono anche cambiare, ma siete troppo pieno di odio per voi stesso per capirlo…
E ora godetevi pure il vostro…regno…di solitudine! 
Tutto vostro!»
Cambiare.
Era un verbo sconosciuto per uomini come quelli, intrisi dal peccato, anzi, dai peccati peggiori che un uomo potesse compiere, ma alla fine era circondati da tutte quelle ricchezze, possedimenti; insomma, non era forse equo il peso che stavano portando al compenso ricevuto?
No, non lo era affatto. Non c’era oro, terre, meraviglie in grado di sorprendere nuovamente quegli occhi vuoti di bellezza, di stupore, quasi morti dentro come i loro animi: non sapevano più per cosa stessero combattendo, forse non lo avevano mai davvero saputo, ne Trystan, fuggito di casa per dimenticare un titolo mai voluto, ne Rhys, che aveva perso tutto per rendere gloria ad un titolo imposto, ne Duncan, che fuggiva da un futuro indesiderato garantito da un titolo gravante, ne Eris, che aveva rinunciato alla gioia di una vita normale per aver infangato quel merdoso titolo che li avrebbe condotti tutti nella stessa direzione: alla pazzia.
Non sempre si poteva porre rimedio a ciò che si era fatto, e ormai Eris stessa ne aveva accettato le conseguenze senza cercare redenzione nel prossimo, nelle sue azioni, nelle parole; voleva solamente perdersi volontariamente senza mai più essere comandata da quei limiti che le erano stati imposti senza il suo permesso. Il pomeriggio diventò quasi un ricordo e a breve sarebbe arrivata la sera tanto attesa, ma non per lei, che girava come un fantasma per quella immensa magione sconosciuta di cui non ricordava nemmeno le stanze, forse perchè troppo diverse e cambiate da come le aveva lasciate; era tutto diverso, quella gente che l’abitava, anche la servitù se non per il maggiordomo. Una cosa tuttavia era rimasta: la camera di sua madre era l’unica abitazione sfuggita alle grinfie di sua sorella, identica e semplice a come lei l’ebbe lasciata 18 anni prima, nei suoi toni semplicissimi e dagli arredi panna e menta. Giurò di aver sentito il suo stesso profumo per un momento fra quelle mura, l’unica cosa che davvero poteva vantare di rammentare della donna che non aveva avuto il tempo di conoscere poiché svanita troppo presto.
«Ti sei forse persa, mia cara? 
Oh…no, direi di no. Prego, continua pure, non volevo interromperti…Eris.»
Una voce sorprese alle spalle l'ex capitana, una voce che non aveva riconosciuto o che forse non sentiva da una vita o forse più. Lady Gwendolyn, sulla soglia della stanza, si sistemò un orecchino di brillanti appena allentato, elegantemente vestita in uno splendido abito blu da sera; una bellissima visione che lasciò quasi confusa la giovane, con un sopracciglio sollevato, in uno stato quasi di diffidenza ma non poi così di allerta.
«Dovrei…forse riconoscerti? Uh? Noto che questa casa è diventata parecchio affollata, di recente; un tempo bisognava richiedere udienza alla stronza col culo grosso per poter entrare!»
La donna dai capelli argento sorrise segretamente d’accordo, muovendo alcuni passi verso la specchiera della camera, alla quale si accomodò iniziando a rifarsi il trucco con estrema tranquillità, tutto sotto gli occhi guardinghi e incuriositi della ragazza. Si infastidì per quella impudenza, tuttavia c’era qualcosa di fin troppo fluido in quei movimenti, come se quella stanza, i mobili, l’intero palazzo appartenessero di diritto a quella sconosciuta; Gwen, dal riflesso dello specchio, incrociò lo sguardo di Eris con un sorriso silenzioso, tornando a rimettersi il rossetto con tutta calma.
«Avresti voglia di schiaffeggiarmi con la spazzola, giusto? O magari di rompermi la testa contro il vetro; ogni mio respiro qui dentro è un insulto per te.»
Eris sogghignò con le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Sono poi così trasparente? Sai, all’inizio pensavo fossi qualche illustre ospite, qualche lady sofisticata di cui mia zia si circonda per rimpolpare il suo entourage di cortigiane avare!»
«E cosa ti avrebbe fatto cambiare idea? In così poco tempo non avrai avuto nemmeno modo di riconoscermi, dopotutto, ci saremo viste una o due volte da quando sei venuta al mondo, mia cara..ma noto con mio sommo dispiacere che la tua bellezza mi ricorda molto la mia, proprio quando avevo quell’età in cui tutto è possibile! Ma non fraintendermi; sei uno splendore, il che può essere un bene per te, ma un male per gli altri, o anche per te stessa, dipende come sfrutti questo tuo vantaggio.»
«Siamo filosofici oggi, Gwen…posso chiamarti Gwen, si? Mi dispiace, ma “nonna” credo sia un termine poco appropriato, e non siamo persone che si lasciano andare a simili formalismi. »
Fece la nipote con della diretta schiettezza, poco incline a riconoscere quel legame familiare mai onorato o conosciuto da entrambe; la lady non potè che essere d’accordo, annuendo con un silenzioso cenno del capo, guardando in penombra la figura dell’altra accomodarsi sul divanetto damascato, con il viso rivolto verso il soffitto, affrescato da una serie di putti rotondi e rosei. Lady Griffith si fermò dopo aver appoggiato il tubetto dorato sulla specchiera di fine marmo bianco, rivolgendo così l’attenzione verso Eris, la quale ricambiò lo sguardo con uno nettamente meno interessato.
«Spero non stia per cominciare un momento melenso dove si riscoprono i valori di questa porcinaia familiare, Gwen!»
«Oh! Hai sbagliato persona, dolcezza, perchè sono l’ultima in questa “porcinaia familiare” a cui è mai importato di tutto questo, e la mia perpetua assenza avrebbe dovuto fartelo sospettare, non credi? Che cosa pensavi? Che sarei venuta a bacchettarti sulle nocche o simili? Ti prego, Eris. Posso chiamarti Eris, giusto? Credo che “capitano” non sia più appropriato, viste le circostanze!»
L’ex capitano si perse in una risata sarcastica, ondeggiando al vento la mano alzata verso il soffitto; si erano intese perfettamente senza poi troppe parole. La giovane rimise gli stivali sopra il tavolo, facendo appena tintinnare la base di finissimo cristallo.
«Direi che, viste le circostanze, non dovresti nemmeno rivolgermi la parola, tuttavia eccoci qua, lady Griffith! Eppure hai la decenza o forse il rimorso a tenerti in campana…dimmi, che ci fa la donna più influente di questa famiglia tra noi comuni pezzenti? E non dirmi che sei qui per il compleanno del pagliaccetto di Cillian; quel ragazzo attira problemi come api al miele, ma noi due non siamo da meno, dico bene?»
«Benissimo, in realtà, tuttavia vorrei ricordarti che anche noi due siamo dei problemi, o meglio, io lo sono stata ai miei tempi e non vorrei che anche tu percorressi la stessa strada…insomma, finire sui giornali non è cosa assai piacevole, quindi io ci penserei due volte prima di farmi conoscere al pubblico come…»
«Quella che si è scopata suo zio?» chiese mordace, sollevando una sigaretta spenta all’aria, cercando un accendino nelle tasche della giacca, non tradendo minimamente un solo velo di vergogna.
«Precisamente. Immagino tu abbia sentito la conversazione con…»
«Oh, ti prego, come se fosse il peggiore dei reati commesso da questa famiglia! Ho sentito ogni parola, una più accorata dell’altra, davvero, devi tenere molto a Trystan, ma ti avviso; quell’uomo ha la tendenza a succhiare via la vita dalle persone per consolare il suo dolore interiore, riversando massicce dosi di insoddisfazione su chiunque cerchi di stargli accanto.
Provare per credere! Quindi non scriverei sul Cardiff Journal “Relazione scandalo tra zio e nipote”, quanto più “Scopata occasionale per colmare un vuoto incolmabile”, vedrai che andrà a ruba.»
«Dipende, sta tutto nel quanto vuoi uccidere tuo padre con questa notizia, mia cara! Hai mai pensato a come potrebbe prenderla?»
«Lui si è mai interpellato nel chiedersi quanto io abbia sofferto lontano da casa mia?»
«Ogni giorno.»
«Uh…io un po 'di meno, ma questo non cambia le cose, Gwen! Francamente? Non so cosa ci faccio qui; ero convinta di trovare qualcosa, non so cosa, ma quello che personalmente vedo è…»
I grandi occhi di Eris si persero su quelle mura, su quelle grandi finestre, cornici di un paesaggio spoglio e privo di vita, sebbene curato, ma non con amore, ma con un diserbante molto potente, chiamato odio. 
«...un cimitero a cielo aperto. Che mio padre scopra o meno la verità, non cambia poi molto, non pensi? Io porterò il peso di quella menzogna per sempre, e il suo sguardo deluso sarebbe solo una degna conclusione a questo tormento. Deluso? Che dico deluso, disgustato! Ma questa sono, e questa resterò per quei pietosi anni che mi restano da vivere…che rientri o meno nella Hunter…
Una bella chiacchierata, nonna, non c’è che dire!»
«Eris…»
La voce grave della donna mise in guardia quella giovane e sprezzante della nipote, la quale le rivolse solamente la coda dell’occhio, già pronta ad andarsene via, non solo da quella stanza, ma da quella montagna di mattoni intrisi di male. 
«Cosa c’è ancora? Sono già stata minacciata da tua figlia, non mi serve l’arringa finale della vecchia generazione, e faccio anche a meno del patetico discorso materno che…»
«Niente di tutto questo. Io non sono tua madre e nemmeno mi importa fingermi tale, perchè non lo sono stata ai miei tempi, figurarsi esserlo per…una giovane donna che non crede in niente ed in nessuno…sai…in questo momento è come guardarmi allo specchio…»
Era quasi surreale la loro somiglianza, esteriore ed interiore, ma non fu elemento tale da creare alcuna meraviglia nei loro occhi gemelli, se non un mesto sentimento simile all’amarezza; Gwendolyn strinse le mani giunte attorno al grembo, riconoscendo lo stesso baratro in cui la giovane stava per gettarsi senza ripensamenti. Chiuse così gli occhi.
«...non importa cosa io dirò, le mie parole ti suoneranno come sospiri vani ed insignificanti, perché sono le esatte cose che ho pensato quando io, alla tua età, sentivo o almeno, provavo, ad ignorare mio fratello Yvain che cercava di dissuadermi dal gettare al vento la mia vita…»
«Mmm…e lo ascoltasti, Gwen?»
«No.»
«Appunto…quindi di cosa stiamo ancora parlando?
Però, a differenza degli altri, non ho avuto poi chissà quali occasioni per poter godere delle tua epica presenza, perciò prego!
Sentiamo cosa la madre di mia madre vorrebbe dirmi…»
«Nulla, se non ricordarti che un giorno pagheremo le nostre scelte con i frutti che loro stesse produrranno!
Ricordarti che tutto quello che accadrà, una volta uscita da questa casa, sarà solo ed esclusivamente una tua scelta, Eris. Fino ad oggi hai potuto bearti della tragica storia che ti ha condotto su questa strada, ma da oggi stai giocando tu le tue carte!
Il tuo segreto con me sarà al sicuro, ma non posso assicurare lo stesso per mia figlia, ma qualunque sorte capiti a questo pesante fardello, lo hai cominciato tu…o almeno, vi hai preso parte consensualmente!
Come consensualmente, stanotte, sceglierai che strada prendere…chissà che il ballo dei Darcy non ti aiuti a riflettere, a tuo modo!
Tuo cugino,Cedric,è un ragazzo particolare…chissà che, almeno tu, non riesca ad andarci d’accordo…»
«Lo vedremo…Gwendolyn, lo vedremo.»

╰⊱♥⊱╮╰⊱♥⊱╮

«Signore e signori, lord e lady illustrissime, è con grande onore ed immenso gaudio che esterno a voi la mia gratitudine per la vostra presenza a questa festa, per festeggiare insieme il mio Cedric!
Devo essere onesto con voi, non sono stati anni facili questi, dobbiamo riconoscerlo; l’associazione Hunter è andata incontro a tempi duri, a scontri sanguinosi e ad ingenti perdite. Molti dei nostri valorosi uomini hanno perso la vita, io stesso ho perso familiari assai importanti, ma oggi, dopo tanti, tanti anni, possiamo vantare di aver finalmente appianato le divergenze e aver seppellito l’ascia di guerra.
Mia moglie, Rebecca, ed io abbiamo passato anni a ricostruire la famiglia Darcy, dopo la morte di mio padre e la tragica scomparsa di membri importantissimi per la nostra casata, ma siamo ancora qui e continueremo ad esserci, per la nostra causa, per i figli, che sono forse la nostra più grande ricchezza e perchè crediamo in ciò per cui combattiamo!
Ed è per questo oggi, che voglio stringere la mano ad un caro amico, un compagno, un uomo visionario che ha garantito la stabilità della Hunter negli ultimi 25 anni!
Ovviamente, 25 anni fa ero appena un bambino, poco più che adolescente, ma ricordo bene il trionfo che un giovane cacciatore, dalle umili origini, portò alla nostra squadra; mio padre stesso fu il primo a narrarmi le gesta di Luther Richter, a cui dobbiamo molto, tutti noi!»
«Troppo buono, Cillian…ma dimmi, questo tuo bel discorso te lo sei forse fatto appuntare dalla tua diplomatica moglie? Sai, ricordavo un giovane tutto pelle ed ossa, taciturno e solitario, e non uno showman!
Oh beh, le cose cambiano!
Ma brindo a te,a tuo figlio e a tutti quei fratelli che ci hanno permesso di essere dove siamo oggi!
Alle famiglie, finalmente riunite.»
Luther alzò il suo calice verso quello del lord di casa, dinanzi ad una sala gremita di ospiti dai falsi sorrisi, stretti attorno a quella cerchia di potenti uomini che avevano sulle spalle talmente tanta pressione da far scoppiare le vetrate di quello sfarzoso salotto. 
In quel momento erano presenti ben 2 generazioni di cacciatori: il presente, composto da quegli uomini colmi di segreti nascosti e verità scomode, e il futuro, fatto di quei volti confusi, spaesati, stretti in eleganti abiti fastidiosi ed inamidati, asfissiati dall’aria pesante di quell’atmosfera finta e costruita. Sebbene la recente perdita, persino lord Griffith, nonostante le sue condizioni, era riunito insieme al fratello minore nella tana dei leoni, sotto gli sguardi increduli degli invitati, i quali non li vedevano assieme da moltissimi anni; lo stesso Cillian, tra un calice di champagne ed un altro, teneva ben fissa l’attenzione su quel bizzarro duo, non trascurando mai gli altri ospiti, si intendeva.
Ivo e Diego, dal canto loro, rimasero assai in disparte, quasi estranei a quel fastidioso corteo di stronzate, specialmente il gemello minore, seduto per conto suo con una sigaretta fra le labbra.
«Quanto dura questa stronzata? Mi sono rotto le palle e ci sono due vecchie che mi hanno già chiesto di farle ballare…»
«Attieniti al piano, fratello! Guarda papà, è nel suo habitat naturale…» borbottò Diego, essendo già al centesimo drink, i quali sembravano non aver avuto alcun effetto su di lui «…fatto di pura e semplice finzione…non so proprio con quale faccia riesca a sopportare questa commedia!»
«Con la stessa faccia con cui  ha sterminato tutta quella gente?»
«Mmmm? Di che stai parlando, Ivo? Sono settimane che sei strano e non me ne parli, mi dici che ti prende? Tu e papà avete litigato di nuovo? Non sarà ancora per la storia del persiano venditore di tappeti…»
«Non ne voglio parlare, e no! Non abbiamo litigato, o almeno, niente che non ci siamo già detti! Dimmi…tu che ne sai della storia del…serpente?»
Diego sollevò i grandi occhi azzurri verso il fratello, guardandosi previamente attorno per non essere ascoltati, prima di prenderlo per il braccio.
«Il serpente? Adesso me lo vuoi chiedere? Perché ti interessa? Ivo…non ti è mai importato niente delle famiglie da quando siamo nella Hunter, ma da quando hai conosciuto quel Balthasar ti è successo qualcosa…ne parliamo in un altro momento, ok?»
«Stai diventando ogni giorno più simile a lui, Diego…»
«E cioè?»
«Bugiardo.»
Fece scocciato il biondo, scrollandosi di dosso la presa del fratello, finendo inevitabilmente per allontanarsi da lui in quel marasma generale in cui si sentiva completamente fuori posto, esattamente come Duncan, dal volto ancora stravolto e dall’animo totalmente spento. Avrebbe voluto restare accanto alla sorella ma la madre glielo aveva impedito categoricamente; insomma, non avrebbe mai potuto mancare ad una serata simile il futuro comandante!
Il nervosismo se lo mangiava vivo, facendogli persino accendere una sigaretta, sebbene quasi non fumasse. L’accendino dorato di Cedric gli accese quel mozzicone penzolante, rimettendo poi con cura nel elegante frac l'accessorio personalizzato, sondando con gli occhi celesti quella marmaglia imbellettata, completamente disinteressato.
«Ho saputo di tua sorella, piccione spennacchiato…brutta faccenda…»
«Hai un modo schifosamente bizzarro di esprimere dispiacere! Ad ogni modo, immagino di doverti ringraziare…»fece sbuffando una coltre di fumo dal naso, notando fin troppi occhi su di loro «…e non volermene, ma appena sarà possibile, andrò via da questa stronzata organizzata…se non fosse per mio padre nemmeno sarei qui!»
Il festeggiato ascoltò bene quelle parole, prendendo un tiro dalla stessa sigaretta del rosso grifone, al quale rivolse una delle sue risate perfide.
«Duncan, Duncan, Duncan, a volte mi sembra che tu sia cresciuto in un cazzo di mulino bucolico, un maledetto campagnolo, e capisco bene che nel tuo paese di scopa draghi sia un concetto difficile da comprendere, insomma, guarda tuo padre!
Ma la realtà, mio caro, è che io e te siamo destinati ad avere un certo titolo sulle spalle e, per quanto tu non lo voglia, lo dovrai accettare…a meno che Eris non sia pronta a farti le scarpe, si intende!
A tal proposito…»
«Lei non c’è. »
Fece secco e diretto il grifone, roteando annoiato gli occhi, finché si accorse subito dopo della presenza di una giovane lady accanto allo stesso festeggiato sbruffone, con un sopracciglio inarcato. Cedric nemmeno ci badò, fingendosi sorpreso.
«Oh, che maleducato…vi ho mai presentati? Trixie, ti ricordi il mio acerrimo rivale, mangiatore di caz..»
«Non ce n’è bisogno, riconoscerei ovunque quella faccia lentigginosa da fesso imbranato…» commentò Miss Lovett, non lasciando facilmente il fianco di Cedric, arpionata fedelmente al suo braccio quasi fosse stata la sua fidanzata. Il Griffith si accorse di quella presa, sorpreso, tirando poi una boccata di lato.
«E io che credevo che la serata non potesse mai migliorare! Ci sono anche le tue ruffiane in giro per la sala? Oh ma certo che si…»
«Scusa, brutto idiota?»
«Calma, Trixie! Calma…stasera tutto è perdonato all’omaccione qui presente; insomma, ha perso un potenziale nipote, non vorremmo mai aggiungere peso a questa perdita!
Suvvia, ci sarà anche un mago per allietare questa lunga notte…»
«Un…cosa?»
«Un mago? Ma che hai, 10 anni? Cedric…»
«Pare sia il migliore in tutta la città, un autentico artista! Vedere per credere, dopotutto…suvvia, Griffith, fammi un sorriso!
Ma hey, lo capisco, a casa vostra avete la miglior illusionista di tutte quante…»
Azzardò ironico il Darcy, appoggiato inavvertitamente il braccio sulla spalla di un Duncan assai lontano dallo scherzo, con i nervi tesi come le corde di un violino.
«...dicono che tua madre sia stata un’autentica maga nel aver fatto sparire la sorella maggiore dal letto di nozze ed essersi infilata lei stessa!
Lord Griffith ha poi scoperto il trucco?»

Beatrix si sbatté una mano sul viso, dando una forte gomitata al ragazzo, il quale rimase confusamente divertito.
«Cedric, dacci un taglio.»
«Cosa? Che ho detto di male? Andiamo, il ragazzone non si è offeso, vero, Didi?»
«Ora ti spiego una cosa, Cedric…che evidentemente non hai ancora capito in questi cazzo di 19 anni!»
«Scusami…?»
Onde evitare scandali e malumori, il giovane Grifone si limitò ad appoggiare pesantemente la grande mano sulla spalla del Darcy, stringendogliela quasi al punto di rompergliela, tutto accompagnato da un serafico sorriso di pura circostanza; ora era veramente stanco di tutte quelle cazzate.
«Apri bene le orecchie, viziato stronzetto! Non fare l’amico o lo spiritoso con me, sono qui solamente perchè mio padre non è più quello di una volta e ho intenzione di stargli accanto, per quanto mi faccia venire da vomitare tutta la tua famiglia, te compreso, che stai facendo tutto questo solo per portarti a letto mia sorella. 
Ti do un consiglio, Cedric, vedi di non romperci le palle…ti ho avvisato! 
Ah già…» allentò la presa, sistemandogli sarcasticamente la giacca e il papillon, quasi fossero stati realmente amici di lunga data, sotto lo sguardo stravolto e meravigliato di Trixie «....buon compleanno,lord Darcy, spero che questo nuovo anno ti renda più saggio…finalmente!»
«Cedric?! Ti ha fatto male?!»
Il festeggiato non rispose nemmeno alla preoccupata amica, portandosi all’indietro i folti capelli neri elegantemente pettinati, celando perfettamente dietro ad un plastico sorriso quel pugno amaro appena ricevuto; farsi rovinare la serata da quel imbecille? Fuori discussione.
Era la sua festa, niente sarebbe potuto andare storto.
O quasi?
«Devo ammettere, vecchio amico, che hai messo su un bellissimo circo, ma dimmi, quella puttanata che hai decantato poco fa ,l’ha davvero scritta tua moglie? Io non credo, mi sembra tutta farina del tuo sacco…velenoso e pieno di doppie facce.»
«Trystan Griffith, il giovane falco, finalmente fa ritorno al suo nido dopo 10 anni! Pensavo che non ti avrei mai più rivisto, vecchio amico mio…sei invecchiato!»
«E tu sei diventato semplicemente inquietante, Cillian Darcy! Ricordo un tempo in cui eri il fanciullino più femminile che la Hunter avesse mai visto; ricordi quando ti chiusero, durante gli addestramenti, nelle latrine putride e ti vestirono da donna?»
«Si…visto che è stato tuo fratello l’artefice di tale puerile scherzo…ironico! Il soldato più indisciplinato dell’associazione che diventa un amorevole padre di famiglia, ma noi due non ci abbiamo mai creduto, vero, Trys?»
Cillian offrì al giovane falco un forte scotch invecchiato, il quale accettò di buon grado, rimanendo quasi nella penombra di quella sala, come se fosse stato terrorizzato dalle luci degli scintillanti lampadari di cristallo. Lord Darcy se ne accorse, nascondendo un ghigno abbozzato.
«Non pensavo saresti mai venuto, lo confesso! Non che la cosa mi dispiaccia, è solo che non credevo ti avrei mai rivisto al suo fianco…non dopo ciò che ha fatto!»
«Le cose…cambiano, presumo. In realtà non volevo venire…»
«Beh, grazie per la sincerità, vecchio amico! »
«Non fraintendermi, Cillian! Non è facile per un uomo che ha passato gran parte della sua vita in una terra fatta di merda e sangue inserirsi nuovamente nella società, nell’alta società, figurarsi ad un ballo come questo…Rhys ci teneva molto, tutto qui!»
«Mmm, davvero? Io credo ci sia dell’altro che non mi stai dicendo, in realtà…te lo leggo negli occhi! Oh, non fare quella faccia, siamo cresciuti insieme, giovane falco, so quando menti e questo è uno di quei momenti…ma chi cerchi, si può sapere?»
Il tenente sollevò una mano quasi a lasciar perdere, stringendo le mani al bordo della terrazza abbastanza lontana da quel marasma di gente, ma non abbastanza dagli occhi assai attenti dell’uomo più basso, il quale capì perfettamente la situazione, limitandosi a sorseggiare il suo drink.
«Immagino si tratti di tua nipote, anzi, nostra nipote…è strano, ma non ho mai pensato alla figlia di Merrion come mia…insomma, parente, finchè non l’ho incrociata l’altro giorno, sotto la pioggia, con i capelli incollati su tutto il viso.
Non le somiglia, devo ammetterlo, ma l’ho trovata molto…interessante! E immagino sia anche il motivo dei tuoi mal di testa…ma dimmi, Trystan, cos’è che ti tormenta?
Ciò che hai fatto a te stesso o che hai fatto a quell’uomo che ci ha portato via mia sorella? Smettila di avvelenarti per Rhys, perdi solo tempo, goditi la serata piuttosto, chissà che l’illusionista che ha assoldato Rebecca non ti porti il buonumore.»
Concluse freddamente sotto gli occhi affatto meravigliati di Trystan, che conosceva bene l’animo del vecchio migliore amico che non vedeva ormai da diversi anni; un tempo sarebbero stati inseparabili, ma quei momenti erano ormai ricordi lontani, passati. Trystan aveva scelto il fango e la caccia, Cillian invece la sua preziosa torre di comando fatta d’avorio e di numerosi privilegi. Erano maturati diversamente, ma avevano amato entrambi la stessa donna per anni, sebbene quello fosse uno scomodo segreto e sarebbe dovuto rimanere tale per sempre. Non si dissero altro, si erano già parlati con il solo sguardo, in tempo per l’arrivo dello stesso fratello maggiore proprio dinanzi alla figura del padrone di casa, la quale scomparve a vista d’occhio a paragone dello stesso Rhys.
«Caro Cillian, è un piacere rivederti…anche se non credo di poter dire lo stesso dal canto tuo!»
Fece con una nota di pungente sarcasmo il Grifone, accompagnato dal silenzioso Luther, il quale scambiò un’occhiata poco amichevole al tenente nell’angolo, affatto entusiasta di vederlo. Cillian dipinse sul suo viso il migliore sorriso che aveva a disposizione, stringendo la mano del cognato con quasi autentica sincerità.
«Rhys, siamo troppo vecchi per i rancori e non possiamo certo portarci dietro una storia vecchia ormai, che dico, di almeno 20 anni fa? Il passato è passato, cognato. Dico bene,Luther? Insomma, sarebbe da vecchi bacucchi continuare sulla via delle ostilità.»
Richter non si fece impressionare certo da quel teatrino cistercense, ma apprezzò dietro a quel bicchiere di vino rosso, il freddo autocontrollo del padrone di casa con un cenno del capo, mettendo una mano sulla spalla del grifone, stemperando l’atmosfera frizzante.
«Suvvia, vecchio rapace, lasciamo i giovani non più così giovani a divertirsi! Non dimentichiamoci che questa è una festa di compleanno, sembra quasi più la firma dell’armistizio di qualche battaglia di cui francamente dimentico le origini…»
«Mi chiedo come diavolo ci riesci…»
«Come scusa, Trystan?»
«Ho detto…»
« Trys! »
Rhys riprese il fratello prima che potesse dare spettacolo, pregandolo quasi con gli occhi davanti agli altri due; l’uomo più giovane lasciò perdere, sebbene Luther avesse afferrato perfettamente le sue intenzioni, facendo roteare il vino nel suo bicchiere di cristallo, come un vortice oscuro.
«Non si diventa amministratori della Hunter senza fare nulla in cambio, giovane falco, e mi sorprende che in tutti questi anni tu non l'abbia capito!
Ma prego, se hai qualcosa da dirmi, io sarò qui ad attenderti…»
«Vai al diavolo, sociopatico bastardo!»
«Trystan!?»
«No,no, lascialo andare…»
«Perdonalo, Luther! Trystan ha sempre avuto un temperamento molto esplosivo…»
Sia lord Darcy che Griffith cercarono di giustificare quel exploit singolare, ma lo stoico amministratore lasciò correre via lo stesso ombroso tenente, affatto interessato a dare nell’occhio, sebbene sapesse bene a cosa avesse fatto riferimento. Si grattò distrattamente un sopracciglio, non pesando davvero quelle parole dal pesante significato, poichè la sua attenzione, come quella di tutti i presenti, fu rapita dall’improvviso abbassamento delle luci che divennero improvvisamente buie, se non spente del tutto, tranne per il centro della stessa sala da ballo velocemente sgomberata. Un odore dolce, piacevole, prese piede nell’aria, assieme alla sensazione di una presenza pregnante che si aggirava tra quei vestiti broccati e quelle arie snob, un qualcosa di avvolgente che mise in allerta alcune di quelle figure, se non una in particolare, già prossima ad abbandonare la sala.
Ivo si fermò con una sigaretta in bocca ancora spenta, con un piede già fuori dalle porte del salone, finché non avvertì sulla pelle quella sensazione già conosciuta.
«Ma che cazzo…»
«Te ne vai già così presto, Ivo? E io che credevo volessi rivedermi…peccato, resterai con me ancora per un po ', che ne dici?»
Il giovane Nardi si trovò una benda attorno agli occhi, sentendosi quasi rapito da mani affusolate sulle sue spalle; sentì solo un grande silenzio, un irresistibile profumo, una voce che già conosceva ma a cui non riuscì ad associare un viso, non subito.
Diego vide il fratello rapito da un giovanissimo uomo, il quale sparì abilmente tra la folla come un fantasma, finché entrambi non riapparvero al centro della stanza, sotto gli occhi incuriositi dei presenti.
Silenzio tombale, appena infranto dai sospiri ansiosi degli spettatori, dai battiti del cuore di Ivo quando si trovò seduto e bendato su una sedia, con le mani di quel giovane sulle spalle; ma chi era quello sfrontato che si permetteva di interrompere una simile festa, il mago di cui tanto si chiacchierava?
Mago? Oh no, niente di simile.
Era molto più che un semplice ciarlatano in cerca di visibilità; l’illusionista, in frac e cilindro, si levò il cappello, da cui fuoriuscirono delle splendide farfalle variopinte che rapirono l’attenzione dei presenti, volando libere tra gli invitati. Sorrise, nascondendo parte del suo viso dietro il cappello.
«Permettetemi di presentarmi, miei lord e mie lady, sono colui che viene e colui che va, sono l’illusionista che tanto aspettavate, ma mi domando…perchè cercate un qualcuno che vi illuda?
Ve lo siete mai domandati?
Deliziose, nevvero? Farfalle rare, che vivranno forse qualche settimana, o forse chissà, perfino qualche mese, ma poi si sa, di loro non resterà che triste polvere. 
Quindi perché non abbandonare una simile volubile bellezza per un qualcosa di diverso?
Oh si…»
Il giovane si mise un dito sulle labbra, tramutando con uno schiocco delle dita quelle bellissime farfalle in volanti falchi che misero in subbuglio l’intera sala; ne rise, finchè non li rimise in riga, facendoli  sparire dentro il cilindro del suo cappello con un piccolo colpetto.
«Ohibò, mi spiace, vi ho forse spaventati? Non volevo, siete un pubblico così facilmente impressionabile?»
Chiese con un tono quasi mellifluo e suadente, rivelando dietro alla maschera  che copriva metà volto il suo bellissimo viso, facendo arrossire diverse lady alla sua presenza. Luther sembrò quasi aver visto un fantasma, trovando chissà quale familiarità in quei tratti, ma accusò la probabile stanchezza per quella svista, osservando con un occhio sinistro quel dannato maghetto che sembrava aver preso in ostaggio il figlio, stranamente agitato, quasi scosso.
«Chi è quel ragazzo…?»
Chiese a bassa voce l’amministratore al padrone di casa, il quale rispose facendo spallucce.
«Rebecca pensava che sarebbe stata una buona idea fare cena con spettacolo! Non so chi sia, ma pare sia parecchio famoso nell’est end! Casualmente cercava lavoro ed eccoci qua…»
«Casualmente.»
Mormorò l’altro, notando poi la stessa espressione sul volto di Rhys al suo fianco, anche lui assai confuso da quella presenza e forse anche sconvolto da quella somiglianza che anche lui aveva notato; sicuramente la stanchezza stava giocando loro un terribile scherzo, poiché fino ad allora nessun fantasma del loro passato si era mai permesso di tornare a tormentarlo, e di sicuro non avrebbe cominciato ora. L’illusionista si disfò di guanti e cappello, girando attorno al giovane cacciatore quasi a creare tra loro e il pubblico un cerchio invisibile, una barriera da non valicare per nessuna ragione.
Il giovane illusionista allora parlò.
«Avrei dovuto scegliere, per questo numero, uno tra di voi, uno tra tanti, o perchè no, lo stesso festeggiato, a cui rinnovo i miei sentiti omaggi, futuro lord comandante!»
Fece con un doveroso inchino verso lo stesso Cedric, al cui fianco apparvero due bellissime e coloratissime aiutanti dello stesso giovane, lasciando i presenti completamente sbalorditi da un simile trucco, ma non Luther, o tanto meno Rhys, con una strana sensazione di allerta che scorreva nelle vene. 
«Per questo trucco, come lo chiamate voi, ho scelto un giovane uomo, un uomo comune sotto gli occhi di molti, ma che ho trovato assai interessante, ma non voglio certo annoiarvi con le mie sciocche congetture!»
«Sei t-tu…sei il ragazzo del treno…» fece il ragazzo schiudendo le labbra secche, riconoscendo solo in quell’istante quella voce, quella presenza ingannevole. Solo allora l'illusionista sorrise, ridendo.
«Mmm? Treno? Ma mio caro, chi ha bisogno di un mezzo medievale come il treno, quando posso apparire e scomparire come e quando voglio, non vi pare, signori?
Che assurdità…devi essere un po confuso, Ivo!
Signori e signore, un bel applauso per il nostro volontario, il soldato Nardi!»
A seguito di uno scrosciante battere di mani, la benda fu tolta dai grandi occhi spaesati di Ivo, che incrociò finalmente quel volto che non aveva mai dimenticato una sola volta da quando si erano conosciuti su quel vagone passeggeri diverse settimane prima. Per un istante gli parve quasi surreale, come se tutto attorno a lui fosse stato un bizzarro sogno o perchè no, un macabro incubo. Non riconobbe nessuno degli invitati, cercò a lungo suo padre, suo fratello, il comandante Griffith, ma nessuno di loro sembrò essere più presente in quel maestoso salone; Ivo si alzò di colpo, guardandosi attorno con vivo terrore, non essendo nemmeno più nella magione dei Darcy, ma in una nettamente più sfarzosa e imponente, dalla bellezza e sfarzo quasi 800esco. 
«Che cosa significa tutto questo!? Che ci fai tu qui?! Che hai fatto agli invitati? »
«Io non ho fatto proprio un bel niente a quelle scimmiette dal cervello disabitato che lord Cillian ha premurosamente riunito tutte insieme, per celebrare quel viziato e dispotico di suo figlio, Ivo…
Io sono qui per te, nient’altro! »
«Per…me? Perchè? Ma allora, il nostro incontro non è stato un caso…niente di tutto questo è un caso! Ma cosa…chi diavolo sei allora? Sono settimane che le tue parole mi tormentato anche di notte! 
Chi diavolo sei, Azzurro?»
I due giovani si ritrovarono finalmente faccia a faccia esattamente come quel giorno sul treno, ma non c’era più una pistola a tenerli distanti questa volta, solamente i loro sguardi l’uno sull’altro, dalle diverse sfumature; il Serpente rispose con un enigmatico sorriso, mostrandogli con un gesto del braccio ciò che li circondava, sebbene fosse del tutto un’illusione.
«Tutto ciò che vedi, mio ingenuo cacciatore, apparteneva alla mia famiglia da generazioni, dai tempi in cui i miei predecessori furono costretti a fuggire dal nuovo continente per rifugiarsi proprio qui, tra le campagne inglesi, lontani dai cacciatori americani che avevano massacrato la nostra gente per secoli. Mio padre, e suo nonno prima di lui, furono i primi a capire che l’unico modo per poter sopravvivere era unirsi al proprio nemico fino a renderlo alleato; è una legge di natura, dopotutto!
Ma ci fu chi non apprezzò affatto questa unione tra naturale e soprannaturale, mio dolce fanciullo, e uno di quegli uomini….fu proprio il tuo padre adottivo, assieme a quella schiera di lacchè che si portava dietro!»
«Stai parlando della guerra dei Drake e degli Spellman? Loro volevano aprire le braccia ai demoni! Ti rendi conto della follia che sarebbe dilagata se avessero veramente portato a compimento il loro progetto?»
Chiese quasi meccanicamente il cacciatore, cedendo sulla stessa sedia, ora divenuta poltrona, con una mano tremante sul viso. Il giovane illusionista mise le mani sui braccioli della stessa seduta, inchiodando l’altro contro di essa, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi.
«Smettila di ripetere una canzone che non hai scritto tu, smettila di imitare il tuo vecchio, smetti di cercare continuamente di essere come tuo fratello, Ivo! Quel giorno, sul treno, avresti potuto spararmi ma non lo hai fatto, avresti potuto lasciare Balthasar in prigione, ma non lo hai permesso, avresti potuto fare tante cose, Ivo Nardi, ma nessuna contro di noi, ed ognuna contro i padroni che ti hanno adottato, facendoti sentire speciale, necessario, quando sei solo un pezzo di ricambio per loro e lo sarai sempre…»
Il giovane si abbassò all’altezza dello stesso ragazzo, quasi a restringere quelle distanze sempre di più, come il muro che li separava; si sbottonò la manica della camicia, mostrando solo allora il tatuaggio del capro al cacciatore, che lo guardò sbigottito, ritornando in fretta sui suoi occhi azzurri, chiedendogli disperatamente una risposta, che sarebbe arrivata.
«Il mio nome è Elaijah Spellman, sono l’ultimo erede della mia casata, tutto ciò che resta di una dinastia di visionari, uccisi tutti quanti da uomini come tuo padre, perché vedevano cose che gli altri non potevano nemmeno comprendere!»
«C-cosa…? Tu sei uno…Spellman? Non è possibile…sono morti, sono morti tutti!»
«Eppure tu mi credi, altrimenti non saresti arrivato fin qui! Non ti saresti interrogato per tutto questo tempo su quello che tuo padre vi ha tenuto nascosto, o sbaglio?
Guarda tu stesso….»
Attorno a loro quello scenario di festa iniziò a svanire come polvere nel vento, quelle proiezioni del passato parvero vive e vegete, iniziarono a correre e scappare come ratti non appena si accorsero che le porte d’ingresso furono state sigillate dall’esterno; Elaijah guardò la scena impassibile al fianco di Ivo, i cui occhi erano stravolti dalla disperazione di quelle povere anime che graffiavano perfino le mura pur di uscire mentre il fuoco dilagava come un mare in tempesta. Un giovanissimo uomo, proprio al di fuori del salone, diede l’ordine di appiccare l’incendio al suo fedelissimo secondo il  quale, riluttante, eseguì il comando.
Ivo non lo riconobbe subito, ma fu un terzo individuo a confermare i suoi sospetti, un’ombra che scavalcò sia lui che il giovane Spellman, afferrando per le spalle il fautore di quel massacro solo per sbatterlo al muro, con i pugni stretti sul suo petto.
«LUTHER, MA CHE CAZZO STAI FACENDO!? NON ERANO QUESTI GLI ORDINI! MI AVEVI PROMESSO CHE AVREMMO FATTO LE COSE A MODO MIO!»
Urlò il cacciatore dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli castani, tendenti quasi al rosso, che guardò con orrore il volto di un Luther assai più giovane, di almeno una 25ina di anni, zitto e fermo, quasi reticente al parlare, o forse interiormente colpevole sotto quello sguardo che sembrò quasi avergli pugnalato il cuore. Ne Ivo ne Elaijah conoscevano quel terzo cacciatore, ma non ci volle molto ad intuire che ci fosse più di un semplice rapporto subordinato tra i due, e fu proprio il comportamento dell’accusato a confermarlo, il quale mise una mano su quella dello sconosciuto, con gli occhi fissi sui suoi.
«Non c’è un altro modo per eliminare l’erba cattiva, Os, e tu lo hai sempre saputo, quindi smettiamola con questa pagliacciata pacifica!»
«Non farlo, ti prego non farlo, te ne pentirai per tutta la tua vita…Luther, ti scongiuro, se ci tieni a me, non farlo…»
Il giovanissimo capitano dagli occhi ambra sembrò trovarsi sotto processo, non sentendo nemmeno le grida degli ospiti di casa Spellman intrappolati oltre quelle porte cigolanti, vedeva solo lo sguardo deluso e sconvolto dell’altro uomo che lo stava implorando di fermare quella carneficina, ma quella supplica non sembrò bastare, purtroppo. Luther sciolse i pugni dell’altro dalla sua divisa scura, stringendogli i polsi nei suoi pugni chiusi.
«Mi dispiace, Ostergaard, ma non posso fermarmi, non ora che sono così vicino alla fine di tutto questo.
Rhys…»
«N-No! Fermativi vi…prego!»
Con un colpo netto dietro la nuca, a malincuore, il giovane Grifone stordì alle spalle l’hunter che si era sempre opposto a quel tipo di rimedio, portandolo via in spalla, lontano dal futuro amministratore, per la prima volta seriamente messo all’angolo dalle sue stesse scelte; tuttavia, quella volta, non esitò. 
Sollevò solo una mano verso il Grifone, diede il segnale e l’incendio fu appiccato.
Elaijah guardò, con la coda dell’occhio, Ivo cadere in ginocchio esattamente come aveva visto più volte cadere quella magione sotto il fuoco vivo di quell’incendio doloso, lo guardò franare come aveva visto morire la sua famiglia, attraverso quelle visioni passate che lo torturavano da tempo; sentì una lenta sensazione quasi piacevole nel vederlo soffrire alla stessa maniera, realizzando poco a poco che quel mostro che aveva dato il via a quello sterminio era l’uomo che lo aveva salvato, cresciuto come suo figlio, che aveva chiamato padre.
Erano colpevoli, erano tutti colpevoli e lui si sentì improvvisamente sporco dentro, circondato dalle fiamme e dalle urla, dalla confusione e dallo sconforto; la magione bruciava e non poteva salvarli, poteva solamente udirli ardere vivi dietro a quelle mastodontiche porte chiuse. 
Tuttavia, quel fuoco, quel dolore, quell’agonia, scomparvero pochi istanti dopo come per magia, lasciando ciò che attualmente restava della magione Spellman, un rudere fatto di macerie, di selvaggia boscaglia che aveva preso a crescere lungo le mura scheletriche e coperte di cenere: tutto ciò che rimaneva intatto era la sala da ballo, dove tante anime avevano danzato prima di loro, il camino spento, le vetrate colorate annebbiate dalle ragnatele e dal tempo ed infine c’era lui.
Elaijah sembrava essere la vera anima di quel posto, anche se in rovina, anche se ormai di quella stirpe non sembrava rimanere altro che lontani ed orribili ricordi di morte e distruzione; i pollici dell’attore asciugarono parsimoniosamente le lacrime dal viso di Ivo, che fece immediatamente un passo indietro verso il caminetto ma non fu lontano abbastanza da potergli impedire di sfiorarlo.
Elaijah gli sospirò ad un passo dal viso, sorridendo.
«Hai paura di me?»
«Non capisco…che cosa tu voglia da me! Cosa può mai volere…la progenie di una dinastia di stregoni da un pezzente come me? Che cosa, Elaijah? Vendetta? Guerra? Hai scelto l’uomo sbagliato per combattere, perché io non sono come loro…»
«Oh, ma io lo so già che qui, proprio qui, tu non sei così, ed è proprio perchè non sei come tuo padre che sono venuto da te, perchè sei diverso, Ivo!
Sei migliore di lui, sei…»
Gli prese la mascella con le falangi impresse sulla sua pelle, costringendo i loro sguardi a convergere di nuovo e di nuovo ancora, mostrandogli cosa davvero cercava, con l’altra mano sul suo petto.
«...diverso, come lo sono io…ma non potrai mai abbracciare la mia natura se prima non ti liberi di questa carcassa morta che è la tua famiglia, la tua finta famiglia! Oh, mio giovane cacciatore, sono venuto a cercarti per mostrarti cosa davvero potremmo essere se solo ti aprirai a me, se solo ti libererai della tua paura, di tuo padre!
Ivo…
Diventa un uomo libero, unisciti a me e solo allora capirai che cos’è davvero la Hunter! Un branco di poveri idioti che si battono per le brame di pochi uomini, uccidendo e depredando in nome di una pace che non esiste e non ci sarà mai!
Scegli me, Ivo, e saremo finalmente liberi, insieme…»
Quelle parole avevano scavato il letto di un fiume dentro il ragazzo bombardato da simili verità tutte d’un colpo, seriamente tentato di cedere a quel giovane che lo aveva rapito dal primo momento in cui si erano incrociati; c’era qualcosa in Elaijah che tuttavia lo stava avvelenando, che non lo faceva sentire altro che più sporco di quanto già non fosse. Era al muro, stava per cadere fra le sue labbra una volta per tutte, ma c’era una voce nei meandri della sua mente che sembrò riportarlo a galla, la voce di uno stregone che lo aveva messo in guardia molto tempo prima.
Guardati dal serpente, Ivo.
Si, lui lo aveva avvisato prima di tutti quanti.
Prima che potesse accadere l’irreparabile, il giovane Nardi si risvegliò da quella lunga illusione in una vasca da escapisti, annaspando aria a pieni polmoni sotto la vista incredula ed estasiata degli ospiti di casa Darcy, applaudenti e affascinati dalla riuscita di un numero così difficile. Elaijah stesso, poco lontano dalla massiccia camera di vetro ricolma d’acqua, rimase segretamente sorpreso, applaudendo alla riuscita fortuita del cacciatore che uscì grazie all’aiuto del fratello gemello da quel congegno infernale, sul cui fondo giacevano delle pesanti catene da cui, probabilmente, era riuscito a liberarsi da solo.
Ivo non ricordava nulla di ciò che era accaduto al di fuori della sua mente, ma ora sapeva bene una cosa; Elaijah era in grado di infilarsi in meandri della memoria altrui come il più abile degli stregoni e avrebbe fatto molto bene a guardarsi da lui. Lo stregone gli ricambiò quella sua esibizione con un occhiolino furbo, rivolgendogli un plateale inchino davanti a tutta la sala.
«Un applauso, signore e signori, al nostro caparbio volontario! Ivo Nardi!»
«Ivo, stai bene? Ma che ti è saltato in mente, da quando vuoi morire annegato?»
Chiese il fratello maggiore a quello minore, dandogli la sua stessa giacca per asciugarsi, ma Ivo non rispose, era con la mente altrove e questo, Elaijah, lo sapeva più che bene. Il ragazzo e l’illusionista si guardarono un’ultima volta prima che il cacciatore abbandonasse la sala ancora fradicio e traballante, ma sembrò aver trovato la forza necessaria per farlo; Diego rimase basito, ma la mano del padre sulla sua spalla gli impedì di seguirlo a ruota libera.
«Lascialo andare, ha bisogno di prendersi il suo tempo! Piuttosto, vieni, credo che ci sarà qualcun altro che avrà bisogno del tuo supporto.»
«Ci stanno attaccando dei vampiri?No? Eh allora temo che il mio aiuto sia pressoché inuti…le? Salve? Saul? Non ti aspettavo vestita da don…»
«Non una parola in più, Nardi. Sono venuta qui solamente per accompagnare mia sorella…inoltre Duncan sarà impegnato, perciò non mi è permesso accollarmi al suo braccio!»
Miss Burke, dall’animo più buio del solito, sebbene fosse assai radiosa in quel delicato completo dai toni primaverili, si mise sottobraccio allo stesso cacciatore, spostando così il ricevimento nella stessa sala da pranzo, dove una calca impressionante sembrò essersi appostata tutta attorno a dei tavoli centrali in particolare; Diego sbatté le lunghe ciglia, guardando poi la miss al suo fianco.
«Ok, stasera o sono io o non sto capendo più niente! Prima Ivo decide di farsi un tuffo col belloccio tenebroso, e ora cosa? Plotone d’esecuzione per tutti gli invitati? »
Saul sbuffò sofferente, negando col capo. Indicò con la nuca proprio una giovanissima e radiosa fanciulla sui 18 anni fieramente scortata dal lord di casa: bellissima, imperiale quasi, vanitosa fino al midollo, stretta in uno sgargiante abito dai toni porpora e dai capelli ricci e bruni raccolti all’insù. Perfino Diego ne rimase affascinato, causando un borbottio sdegnato anche nella fanciulla dai capelli argento.
«Ecco un altro tonno che ci casca!»
«Che ho fatto adesso? Dunque, lei è tua sorella? Non vi..»
«Somigliate? Mio padre dovrebbe ringraziare il cielo per questo, altrimenti dovremmo dichiarare banca rotta per quanto spende e spande quella ragazza; lei è Rosemary, la mia penultima sorella, prima di Olivia, la più piccola, che sarà da qualche parte insieme a Cecile Darcy a sbaciucchiarsi!»
Diego la guardò senza parole, ma quella gli chiuse la mascella con un colpetto sotto al mento.
«Suvvia, non fare poi così il sorpreso! Tuo fratello credo apprezzi lo stesso sesso con tutte le scarpe, dopotutto…»
«SI! C-Cioè, non intendevo questo, è solo che non credevo…che tua sorella Olivia…»
«Oh, per carità! Il che non mi causa alcun problema, ma dillo a questa retrograda società fatta di apparenze e giudizi; fosse per me li farei tutti decapitare!»
Il bruno ridacchiò, stringendo maggiormente la presa sotto il braccio di Saul.
«Molto rivoluzionario, ma poco democratico! E dimmi, perché Cillian Darcy sta scortando tua sorella come un trofeo al centro della sa…oh, oh!»
«Esatto….”Oh”! L’ho scoperto poco tempo fa, e quel vile porco di mio padre si è scordato di dirmi che un’altra delle mie sorelle sarebbe finita a breve in sposa ad un altro dei suoi agganci politici…Rosemary sarà il regalo di compleanno di Cedric…»
«Aspetta a parlare, cappuccetto Bianco! Se conosco bene Cedric, e lo conosco, darà di matto tra pochi secondi!»
«Cecile? Caleb? Credevo foste al fianco di vostra madre!»
I gemelli Darcy si guardarono poco convinti, tornando poi su miss Burke con un’espressione molto lontana dalla felicità; Caleb non parlò, guardò invece, col cuore pesante, verso lo sguardo vittorioso di suo padre, mentre la sorella, contrariata e seccata, rubò un bicchiere di champagne dai vassoi volanti dei camerieri della sala.
«Sarà un disastro!»
«Dunque, non è solo Duncan sulla brace?»
«Uh?Duncan? Il figlio del Grifone si sposa? E chi? Dove lo hai sentito, bianconiglio?»
Saul rispose alla domanda di Cecile indicando con l’indice verso Beatrix Lovett, intenta a parlottare con altre viziate lady londinesi sulla probabile futura moglie dello stesso grifone.
Cecile roteò gli occhi verso il soffitto, scolandosi lo champagne.
«E come ti sbagli, quel forno vivente! Non mi è mai piaciuta Beatrix! Ha sempre sbavato dietro a Cedric come un mastino napoletano dietro ad una bistecca con l’osso!»
«Si beh, temo che miss Lovett avrà ben poco da sbavare come saprà che il suo sogno proibito sta per sposarsi, non pensi, sorella?»
Cecile rispose sbattendosi il ventaglio chiuso sulle labbra, quasi a non averci pensato prima,ma quel loro chiacchiericcio aveva impedito loro di sentire il rompersi di un bicchiere di cristallo sul pavimento, accompagnato da un urlo assai lontano dall’essere gioioso.
«Tu cosa…?
Hai progettato tutto alle mie spalle? Ma sei diventato pazzo?»
«Cedric Darcy, non ti ho educato in questo modo!»
«Vaffanculo i modi!» 
Cecile ritirò la sua scommessa con la mano a piattino dallo stesso Caleb, che guardò il fratello maggiore iniziare ad indietreggiare dal fatto compiuto al quale era stato messo davanti; quella che doveva essere una festa sembrò iniziare a trasformarsi in un incubo generale per quei giovani presenti, specialmente per il festeggiato che si vide presentare quella sconosciuta accanto del padre. Non importava quanto fosse bella o a modo, non importava quanto fosse ricca, Cedric guardò unicamente un Cillian furibondo che si tenne dal colpirlo pubblicamente, rimandando l’inevitabile ad un secondo momento, ma questo non impedì certamente al futuro comandante di abbandonare la sala, pesantemente amareggiato da un simile tiro mancino.
Il bicchiere di Beatrix non andò in mille pezzi perché il suo autocontrollo sembrò avere la meglio, sebbene per poco, ancora molto, molto poco; la padrona di casa rasserenò gli animi facendo riprendere ai violinisti di suonare, riportando il party ad una serenità assai apparente, mentre lord Griffith, accompagnato dal figlio, si avvicinò proprio accanto a lady Lovett, in compagnia della madre e del patrigno. Saul sgranò pericolosamente gli occhi, stringendo la presa sul braccio di Diego quasi a spezzarglielo.
«HEY!»
«Scusami! Solo…è solo che…io, forse ho capito male?»
Cecile strabuzzò lo sguardo, dando una gomitata al fratello gemello per renderli partecipi del prossimo quarto d’ora di urli e insulti.
«No, fiocco di neve, temo tu abbia compreso la situazione perfino meglio di tutti noi 4 messi insieme e…ti da forse fastidio?»
Fece la ricciolina, guardando con la coda dell’occhio verso Saul, che mandò anche loro al diavolo, lasciando anche lei la sala da pranzo con un passo svelto, sebbene non fosse solita ad indossare i tacchi alti. 
«CHE COSA?!»
«COME?!»
«IO, SPOSARE QUESTO ZOTICO!?»
«NON SPOSERO’ LA BADANTE DI CEDRIC!»
«COME TI PERMETTI, LURIDO VILLANO!»
«PER DIO! CALMATEVI!»
Stavolta sotto accusa ci fu proprio il Grifone, che dovette tenere Beatrix da un lato e Duncan dall’altro, quasi prossimo al picchiarsi tra di loro, ma niente impedì ai violinisti di continuare ad allietare quella lunga e ricca serata che tutto sembrava, ma non una festa, e Cedric poteva dirlo alla stragrande.
Di quel compleanno non gli importava più nulla, di niente e di nessuno, nemmeno di se stesso, non glien’era mai fregato fin dal principio probabilmente, e non era stato nemmeno il tiro mancino di suo padre ad averlo sconvolto, bensì qualcos’altro che pesava ancora di più di uno sciocco matrimonio di cui non gli importava nulla. Si era chiuso da diversi minuti nello studio di Cillian al piano di sopra, ignorando anche la musica dal salone,preferendo nettamente perdersi nei suoi pensieri con una sigaretta fra le dita.
Sentì di colpo solo il cigolio della porta che si apriva, rimanendo fisso sulla poltrona del padre ma levando i piedi dalla scrivania, non sapendo più cosa dovesse aspettarsi, ma non tutti i male venivano per nuocere.
«Lo devo proprio ammettere; non vedevo una festa così movimentata da…oh, ma che dico! Questa è la prima volta che assisto ad un compleanno in grande stile; farò i complimenti a mio zio, si è proprio superato, con le decorazioni intendo!
Il matrimonio è uno scherzo vecchio, niente di cui tu debba davvero preoccuparti, Cedric…nessuno ci crede più!»
«Capitano… Griffith? Credevo che non saresti venuta…»
Disse a labbra strette il ragazzo, credendo quasi di essere preda di un’allucinazione ma era tutto più che vero.
«Oh...dacci un taglio, Darcy, non è compiacendomi che otterrai qualcosa da me!
Anche se...vista la situazione, sarei io a dover portare qualcosa al festeggiato...magari un premio di consolazione!»
Disse sarcastica Eris, ancora in penombra in quello studio, lontani dai rumori della vera festa di cui non sembrava importarle di niente. Cedric si trovò a sbattere le lunghe ciglia più volte, cercando di capire se stesse solo immaginando quella situazione, ma il profumo dolciastro di limone e di fumo erano intensi come incenso acceso. Il ragazzo non si chiese nemmeno perchè quella ragazza fosse li, sapeva solo che, per una volta, almeno uno dei suoi desideri era stato esaudito, mentre Eris non si chiese il perchè ci fosse venuta, sapeva solo che aveva voglia di divertirsi fregandosene saporitamente di tutte le conseguenze.
«Non credevo avresti ceduto alle mie lusinghe, non così velocemente...Eris, ti ricordavo meno, misericordiosa?»
«Io?Misericordiosa?
Oh, Cedric, ma non ti ho insegnato niente su quel campo di combattimento, vero?
Non sono una benedizione, non sono una conquista, sono di...passaggio, e così resto, tu invece rimarrai proprio qui a leccarti le ferite, e sai perché?»
La figura del ragazzo divenne improvvisamente minuscola confronto a quella torreggiante della ragazza appena più grande ma immensamente più matura, che raccolse fra le mani il viso ancora fanciullesco di Cedric, delineando i suoi lineamenti come se stesse pensando fra sé e sé da dove iniziare a divorarlo. Dal canto suo, il ragazzo sentì solo il cuore scoppiargli, non abituato e sinceramente confuso dall'essere stato messo a tacere, seduto, mentre quella si accomodò senza complimenti sul suo grambo, facendo appena cigolare la bella poltrona di pelle di quello studio ombroso e non più così solitario, complice di uno scandaloso misfatto che sarebbe accaduto da lì a brevissimo.
Il profumo di lei gli si attaccò sui vestiti, come una malattia degenerativa, una da cui non voleva essere curato, azzardandosi a sfiorare quei fianchi con un briciolo di timore che svanì come quella ce lo accompagnò personalmente con le mani sulla sua stessa vita.
«Perché sei quel tipo di ragazzo che al posto di curarsele, le lascia aperte, pur di risentire il brivido della lama che le ha causate...sei il solito tossicodipendente che ci cade, ci ricade e ci vuole cadere con tutto se stesso!»
«Eris...io…non riesco a capire se mi sono bevuto tutto lo Chardonnay per la rabbia, o sei qui per davvero, perché se lo sei io…»
«Ah,ah,ah! Oltre all'essere completamente immaturo, parli veramente....veramente troppo!
Te lo hanno mai detto?»
Cedric fu sorpreso da un sorriso asciutto, come ad essere stato scoperto, ma che venne assorbito in pochi istanti da un bacio dolce, all’inizio, sconvolgente in seguito, che lo costrinse a recuperare per un momento la sua lucidità, ancora incredulo, ma dovette ricredersi quando capì che le labbra del suo capitano erano diventate sue nell'ultima delle maniere che si sarebbe mai aspettato.
Peccato però, sarebbe stata solo una notte di illusioni anche per lui.
Ma in quel momento al giovane Darcy non importava nient’altro che godersi quel sogno ad occhi aperti; Caleb, fermo proprio sul pianerottolo esterno allo studio del padre, aveva seguito quell’intrusa con un fare assai sospetto, non fidandosi a pelle di quella donna per la quale il fratello sembrava essere impazzito tanto.
Strinse un pugno all’altezza del fianco, mordendosi violentemente la guancia: ma che stava succedendo a Londra che tutti perdevano il senno così velocemente?


   
 
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