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Autore: Nadine_Rose    19/08/2024    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 67: Sull’anulare brillava la fede nuziale (Prima parte)]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 67

 

Sull’anulare brillava la fede nuziale

 

Prima parte

 

- Sogno -

 

“Se sei un sogno non svegliarmi.

Vorrei vivere nel tuo respiro.

Mentre ti guardo muoio per te.

Il tuo sogno sarà di sognare me.

Ti amo perché ti vedo riflessa

in tutto quello che c’è di bello.

Dimmi dove sei stanotte

ancora nei miei sogni?

Ho sentito una carezza sul viso

arrivare fino al cuore.

Vorrei arrivare fino al cielo

e con i raggi del sole scriverti ti amo.”

Pablo Neruda, Il bacio (attribuzione incerta)


Capitolo-30-42

 

Dilatandosi, il tempo parve fermarsi e, interposta fra i loro volti, la nuvoletta di fumo prodotta da entrambe le sigarette rimase come sospesa, nascondendo di Hermann gli occhi vitrei e spalancati di stupore e di Massimiliano le labbra curvate in un’espressione un po’ furbetta.

Per sfuggire allo sguardo, esitante nei movimenti per il tremore da tener a freno, anch’egli allungò il braccio verso il parapetto e, preceduto dal padre di Agnese, nel terriccio del vasetto, spense la sigaretta.

“Si vede lontano un miglio che siete innamorato di vostra cugina”, asserì sorridente l’uomo e, nel trattenere il sospiro di sollievo, Hermann dovette sembrargli ancor più nervoso. “Ma non vi date pena”, proseguì e fu lui a sospirare nell’esprimersi più seriamente, “non mi scandalizzo dell’amore fra cugini. C’è stato e, ahimè, ci sarà sempre ben altro per cui scandalizzarsi al mondo.”  

Le camere a gas, le esecuzioni sommarie, le guerre, le discriminazioni razziali, i genocidi. Il medesimo pensiero li accomunò e lui ch’era stato una pedina solerte nell’infernale macchina nazista entrò in empatia col suo interlocutore e vide un padre – e, in questi, vide il padre di Sarah – costretto a separarsi dalla propria figlia, pensando di fare la cosa giusta per metterla in salvo.

Temette che fosse in procinto di confidarsi, invece Massimiliano si rilassò in volto e riprese il discorso sulla sfera sentimentale, dicendogli: “E neanche preoccupatevi di progettare un futuro insieme. A un isolato da qui c’è una coppia, anche loro sono cugini e una decina di anni fa hanno ricevuto la dispensa matrimoniale dalla Chiesa. Adesso hanno quattro figli maschi sani e forti.”

Suscitato da una menzogna, l’incoraggiamento non avrebbe potuto sortire alcun effetto, eppure Hermann riuscì a trarne consolazione, immaginando la sua vita da lì a dieci anni.

Lui che non aveva mai provato a guardare se stesso oltre l’orizzonte di una carriera militare da concretizzare nei suoi trent’anni che pensava fossero eterni si vide ultraquarantenne con qualche ruga in più sul viso e fili d’argento tra i capelli meno folti, con la valigetta da impiegato di banca in una mano e nell’altra il pomello della porta di casa da far girare. Sull’anulare brillava la fede nuziale.

Dall’altro lato, ad accoglierlo con un bacio e una carezza Sarah, radiosa d’inscalfibile bellezza, coi capelli acconciati in un foulard e con indosso un abito grembiule, giacché intenta a preparare la cena, seguita dai passi celeri di un bambino pronto a fiondarsi su di lui, stringendogli le gambe per farsi prendere in braccio. Il ventre arrotondato di Sarah lasciava presagire che la famiglia si sarebbe allargata.

Non si accorse nemmeno Hermann di aver poggiato i gomiti sul parapetto né di aver ricambiato la buonanotte di Massimiliano, fissando nuovamente e più insistentemente lo sguardo sui binari per far continuare, ripetendolo all’infinito e ancora all’indomani, quel sogno ad occhi aperti.

Il bambino così somigliante a Sarah si fiondò alle sue gambe ed egli, seduto vicino al finestrino, nascose il sorriso, imprimendolo sul dorso della mano, mentre il treno correva sulla strada ferrata che a lei lo avrebbe condotto.

 

Napoli, 25 maggio 1947

~ Un giorno al ricongiungimento ~

 

Lo aveva di nuovo sognato. Distesa immobile, stringeva tra le mani i lembi del lenzuolo, sforzandosi di ricordare il sogno per distaccarsi dall’insopportabile, insoddisfacente realtà, nel sottofondo del cigolio del letto e degli ansiti di Matteo. Con occhi chiusi e labbra serrate, finanche le orecchie avrebbe voluto tapparsi.

Era la domenica, quando i ritmi della vita rallentavano, che Sarah avvertiva più pressantemente il senso di frustrazione.

Libera dal lavoro al Gran Cafè – quindi, lontana da clienti e persone amiche coi quali relazionarsi, talvolta, fingendo di essere felice – ed esonerata dalle faccende domestiche, giacché ospite a casa dei suoceri – dove, pur volendo, non avrebbe potuto parlare con nessuno, tranne che con la cognata più piccola che le correva incontro, chiamandola zia e chiedendole di giocare con le bambole –, entrava in un ascolto più profondo di se stessa.

Ed era nel “giorno del Signore”, durante la Messa, alla quale entrambi partecipavano, che, riprendendo quel dialogo interiore ch’era assopito dall’ottobre del ’43, faceva verità sul suo matrimonio infelice, sentendone la disapprovazione propria e dall’Alto. Dietro l’ombra del velo in pizzo bianco che le copriva il capo, nascondeva lacrime trattenute di tristezza da lasciar confondere con la commozione per il sacro rito.

Disapprovandola, sempre più s’allontanava emotivamente dalla vita che aveva scelto, immaginando come questa sarebbe stata con Hermann, mentre suo marito diventava una persona cui essere indifferente e la loro intimità un mero dovere coniugale.

E Matteo era tutt’ansiti per la smaniosità di movimenti coi quali pareva voler comporre la prestazione perfetta e lei ricordava dell’altro la passionale sincronia di movenze delicate e decise, di parole dolci e audaci sussurrate all’orecchio, fino a sentirne il tocco della pelle, il suono della voce.

I ricordi l’accompagnarono alla vetta del piacere e sul precipizio dei sensi di colpa.

 

“Il tuo sorriso, l’allegria

quanto mi mancano.

Le parole sussurrate, zitte, poi gridate.

Le parole tue per me.

Morirò d’amore, morirò per te.

[…] Socchiudo gli occhi

e le tue mani mi accarezzano.

Quelle parole urlate, poi

dall’eco rimandate che dal cielo cantano.

Morirò d’amore, morirò per te.”

 

Giuni Russo, Morirò d’amore

 

 

 

 

   
 
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