Allo stesso modo credo che, per il momento, pubblicherò indicativamente due capitoli alla settimana, uno intorno a venerdì/ sabato, l'altro intorno a martedì/ mercoledì. Le cose potrebbero cambiare. La prossima settimana sarò in ferie e avrò a disposizione una settimana in cui - si spera - potrò dedicare più tempo alla scrittura.
Ero indecisa sulla categoria in cui pubblicare. Ero indecisa sulla categoria Romantico, ma ci sarà ben poco romanticismo, nonostante le premesse iniziali, e su Soprannaturale... ma lascerò scoprire a voi se ci sia effettivamente qualcosa di soprannaturale nelle vicende. Quindi vada per Thriller.
I nomi dei personaggi non sono frutto di grandi selezioni. Nella maggior parte dei casi li ho scelti di getto, a parte quello di Rosalee, che era funzionale alla trama, scoprirete perché già nei primi capitoli.
Buona lettura. *-*
[LA CASA DEI PEARL]
[Dicembre 1981]
L’aria era gelida, ma non vi era alcuna traccia di bagnato sul parabrezza, a dimostrare la totale assenza di umidità. Non si stava male, per essere una notte di inizio inverno, ma ciò non aveva alcun impatto: Erik vedeva ancora molto lontana quella fase della vita nella quale si sarebbe preoccupato delle condizioni atmosferiche. Non si era nemmeno premunito di allacciarsi il cappotto, all’uscita dalla chiesa. Si premunì invece di togliersi la cravatta e di gettarla in modo distratto sul sedile posteriore: gli sembrava troppo formale per l’appuntamento ormai imminente.
«Non saremo in ritardo?» borbottò Erik. «Ormai il ricevimento dei Pearl sarà finito. Logan ci starà aspettando, fuori, al freddo.» Non era preoccupato dalle condizioni atmosferiche, ma era propenso a menzionarle, se queste davano credibilità alle sue teorie. «Te l’avevo detto che avremmo fatto tardi, ma tu non hai voluto starmi a sentire.»
Seduto al suo fianco, Val replicò: «Non c’è mai stato un Natale in cui non sia andato alla messa di mezzanotte, lo sai che ci tengo. Avresti dovuto andare da Logan da solo, se proprio volevi arrivare da lei in anticipo.»
Erik ribatté: «Prima di conoscerti, non sono mai andato alla messa di Natale nemmeno una volta in tutta la mia vita, ma sono arrivato comunque a ventisette anni senza problemi. Si vive lo stesso, sai?»
«Ti sbagli, Erik» sentenziò Val. «Se tu morissi adesso, sui necrologi ci sarebbe scritto che di anni ne hai ventisei. Non ne hai ancora compiuti ventisette e non puoi essere sicuro di arrivare a quell’età.»
«Non ho intenzione di morire nel corso della prossima settimana» chiarì Erik, allacciandosi la cintura di sicurezza, «Ma ormai è troppo tardi per stare a discutere. Dobbiamo andare da Logan, anche se questo sconvolgerà sicuramente i tuoi piani.»
«Quali piani?»
«Ma dai, ti ho visto come ti guardavi intorno, durante la funzione. Non avevi occhi che per le ragazze distinte e a modo che c’erano nei banchi sulla destra.»
«A me sembra che fossi tu, quello che guardava solo le ragazze» puntualizzò Val. «Anzi, non solo quelle giovani. Sbaglio o quando siamo usciti stavi fissando le gambe di una cinquantenne? Per poco non hai travolto quella ragazzina che c’era accanto a noi.»
Senza avere idea del motivo, Erik fu scosso da un brivido. Non aveva badato molto a quella tizia, che doveva avere sui quindici o sedici anni, ma l’aveva urtata e l’aveva fatta inciampare sui gradini. Per fortuna Val era intervenuto in suo soccorso ed era rimasta in piedi. Erik si era scusato, ma senza prestarle molta attenzione. Tutto ciò che ricordava di lei era il berretto di lana bianco latte, in tinta con il cappotto, sul quale erano ricamati fiori stilizzati di colore rosso.
Accendendo il motore, ci tenne a precisare: «Non stavo guardando le gambe di una cinquantenne. Aveva degli stupendi pantaloni di velluto, avevo notato quelli.»
«Sì, come no» ribatté Val. «Sei molto credibile. Ti immagino mentre fissi pantaloni da donna pensando: “questi sono di alta sartoria”.»
Erik non replicò. Più tempo avessero trascorso a discutere, più tardi sarebbero arrivati al loro appuntamento. Era certo che Lorelei Logan non li avrebbe aspettati in eterno, nei pressi della villetta di quei vecchi incartapecoriti che erano i Pearl. Si sarebbe stancata e se ne sarebbe andata a casa, incurante del loro accordo. Tutto stava nella sua capacità di allontanarsi da quella strada e da avviarsi a destinazione.
Il tragitto fu breve. Per fortuna Val prese la saggia decisione di rimanere in silenzio. Erik non lo istigò a parlare. Avevano da fare e non avevano tempo da perdere. Giunsero nei pressi di casa Pearl. Non era opportuno andare a parcheggiare proprio accanto al loro cancello, quindi Erik lasciò la macchina a qualche centinaio di metri di distanza. Scesero entrambi nello stesso momento. Erik chiuse a chiave la propria auto sportiva colore blu notte e si guardò intorno.
«Dove ha detto che ci aspettava?» domandò a Val.
L’amico gli indicò una direzione.
«Penso da quella parte.»
C’era da aspettarselo. Lorelei Logan era brava a nascondersi, non c’era da stupirsi che la sua scelta cadesse su una fitta boscaglia.
«Sembra di stare in un thriller di serie B» mormorò Erik.
«Se fossimo in un thriller di serie B» replicò Val, «Troveremmo Logan ammazzata e saremmo accusati di avere commesso il delitto.»
Erik alzò gli occhi al cielo.
«Non vale nemmeno la pena di risponderti.»
Val ridacchiò.
«Non ho bisogno di una risposta.»
Si diressero verso il luogo dove ritenevano che Logan li stesse aspettando, ma non c’era nessuno.
«Hai visto?» sbottò Erik. «Se n’è andata a casa! E tutto per la tua cara messa di mezzanotte a cui non potevi rinunciare!»
La luce di una torcia, che spuntava tra i rami degli alberi spogli, li smentì.
«Erik? Valentin?» chiamò una voce.
Senza nemmeno avere bisogno di consultarsi, i due si avviarono verso quella direzione. La torcia li aiutò a identificare Lorelei, anche se finirono per ritrovarsela puntata negli occhi.
«Abbassa quell’aggeggio, Logan» la pregò Erik. «Mi stai abbagliando.»
«Vi stavo aspettando» li accolse Lorelei. «Dov’eravate finiti?»
«In chiesa» rispose Erik. «Val è un integralista cattolico, non poteva farne a meno.»
«Ma quale integralista» replicò Val. «E poi siamo in ritardo per colpa tua. Sei tu che stavi fissando i pantaloni di velluto di quella signora e che per poco non facevi cadere quella povera ragazzina.»
Lorelei Logan ridacchiò.
«Le vostre discussioni sono sempre interessanti. Mi ricordate una vecchia coppia sposata. O, per meglio dire, mi ricordate le vecchie coppie sposate che si vedono nei film. Quelle vere sono di una noia mortale.»
Erik azzardò: «Parli dei Pearl?»
«Eccome se parlo dei Pearl» rispose Lorelei. «Ho accettato di lavorare per loro stasera solo perché la paga è buona... e poi voglio guadagnarmi da vivere anche in modo legale, di tanto in tanto. È dura spiegare come pago le mie spese. Posso forse dire che ho guadagnato un sacco di soldi facendo mangiare la polvere a stronzi che mi snobbano solo perché sono non solo una donna, ma anche una gran bella donna?»
Val osservò: «Sei anche molto modesta.»
«Taci, Valentin» ribatté Lorelei. «Abbiamo un accordo e vorrei discutere di quell’accordo.»
«L’accordo ce l’avevi con me» le ricordò Erik, «E mi sembra che ormai sia concluso. Ciascuno ha portato a casa la propria quota. Non so se...»
Si interruppe. Il rumore di un motore, in lontananza, l’aveva distolto per un attimo. Stava per riprendere a parlare, ma Lorelei lo supplicò di rimanere in silenzio.
Val le chiese: «Cosa succede?»
Commise l’errore di parlare a voce troppo alta, da come Lorelei sibilò: «Stai zitto! C’è qualcuno che mi sta cercando.»
Val non la prese molto sul serio.
«Qualcuno che...»
«Abbassa la voce» insisté Lorelei. «Quella gente fa sul serio. Avranno visto la vostra macchina. Se mi trovano con voi, potrebbero pensare che abbiamo qualcosa in mente. Seguitemi.»
Prima che Erik potesse chiederle dove, la intravide girarsi e allontanarsi. Val si era già lanciato all’inseguimento, quindi non gli restò nulla da fare. Rimasero nella boscaglia, in silenzio, per un tempo che gli parve infinito. Stava iniziando a fare più freddo, quindi si abbottonò il cappotto ancora slacciato.
Infine, quando udirono nuovamente un motore, stavolta che si allontanava, Lorelei Logan sentenziò: «Devono essersene andati.»
Erik osservò: «Prima dici che è arrivato qualcuno e che ti sta cercando. Ci costringi a seguiti qui in mezzo a questi rami secchi, a tacere per minuti e minuti, poi all’improvviso dici che il pericolo è rientrato. Sei per caso dotata di doti di chiaroveggenza?»
Lorelei sbuffò.
«Cosa c’è, non mi credi?»
«Ti credo, ti credo» ribatté Erik. «Sbaglio o è la cosa più conveniente da fare? Ti ho creduta perfino quando mi hai detto che, se ti avessi aiutata, poi saremmo andati a letto insieme.»
Val intervenne: «Per favore, niente dettagli.»
Lorelei puntualizzò: «Credo che questi dettagli potrebbero interessarti, invece. Tutto quello che ho fatto con Erik, lo farei anche con te, stavolta. È giusto che anche tu abbia un ruolo. Uno per volta, oppure tutti e due insieme, lascio a voi la scelta. Tanto so che entrambi lo desiderate.»
«Fare cose a tre?»
«Non è necessario, Valentin, se temi di sfigurare al confronto con il tuo compare. Prima, però, dobbiamo parlare di cose serie. Ho avuto un’idea e voi siete gli unici che possono aiutarmi a metterla in pratica. O meglio, voi e Black Rose.»
«È un nome ridicolo» osservò Erik.
«Me l’hai già detto mille volte, ma non m’interessa» chiarì Lorelei Logan. «Ragazzi, statemi a sentire, perché stavolta portiamo a casa un sacco di soldi. C’è un sacco di gente che crede in noi, è giunto il momento di sfruttare la situazione a nostro vantaggio.»
«Ovvero?»
«Scommettere sulla nostra vittoria inizia a diventare poco redditizio.»
«E allora cosa proponi?»
«Molto semplice, Erik» spiegò Lorelei. «Dobbiamo perdere e Val deve scommettere sulla nostra sconfitta. Nessuno l’ha ancora collegato a me, non lo conoscono, proprio come non conoscevano te. Non lo troveranno. Non sanno come si chiama.»
«Con un po’ d’impegno, lo scopriranno.»
«Oh, no, Old Oak non è il loro territorio. Se ne staranno alla larga, te lo posso garantire.»
«Non erano forse loro che ci stavano cercando?» azzardò Erik. «O hai approfittato della situazione per spingerci ad addentrarci qui a fare cose sconce con te?»
Lorelei rise.
«Vedo che ormai mi conosci. Esatto, vi ho attirati qui con l’inganno, giusto per ricordarvi chi comanda. Potete stare tranquilli. Ho a che fare con quella gente da un bel po’, non si scomoderanno di venire qui a intromettersi nelle nostre esistenze, fintanto che non facciamo nulla di esagerato.»
«Quindi quella macchina che abbiamo sentito?»
«Forse una coppia che si era appartata? O magari un trio che si era appartato.» Lorelei si rivolse a Val. «Tu cosa ne dici? O devo supporre che tu sia un bigotto moralista che si scandalizzerebbe all’idea di infilarmi il cazzo in bocca?»
Erik la rimproverò: «Che modi, Logan!»
Lorelei scoppiò nuovamente a ridere.
«Dimenticavo che, prima di venire a Old Oak e aiutarmi a sfidare una gang di street racer, tu eri un ragazzo di buona famiglia, che ha studiato nelle migliori scuole. Quindi ripropongo la domanda per il tuo amico: dimmi, Val, sei forse un bigotto moralista che si scandalizzerebbe all’idea di infilare il proprio membro nella mia bocca?»
Val ribatté: «Potrei essere invece un bigotto moralista che non vede l’ora di infilare il proprio membro nella tua bocca, se la metti in questi termini. Però non qui. Quando faccio certe cose con una donna, preferisco che non ci siano terzi incomodi.»
«Decisione saggia, anche se penso che la dica lunga sulla tua opinione a proposito dei rapporti a tre. E comunque, se ti può consolare, ho cose ben più importanti di cui occuparmi. Le brave ragazze non parlano con la bocca piena, e io ho un po’ di cose di cui discutere.»
Erik replicò: «Mi pareva che avessi già fatto la tua proposta.»
«Infatti avete la mia proposta» chiarì Lorelei, «Ma non ho ancora la vostra decisione. Cosa ne pensi?»
Val intervenne: «Penso che sia una buona idea.»
Erik obiettò: «La domanda l’ha fatta a me.»
«Però sono io che devo scommettere. Ci sto. Senza di me, non potreste comunque fare niente. Anche il mio parere conta.»
«Tu devi solo scommettere.»
«Solo. Come se fosse una cosa da poco.»
Lorelei sbuffò.
«Dai, ragazzi, non litigate per stabilire chi di voi è il più importante per la buona riuscita del nostro piano.»
«Il nostro piano» replicò Erik, «Non è ancora il nostro piano. Per il momento è solo il tuo piano. L’hai detto tu stessa, un tempo ero un ragazzo di buona famiglia che non aveva niente a che fare con il mondo con cui fai affari.»
«Fare affari è una parola grossa» obiettò Lorelei. «Sto solo cercando di trovare la mia strada. Non voglio continuare a fare la sexy governante per il resto dei miei giorni. Spero che gli occhi viscidi del signor Pearl siano gli ultimi che vedrò addosso a me con certe intenzioni represse. Ne ho abbastanza, ormai.»
Erik non aveva idea di chi fosse il signor Pearl, oltre che essere l'anziano proprietario di una bella casa, ma l'idea che riservasse certe attenzioni a Lorelei gli parve rivoltante. Sapeva di non potere puntare a un rapporto esclusivo con l'affascinante ragazza, così come dimostrato dalle esplicite avance che stava vacendo a Val, ma il pensiero che quel vecchio le avesse messo gli occhi addosso lo disturbava più del dovuto, forse perché, se non fosse esistita una signora Pearl, la Logan avrebbe potuto essere arrivista a sufficienza da farsi sposare per accaparrarsi una quota di eredità.
Se fossero stati in un giallo classico, sarebbe andata a finire così. Poi, un giorno, il signor Pearl sarebbe stato assassinato e i sospetti sarebbero caduti su Lorelei. Soltanto l'intervento di un investigatore dilettante giunto sul posto per caso avrebbe potuto salvarsi dal triste destino di una condanna per omicidio. Se non fosse stata per la spiccata asessualità dell'investigatore di turno, magari il tutto avrebbe potuto concludersi con la nascita di un nuovo e sincero amore.
Quel pensiero fu interrotto dalla voce di Val, che domandò, rivolto alla Logan: «Il signor Pearl ti ha detto qualcosa di sconveniente? O ha fatto qualcosa di peggio?»
«Non è la cosa più sensata da fare quando hai cointestato a tua moglie una buona parte del tuo patrimonio» rispose Lorelei. «Vedo solo come mi guarda. Mi spoglia con gli occhi e la cosa non mi piace affatto. Non è come quando a spogliarmi con gli occhi è un giovane dall'aria ingenua come te.» Si rivolse a Erik. «O a uno come te. Lo sapete, da voi mi farei fare di tutto. Prima, però, voglio una risposta. Ci stai, Erik? Mi aiuterai?»
Prima che Erik potesse parlare, Val lo fece al posto suo.
«Sì, lo farà.»
«Perfetto» concluse Lorelei. «Allora siamo d'accordo.»
«Veramente» cercò di obiettare Erik, «Non siamo affatto d'accordo. Non mi risulta di avere ancora dato il mio consenso.»
«L'ha fatto Val, ed è questo che conta» ribatté Lorelei. «Con questo, possiamo salutarci. Si sta facendo tardi.»
Erik si ritrovò ad arrendersi.
«Ti accompagno a casa.»
Lorelei rifiutò: «Ho la bicicletta, qui fuori, legata a un albero. Ci vediamo. E non seguitemi. Non subito. Non vorrei che qualcuno mi vedesse con voi... i Pearl, intendo. Penserebbero che frequento cattivi ragazzi e non mi ingaggerebbero più come cameriera per le loro serate importanti.»
«Cattivi ragazzi» ripeté Erik. «Certo, come no.»
Lorelei lo ignorò. Si allontanò, portando con sé la torcia.
Val fece per avviarsi, ma Erik lo fermò.
«Aspetta, non hai sentito quello che ha detto? Non vuole che la seguiamo.»
«Ci sta lasciando al buio.»
«Cosa sarà mai un po' di buio?» concluse Erik. «Siamo o non siamo uomini galanti? Dobbiamo obbedire agli ordini di una signora.»
«Non hai idea di quanti doppi sensi ci siano in questa affermazione.»
«Specie per chi è abituato a pensare male.»
«Veramente» replicò Val, «Penso sempre benissimo. Non sono come te, che passi il tuo tempo a fissare le gambe delle donne attempate sostenendo che ti piacciono i loro pantaloni.»
«Cos'avrei dovuto fare, secondo te?» obiettò Erik. «Ascoltare per un'ora quella lagna del nostro parroco? Ci ho provato, ma dopo un po' era naturale distrarsi. Così gli occhi mi sono caduti su un paio di pantaloni di ottimo taglio e...»
Val lo interruppe: «Va bene, va bene, lasciamo stare i pantaloni. Abbiamo accettato la proposta di Logan, giusto?»
Erik si irrigidì.
«Tu hai accettato la proposta di Logan, senza nemmeno chiedermi che cosa ne pensassi. Non mi hai proprio lasciato parlare.»
«Non sarebbe servito, tanto sapevo benissimo che ti serviva soltanto una buona scusa per accettare.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che, se avessi voluto vivere come vivono i ragazzi di alta estrazione sociale, non saresti venuto qui a Old Oak.»
Erik puntualizzò: «Non hai idea di come vivano i ragazzi di alta estrazione sociale che vogliono trasgredire. Possono permettersi tutto.»
«Che fascino c'è, nel potersi permettere tutto pagando?» replicò Val. «Ci conosciamo da un anno, ormai ho capito tutto di te. La tua posizione ti stava stretta, così come la possibilità di fare quello che volevi soltanto perché la tua famiglia ha un sacco di soldi. Se eri titubante, era solo perché Logan ha tirato in mezzo anche me.»
In un altro momento, Erik avrebbe riso di quelle parole. Quella notte, tuttavia, si limitò ad affermare: «Per me, con Logan è solo sesso. Va bene tutto, ma non penserai sul serio che voglia avere con lei una relazione seria.»
«Perché no?»
«Perché Logan porta solo guai, lo sai bene quanto me.»
«Logan ci ha permesso di avere un'esistenza interessante» sentenziò Val, «E non credo che questo possa essere messo in discussione.»
«Te lo concedo, ma ti assicuro che le sue proposte nei tuoi confronti non mi toccano» chiarì Erik, «Fintanto che non sei tu a farti delle illusioni. Anzi, sai cosa ti dico? Per me non sarebbe un problema, il confronto diretto.»
«In che senso?»
«Se vuole stare con entrambi contemporaneamente, io sono pronto.»
Val non replicò. Rimase in silenzio per qualche istante, poi suggerì: «Torniamo alla macchina? Ormai Logan dovrebbe essere andata via.»
«Torniamo alla macchina» concesse Erik. «Ormai inizia a fare freddo. E poi non ho idea di che ora sia, ma deve essersi fatto tardi, ormai.»
Val colpì nel segno, quando ribatté: «Non mi sembri il tipo che si preoccupa per il freddo. Sai, ho capito anche questo di te, da quando siamo diventati vicini di casa. E, dato che ti conosco bene, so cosa stai per dire, ovvero che non dovrei chiamare casa la topaia in cui abito. E se anche tu mi conosci altrettanto bene, sai che sto per dirti che non è affatto una topaia. C'è l'essenziale: una stanza da letto, un bagno funzionante e un impianto di riscaldamento che mi permette di non morire congelato. Vivo in modo minimalista.»
Erik preferì non commentare. Immaginava che Val gli avrebbe rinfacciato la loro diversa estrazione sociale e che, soprattutto, avrebbe sostenuto che non vi era alcun vantaggio nel nascere in una famiglia ricca, se ciò comportava una lunga serie di seccature.
Val era figlio di un meccanico che, dopo essere andato in pensione, gli aveva lasciato in gestione la propria officina. Già da tempo il padre di Val si era allontanato da Old Oak, dopo il secondo matrimonio con una donna che si era rifiutata di seguirlo in quella che considerava una landa sperduta. Lavorava ancora, a quei tempi, e aveva allestito le stanze che Val definiva "casa", in modo da non dovere fare ogni giorno ottanta chilometri all'andata e altrettanti al ritorno, tornando dalla moglie soltanto nel fine settimana. Non aveva immaginato che un giorno il figlio avrebbe scelto letteralmente di viverci, per risparmiare l'affitto di un vero appartamento o di una vera stanza. Forse non ne era nemmeno al corrente, dato che Val non sembrava avere molti contatti con lui.
L'officina si trovava al pianterreno della palazzina dove Erik si era trasferito dopo il proprio arrivo a Old Oak. Aveva conosciuto Val quasi subito e, nonostante non facesse parte dei suoi piani allacciare amicizie con la gente del posto, il giovane meccanico era divenuto una presenza costante nella sua vita.
Val insisté: «Non dici niente? Ti sei convinto che ho fatto la scelta giusta?»
Sollecitato a intervenire in tal senso, Erik gli ricordò: «Non hai nemmeno un posto in cui cucinare.»
«Ho un tavolo e delle sedie, però, oltre che un lavello. Posso lavare i piatti.»
«Rimane il fatto che non puoi cucinare.»
«Tanto non ne sono capace» puntualizzò Val. «Posso mangiare cibi freddi, oppure venire a cena da te.»
«E se io non ci fossi?»
«Guarda che non ho iniziato magicamente a vivere quando ho conosciuto te! Anche se, lo devo ammettere, hai reso tutto molto più interessante. C'è qualcosa, in te, che affascina.»
«Stai dicendo che mi trovi attraente?»
«Sto dicendo che un sacco di donne ti trovano attraente. Di conseguenza, se mi vedono in giro insieme a te, si accorgono anche di me.»
«Ho sempre saputo che sei un inguaribile romantico... anche se, lo ammetto, sognare rapporti a tre con Logan non è la massima aspirazione, dal punto di vista del romanticismo.»
«Infatti non sogno rapporti a tre. Non ho idea di come sia uscito questo discorso, ma spero che non esca mai più.» Nonostante fosse buio e non potesse accertarsene, Erik ebbe la sensazione che Val fosse violentemente arrossito, nel pronunciare quelle parole. «Non so come le sia venuto in mente di...» Si interruppe. «Comunque sia, la penso come te su Logan. Non c'è futuro, con lei. Però il futuro è molto lontano ed è bene trovare un modo per impiegare il tempo che dobbiamo far passare.»
«Il futuro è lontano» ripeté Erik. «Ti stai addentrando in un discorso troppo filosofico per i tuoi standard. Forse dovresti tornare alla realtà. La vicinanza con Logan ti fa male.»
Val replicò, prontamente: «Invece mi fa benissimo.»
Erik non era sicuro che l'amico avesse ragione. Certo, il fatto che fosse entrata di punto in bianco nelle loro vite aveva cancellato del tutto la piattezza che aveva avvertito fin dall'arrivo a Old Oak, ma a volte gli capitava di rimpiangere i vecchi tempi, i primi mesi della sua conoscenza con Val.
Erano diversi sotto molti aspetti, ma avevano capito fin da subito di avere qualcosa in comune. Entrambi avevano un lato represso che non avevano mai avuto modo di sfogare. In entrambi i casi, era qualcosa che stava in bilico tra l'essere un lato oscuro e l'essere il loro lato più carico di luce.
Lorelei Logan era stata colei che aveva scatenato definitivamente i loro istinti, portandoli a un punto di non ritorno. Il fatto che entrambi si fossero precipitati da lei nel corso della notte era un indicatore di cui avrebbero dovuto preoccuparsi, ma nessuno dei due era minimamente turbato.
Erik suggerì: «Andiamo? Ormai Logan non avrà più niente da dire. Di questo passo, sarà ormai arrivata a casa.» Stava solo ribadendo un concetto che avrebbe dovuto essere chiaro a Val. Si voltò e fece per avviarsi. «Non ha senso rimanere qui tutto il resto della notte. Non torner-...»
Le parole gli morirono in bocca. Non si era accorto del ramo, finché non aveva sentito qualcosa colpirlo a un occhio, nello specifico dentro l'occhio. Gli sfuggì un'imprecazione, mentre era assalito da un dolore atroce.
«Tutto bene?» gli chiese Val.
«Sì.»
Era quello che Erik sperava, almeno, non ne era tanto sicuro. Aveva la sensazione che qualcosa gli si fosse depositato nell'occhio destro, anche se appariva strano.
«Cos'è successo?»
«Solo un ramo.»
«Sei sicuro che sia tutto a posto?»
«Sì, ma usciamo di qui. Accidenti a Logan e alla sua bella trovata di incontrarci in posto, come se ci fosse il pericolo che ai Pearl importasse qualcosa di chi frequenta fuori dal lavoro.»
Riparandosi il volto con un braccio, riuscì a uscire senza ulteriori incidenti. Solo quando poté vedere le luci della villetta, fu consapevole che qualcosa non andasse. Mentre il dolore non accennava a diminuire, realizzò che, all'occhio ferito, al posto dell'immagine dei lampioni gli arrivavano più immagini sovrapposte. Diede le chiavi della macchina a Val.
«Ti prego, guida tu.»
Non realizzò le conseguenze di quell'infortunio, in quel momento. Solo quando un oculista - assistito da una bellissima infermiera che Erik sarebbe stato ben lieto di conoscere in altre circostanze - gli diagnosticò una lesione alla cornea, che aveva come sintomo la sensazione di avere un corpo estraneo nell'occhio, con rischio di infezione che iniziò a realizzare la gravità della situazione.
Rivide Lorelei Logan qualche giorno più tardi nell'officina di Val. Non aveva cercato di contattarla in alcun modo e non l'sveva informata di quanto fosse accaduto. La benda che gli era stata applicata era ormai un ricordo lontano, ma l'occhio era ancora gonfio e, soprattutto, i suoi problemi di visione non accennavano assolutamente a migliorare. L'unico cambiamento positivo era il potere abbassare e sollevare la palpebra senza provare dolore.
Lorelei notò subito che qualcosa non andava.
«Cos'hai fatto?»
«Ho avuto un incontro molto ravvicinato con un ramo, la notte del nostro incontro.»
Lorelei sorrise.
«Diciamo allora che il nostro incontro ha lasciato il segno.»
«Ha lasciato più segni del dovuto» intervenne Val. «Le tempistiche di guarigione potrebbero essere abbastanza lunghe. Il nostro amico vede malissimo da un occhio e questo potrebbe provocare grossi problemi.»
Erik stava per replicare, ma Lorelei puntualizzò: «Ormai ho già organizzato tutto. Non mi interessa che tu ti ritenga in grado di guidare o no, lo devi fare.»
«Non riesco.»
«Devi riuscirci.»
Quella conversazione avrebbe potuto protrarsi molto a lungo senza alcun esito, se non fosse stato Val a concludere: «Erik vede male, ma io non ci ho mai visto così bene. Prendo io il suo posto.»
Per un attimo, Lorelei rimase interdetta. Infine concluse: «Uno scambio, tra di voi, potrebbe avere il suo senso. Non ho idea di quanto tu ci sappia fare, ma non importa. Dobbiamo perdere ed Erik deve scommettere sulla nostra sconfitta. Anzi, Erik, ti suggerisco di dirlo esplicitamente, che non credi in me, accanto a un altro partner. Sarebbe credibile, molto credibile.» Si rivolse a Val. «Niente vittoria, niente sesso.»
Val avvampò.
«Non mi sembra il caso di discutere di...»
Lorelei tagliò corto: «Niente vittoria, niente sesso, ho detto. Non cambio idea. Dovrai rassegnarti.»
Per qualche assurda ragione, forse per dimostrare che le attenzioni femminili non gli mancavano, Val iniziò a raccontare una strana storia a proposito di un'adolescente che il giorno prima l'aveva avvicinato e gli aveva rivelato di essere attratta da lui fin dalla prima volta in cui l'aveva visto. Ci tenne a chiarire: «Le ho detto di tornare quando sarà più grande, che ho ventisette anni e non prendo in considerazione le bambine. Naturalmente non gliel'ho detto in questi termini, ma le ho spiegato che, da questo punto di vista, non faccio cose ai limiti della legalità.»
«La ragazza come l'ha presa?» volle sapere Lorelei. «E poi, quando hai compiuto ventisette anni? Ero rimasta a ventisei.»
«Non li ha ancora compiuti» si intromise Erik. «Li compie il giorno dopo di me.»
«Wow. Ventisette anche tu? Siete nati nello stesso anno?»
«Ne faccio ventisette anch'io, ma non siamo nati nello stesso anno. E con questo credo che tu, adesso, abbia chiare le date di nascita di entrambi.»
«Quello che non è chiaro» puntualizzò Val, «È come sia andata a finire con la ragazzina. È stata molto comprensiva, ha detto che era consapevole di non avere speranze con me, ma sentiva di doversi aprire e parlarmi dei suoi sentimenti. A proposito, Erik, ne ho anche approfittato per chiederle scusa da parte tua: è la ragazza che hai quasi fatto cadere sulle scale, all'uscita dalla messa di Natale.»
Erik fu scosso da un brivido. Aveva totalmente rimosso la ragazzina dal cappotto bianco latte con i ricami floreali. Non si aspettava che questa si fosse presa una cotta per Val e si fosse dichiarata.
«Hai fatto colpo quella sera?»
«No. Dice che mi ha visto un sacco di volte, in giro per Old Oak, e non riusciva a crederci, quando l'ho afferrata per evitare che cadesse. È per questo che è venuta a parlarmi.»
Lorelei volle sapere: «Come si chiama?»
«Non gliel'ho chiesto» ammise Val. «Volevo essere certo che non si facesse delle strane fantasie. Come ho già detto, avrà dieci anni in meno di me.»
«Molto interessante» concluse Lorelei, «Ma nel mio caso l'avere già detto qualcosa non mi impedisce di ribadire il concetto: niente vittoria, niente sesso. Spero sia abbastanza chiaro.»
Val precisò: «Il dopo mi lascia del tutto indifferente. Non ho intenzione di fare scarse figure. Sei proprio sicura che dobbiamo perdere di proposito?»
Furono quelle le parole che insinuarono in Erik il seme del dubbio. Gli bastò rimanere da solo con Val per comprendere che l'amico non era disposto a piegarsi a quell'imposizione. Si lasciò andare a una lunga invettiva, sostenendo che Lorelei cercasse un modo per ridicolizzarlo davanti alla gente che frequentava. Fu del tutto inutile fargli notare che una simile proposta, in origine, non era stata rivolta a lui.
Il piano era molto semplice e lineare: doveva essere Lorelei a disputare la prima parte di gara, Val doveva intervenire in un secondo momento e doveva essere colui che determinava il risultato. Se possibile, doveva fare tutto ciò che era in suo potere per lasciare credere di potere battere i loro avversari, per poi simulare un errore a competizione inoltrata. Erik non era certo che Val l'avrebbe fatto. Si ritrovò ben presto a dovere prendere una decisione: se procedere come Lorelei aveva chiesto, nella speranza di portare a casa il denaro, o se fare l'esatto opposto.
Fece la scelta sbagliata, quella che portò al disastro che lo convinse ad andarsene e ad accettare un lavoro presso lo studio commerciale di suo padre. Per moltissimi lunghi anni Old Oak fu solo un ricordo che apparteneva al passato. A quei tempi non poteva immaginare che un giorno avrebbe comprato la villetta dei Pearl e che proprio là avrebbe ricominciato a vivere.
***
[Settembre 1992]
Rosalee era originaria di Old Oak, ma si era trasferita per studiare subito dopo la fine delle scuole superiori. Più di una volta aveva espresso il desiderio di tornare a vivere nel luogo natale, un giorno, ma quando aveva accettato di sposarlo si era preparata a dire addio a quel sogno. Erik si ripeteva costantemente che la sua scelta derivava soltanto dalla volontà di soddisfare l’amata consorte, ma la verità era che qualcosa, in lui, lo faceva sentire incompleto. Forse tornare nel luogo in cui qualcosa in lui si era rotto avrebbe potuto contribuire a rimettere insieme i pezzi che continuavano a non incastrarsi.
La casa dei Pearl era stata una scelta quasi d’impulso, arrivata sei mesi prima. Il denaro non gli mancava e, quando aveva appreso che il signor Pearl era morto e sua moglie desiderava vendere la proprietà, aveva preso la decisione. Era accaduto soltanto due mesi prima di sposarsi con Rosalee e aveva fatto tutto ciò che poteva affinché potessero trasferirsi il prima possibile. Gestire il tutto non era stato facile, specie considerato che lavorava ancora per suo padre, ma costui aveva approvato Rosalee fin dal primo momento, quando era ancora la sua segretaria, e invece di far crollare i suoi desideri l’aveva incoraggiato.
Rosalee non aveva voluto vedere la casa prima del tempo. Erik se n’era stupito, ma non aveva insistito. Anzi, aveva iniziato a immaginare come avrebbe reagito la moglie, nell’entrarvi per la prima volta. In quelle fantasie c’era sempre qualche dettaglio differente, ma ormai mancava poco al responso finale.
Parcheggiò nel cortile, dando una rapida occhiata al boschetto in cui aveva incontrato Lorelei Logan la notte di Natale di tanti anni prima. Si sforzò di rimanere impassibile, nonostante evocare quel tempo gli suscitasse pessime sensazioni. Rosalee non sapeva niente di quella parentesi del suo passato. Non l’avrebbe turbata lasciando trapelare i brutti ricordi. Approfittò piuttosto del fatto che fosse ancora seduta, forse spiazzata dal ritrovarsi finalmente a destinazione, per fiondarsi fuori dall’auto e andare ad aprirle la portiera.
«Prego, Milady» la invitò sorridendo. «Benvenuta nella nostra sontuosa dimora.»
Rosalee scese guardandosi intorno.
«È meravigliosa.»
«Perché non l’hai ancora vista dentro.»
«È bellissima, davvero» insisté Rosalee. «Ho sempre sognato di abitare in un luogo simile.»
«Io non ci ho mai pensato davvero» ammise Erik, «Almeno fino al giorno in cui ho conosciuto te.»
Era successo due anni prima, quando Rosalee era ancora la segretaria neoassunta dello studio di suo padre. Di base, Erik non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di avere una relazione con una dipendente, ma Rosalee non era come le altre dipendenti, il suo fascino l’aveva colpito fin dal primo momento e non se l’era sentita di rinunciare. Rosalee, d’altra parte, era intervenuta in suo soccorso trovando un’altra occupazione. Aveva compreso perfettamente la sua scelta, tanto più che Rosalee aveva ben altre ambizioni.
Erik non credeva nell’amore a prima vista, ma ciò che aveva provato per Rosalee era stato qualcosa di molto simile. Non era solito avere sensazioni giuste, ma quella volta, quando aveva intuito che tra lui e Rosalee ci fosse tanto in comune, non si era sbagliato. Da allora, erano una certezza l’uno per l’altra. Avevano scelto in fretta di sposarsi e altrettanto in fretta avevano organizzato il loro matrimonio, nonostante gli inviti di parenti e conoscenti a rallentare, concentrandosi sull’evento. A nessuno dei due, però, importava un matrimonio da sogno, tanto più che erano consapevoli di quanto i matrimoni da sogno fossero spesso una grande scocciatura per gli invitati, costretti a sprecare una giornata intera della loro vita e a fingere di non desiderare altro. Gli pareva assurdo come ci fossero coppie così focalizzate sui dettagli di un singolo giorno, tanto da non preoccuparsi del futuro imminente.
Aveva preferito concentrarsi sul futuro, da parte sua, ed era certo che a Rosalee non dispiacesse. Un ricevimento sfarzoso prima o poi terminava, mentre un’unione come la loro sarebbe durata per tutta la vita, non aveva alcun dubbio.
Mentre si avviavano verso la porta d’ingresso, prese fuori le chiavi. Si voltò verso Rosalee, si fissarono qualche istante, prima di entrare.
«Sei pronta?» le chiese.
Rosalee annuì.
«Quando si tratta di te, sono sempre pronta.»
Varcarono la soglia insieme. A Erik sarebbe piaciuto dire che aveva cancellato tutte le tracce della precedente proprietà, ma non era così. Molti mobili erano piuttosto belli, la prima signora Pearl doveva avere buon gusto, diversamente dalla seconda che non vedeva l’ora di liberarsi di tutto ciò che vi era all’interno della casa.
Al momento in cui un agente immobiliare l’aveva messo in contatto con la signora Pearl, Erik non aveva idea che la prima moglie del padrone di casa fosse morta diversi anni prima. Si era sentito molto spiazzato, non appena l’aveva vista. Era girata di profilo e il suo abbigliamento piuttosto distinto - un abito nero, con ottimi ricami - la qualificava come al massimo quarantenne. Portava i capelli ricci, di media lunghezza, decolorati, che apparivano di una tonalità di biondo fin troppo giallastra, che nulla aveva né con il colore dell’oro né con quello del platino.
Quando si era voltata verso di lui, allo stordimento iniziale era subentrato lo shock. L’aveva fissata con gli occhi spalancati, rimanendo in silenzio per una quantità di tempo che gli era sembrata infinita, anche se doveva essere passata al massimo una decina di secondi. Allora aveva esclamato: «Logan?!»
Lorelei aveva scosso la testa.
«Non mi chiamo più Logan da tempo, ormai. Adesso sono la signora Pearl.» Aveva sorriso, poi si era corretta: «Anzi, sono la vedova Pearl.»
«Sei anche vestita di nero.»
«Come è più adatto per una vedova.»
«Non mi dire. Passerai tutto il resto dei tuoi giorni vestita di nero?»
«Figurati. Mio marito, però, è morto da meno di un anno. Mi sembra doveroso mantenere un certo decoro.»
Erik aveva ricordato di avere fantasticato su un potenziale matrimonio tra il signor Pearl e Lorelei. Doveva essere accaduto la notte in cui si era ferito l’occhio. Aveva immaginato il signor Pearl vittima di un delitto, in un’ambientazione da romanzo poliziesco classico.
«L’hai ucciso tu?»
«Infarto. Fumava come una ciminiera, nonostante il cardiologo l’avesse messo in guardia.»
«E sua moglie? Quella precedente, intendo.»
«Cancro. Una triste perdita.»
«Non per te.»
Logan gli aveva spiegato: «Lo è stata, in un primo momento. Facevo ancora la cameriera alle loro cene importanti, quando capitava. Pagava bene, è stato un brutto colpo per me. Dove potevo trovare una signora così generosa?»
Erik aveva dedotto: «Evidentemente era generoso anche il signor Pearl.»
«Era un vecchio bavoso, ma la cosa faceva al caso mio. Non aveva figli, o quantomeno non aveva figli legittimi. Non mi stupirebbe se un giorno o l’altro saltasse fuori qualcuno che proclama di essere stato generato da lui, ma sono stata fortunata. Mi ha lasciato la casa e gran parte del suo denaro. Naturalmente ha fatto testamento anche a favore di nipoti e cugini che speravano di ereditare qualcosa, in modo da tenerli buoni. Nessuno ha avuto da ridire. In fondo era sempre circondato da parenti neanche troppo stretti, ma con tutti loro aveva sempre avuto un rapporto molto sommario. Non c’era nessuno che potesse sperare di fare il colpo grosso, dopo la morte del vecchio. Non hanno disapprovato, diciamo. I pochi parenti scapoli si sono mostrati ben disposti nei confronti di una giovane vedova, ma non ho alcuna intenzione di risposarmi con qualche Pearl giovane o di mezza età. Sono ricca, ormai, posso fare quello che voglio.»
Erik non si era stupito molto del fatto che Lorelei non si mostrasse addolorata per la dipartita dell’anziano consorte, così come non lo meravigliava il suo essere esplicita, nell’affermare di averlo sposato per interesse. Se da un lato l’ex signorina Logan avrebbe potuto dire il contrario soltanto mentendo spudoratamente, la sua totale assenza di contegno nel trattare certi argomenti l’aveva messo a disagio.
Fortunatamente Lorelei Logan, vedova Pearl, l’aveva esortato: «Adesso parliamo un po’ di te. Vuoi venirci a vivere da solo, in questa casa?»
Erik aveva scosso la testa.
«No. Mi devo sposare.»
«E la tua futura signora come si chiama?»
«Rosalee.»
«Per gli amici Rose, immagino.»
Erik aveva avuto bisogno di rifletterci.
«Sì, per qualcuno sì.»
La vedova Pearl aveva sorriso.
«Rose Black. Interessante, no?»
Erik rammentava di essere stato attraversato da un brivido e, a quel ricordo, tornò ad avvertire un filo di gelo. Non era freddo, era una giornata serena di settembre, quanto era appena accaduto non aveva nulla a che vedere con la temperatura esterna.
Frattanto Rosalee era già entrata. Stava già girando per le stanze, Erik la sentiva fare commenti eccitati. Avrebbe dovuto essere al suo fianco, in quel momento, invece di pensare al suo incontro con un’inedita Lorelei. La raggiunse proprio nel momento in cui Rosalee entrava nella loro stanza da letto.
Si trovava al pianterreno e vi era un’ampia porta a vetri che dava sul giardino.
«Non sarà esagerato?» osservò Rosalee. «Metti che qualcuno si introduca nella proprietà, potrebbe venire a guardare dentro la camera, mentre dormiamo... o mentre facciamo altro.»
«Possiamo sempre tirare la tenda, oppure chiudere la tapparella» ribatté Erik. «Devo ammettere, però, che sarebbe molto suggestivo lasciarle entrambe aperte. Te lo immagini? Noi, al buio, con la stanza appena rischiarata dai lampioni del giardino.»
L’idea piacque a Rosalee.
«Dovremmo fare così, stanotte.»
Presero entrambi alla lettera quel proposito. L’ultima cosa che Erik vide prima di addormentarsi fu la luce di quello più vicino. Come gli capitava da ormai molti anni, gli venne meccanico coprire prima un occhio e poi l’altro. Con quello destro, la luce assumeva strane sfumature. L’infortunio gli aveva lasciato come strascico un lieve astigmatismo permanente.
Fu l’ultimo ricordo, prima di sprofondare nel sonno. Si svegliò di soprassalto udendo una specie di tonfo di natura imprecisata. Insieme a Rosalee, l’indomani, avrebbero scoperto un grosso sasso, forse lanciato contro il vetro, sul quale era visibile una crepa. Avrebbero dovuto farlo cambiare, magari sostituendolo con uno infrangibile. Fu un incidente isolato, o almeno così credevano. Di lì a qualche tempo avrebbero scoperto che era stato solo il primo di una lunga serie.