Ringrazio OrnyWinchester e Swan Song che mi stanno seguendo, per le loro recensioni, mi è piaciuto molto leggere le vostre impressioni. *-* Spero che anche questo possa essere all'altezza. Grazie di tutto. <3
[LA SCRITTA SUL MURO]
Al momento della scoperta del cadavere, Lorelei Logan vedova Pearl era morta da circa sedici ore, fu il responso del medico legale. Era stata trovata nel cortile della propria abitazione, accanto al contenuto riverso a terra della borsa che portava con sé. Nel portafoglio non vi era denaro e sul corpo non era stato trovato il braccialetto d’oro dal quale la vedova non si separava mai. Era stata colpita più volte alla nuca con un ombrello, il quale era stato lasciato sul luogo del delitto. Dopo la morte del marito, Lorelei si era trasferita in una villetta bifamiliare e il suo vicino di casa aveva asserito di essere il proprietario dell’ombrello. Come spesso accadeva, quando lo utilizzava ed era bagnato di pioggia, al ritorno del sereno lo appendeva nel cortile ad asciugarsi. Né costui né i suoi familiari erano a casa al momento del delitto e l’alibi dell’intera famiglia era stato confermato da diversi testimoni. Qualcuno, in paese, faceva pettegolezzi a proposito dell’ombrello, ma molti altri parlavano in difesa del suo proprietario, sostenendo che, quando l’aveva appeso in cortile, di certo non si aspettava che qualcuno se ne impossessasse e lo utilizzasse per spaccare la testa alla donna della porta accanto: la sua banale dimenticanza non avrebbe riguardato nessuno, se Lorelei Pearl non fosse stata assassinata, del resto chi non si era mai scordato in giro oggetti di proprietà? Non vi erano dubbi che l’ombrello potesse davvero essere stato utilizzato di recente e poi messo nel cortile ad asciugare: era piovuto spesso, ultimamente, compresa la mattina del giorno in cui era stato commesso l’omicidio.
Il delitto era avvenuto nel tardo pomeriggio, quando ormai era già buio, e la strada nella quale viveva Lorelei Pearl era poco illuminata. Non era così improbabile che un malintenzionato l’avesse assalita per rapinarla, non restava altro da fare che scoprire se l’omicidio fosse stato pianificato o se l’intenzione iniziale fosse un semplice furto. Per quanto riguardava il responsabile, non vi erano al momento iscritti nel registro degli indagati, né qualcuno aveva cercato di vendere il braccialetto rubato.
Il funerale fu celebrato in un freddo pomeriggio di dicembre ormai inoltrato, nella chiesa di Old Oak. Il prete era invecchiato parecchio, rispetto a come Erik se lo ricordava, ma era ancora lo stesso che aveva celebrato la messa di mezzanotte alla quale aveva accompagnato Val molti anni prima. Erano presenti molte persone, non certo tutti amici di Lorelei, dovevano esserci anche innumerevoli curiosi. Del resto, a Old Oak non succedeva molto di interessante. La morte di una donna ancora giovane, per giunta assassinata, aveva destato l’animo di molti ficcanaso.
Più che amici intimi - Erik non era certo che Lorelei ne avesse - erano presenti parecchi conoscenti. C’erano anche i Dove, in compagnia di Jonathan Harris. Qualcuno indicava quest’ultimo, chissà, forse con sorpresa, perché non si trovava accanto ai familiari della vedova Pearl, nonostante avesse avuto con lei una relazione.
Paul Dobson era seduto in prima fila ed Erik non riusciva a togliersi dalla testa ciò che gli aveva detto la sera in cui era passato a prendere Rosalee al negozio. Gli aveva parlato di un amore impossibile, perché non accettato dalla società, tanto che Erik aveva immaginato che avesse una relazione con un uomo e non si sentisse pronto a viverla pubblicamente per via della chiusura mentale della gente. Secondo quanto aveva affermato Hugo Kerry molti anni prima, tuttavia, Lorelei aveva un fratello ossessionato da lei. Era facilmente ipotizzabile che Erik avesse travisato, e non di poco, le parole di Dobson, il quale doveva riferirsi o a un legame incestuoso, oppure al desiderio di avere un tale legame con la sorellastra.
Non gli sfuggì nemmeno il fatto che Hugo avesse affermato, a suo tempo, di essere stato vittima di un tentato omicidio. Era possibile che ci fosse Paul Dobson dietro la morte di Lorelei? Sarebbe stato incredibile, appariva così calmo e controllato, secondo i racconti di Rosalee. Anche Erik, quando l’aveva incontrato, non aveva certo avuto l’impressione di avere a che fare con un potenziale omicida.
Hugo non c’era, o almeno Erik non lo vide. Gli venne da chiedersi se avesse saputo della morte di Lorelei, ma poi realizzò che non doveva esservi anima viva né a Old Oak né nei dintorni che non avesse sentito parlare dell’omicidio. Il nome di Lorelei Pearl era stato pronunciato continuamente non solo durante i telegiornali locali, ma anche su quelli in scala nazionale. Si era parlato di lei sui giornali e non vi era un solo angolo della strada in cui ci si potesse sentire sicuri di non incontrare qualcuno che avrebbe poi parlato del delitto Pearl.
Se Hugo non era presente in chiesa, Erik lo notò invece più tardi al cimitero. Annunciano a Rosalee che andava a salutare il giardiniere, si diresse verso Kerry. Era la prima volta che si vedevano, da quando Lorelei era stata assassinata. Non si erano nemmeno sentiti telefonicamente: Hugo gli aveva assicurato che si sarebbe messo in contatto con lui se ci fossero state delle novità, ma evidentemente non ce n’erano.
Lo stesso Kerry si scusò per il proprio silenzio: «Mi dispiace se sono sparito. Sono rimasto un po’ spiazzato da quello che è successo a Lorelei. Non me lo aspettavo. Poveretta, non si meritava certo una simile fine.»
«Già» mormorò Erik. «Sei arrivato adesso?»
«Avevo un lavoro importante da fare» rispose Hugo, come a giustificarsi. «Servivano due persone, non potevo mandare il mio operaio da solo. Mi è dispiaciuto non esserci fin dal primo momento. Non posso dire che io e Lorelei fossimo grandi amici, ma si era instaurato un rapporto di rispetto reciproco.»
Erik lo informò: «Il suo fratellastro è il proprietario del negozio in cui lavora mia moglie.»
«Paul?»
«Sì, Paul Dobson.»
«Quel grandissimo stronzo.»
«Cos’è successo esattamente tra di voi?»
Hugo minimizzò: «È una vecchia storia. Si era molto calmato, negli ultimi anni. Non faceva più proposte indecenti a Lorelei. Ma dimmi di te, hai trovato Emma Harris?»
Erik confermò: «Eccome se l’ho trovata.»
«È la donna che cercavi?»
«No.»
Hugo sospirò.
«Mi dispiace. Avrei voluto esserti utile, in qualche modo.»
«Mi sei stato utilissimo» replicò Erik. «Mi ha parlato di una ragazza che potrebbe corrispondere a quella che cerco. Pare si sia allontanata da Old Oak e che sia sposata. Vedo molto improbabile un suo coinvolgimento negli incresciosi fatti di cui ti ho parlato.»
«È capitato qualcos’altro?»
«Per ora no.»
«Quindi finalmente sei un po’ tranquillo.»
Il tono di Hugo era straordinariamente ottimista, pertanto Erik replicò: «Ho pensato più di una volta di essere tranquillo, ma non è mai stato così. Potrebbe accadere qualsiasi cosa, ormai sono pronto al peggio.»
Hugo si informò: «Cosa intendi per peggio? Cosa pensi che succederà?»
«La mia immaginazione non si spinge a questo livello» mise in chiaro Erik. «L’ultima volta è stata simulata l’apparizione di un fantasma, quindi presumo che non ci siano limiti alla fantasia.»
Non aggiunsero molto altro, Hugo si limitò ad affermare che non aveva ancora identificato alcun potenziale “fantasma” e che non era al corrente di altre ragazze che avessero posseduto cappotti bianco latte con ricami floreali rossi.
«Ho chiesto in giro, ma nessuno ha molta memoria a proposito di cappotti indossati da altre persone oltre un decennio fa.»
«Non mi aspettavo niente di diverso. Anzi, è davvero incredibile che tu sia riuscito a risalire a Emma Harris.»
«Com’è?»
«Bionda, in carne, molto alta.»
«Mi hanno detto che è nubile e pare che non abbia un fidanzato. Chissà, magari un giorno o l’altro andrò in lavanderia a vederla dal vivo.»
Erik accennò un sorriso.
«Buona fortuna.»
Si salutarono con quelle parole. Erik si guardò intorno alla ricerca della moglie. Era accanto a Kate Dove. Non c’era Raphael insieme a loro, infatti poco dopo lo vide accanto a Harrison. Paul Dobson guardava la terra che veniva gettata nella fossa, con un’espressione impassibile stampata sul volto. Ancora una volta, non dava l’idea di essere uno squilibrato, ma non bastava uno sguardo casuale per capire una persona.
Nessuno faceva caso a Erik, che ne approfittò per allontanarsi. Conosceva bene la strada, che aveva percorso innumerevoli volte. Sulla lapide fredda, svettava la fotografia di un sorridente Val. Infilata nel portaritratti, vi era una rosa nera ormai secca. Avrebbe dovuto andare a comprarne una nuova e sostituirla.
Si chinò, avvicinandosi alla foto. Rimase in quella posizione a lungo, tanto da perdere la cognizione del tempo. Tornò alla realtà soltanto quando, alle sue spalle, una voce femminile lesse: «Valentin Schell. Cosa sai di lui?»
Erik sussultò, prima di alzarsi in piedi di scatto.
«K-Kate?»
La Dove osservò, secca: «Hai l’aria di chi è appena stato colto sul fatto.»
Erik riacquisì sicurezza, nel replicare: «Colto sul fatto a fare cosa?»
«Non so, magari spiegamelo tu» suggerì Kate. «Vedo che sulla tomba di questo Valentin Schell c’è una rosa nera, come quelle che hai regalato tempo fa alla tua amante. C’è un collegamento tra le due cose?»
Erik non poté fare a meno di chiedersi se Kate fosse dotata di una fantasia smisurata, oppure se ne fosse totalmente sprovvista.
«Quale amante?»
«Sappiamo tutti come stanno le cose» insisté Kate.
«Non direi» obiettò Erik. «Ti sei fatta una certa idea e non prendi in considerazione altre teorie. Non c’è un’amante, quindi non vi sono collegamenti tra Val e la mia amante.»
«Val» ripeté Kate. «Quindi lo conoscevi?» Abbassò lo sguardo sulla lapide. «È morto nel 1982.»
«Ed era nato nel 1955. Ho avuto tutto il tempo per conoscerlo, non credi?»
«Era un tuo amico?»
«Sì.»
«E c’entra con la tua amante? Quel colore nero delle rose...»
Erik la interruppe: «Proprio non ci arrivi? Ti ho detto che era un mio amico. Trovi sulla sua tomba una rosa uguale a quelle che io ho comprato di nascosto, stando a quanto afferma tuo marito, e non ti viene da pensare che gliel’abbia portata io?»
«Oh.» Kate parve spiazzata. «Io non pensavo che...»
«Non pensavi che esistessero alternative alla presenza di un’amante, me ne sono accorto. Forse era la spiegazione che trovavi più intrigante. Dimmi, Kate, per caso la tua vita è talmente piatta da spingerti a romanzare quella degli altri?»
Kate scosse la testa.
«No, Erik, è solo che Rosalee non mi ha detto niente, né del tuo amico né delle rose. Se quando ho accennato alle rose nere fosse intervenuta, se mi avesse spiegato che le avevi portate qui, allora avrei capito.»
«Forse potrei non averle descritto nel dettaglio quali fiori porto sulle tombe dei miei amici.»
«Forse. O forse potresti non averle parlato affatto di certi tuoi amici. Chi era Valentin Schell? Rosalee è al corrente della sua esistenza?»
«Valentin Schell fa parte di un passato che per me è molto doloroso. Preferisco parlarne il meno possibile.»
«Ma Rosalee ha il diritto di sapere.»
Erik obiettò: «Siamo passati dal fatto che Rosalee avesse il diritto di sapere dell’esistenza di una mia presunta amante all’affermare che ha il diritto di sapere di Val?»
«Rosalee è tua moglie» replicò Kate. «Sono assolutamente certa che non ti nasconda nulla. Tu, però, non ti comporti allo stesso modo, con lei.»
«Io e Rosalee siamo una coppia» puntualizzò Erik. «Tu sei un’amica, ma rimani pur sempre una persona esterna. Non hai il diritto di intrometterti nei nostri affari. Non voglio essere scortese nei tuoi confronti, anzi, sono molto felice che Rosalee possa contare sulla tua amicizia. Però ho la sensazione che tu sia oltrepassando dei limiti invalicabili, Kate. Se conosco bene mia moglie, dubito che in questo momento stia sottoponendo Raphael a un interrogatorio non richiesto, così come dubito che l’abbia fatto in altre occasioni.»
Kate accennò un lieve sorriso, mentre rispondeva: «Raphael è una persona limpida e cristallina. Non sono sicura di potere dire la stessa cosa di te. Vorrei solo evitare che Rosalee andasse incontro a una delusione. Le sei piaciuto fin da subito e sarebbe la fine, per lei, scoprire che non sei come ti crede.»
«Tutti abbiamo le nostre ombre» ribatté Erik. «Chi ci ama, saprà accettarle.»
Kate insisté: «Sì, può darsi, ma è mio dovere accertarmi che Rosalee possa fidarsi di te.»
«Tuo dovere?» Erik rise, sprezzante. «Ti stai spingendo troppo oltre, Kate. Hai mai pensato che anche tu potresti apparire come poco limpida, se Rosalee scoprisse che cosa stai facendo in questo momento?»
Kate annuì.
«Può darsi che in un primo momento ci rimanga male, scoprendo che ho dei dubbi su suo marito. Alla fine, però, quando le dimostrerò che avevo ragione, capirà che ho fatto la cosa giusta.»
«Non so su che cosa pensi di avere ragione, ma temo che resterai molto delusa, alla fine» replicò Erik. «Non ho segreti.»
Kate indicò la tomba.
«A parte Valentin. O preferisci che lo chiamiamo Val?»
«Preferirei che tu non ti riferissi a lui in alcun modo» ammise Erik. «Ti ho forse seguita, per vedere se hai dei cari defunti sepolti in questo cimitero? Ti ho fatto delle domande invadenti su qualcuno di loro? Non mi risulta. Ti prego di non essere insistente. Come ti ho detto, parlare di Val mi fa stare male. Che amica sei, se non sei nemmeno capace di rispettare il dolore altrui?»
Kate sospirò.
«Va bene, me ne vado, Erik, ma sappi che non finisce qui. Scoprirò che cosa stai nascondendo e metterò in guardia Rosalee una volta per tutte.»
Gli voltò le spalle e si allontanò. Erik la lasciò andare via, chiedendosi se avrebbe parlato a Rosalee di Val. Come avrebbe potuto giustificarsi? Di certo sua moglie ricordava il nome scritto sul vetro... e se non lo ricordava, ben presto avrebbe avuto modo di rinfrescarsi la memoria: quando aveva confidato a Hugo di non sentirsi tranquillo, nonostante non fossero accaduti altri fatti dopo la presunta apparizione del fantasma di Val, non aveva mostrato un’intuizione sopraffina, ma si era limitato a mettere in conto che accadesse l’inevitabile. Ancora una volta, quando l’inevitabile accadde, lo colse di sorpresa. Chiunque ci fosse dietro, era dotato di una mente diabolica e riusciva a inventare sempre qualcosa di nuovo.
***
Se soltanto qualche settimana prima qualcuno avesse detto a Erik che avrebbe rincontrato Hugo Kerry e che questo sarebbe diventato l’unica persona capace di un minimo di empatia nei suoi confronti, l’avrebbe preso per pazzo. Era incredibile come in poco tempo tutto potesse cambiare così radicalmente e, quando la pioggia non permetteva a Hugo di lavorare, capitava spesso che si presentasse presso quella che un tempo era stata la casa dei Pearl. Nella maggior parte dei casi si limitava a un saluto veloce, oppure si rammaricava di non essere riuscito a fare colpo su Emma Harris, che gli era piaciuta fin dal primo istante. Un giorno, verso fine mese, tuttavia Erik gli chiese se potesse fermarsi più a lungo. Hugo cercò di sottrarsi e parve quasi imbarazzato nel confidargli che non aveva scoperto nulla sul ragazzo che somigliava a Val.
«Non fa niente» gli assicurò Erik. «È come cercare un ago in un pagliaio. Io, però, ho bisogno di parlare con qualcuno. Sono capitati altri fatti strani, stanotte.»
Hugo annuì.
«Capisco. Andiamo nel tuo studio?»
«È meglio. Tra poco arriverà la signora Moore per le pulizie. È meglio essere discreti.»
Salirono nello studio ed Erik si lasciò finalmente andare. Hugo conosceva, in linea di massima, i fatti accaduti dopo il funerale di Lorelei Pearl, ma non glieli aveva ancora descritti nel dettaglio. Era giunto il momento di essere completamente trasparente, sotto quel punto di vista, anche se il prezzo da pagare sarebbe stato elevato.
«Tutte le porte e le finestre erano chiuse. Non vi erano segni di effrazione. Non ho mai perso delle chiavi, né le ha perse Rosalee. Quando ho comprato la casa, ho fatto cambiare tutte le serrature, quindi nessuno dei Pearl può esserne in possesso.»
Hugo azzardò: «La donna delle pulizie?»
Erik scosse la testa.
«Sono quasi sempre in casa, nei giorni in cui deve venire. In alternativa, passava a prendere le chiavi da Rosalee al negozio, se non c’era nessuno. Le avevo proposto di tenersi una chiave del portone e una di casa, ma ha rifiutato. Sostiene che, andando in troppe cose, ha troppe chiavi e preferisce non averle a meno che non sia strettamente indispensabile.»
«Eppure deve esserci una spiegazione» obiettò Hugo.
Erik affermò: «È proprio quello che vorrei dire anch’io, ma non ne ho trovate. Mentre io e Rosalee eravamo al funerale di Lorelei, è stato il mio soggiorno a essere preso di mira, non più la finestra. C’era il nome di Val tracciato in nero sulla parete, con tutti gli schizzi rosso sangue intorno. È stato uno spettacolo terribile, ma non era niente in confronto alle grida di Rosalee. Ha iniziato a urlare che qualcosa voleva ucciderci. Non ha detto “qualcuno”, ha detto proprio “qualcosa”. Ha insistito per andarsene, sostenendo di non volere più avere niente a che fare con questo posto. Ha perfino lasciato il lavoro nel negozio del signor Dobson. Il giorno dopo era già partita per andare a casa dai suoi genitori. Le ho detto che l’avrei raggiunta per le feste di Natale e di Capodanno, ma non ha voluto. Mi ha risposto che avrebbe detto alla sua famiglia che ero troppo impegnato con il lavoro e che non potevo andare da loro. Ogni giorno ci sentiamo al telefono e la supplico di tornare, ma è troppo spaventata. Le ho proposto di vendere la casa e di comprarne un’altra. In attesa di trovarla, le ho suggerito di affittare un appartamento in centro a Old Oak, per non dovere più vivere qui. Non ha voluto sentire ragioni. Dice che chi vuole farci del male ci troverà, che vorrebbe rimanere accanto a me, ma che non se la sente. Le ho detto che avrei sporto denuncia, e credimi, ci penso seriamente ogni giorno, ma Rosalee non ha voluto sentire ragioni. Sostiene che ci sia qualcosa di non umano dietro agli attacchi e che una denuncia non può fare niente.»
Hugo sospirò.
«È una brutta storia. Se avessi una moglie e si mettesse a dire queste cose, probabilmente scoppierei a riderle in faccia.»
«Infatti non sei sposato» replicò Erik, tra i denti. «Non fraintendermi, non credo che ci sia una creatura soprannaturale che vuole fare del male a me o a Rosalee, ma capisco il suo terrore. Non ci sono spiegazioni logiche. Abbiamo controllato tutti i mazzi di chiavi, uno per uno, e non abbiamo perso nulla. Erano tutti al loro posto. Ho anche pensato ai Dove, non credo che per Kate sarebbe difficile impossessarsi delle chiavi di Rosalee quel tanto che basta per andare a farne una copia in ferramenta. L’ho vista più volte, quando le serviva qualcosa, andare a rovistare dentro la borsa di mia moglie. Le sarebbe bastato passare al negozio a salutarla per prenderle, andare a duplicarle, poi tornare al negozio con un’altra scusa e rimetterle dove le aveva prese. Rosalee non avrebbe notato nulla.»
«Immagino che tu non ne abbia parlato con tua moglie, però.»
«L’avrei fatto, se ci fosse stato un motivo sensato. Si dà il caso che, mentre noi eravamo al funerale di Lorelei Pearl, i Dove fossero entrambi nello stesso posto. Non li abbiamo mai persi di vista. Kate è perfino venuta a stanarmi davanti alla tomba di Val e a sommergermi con le sue accuse neanche troppo velate. In più, per quale motivo Kate dovrebbe terrorizzare Rosalee con scritte sui vetri e addirittura sui muri, dentro casa? Non escludo che possa avere fatto delle ricerche e scoperto che conoscevo Val, ma per quale motivo spaventare Rosalee con una storia di cui non sa niente?»
Hugo azzardò: «Magari Kate vuole che, per qualche motivo, Rosalee ti lasci. Ci hai mai pensato? Ci sono persone strane, invidiose della felicità altrui.»
«Perché dovrebbe invidiarci?» obiettò Erik. «Anche Kate è sposata e mi sembra felice. Ha un figlio che adora. Non mi sembra una persona di quel tipo. E poi era convinta che regalassi dei fiori a un’altra donna e aveva già accennato il discorso con Rosalee. Non ha più insistito, quando avrebbe potuto impacchettare la storia in modo da farla apparire credibile, se avesse avuto quell’obiettivo. Non può essere. Ho avuto più volte il sospetto di non piacerle, ma non è una ragione sufficiente per architettare un simile piano. Non ha alcun senso logico.»
«In effetti no, non ha alcun senso» replicò Hugo. «Le amiche delle donne che ho frequentato non mi hanno mai visto di buon occhio, ma si sono sempre limitate a suggerire alle mie ex fidanzate di scaricarmi e di mettersi insieme a dei buoni partiti. Niente sangue finto, niente pareti imbrattate di tempera, niente finti fantasmi che apparivano nella notte.»
«E niente campanelli che suonano nel cuore della notte, immagino» azzardò Erik.
«Nemmeno campanelli che suonavano nel cuore della notte» confermò Hugo. «Perché, è successo anche questo?»
«Già due volte, da quando Rosalee se n’è andata» rispose Erik, «L’ultima delle quali proprio la notte scorsa. Sono andato ad affacciarmi alla finestra - da quando Rosalee è andata via, dormo in una stanza al piano di sopra - per vedere chi ci fosse fuori, e c’era di nuovo quella figura spettrale, in entrambi i casi, illuminata da quella che sembrava la luce di una torcia. In tutte e due le circostanze, poi, la luce si è spenta e non è rimasto altro che una sagoma a malapena visibile.»
«Il nostro amico “fantasma” deve essersela studiata bene» osservò Hugo. «Si è messo in un punto in cui non potesse essere visto con chiarezza con le luci del tuo giardino, ma solo con quella della torcia.»
«C’è di più» gli confidò Erik. «Dato che stava proprio nella posizione ideale per essere visto dalla finestra della stanza al piano di sopra.»
«Quindi sa dove dormi.»
«Così pare.»
«Questo, però, porta di nuovo a Kate Dove.»
Erik aggrottò la fronte.
«Perché Kate Dove?»
«Immagino che tu abbia confidato a Rosalee di non dormire più nella vostra stanza, da quando se n’è andata.»
«Sì.»
«E Rosalee l’avrà sicuramente riferito alla sua amica. Da quello che mi racconti di Kate, sembra una di quelle persone che si sentono in dovere di essere informate di tutto.»
La ricostruzione di Hugo non faceva una piega: era molto probabile che Kate fosse al corrente di tutto, ma quella possibilità continuava a non convincerlo.
«Perché, però? Adesso sono da solo, Rosalee è andata via. Una mattina, parecchio tempo fa, è uscita di casa senza accorgersi del vetro imbrattato. Ho ripulito tutto, perché non volevo spaventarla. Kate non è un’oca svampita, è perfettamente in grado di credermi in grado di fare una cosa simile: fare sparire le prove, per rassicurare mia moglie che tutto sta andando bene. Ammesso che volesse allontanare Rosalee da me, non ci sarebbero motivi logici, per lei, per continuare con questa storia. Inoltre, lo ribadisco, era presente al funerale insieme a suo marito.»
«Al funerale, però, non c’era il “fantasma”.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che, per le apparizioni, c’è comunque un complice. Kate avrebbe potuto dare a lui le chiavi e incaricarlo di imbrattare il muro del vostro soggiorno. A proposito, è ancora così? Mi piacerebbe vederlo.»
Erik spalancò gli occhi.
«Secondo te ho lasciato tutto così?»
«Lo prendo per un no.»
«L’indomani sono andato a comprare della pittura bianca e ho ridipinto la parete. Non ho fatto un grande lavoro e si vede un po’ lo stacco, ma intendo chiamare un imbianchino perché renda tutto più presentabile.»
«Qualcun altro, oltre a voi, ha visto cos’era successo?»
«No. Però ti assicuro che l’abbiamo visto entrambi, con chiarezza. Né io né Rosalee siamo dei pazzi visionari, a meno che non esistano le allucinazioni in simultanea.»
Hugo chiarì: «Non sto mettendo in dubbio la veridicità di quello che mi racconti. Semplicemente, sto cercando di capire quanta gente possa essere informata di quello che sta succedendo. È tutto così assurdo...»
«Ecco, è assurdo, puoi dirlo forte!» convenne Erik. «Ti prego, aiutami. Non so come fare per convincere mia moglie a tornare a casa.»
«Puoi sempre andare tu da lei» replicò Hugo. «Dici che siete molti affiatati. Inoltre Rosalee se n’è andata perché cercava un po’ di tranquillità, non ti ha lasciato.»
«Sì, potrei andare da lei» ammise Erik. «Magari le farebbe piacere, nonostante abbia detto che non vuole che la raggiunga. Potrei passare un periodo con lei a casa dei miei suoceri, ma poi? Come andrebbe a finire? La convincerei a tornare a casa e, di punto in bianco, ricomincerebbe questo incubo. Non andrò da lei. Non ci sono stato a Natale e non ci andrò nemmeno a Capodanno. Devo fare in modo che questa storia finisca. Solo allora io e Rosalee potremo essere di nuovo felici insieme, in questa casa, oppure altrove, se dovesse scegliere di non viverci più. Mi dispiacerebbe andare via, ma la capirei, se non volesse più tornare qui.»
«Rinunceresti a questa casa per lei?»
«Rinuncerei a tutto per lei.»
Hugo accennò una risata.
«Sei sicuro che Rosalee sarebbe disposta a fare altrettanto. È scappata non appena la situazione ha iniziato ad apparirle insostenibile.»
«Non posso biasimarla, se è scappata» replicò Erik. «Da quando l’ho portata qui, non abbiamo avuto un attimo di pace. È chiaro, ormai, che mi veda come colpevole. Se solo riuscissimo a trovare il ragazzo che interpreta la parte del fantasma...»
«A questo proposito» lo informò Hugo, dal nulla, «Ho avuto un’idea. Sarà un po’ difficile andare a stanarlo, ma so in che direzione possiamo muoverci. Non troveremo mai quel ragazzo, a meno di coglierlo sul fatto, se ci limitiamo a cercare dei ragazzi che somigliano a Valentin.»
«Ovvero?»
«Si raccontavano strane cose sul tuo amico.»
«Quanto strane?»
«Non stranissime, fuori dalla norma.»
«Sii più chiaro, per cortesia.»
«Si dice che ogni tanto Valentin si allontanasse da Old Oak per un giorno o due e che andasse a portare dei soldi a una ragazza.»
«Non capisco.»
«Eppure dovrebbe essere facile fare due più due. Non hai detto tu stesso che Valentin aveva bisogno di procurarsi del denaro, ma che non ti ha mai spiegato a che cosa gli servisse?»
Erik annuì.
«Sì, proprio così. Mi disse che era un segreto e che non intendeva rivelarmelo.»
«Potrebbe essere molto semplice» osservò Hugo. «Vent’anni fa le cose funzionavano diversamente. L’idea di prendersi le piattole non spaventava tanto quanto l’AIDS. I ragazzi scopavano senza la premura di usare il preservativo. Ogni tanto concepivano un erede non pianificato. L’esistenza di un figlio spiegherebbe molte cose: da qualche parte c’era o un piccolo Valentin o una piccola Valentina e il tuo amico doveva contribuire al suo mantenimento. Riterrei più plausibile che l’erede fosse un maschietto.»
«Per quale motivo?»
«Perché potrebbe somigliare al padre al punto tale da impersonarlo.»
Erik spalancò gli occhi.
«Mi stai dicendo che sarei stato preso di mira da un figlio illegittimo di Val?!»
«Ritengo più plausibile che tu sia stato preso di mira da altri» rispose Hugo, «E che si stiamo servendo del figlio illegittimo di Valentin. Farò delle domande in giro. Andrò a cercare quel ragazzo e lo farò parlare.» Si alzò in piedi, guardando l’orologio. «Adesso devo andare, ma ne riparleremo presto.»
***
L’indomani, quando il campanello suonò alla stessa ora, Erik si disse che Hugo era tornato, magari per portare informazioni. Non si premunì di guardare chi ci fosse fuori dal cancello, premette il pulsante di apertura e, quando qualcuno si avvicinò e bussò alla porta, la aprì senza mettersi troppi pensieri.
«Hai fatto presto Kerry. Prego, entr-...»
Si interruppe di colpo. Non c’era Hugo Kerry, di fronte a lui, e aprire senza preoccuparsi di chi ci fosse dall’altra parte avrebbe potuto essere un’azione tutt’altro che intelligente. Per fortuna non era accaduto niente di irreparabile e dall’altra parte non vi era un malintenzionato. Non che la quella presenza inaspettata suggerisse nulla di buono, ma Erik preferiva non fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
«Non sono Kerry, chiunque sia» rispose Gabriel Clark. «Posso entrare lo stesso?»
«Certo, signor Clark, venga dentro.» Erik si fece da parte, per lasciare passare il suocero. «È successo qualcosa?»
Il padre di Rosalee richiuse la porta.
«Non so, vuoi spiegarmelo tu?»
«Non ho molto da spiegare» ammise Erik. «Immagino che tutto quello che c’è da sapere gliel’abbia già detto sua figlia.»
Gabriel Clark annuì.
«Rosalee mi ha detto qualche cosa, ma preferisco avere le idee più chiare.»
«Le offro qualcosa? Posso prepararle un tè.»
«Non sono venuto qui per prendere un tè.» Si diresse verso il soggiorno. «Possiamo andare a sederci?»
«Sì, certo.» Lo raggiunse all’interno della stanza e si accomodò di fronte a lui. «Rosalee sa che è qui?»
«No, e non lo deve sapere» chiarì il signorClark. «Sto cercando di capire che cosa le stia passando per la testa, ma non riesco a cavare un ragno dal buco, con lei. Ho bisogno che mi aiuti a mettere insieme tutti i pezzi.»
Erik obiettò: «Non ci sono pezzi da mettere insieme. Qualcuno ci ha presi di mira, Rosalee ha avuto paura e ha preferito allontanarsi per un po’.»
«Mentre tu, da bravo eroe, sei rimasto qui a gestire tutto da solo, senza sapere come cavartela» ribatté il signor Clark, sprezzante. «Non credo sia una buona idea.»
«Restare da solo?»
«Atteggiarti a eroe. Se non ce la puoi fare da solo, devi chiedere aiuto.»
Erik sospirò.
«Vedo che sono già stato condannato a priori.»
«Oh, no, affatto!» replicò il signor Clark. «Non sono certo qui per giudicarti. Lo sai cos’ho pensato la prima volta che Rosalee ti ha portato a casa? Che, se oltre alle tre ragazze avessi avuto un figlio maschio, avrei voluto che fosse come te. Non ho cambiato idea. Però devo capire. Rosalee dice che qualcuno vi sta imbrattando i vetri e i muri e che non ne può più. Ha paura, dice, ma non credo che stia dicendo tutto, né a me, né a sua madre, né alle altre ragazze. È per questo che sono qui. Che cosa c’è che Rosalee ci sta tenendo nascosto?»
Erik abbassò lo sguardo.
«Non è niente, possiamo cavarcela. Ho già detto a Rosalee che per me va bene andare via da questo posto.»
«Perdonami, ma mi sembra un’idea piuttosto stupida» replicò il signor Clark. «A meno che non abbiate intenzione di trascorrere il resto della vostra vita in fuga, chiunque se la stia prendendo con voi qua potrebbe farlo anche altrove.»
«Se ha dei suggerimenti migliori, la ascolto.»
«Non sono qui per suggerire. Sono qui perché voglio sapere che cosa sta succedendo e non me ne andrò finché non me l’hai detto. Se non parli da solo, sarò io a farti delle domande. Però esigo una risposta. La prima domanda è se sai il perché di questa persecuzione nei vostri confronti. O meglio, sarò più specifico: ce l’hanno con te o ce l’hanno con Rosalee?»
Erik alzò gli occhi.
«In che senso?»
«Obiettivamente mi sembra una domanda piuttosto chiara, Erik» ribatté Gabriel Clark. «Rosalee ha lasciato intendere che sia partito tutto da te, ma temo che non sia così. Non ha mai voluto parlare del dettaglio di quello che successe quando era ragazzina. Forse io e mia moglie avremmo dovuto insistere, costringerla a dirci tutto, ma non ne abbiamo avuto il coraggio. C’era di mezzo una sua cara amica. Non avremmo mai costretto nostra figlia a darci delle spiegazioni che riguardassero un’altra ragazza, sarebbe stato troppo intrusivo nei confronti di quest’ultima. Rosalee è di Old Oak, tu no. Tutto è iniziato quando siete venuti a vivere qui, mi pare di capire.»
Erik rimase in silenzio, spiazzato.
Suo suocero lo esortò: «Allora? Vuoi parlare o no? Possibile che tu non abbia niente da dire, proprio come Rosalee?»
Erik sospirò.
«Non ho idea di che cosa stia parlando, signor Clark. Mi creda, non capisco a che cosa si stia riferendo. Che cosa successe a Rosalee quando era ragazzina?»
Gabriel Clark parve molto stupito.
«Mi stai dicendo che Rosalee non ti ha mai detto nulla?»
«Non ho mai sentito a parlare di nessun fatto particolare capitato ai tempi» confermò Erik, «Non so nulla di un fatto spiacevole che riguardi Rosalee e una sua amica.»
«Forse conosci l’amica. Si chiama Kate Sheridan.»
«Sposata Dove?»
«Non conosco il cognome di suo marito. È una ragazza con i capelli rossi, ricci.»
Erik annuì.
«Kate Dove.»
«Avevano sedici anni. Un pomeriggio d’inverno, mentre tornavano a casa da scuola, sono state assalite da un gruppo di ragazzi più grandi. Rosalee ha asserito che non le hanno fatto niente, che ce l’avevano con Kate.»
«Mi perdoni se sono esplicito, ma cosa intende per assalite?» chiese Erik. «Fu un tentativo di furto, o un’aggressione fisica? O un tentativo di violenza sessuale?»
«A giudicare dal modo in cui, dopo quel momento, Rosalee si è sempre atteggiata nei confronti dell’altro sesso, mia moglie sostiene che l’ultima opzione sia quella più probabile» rispose il signor Clark. «Le abbiamo provate tutte, per convincerla a parlare, ma non c’era niente da fare. Diceva che quella gente ce l’aveva con Kate, non con lei, e che si era ritrovata in mezzo a una faccenda che non la riguardava. Eravamo tentati di parlarne con la famiglia Sheridan, ma non ce la siamo sentita. Non potevamo costringere l’amica di nostra figlia a raccontare cosa fosse accaduto.»
«Che atteggiamento aveva Rosalee nei confronti dei ragazzi?»
«Li allontanava. Ogni volta in cui qualcuno si avvicinava a lei, cercava di sfuggirgli. Non ho avuto dubbi che qualcuno dei suoi spasimanti le piacesse, ma non se la sentiva. Anche diversi anni dopo, quando le sue sorelle le chiedevano come mai non si fosse ancora trovata un fidanzato, Rosalee era sfuggente e sosteneva di aspettare quello giusto. Io e mia moglie ci siamo sorpresi molto, quando abbiamo conosciuto te.»
«Anche a me ha detto che fino a quel momento aveva sempre atteso l’uomo giusto, ma non era mai arrivato» replicò Erik. «Non ho mai dubitato che non fosse la verità.»
«Penso che un fondamento di verità ci fosse, se è arrivata a sposarti» ribatté Gabriel Clark. «Solo, credevo che ti avesse parlato di quel brutto episodio.»
«No» ribadì Erik, «Non ne sapevo niente. Come hanno fatto Rosalee e Kate a cavarsela?»
«Un tizio che non conoscevano, sentendo le loro urla, è intervenuto. Forse per paura di essere riconosciuti, gli aggressori sono scappati. Non sono mai più tornati alla carica.»
«E il loro salvatore?»
«Se n’è andato, una volta che la situazione è rientrata. A volte sentivo Rosalee e Kate che accennavano a lui, quando credevano di non essere ascoltate. Lo chiamavano il loro salvatore e lo trattavano alla stregua di un supereroe. Avrebbero voluto incontrarlo per ringraziarlo di persona, ma non avevano idea di chi fosse.»
«E non l’hanno mai trovato?»
«Chi può saperlo. Se Rosalee non ha mai parlato di questa storia neanche a te, figuriamoci se mi è mai venuta a raccontare gli sviluppi.»
«Crede che l’aggressione a Rosalee e alla sua amica abbia a che fare con quello che sta accadendo da quando ci siamo trasferiti?»
«Non lo so, non ne ho idea. Rosalee ha lasciato intendere che la “colpa” sia tua, ma non posso darlo per scontato. Non possiamo dare niente per scontato, quando si tratta di Rosalee. È bravissima a tenersi dentro tutto, non vuole essere aiutata in alcun modo. Se non può affrontare qualcosa da sola, allora scappa. L’ha fatto anche adesso.»
«Ma non era sola.»
«Rosalee ha uno strano concetto di cosa sia la solitudine.»
Erik scosse la testa con fermezza.
«No, gli attacchi non c’entrano con l’aggressione a Rosalee e Kate. È colpa mia, se si può parlare di colpa. Vuole delle risposte e sono pronto a dargliele. Ci hanno scritto un nome sul vetro e poi sul muro, simulando degli schizzi di sangue. È il nome di un mio amico, che non c’è più da molti anni. Non l’ho detto a Rosalee per non spaventarla più del dovuto.»
Il signor Clark replicò, gelido: «Rosalee è già spaventata. Il fatto che tu le stia nascondendo delle informazioni non farà altro che peggiorare le cose. Devi parlarle. Devi raccontarle tutto.»
«Cosa dovrei dirle? Che qualcuno che ce l’ha con me per chissà quale ragione ci ha presi di mira senza un motivo ben preciso? Non è qualcosa che si riesce a dire tanto facilmente.»
«Però l’hai detto a me.»
«È diverso.»
«Sì, probabilmente vedi Rosalee come una principessa da proteggere a tutti i costi, mentre io devo apparirti come quello che allontanerà la principessa da te se ti riterrò inadeguato a questo ruolo» sentenziò il signor Clark, «Quindi hai pensato di confessarmi quello che sai prima che io lo scopra da solo. È così?»
Erik avvampò.
«N-no. Io non...»
Gabriel Clark lo interruppe: «Io non voglio allontanare Rosalee da te. Anzi, desidero che tu e mia figlia siate felici insieme per tutta la vita. Il problema è che, se non siete sinceri l’uno con l’altra, probabilmente non accadrà. Siete liberi di fare quello che volete, se un giorno deciderete di separare le vostre strade non vi terrò insieme con la forza. Però si vede che vi amate. Non buttate via tutto perché qualcuno si è messo in testa di farvi del male. Parlatevi, ditevi quello che avete da dire. Non credo che i tuoi segreti siano così terribili, Erik. Dille tutto.»
«Ormai è troppo tardi» replicò Erik. «Non c’è più niente che io possa dire a Rosalee senza fare danni. Tutto ciò che posso fare è mettere fine a tutto questo.»
«E come?»
«Conosco una persona che può aiutarmi.»
«Non mi sembra che, per il momento, abbia fatto molto» obiettò il signor Clark. «Vieni da noi per un po’, Erik. Racconta a Rosalee tutto quello che le hai taciuto finora e decidete insieme cosa fare.»
«Devo lavorare.»
«Così come puoi lavorare a casa tua, puoi lavorare anche a casa mia. Per me e mia moglie sarebbe un piacere. A Capodanno verranno anche le altre ragazze, anche loro saranno felici di averti con noi.»
«Mi scusi per la schiettezza, ma essere benvoluto dai miei suoceri e dalle mie cognate non è la csa più importante, per me. Rosalee mi ha chiesto di non raggiungervi. Il minimo che posso fare è rispettare la sua volontà, specie dopo tutti i danni che ho già fatto. Quello che sta succedendo è solo colpa mia, Rosalee ha ragione.»
«E quindi vuoi darla vinta a chi ti sta tormentando?»
«No, non voglio darla vinta a nessuno. Il mio obiettivo finale è ancora essere felice insieme a Rosalee, quando questa storia sarà finita. Però prima deve finire. Non si preoccupi per me, signor Clark, me la posso cavare da solo.»
Suo suocero lo ammonì: «Cavarsela da sole era esattamente quello che volevano fare Rosalee e Kate. Non so come sia andata per la Sheridan, ma per Rosalee non credo sia stato facile. Si è chiusa in se stessa, si è preclusa a lungo occasioni di felicità... lo ribadisco, sono contento che alla fine abbia scelto te e non altri ragazzi che le stavano intorno prima, ma avrebbe rinunciato anche a te, se non fosse scattato in lei qualcosa che l’ha spinta a comportarsi diversamente.»
«Dà per scontato che la felicità si raggiunga solo attraverso il fidanzamento o il matrimonio. Magari Rosalee non la pensava così, un tempo.»
«È molto probabile che non la pensasse così, ma te l’ho già detto, sono convinto che ci fossero delle cause specifiche. Secondo me dovresti provare a parlargliene.»
«Oh, no, questo mai» precisò Erik. «Se non sarà Rosalee a tirare fuori il discorso, a raccontarmi quello che è successo, non mi metterò mai in mezzo. Non può chiedermi una cosa simile. Non ci farebbe bella figura nemmeno lei, se Rosalee scoprisse che mi ha riferito tutto.»
«Sai, Erik, penso che non sia necessario fare sempre bella figura» replicò il signor Clark. «A volte bisogna fare quello che è più opportuno, anche se lo si ritiene inadeguato. Se tu avessi parlato a Rosalee del tuo amico, adesso forse non sareste in questa situazione. Che cosa c’è di così oscuro e torbido? Perché non puoi raccontarle direttamente le cose come stanno?»
Erik sbuffò.
«E va bene, se proprio lo vuole sapere, sono almeno indirettamente responsabile della morte del mio amico. C’era una ragazza che ci piaceva, si chiamava Lorelei. Aveva qualche anno più di noi e ci appariva stupenda. Avremmo fatto qualsiasi cosa per essere presi in considerazione da lei. Per compiacerla, ho preso parte insieme a lei a una corsa automobilistica illegale. Dopo, con il nostro aiuto, Lorelei ha ordito un piano per arricchirsi tramite una scommessa, in cui io e il mio amico avremmo dovuto essere suoi complici. Quel piano è andato male per causa mia. Immagino che adesso capisca perché non posso raccontare tutto a Rosalee. E immagino anche che stia rivalutando il fatto di desiderare un figlio come me. Non...»
Gabriel Clark lo interruppe: «Aspetta un attimo. Sono un po’ troppe informazioni, da digerire tutte contemporaneamente. Se io e te non fossimo parenti, la prima cosa che ti chiederei è se quella Lorelei abbia scelto te o il tuo amico, alla fine.»
«Quella Lorelei si è sposata con un signore anziano, puntando all’eredità» chiarì Erik. «Era il proprietario di questa casa. Quando è morto, Lorelei ha deciso di vendermela. O meglio, l’ha messa in vendita e io sono arrivato a lei per caso, non sapevo che si fosse sposata con il signor Pearl, né che la precedente moglie del signor Pearl fosse morta.»
«Una vicenda davvero interessante.» Il signor Clark appariva quasi divertito. «Ho sempre avuto la sensazione che un giorno ci avresti riservato delle sorprese, ma non mi aspettavo fino a questo punto.»
«È tutto quello che ha da dire?»
«Solo che, se tu fossi stato mio figlio, probabilmente ti avrei preso a sberle molto spesso, nonostante io sia, di base, contrario alle punizioni corporali. In più, quello che mi hai raccontato la dice lunga su di te.»
«Dice che non sono adeguato per sua figlia, immagino» ribatté Erik. «Non la biasimo, se è giunto a questa conclusione.»
«Ormai mia figlia ti ha già scelto e non penso che voglia tornare indietro» mise in chiaro il signor Clark. «Non mi riferivo a questo. Parlavo piuttosto di tutto quello che eri disposto a fare per quella Lorelei. Se hai fatto tutto quel casino per una tizia che poi si è sposata con un vecchio, sei così sicuro di non potere fare niente per Rosalee?»
«Se le racconto quello che ho raccontato a lei, finirò per perderla.»
«Potrei raccontarle tutto io. Non l’hai messo in conto?»
Erik ammise: «Per me sarebbe più semplice, se lo scoprisse da qualcun altro. Glielo dica, se lo ritiene necessario.»
Il signor Clark scosse la testa.
«Glielo dirai tu, quando sarà il momento. Le racconterai tutto per filo e per segno. Prima, però, credo che tu debba scoprire chi c’è dietro.»
«È proprio quello che le ho detto di avere intenzione di fare» ribadì Erik. «Sbaglio o non mi era sembrato molto entusiasta?»
«Prima non avevo tutti gli elementi a disposizione, adesso ti sei degnato di dirmi finalmente qualcosa in più. Affermi che il tuo amico è morto anche per colpa tua. È un pensiero tuo, o c’è anche qualcun altro che potrebbe arrivare alla stessa conclusione?»
«Lorelei la pensava così.»
«Potrebbe esserci lei, dietro?»
«Lorelei è morta» chiarì Erik. «È stata assassinata, di recente.»
Gabriel Clark sbuffò.
«Ero venuto qui per cercare di convincerti a fare un passo verso mia figlia, non per ritrovarmi coinvolto nella trasposizione in vita reale di un romanzo pulp. Non oso immaginare cosa ne penserà Lockhart, quando gli riferiremo tutto questo.»
Erik aggrottò le sopracciglia.
«Lockhart?»
«È un mio conoscente» lo informò suo suocero. «Ha un’agenzia investigativa privata. Arrivati a questo punto, non vedo altre soluzioni per scoprire la verità.»
«No, la prego, signor Clark» lo supplicò Erik, «Non voglio fare questo passo. C’è una persona che mi sta aiutando.»
Gabriel Clark si alzò in piedi.
«Ti lascio dieci giorni a partire da questo momento. Dieci giorni contati, non uno di più. Se nel frattempo non avrai risolto le cose da solo, farai per filo e per segno quello che ti ho detto. Non sei nella posizione di potere rifiutare. O meglio, sei liberissimo di farlo, ma in tal caso continuerai a trovarti la casa imbrattata di sangue finto e probabilmente Rosalee si stancherà di te.»
Erik azzardò: «Non la ritiene la soluzione migliore?»
Il signor Clark chiarì: «Il fatto che tu sia un gran coglione invece che un principe azzurro senza macchia non cambia le cose. Rosalee è ancora una principessa da salvare.»