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Autore: Nitrotori    22/08/2024    0 recensioni
Nate ritorna al suo paese nativo dopo aver ricevuto una lettera anonima che gli comunica la morte di suo padre. Arrivando sul posto però, egli rimane coinvolto in una terribile spirale di eventi di natura paranormale, che lo porterà a riesumare il suo traumatico passato.
Genere: Angst, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La psiche non può essere completamente diversa dalla materia, poiché altrimenti come riuscirebbe a muovere la materia? E la materia non può essere del tutto aliena alla psiche, poiché altrimenti come potrebbe essa generare la psiche?”

 

Carl G. Jung

A volte, nei miei sogni più irrequieti, mi tornava in mente quel giorno di molti anni fa. Era una giornata nuvolosa, in un pomeriggio d'autunno. Correvo a perdifiato lungo il sentiero che portava al nebbioso Lago di Cradle. Avevo avvertito qualcosa, un presagio, immagini di una terribile tragedia in procinto di avverarsi. Erano voci, sussurri colorati, seguite da immagini all'apparenza sconnesse e prive di senso, che raramente riuscivo a decifrare. Tuttavia quel giorno in particolare fu diverso. Lo vidi con chiarezza, l'orrore, il sangue, un orribile deja-vu, una premonizione fatale. 

Quel giorno guardai in faccia al destino e fu tutto inutile, tutto quanto. Arrivai troppo tardi e da quel dì non feci altro che maledirmi per la mia impotenza. Pensavo che il tempo avrebbe potuto aiutarmi a dimenticare e andare avanti, ma invero la ferita che mi portavo dentro restò fresca, dormiente, che pizzicava nei giorni di pioggia e mi faceva visita nelle notti più turbolente.

La parte più profonda e oscura della mia coscienza si divertiva a torturarmi e a ricordarmi che forse avrei potuto fare di più, che avrei potuto fare la differenza. Ma non potevo averne la certezza e mascheravo le mie incertezze dietro l'illusione di un destino già scritto. 

La mia vita fino ad oggi mi è sempre sembrata solo una serie di “forse”, contornata da dubbi, rimpianti e silenzi là dove si doveva urlare. Mi sono sempre aggrappato ai miei forse, immaginando scenari in cui la mia vita andava in direzioni più favorevoli, ma ogni volta venivo rammentato di quanto fossi schiavo delle circostanze, di me stesso, del mio passato. E cosa ancora più assurda, era che mi trovavo di nuovo lì, nel luogo in cui avevo giurato di non mettere più piede.

Mirefield: una decrepita cittadina sperduta sul bordo di una montagna, dall'aria deprimente e cupa. Nei giorni in cui non c'era la nebbia, pioveva e gli inverni erano torridi, umidi, di quelli che senza una stufa si rischiava l'ipotermia. Quando arrivai a maggiore età, presi il primo autobus e me ne andai, con solo duemila dollari in borsa: quello fu l'ultimo regalo di mia madre prima che morisse di malattia. Da quel giorno, la vita mi scaraventò in ogni direzione come un flipper impazzito, ma preferivo di gran lunga quella caotica spirale di incertezza, piuttosto che restare in quel posto.

Odiavo quella città, odiavo le memorie che avevo di essa, la mia infanzia, mio padre sempre ubriaco e violento, mia madre malata e sofferente, la mia vita in quella scatoletta di roulotte in un campo in disuso, che si allagava ad ogni acquazzone.

Eppure eccomi di nuovo qui, come un serpente che si morde la coda, dopo tredici anni tra addestramento nei Marines, e un breve e decorato servizio in zone di guerra, che torno a casa, al punto d'origine, nel luogo in cui avevo così disperatamente cercato di fuggire da adolescente. Dopotutto non era poi così assurdo pensare ad uno scherzo del destino. Avevo fatto tanti errori, preso tante decisioni sbagliate, ma tornare lì mi faceva incazzare. Se era tutto già prestabilito, allora che senso aveva avuto la mia vita fino a quel momento.

Ero frustrato, ma sogghignai a me stesso mentre ero al volante.

"Dai Nate, devi solo firmare qualche scartoffia, andrà tutto bene" dissi a me stesso. Non avevo intenzione di restare a lungo, certo il vecchio aveva tirato le cuoia, ma ciononostante la cosa non mi turbava o mi dava una scusa per restare anche un solo giorno di più. Volevo chiudere quella faccenda, così che finalmente potevo lasciarmi quel posto alle spalle per sempre. E l'idea di ciò mi faceva sentire meglio, ed era l'unica ragione per cui avevo deciso di viaggiare a Mirefield: per chiudere quell'unico conto in sospeso: la presunta eredità di mio padre.

Venni a sapere della morte del mio vecchio tre mesi fa, in una strana lettera anonima. Dentro c'era la chiave della roulotte e una sua foto scattata in una stazione di polizia.

Era ridotto come un barbone, sporco, sempre ubriaco, era come se il tempo si fosse congelato con lui, era rimasto sempre lo stesso in tredici anni, con l'unica differenza che aveva il volto consumato, quasi senza capelli, dagli occhi che immortalavano confusione e rabbia.

La polizia locale lo teneva spesso in stato di fermo, quasi sempre privo di sensi vicino al lago, dove andava a bere e poi pescare.

Non mi fu specificata la causa della morte, ma potevo immaginare quale fosse.

Aveva sempre avuto una strana ossessione per quel lago, ma dopotutto mio padre non era esattamente mai stata una persona con le rotelle a posto. 

Mentre rimuginavo nel passato, varcai il confine. Il grosso cartello di Mirefield era appena visibile sul ciglio della strada, immersa nella notte e pioggia.

Improvvisamente accusai un capogiro. Ero piuttosto esausto, avevo guidato per nove ore ed era quasi mezzanotte. Per mia fortuna però, trovai un vecchio Motel qualche chilometro più in là, un luogo piccolo, dalla insegna a neon rossa a volte malfunzionante. C'era qualche automobile parcheggiata, il che per lo meno non dava la totale impressione di essere del tutto deserto.

Le condizioni meteorologiche stavano peggiorando, quindi mi affrettai verso la reception prima che l'acqua piovana mi coprisse da cima a piedi.

Dentro, dietro il banco della reception, vidi un signore sulla sessantina, dai capelli lunghi unti grigi, con la schiena leggermente curva, piegato in avanti di spalle su una vecchia radio. C'era una forte interferenza e l'uomo borbottava e imprecava colpendo il dispositivo più volte, nella speranza vana di farlo funzionare.

"Mi scusi? C'è per caso una stanza per me?" Chiesi all'uomo.

Lui si bloccò e voltandosi lentamente vidi uno sguardo vitreo, scuro, che mi scrutava. Senza dire una singola parola, allungò la mano verso le chiavi sul muro al suo fianco, e le poggiò con una certa forza sul tavolo. L'etichetta sul portachiavi indicava la nomenclatura 2A.

"Grazie…" Un pò frastornato dall'assenza di loquacità del proprietario, mi avviai verso il buio corridoio dove c'era la mia stanza. Una volta lì però mi accorsi che qualcosa non andava. C'era una macchia scura sulla porta, non riuscivo a capirne il colore per via dell'oscurità, ma non mi fu affatto difficile capire cosa fosse quando aprii la porta.

C'era un uomo senza vita sul letto, con gli occhi spenti rivolti verso di me, coperto di sangue. Imbrattato sul muro c'era scritto "Tally" usando come inchiostro le sue interiora.

"O mio Dio…" Mi paralizzai sul posto con orrore, mentre un lampo all’esterno illuminò brevemente quella macabra scena. Poi dei passi…

I miei riflessi mi fecero notare l'arrivo di un fendente verso di me. L'uomo alla reception digrignava i denti e teneva saldo tra le mani un grosso coltello da cucina. Gli bloccai il braccio con tutta la mia forza, conquistato dalla paura, dalla adrenalina e istinto di sopravvivenza.

Spingeva con gran forza, il bordo del coltello lacerò i miei polsi più volte mentre cercavo di impedirgli di pugnalarmi a morte. Mi liberai da quella presa furiosa quando assestai lui un calcio che lo fece cadere al suolo.

Improvvisamente, senza spiegarmi come, tra le mie mani gocciolanti di sangue c'era una pistola. Da dove era sbucato quel ferro? Non venuto ero armato, il che rese del tutto inspiegabile come potessi avere tra le mani un'arma da fuoco.

Scosso osservai quella scena surreale dinanzi a me, con il cuore che mi martellava in petto. L'uomo col coltello si rialzò in piedi e ruggendo con voce rauca barcollò pronto a tornare alla carica.

Puntai verso di lui la pistola. Avevo prestato servizio nei Marines come tecnico, sapevo come usare una pistola come quella, ma non avevo mai sparato a nessuno, e per questo, oltre al cocktail di terrore nel mio sangue, la mia mano tremò.

"Resta dove sei…!" Minacciai, ma l'uomo rantolò come una bestia priva di coscienza e avanzò verso di me senza paura.

"Ho detto fermo!!" Gridai, ma non ci fu verso. Non ebbi altra scelta, quello psicopatico mi avrebbe ucciso. Feci fuoco, l'arma tuonò in modo secco e il rinculo del colpo vibrò attraverso il mio braccio, fino alla mia spalla. Il proiettile perforò il suo cranio e parte delle sue cervella si dipinsero sul muro in una macchia a spruzzo. Senza fare un fiato, il suo corpo senza vita si accasciò al lato del muro.

Restai per diversi secondi col fiatone, con gli occhi sgranati su quel cadavere. Avevo appena ucciso una persona. Potevo sentire il fetore del sangue pungere e fece bollire la bile nel mio stomaco. La pistola era sparita, non c'era nulla tra le mie mani se non il mio sangue che sgorgava dalle ferite sui miei polsi. Ero in evidente stato di shock, quella pistola non poteva essere semplicemente sparita.

"Devo chiamare la polizia…" Disse la parte ragionevole del mio cervello, ma prima ancora che potessi muovermi di lì, un fumo nero uscì dalle narici e dagli occhi del cadavere dell'uomo a cui avevo sparato, accumulandosi davanti al suo volto. Restai di nuovo paralizzato e confuso da quella nuova scena surreale, come se da quando fossi entrato in quel motel la realtà avesse cessato di avere senso. Il fumo crebbe e si analgamò come una caotica massa di oscurità, infine essa deflagrò in diversi lunghi fili neri simili ad aghi, che penetrarono le mie narici e occhi.

Gridai, incapace di fermare quel agonizzante processo, finché ogni suono è colore cessarono di esistere. Quel che seguì dopo, furono una serie di flash sconnessi, accompagnati da un fortissimo stridio. La mia visione navigò a grande velocità attraverso un dedalo labirintico, in quello che sembrava un edificio decrepito, fino a giungere ad un portone oscuro spalancato. Dentro, nel buio più profondo, poggiato su una pietra incrostata di sangue, c'era uno scarabeo dorato. 

Poi la luce e infine una voce a distanza mi accolsero al di là di quel velo.

"È vivo! Portate subito una barella!"

Ero nella mia auto. L'airbag era esploso e dal motore fuoriusciva del fumo. Mi faceva un gran male la testa, le orecchie fischiavano e avevo ancora le immagini residue di quel sogno, che sbiadivano pian piano.

"Signore riesce a sentirmi? Adesso la tiriamo fuori" Una donna spalancò lo sportello danneggiato della macchina, aveva indosso una uniforme da soccorso medico. Ero parecchio confuso, ma per lo meno due cose mi erano perfettamente chiare: ero stato vittima di un incidente stradale, e ciò che avevo vissuto era stato solo un terribile e delirante incubo, causato dal trauma dello schianto. Come avevo fatto? Come ero finito contro un albero in quel modo? Non avevo ricordi di essere finito fuori strada, ogni cosa sembrava sconnessa e priva di senso. 

Fui fortunato e me la cavai con qualche punto di sutura e del riposo. Avevo solo una leggera commozione cerebrale, nulla di grave, infatti dopo almeno ventiquattro ore in cui i miei sensi vagarono qua e la, ripresi conoscenza. Ero stato trasportato più a valle, dopotutto a Mirefield non c'erano ospedali.

Nella mia stanza, seduto a fianco al mio letto, c'era un uomo sulla trentina, dai capelli corti mossi, un paio di occhiali da vista, e una camicia bianca. Stava leggendo un libro intitolato "Il Libro di Tobia" e al vedermi sveglio, sorrise interrompendo la sua lettura.

"Ah sei sveglio finalmente, come ti senti?".

Non conoscevo quella persona, non avevo la più pallida idea di cosa potesse volere da me.

"E tu chi saresti?" Gli chiesi.

"Mi chiamo Stephan Bridge, faccio parte della Rotundum. Avrai certamente sentito parlare di noi immagino, siamo una grande multinazionale farmaceutica e abbiamo da poco installato un centro di ricerca qui a Mirefield. Io sono a capo di questa piccola divisione".

Sollevando il mio corpo con i gomiti cercai di mettere in ordine i pezzi che mancavano dei miei ricordi. Mi portai una mano sulla fronte, toccando la fascia dove mi avevano rattoppato la ferita e mi resi conto del tutto della situazione in cui mi trovavo.

"Che cosa vuoi da me? Cos'è successo alle mie cose?".

Stephan mi rassicurò "È tutto sotto controllo, lo sceriffo Hawthorne si è occupato di tutto. Beh a parte la macchina, temo che quella non potrai recuperarla tanto facilmente, a meno che non sei interessato a dei rottami. Sei stato fortunato sai? Hai avuto un colpo di sonno e hai schiantato il veicolo contro il guard rail, finendo contro un grosso albero. Il telaio frontale della macchina avrebbe potuto lacerarti gli organi, ma grazie al cielo ne sei uscito illeso".

Feci un grosso sospiro. La mia permanenza a Mirefield stava per allungarsi considerevolmente, contrario alle mie aspettative. Ma ad ogni modo ero vivo, e in quel momento ero più interessato a cosa volesse quell'uomo da me.

Avevo sentito parlare della Rotundum Medical, dopotutto forniva materiale medico anche alla base militare in cui ero assegnato, quando ancora prestavo servizio.

"Sono qui per farti delle domande. La divisione che guido: la Dreamcatcher, sta collaborando con la polizia locale in una delicata faccenda. Mirefield negli ultimi mesi ha registrato un alto tasso di omicidi e suicidi. L'intera comunità del posto è disperata, abbiamo già perso sette persone, e abbiamo modo di credere che questi orribili incidenti siano collegati tra di loro. Ieri sera, sfortunatamente abbiamo rinvenuto due cadaveri che si sono aggiunti alla lista.

Mentre mi spiegava tutto ciò, la mia mente vagò di nuovo in quel tremendo incubo. Era assurdo pensare si fosse trattato solo di un sogno. Nonostante avessi assistito a scene surreali e prive di senso, quel sogno non mi era sembrato affatto tale.

"Cosa c'entro io in tutto questo?" Chiesi lui.

Stephan tirò fuori la foto di un uomo. Nel vederlo il mio cuore saltò un battito. Non c'erano dubbi, era proprio lui, quel vecchio pazzo del mio sogno.

"Sì chiamava Rupert Sanders, 67 anni, incensurato. Era il proprietario del Motel Roadside ai confini della città, a pochi metri dal luogo in cui la tua auto si è schiantata. Lo sceriffo Hawthrorne ha effettuato un sopralluogo, chiedendosi come mai il vecchio non avesse sentito lo schianto e lo ha trovato morto a terra, assieme ad un'altra persona un certo Jared Sullivan, un membro del recupero crediti".

Il terrore tornò a scorrere nelle mie vene, potevo sentire il battito del mio cuore accelerare. Non poteva essere vero, era stato solo un sogno no? Ma allora com'era possibile?

"Nate Ingram dico bene?" Bridge mi riportò alla realtà "A giudicare dalla tua reazione, tu sai qualcosa vero? Qualunque informazione tu ci possa fornire, ci sarà d'aiuto".

Ero nel panico totale, mi portai la mano sulla testa, lì dove c'era la ferita ancora fresca e bendata.

"No è tutto assurdo!" Esclamai "Allora non stavo sognando?! Io… quell'uomo mi ha aggredito con un coltello, io non ho avuto scelta! Quella pistola non è mia, io non sono venuto armato, è semplicemente apparsa nelle mie mani. Non volevo ucciderlo, ma voleva ammazzarmi, ho dovuto premere il grilletto!".

Mi resi conto che stavo delirando, Bridge cercò di calmarmi, ma fu tutto inutile. Ero in lacrime, disperato e confuso.

"Non sono un assassino. Non volevo ucciderlo…".

L'infermiera nell'udire le mie grida entrò, ma Bridge la rassicurò con una mano e tornò subito con la sua attenzione rivolta verso di me.

"Sanders si è suicidato Nate, non hai ucciso nessuno…" Disse lui, fomentando ancora di più il mio sgomento. "L'impronta di bruciatura sulla tempia non lasciano spazio a dubbi. Sanders era indebitato fino al collo, stava per perdere la sua attività. Stamattina è stato visitato da Sullivan proprio per questa faccenda. Ha lasciato un biglietto di addio, ha ucciso Sullivan, poi si è tolto la vita".

Non sapevo cosa dire, ero oltremodo confuso. "Quindi… quello che ho visto, era davvero un sogno?".

"Puoi descrivermi questo sogno? Tutto ciò che ricordi… ogni dettaglio anche il più confuso".

Feci del mio meglio per descrivere tutto, nei minimi dettagli. Bridge mi ascoltò fino alla fine con attenzione, e alla fine della mia disamina, espresse la sua a riguardo.

"Capisco… per essere un sogno, hai di certo memorizzato moltissimi dettagli, senza contare che non hai alcun ricordo di un incidente stradale. Sei precipitato nel sogno senza nemmeno accorgertene, il che è molto interessante. Se non ti dispiace, vorrei avere una conferma diretta sulle descrizioni che hai fornito, Hawthorne mi ha dato il privilegio di dare un'occhiata alla scena del crimine, te la senti?".

Tutta quella faccenda non mi riguardava, non avevo chiesto tutto ciò, ma ciononostante non potevo dimenticare la sensazione che avevo provato quando avevo premuto il grilletto. Dovevo capire cos'era successo, dovevo chiarire quel dubbio, non volevo un altro "forse" o un altro senso di colpa nella mia vita. Stavolta sarebbe andata diversamente, nel bene o nel male.

Tuttavia le sorprese non erano ancora terminate. Dopo aver accettato di collaborare con Bridge, una giovane ragazza dai lunghi capelli neri, minuta e bassa di statura, con indosso una felpa scura di una taglia in più rispetto al suo fisico, fece ingresso nella mia stanza ospedaliera. 

Non volevo credere ai miei occhi, non poteva essere lei, ma la somiglianza era a dir poco spaventosa. Avevo cercato di dimenticare, di lasciarmi alle spalle il passato, e dopo tredici lunghi anni, quel ricordo sepolto, quelle sensazioni che pensavo di aver perduto lacerarono di nuovo le ferite nel mio cuore, che non si erano mai del tutto rimarginate. Un ennesimo scherzo del destino, che si faceva beffa di me, costringendomi ad affrontare qualcosa che avevo da sempre soppresso nei recessi oscuri del mio inconscio.

 

Continua…




 
   
 
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