Quando riaprii gli occhi non ero più al lavatoio. Sotto i miei piedi avevo un pavimento di lastre di pietra incastrate alla perfezione. C’era tanta gente intorno a me, ma sembrava non vedermi: mi guardavo attorno quando incontrai gli occhi di una donna molto giovane, scura di capelli, vestita di blu. L’abito era grosso e ingombrante, ma sontuosissimo, molto bello e ricamato, con il pizzo al collo e alle maniche e perle su tutto il corpetto. La donna aprì le braccia e fece un passo verso di me.
Qualcosa nel mio cuore mi disse di andarle incontro, ma proprio mentre accennavo il primo passo ebbi l’orribile sensazione che qualcuno giocasse con le mie viscere. Mi sentivo rimescolare tutto e mi scossi. Un brivido partì dalla schiena e arrivò su fino al coppino, poi una bambina di circa tre anni mi comparve davanti e si gettò di corsa tra le braccia della donna.
Era anche lei vestita con un abitino ricamato e arricchito di ottimo pizzo, di un colore azzurro tendente al verde. Rideva, la piccola, mentre la giovane la sollevava e la stringeva a sé. Avevano entrambe una cuffietta bianca, anch'essa arricchita con pizzo: nella frenesia infantile delle coccole, la cuffietta della bambina scivolò leggermente e lasciò scoperto un ciuffo biondo che altrimenti non avrei notato.
Guardai di nuovo attorno a me: era sicuramente estate e quella bambina non era altri che Cassandra tra le braccia della sua mamma, in un tenero scambio di baci e di carezze. La mamma le diceva sottovoce tante parole dolci e la figlioletta rispondeva con risatine o gridolini di estasi. Era una scena che addolciva il cuore. Mi sentivo infinitamente amato, non mi capitava più ormai da tempo di avvertire tutto quell’affetto, non in quel modo totale. Ero tornato bambino anch'io.
Sentivo che Cassandra voleva trattenermi, ma qualcos'altro, che chiamerò istinto, mi portava altrove.
Non fu facile svincolarsi dalla volontà di lei, ma una volta libero di seguire l'intuito zigzagai tra le persone, godendo un sacco del loro non vedermi: avevo la libertà assoluta di fare tutto ciò che avessi voluto. Oltre a non vedermi, le persone mi attraversavano perché io ero pura mente, a differenza di Cassandra che un corpo l'aveva, sebbene l'avesse tragicamente perduto.
Mi diedi un'occhiata intorno: mi trovavo nel quartiere dei bei palazzi, e allora sì che erano palazzi coi fiocchi senza un briciolo di decadenza addosso, palazzi da gran signori, con portoni intarsiati, fiaccole in bronzo alle facciate. Alzai gli occhi e vidi il campanile della chiesa, andato distrutto durante la Seconda guerra mondiale e mai ricostruito; mi volsi e passai lo sguardo lungo le mura che cingevano il centro abitato, del tutto abbattute nel mio presente. Il paese aveva cambiato volto del tutto e questo, da un certo punto di vista, mi sbigottiva.
Poi mi sovvenne un altro pensiero molto urgente: potevo fare davvero tutto quello che volevo?
Mi avvicinai al muro del palazzo più vicino. Stesi le mani e le spinsi contro la parete: volevo toccarla e poterla tastare. E così fu. Toccai in lungo e in largo le pietre, passai il dito sulle venature e ci feci battere le nocche. Poi l’insana idea prese il sopravvento e volli ardentemente attraversare il muro con la testa e guardare cosa stesse succedendo al di là di esso. Lo spazio tra la pietra e la mia fronte si assottigliava sempre più, alla fine sentii come se mi stessi immergendo nell’acqua, con in aggiunta uno strano formicolio che non saprei descrivere. Aprii gli occhi affacciandomi su una stanza con le pareti bianche di intonaco, qualche scaffale ricavato nel muro, un gran camino nero e un pentolone che bolliva; una donna piuttosto anziana tagliava verdure su un robusto tavolo. Bene, mi bastava. Non stavo più in me dalla gioia, ma decisi che avrei usato questa capacità solo se mi avessero chiuso a chiave da qualche parte, perché il formicolio diventava insopportabile. Proseguii su una stradina che saliva lungo l’asse del castello. Lo vedevo bene, là arroccato in tutto il suo imponente splendore.
Stavo ancora camminando quando una voce proveniente da una via secondaria attirò la mia attenzione. Era familiare, e mi diede una strana sensazione. Ebbi come un tuffo al cuore: era la stessa emozione che si prova quando si incontra una persona dopo tanto tempo. Mi volsi in quella direzione: era stretta e buia, quella viuzza, e dal terreno saliva un cattivissimo odore di fogna. C’erano due sagome stagliate all'estremità opposta alla mia: una era alta e magra, l’altra più bassa e un po' più rotonda. A quella distanza potevo udire le loro voci ma senza capire cosa dicessero. Parlavano velocemente e una, quella dell’uomo più alto, era dura e straniera, pervasa da un accento nordico.
Quando mi avvicinai, i miei sospetti trovarono immediata conferma, perché l’uomo alto lanciò un «Oh, God!» che non lasciava dubbi. Era inglese, o di quelle parti.
«Oh, God!», diceva, «non venite a farmi il sermone del reverendo!»
«Albert, calmatevi. Ragionate da uomo qual siete! Codeste cose non han da esser fatte. Non siete in voi!»
«Ci sono benissimo, Giovanni... Non son persone come voi a dirmi che fare.»
«Ve lo ripeto: avete una moglie, una figliola!»
«Me l’hanno imposte, e la moglie e la figliola!»
«Vostra moglie è giovine e bella, uno dei migliori partiti del paese. Voi siete straniero e v’abbiamo accolto al pari d’un fratello, v’abbiamo dato una figliola in isposa! Ora voi vi fate scoprire sì intimo del signore che...»
«Volete voi capire che non m’interessa delle ragioni vostre? La vita mia conta più, per me, delle lacrime d’una come di mille donne! Voi non intendete di qual natura siano i nostri atti; fosse altramente v’avremmo tra noi, cosa che non è.»
«Voi vi siete bevuto il cervello, signore!»
«Datemi tempo e vedrete che altro mi bevo.»
Si avvolse nel mantello e venne verso di me: vidi subito che aveva i capelli e il pizzetto rossicci, gli occhi piccoli e grigi. Lo guardai passare e poi lo seguii per un tratto. L’altro uomo non so cosa fece; probabilmente se ne era andato dall’altra parte. Dalla conversazione escludevo che fossero amici per la pelle. Il rosso si allontanava, e a un certo punto smisi di camminargli dietro e lanciai un’ultima occhiata alle mie spalle: il paese era uno spettacolo. Peccato che tutto finì di colpo, come quando si sta sognando e all’improvviso ci si ritrova svegli.