Quando rinvenne dal suo stato catatonico Tessa sentì un fastidioso dolore a schiena e gambe, dovuto per il troppo tempo passato a stare seduta sul pavimento. Si alzò a fatica, imprecando contro sé stessa per essere rimasta in quella posizione per così tanto. Si stropicciò gli occhi, ormai gonfi per le troppe lacrime versate, e si accomodò sul divanetto.
Teneva lo sguardo fisso sul camino, dove alcune braci si stavano ormai spegnendo. Una sensazione di vuoto la pervadeva, tanto da costringerla a tenere la testa abbassata. La sua mente ritornò subito al litigio con Bran, alle parole rabbiose che si erano scambiati e a come si erano lasciati nel laboratorio. Un'immagine specifica le rimase impressa, così realistica che le sembrò di riviverla una seconda volta: gli occhi dello stregone, così carichi di delusione e dolore. Ripensò alla domanda che le aveva rivolto; lei sapeva di non odiarlo, non avrebbe mai potuto. Ma quello sguardo così intenso le aveva detto un’altra cosa: non era la prima volta che si sentiva così.
Il suo stomaco brontolò con forza, protestando per l’assenza di cibo in tutte quelle ore. Sospirando, Tessa aprì leggermente la porta della sua stanza e guardò da una parte all’altra, tendendo l’orecchio per captare eventuali rumori. Ma quando si mosse nel corridoio venne accolta solo dal silenzio.
Arrivò in cucina senza incontrare né Bran né i due animali, apparecchiò velocemente la tavola e controllò nella credenza cosa ci fosse da mangiare.
«Accidenti!» si lasciò scappare: non c’era più né carne né pesce, ma solo una formaggella, alcune uova e un paio di carote. «D’accordo, niente panico» disse ad alta voce. Cercò in altre mensole, trovando burro e farina, e dietro un’altra anta trovò delle conserve sia dolci che salate.
“Chissà se le ha fatte lui o...” rifletté, lasciando la fase in sospeso. Ripensò a quando Ludovico era venuto a trovarli e alla sua scoperta che Bran rubasse il cibo. Le aveva rassicurato più di una volta che non aveva mai rubato ai contadini, rifornendosi invece dalle cucine dei nobili, e si chiese se avesse mai preso qualcosa dalla sua famiglia.
Scosse la testa, concentrandosi sui pochi ingredienti che era riuscita a reperire. Avvertì un tintinnio metallico, e alla sua sinistra trovò un coltello, un mestolo e una padella incantati.
«Non c’è molto, ma dovremmo riuscire a fare qualcosa» disse agli utensili. Cercò di ricordare, nei numerosi pasti consumati a casa, una ricetta che potesse fare al caso suo. Rimuginò parecchio, scegliendo e scartando numerosi piatti, finché non le venne un’idea: «Conoscete le crespelle?» chiese agli attrezzi. Per tutta risposta, il coltello e il mestolo si stortarono in direzioni opposte, mentre la padella si “grattò” con una presina. La ragazza si portò una mano alla fronte, trattenendo un gemito di frustrazione. Si rimboccò le maniche e prese il primo uovo: «Forza, abbiamo un pranzo da preparare!»
Dopo circa un’ora, Tessa era riuscita a cucinare una ventina di crespelle, ma si sentiva felice come se avesse preparato un pasto da dieci portate. Si pulì la mano sul grembiule, togliendosi alcune gocce di pastella, e rimirò i dischi dorati impilati uno sull’altro: «Non sono venute così male, in fondo» disse a una frusta e a un mestolo, che si mossero in avanti come a voler annuire.
Aiutata da un paio di strofinacci, la principessa pulì i banchi di lavoro e sistemò ciotole e padelle in un lavabo, che vennero immediatamente lavati. Prese il piatto di portata e lo sistemò sul tavolo, e quando alzò gli occhi trovò Bran che la guardava dalla soglia.
«Ciao...» lo salutò, avvertendo la tensione tornare di prepotenza. Fece finta di sistemare le posate, evitando di guardarlo in faccia. Sentì il tonfo dei suoi stivali farsi sempre più vicino, finché non si fermarono dall’altra parte del tavolo. «Che cos’è?» lo sentì chiedere.
Tessa alzò lo sguardo, visibilmente sorpresa. Bran stava studiando con curiosità i dischi di pasta e apparentemente non sembrava più arrabbiato, ma lei rimase comunque cauta. Gli spiegò cos’erano, sistemando sul tavolo il formaggio e le confetture, quindi si accomodarono e mangiarono in silenzio.
«Le hai fatte tu? Non sapevo sapessi cucinare» disse a un certo punto il re. Lei si pulì con un tovagliolo, annuendo appena: «Non è niente di che, mi sono solo ricordata la ricetta. Più o meno» si sminuì, guardando i bordi bruciacchiati di alcune crespelle.
«Ti sono venute bene» replicò. La ragazza accennò un sorriso, ma quando tentò di guardarlo negli occhi lui abbassò il capo, evitando il contatto diretto.
Distolse lo sguardo nel tentativo di placare i nervi, ma ad un certo punto notò una macchia scura sulla sua spalla destra: «Ti si è riaperta la ferita!» esclamò allarmata.
Bran guardò il punto incriminato, ma fece spallucce: «Non è niente, dopo mi medicherò» rispose, come se stesse parlando di un graffietto.
Lei strinse con forza la forchetta, indecisa se insistere o meno. Alla fine, la preoccupazione ebbe la meglio: «Ti sei fatto male?»
Lo stregone attese qualche secondo in silenzio, come se avesse voluto riflettere su cosa dire. Bevve un sorso d’acqua, poggiò il tovagliolo sul tavolo e finalmente rispose: «Ho aumentato i sigilli sulla porta dei sotterranei, poi sono andato a studiare i due simpaticoni che stanotte ti hanno aggredito. Deve essersi riaperta quando mi sono trasformato».
Tessa esalò un sospirò, temendo una nuova sfuriata. Invece, Bran estrasse un foglio di carta dalla sopravveste e glielo porse: «Purtroppo è l’unica cosa che sono riuscito a trovare su chi possa essere il mandante» spiegò.
Con le mani che tremavano leggermente, la giovane lo prese e scoprì che si trattava di una lettera. La lesse più volte, tentando di capire chi potesse averla scritta, ma non riconobbe la calligrafia; l’unico particolare che notò fu la firma del misterioso committente, un triangolo con la punta verso l’alto. Scosse la testa, appoggiando la missiva sul tavolo con rassegnazione. Ripensò alla scorsa notte, alla paura e alla rabbia che aveva provato a causa di quei tre mascalzoni, poi le sovvenne un inquietante particolare: «Hai detto due?»
Lui annuì: «Quello che hai colpito e quello che ho neutralizzato. Perché?»
Si sentì il sangue defluire dal viso e strinse con forza il bordo del tavolo, mentre sussurrava con orrore: «Ho... ho ucciso un uomo...»
«No! Non sei stata tu» disse Bran, cercando di rassicurarla. «L’ho trovato in un altro posto, mentre puntava verso nord. È precipitato in un burrone, tu non c’entri».
Tessa sentiva il cuore martellarle nelle orecchie, talmente batteva forte. Si alzò in fretta, facendo strusciare la sedia sul pavimento, e puntò le mani sul tavolo nel tentativo di fermare i giramenti di testa. Nella sua mente erano ritornati ricordi passati e recenti, che si sovrapponevano l’un l’altro in continuazione: bosco, animali, lupi, dolore, urla, sangue, “Scappa”...
Una voce ferma ma gentile la riportò alla realtà. Si girò di scatto verso sinistra, ritrovandosi a poca distanza da Bran.
«Va tutto bene. Non sei più in pericolo» la rassicurò, poggiandole la mano sulla spalla. La ragazza respirò a scatti, mentre i suoi occhi venivano attirati nuovamente dalla macchia di sangue rappreso: «Ti sei fatto male per colpa mia...»
Il giovane re abbassò le palpebre, e per Tessa fu una conferma dei propri timori. Distolse lo sguardo, desiderando soltanto di rinchiudersi nella sua stanza. Si allontanò da lui raggiungendo la porta con ampie falcate, ma prima che potesse varcarne la soglia si fermò per guardarlo un’ultima volta.
Bran sembrò percepire la sua presenza, tanto che le parlò dandole le spalle: «Hai ancora addosso l’abito di stanotte. Ti consiglio di farti un bagno, aiuta a rilassare la mente».
Solo in quel momento, in effetti, la ragazza notò il suo vestito sporco di terra. Si meravigliò di non essersene accorta prima, e scrollando il capo ringraziò il giovane, lasciando quindi la cucina.
*****
L'inverno stava ormai arrivando, pensò guardando fuori dalla finestra e vedendo il cielo già buio. Sistemò un altro ciocco di legno nel caminetto, poi si tolse l’abito e lo mise nel cesto dei panni sporchi. Rimase in biancheria, rabbrividendo per il contatto con l’aria fredda, quindi entrò nella stanza da bagno e chiuse il rubinetto della vasca, ormai piena. Immerse una mano per controllare la temperatura, meravigliandosi per l’ennesima volta di quell’invenzione geniale. Avvicinò alla vasca un vassoio con saponi e altri detergenti, una spugna e dei teli per asciugarsi. Riempì una brocca con altra acqua, per sciacquarsi, e fece un ultimo controllo per vedere se avesse preso tutto l’occorrente. Si chinò di fronte a un mobiletto, aprì un’antina e recuperò alcune boccette di oli profumati, prendendo quello alla lavanda.
Aprì il vasetto e la fragranza dei fiori inondò la stanza. Respirò a pieni polmoni l’essenza naturale, sentendosi già più calma, e fece cadere alcune gocce nell’acqua calda. Diede un’ultima occhiata per controllare che fosse tutto a posto, finendo per fissare la vasca incassata nel pavimento. Abbassò lo sguardo su sé stessa, e lentamente cominciò a togliere gli indumenti intimi: camicia, brache e calze furono accuratamente piegate e messe su una sedia, raggiunte dai nastri che le decoravano i capelli.
Rabbrividendo per il freddo e senza più alcuna stoffa a coprirla, scese i due gradini che portavano alla vasca e s’immerse con cautela nell’acqua calda. Si sdraiò sul fondo, facendo attenzione a non scivolare, ed esalò un lungo sospiro di contentezza. Si sistemò sul poggiatesta ricavato nel muro e chiuse gli occhi, inspirando lentamente le esalazioni di lavanda sprigionate dal calore.
Lasciò vagare la mente, perdendosi in mondi onirici più o meno bizzarri. Si sentiva leggera, accarezzata dolcemente dall’acqua, mentre correva in un campo di lavanda. Corse ancora, ridendo allegra, e si inoltrò in un bosco.
L'atmosfera cambiò immediatamente, perdendo la spensieratezza di poco prima. La foresta si ergeva minacciosa, con alberi cupi e imponenti che sembravano circondarla. Si mosse con circospezione in quel mondo grigio, sobbalzando ogni volta che sentiva un rumore improvviso. “Svegliati Tessa, svegliati!” diceva una voce lontana, forse il suo subconscio. Ma la ragazza continuò a camminare finché non giunse in uno spiazzo aperto. E il suo cuore perse un battito.
Davanti a lei stava un giovane di nemmeno vent’anni, con i capelli scuri e lo sguardo severo. Stringeva tra le mani una balestra e una freccia spezzata e gli abiti da caccia sembravano rovinati a causa di una colluttazione. Ma la cosa che più la inorridì fu la gola sporca di sangue, che aveva imbrattato il farsetto sottostante.
«Ciao, sorellina» disse in tono piatto. A Tessa si bloccò il respiro, mentre un vento freddo le provocò brividi violenti: «Ferruccio...» sussurrò a malapena.
Il fratello la squadrò dall’alto in basso, stringendo gli occhi rabbiosi: «Sei diventata grande. A differenza mia».
Lei non replicò, invece si guardò intorno per cercare una via di fuga. Ma gli alberi sembravano un muro impenetrabile che la trattennero lì. Respirò a fondo e si voltò verso il giovane, continuando a tacere.
Ferruccio le si avvicinò e la sua voce si fece man mano sempre più aggressiva: «Guarda dove sono costretto a stare per colpa tua! Guarda cosa devo sopportare!» disse, allargando un braccio per indicare la desolazione intorno a loro.
Tessa si strinse le braccia, abbassando il capo: «Mi dispiace Ferruccio, io non volevo che tu morissi».
Lui rise in modo beffardo, facendola rabbrividire: «”Non volevo” qui, “non volevo” là. Non sai fare altro che scusarti! Dovevi morire tu, quel giorno!»
Fece un passo indietro, il respiro sempre più affannoso dopo quelle parole. Intanto Ferruccio continuò ad accusarla e insultarla: «Ci saremmo tolti un peso, io sarei rimasto l’erede al trono invece di quello smidollato di Ludovico e i nostri genitori sarebbero stati fieri di ciò che avrei ottenuto... e tu hai rovinato tutto, idiota che non sei altro!»
«Smettila!» lo implorò, sull’orlo delle lacrime.
Il bosco intorno a loro era scomparso, lasciando il posto a un’atmosfera astratta e indefinita, piena di linee spezzate e suoni agghiaccianti. Il viso di Ferruccio divenne sempre più grigio e la sua pelle sempre più sottile, lasciando il posto alle ossa sottostanti fino a ridursi a uno scheletro. Un vento gelido e tagliente investì la ragazza, costringendola a schermarsi il volto; si teneva le mani sulle orecchie, mentre le grida del fratello si mischiavano ai fischi del ventaccio: «Tu porti solo dolore a chi ti sta intorno! Sei la più grande disgrazia capitata alla nostra famiglia!»
«Smettila! SMETTILA!»
«Altrimenti cosa? Ti metti a frignare?» la schernì, ormai sempre più vicino al suo viso. Un impeto di rabbia travolse la ragazza, sovrastando il dolore causato dalle parole d’odio del fratello: portò indietro il braccio e colpì quel demonio in pieno volto, distruggendolo come se fosse stato di sabbia. Lo scheletro si dissolse nell’aria, lasciando dietro di sé l’eco delle sue urla atroci.
Gridò così forte da svegliarsi, trasalendo nella vasca da bagno in modo così repentino da far sbordare un po’ d’acqua sul pavimento. Respirò con affanno, come se si sentisse mancare l’aria, e si aggrappò con forza ai bordi della vasca.
“Respira, bambina mia. Respira con calma”.
La voce di sua madre riemerse dai suoi ricordi, quando era preda degli incubi dopo la morte di Ferruccio. Ricordò le istruzioni dei medici, la canzoncina che si era inventato uno di loro per farle regolare la respirazione ed impedire che andasse in panico.
“Inspira. Uno, due. Espira. Uno, due” ripeté in silenzio, riempiendo e svuotando ritmicamente i polmoni; continuò così per parecchi minuti, aumentando di poco l’intervallo tra una respirazione e l’altra, finché non riuscì a calmarsi. Ma non fece neanche in tempo a ricomporsi che nuove lacrime le sgorgarono dagli occhi; lacrime di dolore e di colpa, passata e presente. Si spruzzò l’acqua in viso, sperando di riuscire a fermarsi, ma l'angoscia continuava ad opprimerla.
Un paio di colpi lievi alla porta, seguiti da un gracchio, la colsero di sorpresa. Si immerse fino al mento e, dopo il suo assenso, la porta si aprì di poco e Caoimhe entrò nella sala da bagno. Il corvo zampettò fino al bordo della vasca e storse la testa verso sinistra, guardando la ragazza con preoccupazione. Tessa tirò su col naso, spostandosi una ciocca dalla faccia: «Sono una persona orribile...» sussurrò, guardando davanti a sé.
L'uccello gracchiò con forza, come se avesse voluto contestare quella frase. La ragazza singhiozzò, stringendo alcune ciocche tra le mani: «Non faccio altro che portare dolore: prima Ferruccio, poi la mia famiglia con la prova, adesso Bran... Cosa c’è di sbagliato in me?»
Sentì le piume del corvo accarezzarle la guancia, come se avesse voluto asciugarle le lacrime. Sorrise a malapena, grata per quella gentilezza. Si lavò i capelli con noncuranza, con il peso della tristezza sulle spalle, e dopo aver chiesto al corvo di andarsene uscì dalla vasca.
*****
Ritornò nella camera avvolta da un ampio telo, si asciugò gli ultimi residui di acqua e si rivestì. Indossò una veste semplice ma calda e si mise un altro telo sulle spalle, sul quale adagiò la chioma umida. Si accucciò davanti al camino, voltandogli la schiena, e cominciò a pettinarsi i capelli. L'acqua impregnò man mano il telo bagnandole il dorso, ma Tessa sembrò non accorgersene, neanche quando grosse gocce caddero sul tappeto ogni volta che arrivava in fondo col pettine.
Un rumore alla porta, appena percettibile, la destò dal suo stato di apatia. Si fermò con il pettine a mezz’aria, trattenendo il fiato. Dall'altra parte della porta seguì un lungo silenzio, interrotto infine da una voce bassa: «Tessa? Posso entrare?»
Strinse con forza il pettine, avvertendo una nuova ondata di ansia minacciare di travolgerla. Fece un altro paio di respiri profondi, chiudendo gli occhi. “Non posso andare avanti così” si disse, sospirando. Schiuse le palpebre e, rilassando la presa sul pettine, fece entrare Bran.
A causa della posizione in cui si trovava, la ragazza guardò lo stregone dal basso verso l’alto mentre entrava nella stanza: si era cambiato con degli abiti più semplici e morbidi, e notò una camicia pulita al posto di quella sporca di sangue di prima. In generale appariva calmo, anche se il modo in cui torceva le dita guantate tradiva un certo nervosismo.
«Come ti senti?» le chiese. Tessa non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi e rispose con un semplice cenno del capo. Abbassò lo sguardo sulle fiamme del caminetto e il loro movimento regolare, ascoltando il crepitio del legno che schioccava per il calore.
Si passò un’altra volta il pettine sulla chioma, bloccandosi in fondo per colpa di un nodo. Tirò con forza per districarlo senza emettere neanche un lamento, perché il dolore che sentiva nel cuore era più grande. Tirò ancora più forte, rafforzando ancora di più il nodo, finché non sentì la mano del re posarsi sulla propria.
Spalancò gli occhi, sussultando per quel contatto improvviso. Girò di scatto la testa e si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Bran. Si bloccò di colpo, rimanendo come ipnotizzata dai suoi occhi argentei: non vi trovò né rabbia né rimprovero, come temeva, bensì compassione e un accenno di tristezza.
«Così ti farai solo del male» disse lo stregone, lasciandole la mano. Tessa abbassò lo sguardo, colpevole: non era forse quello il suo intento? Pagare per le sue colpe?
Non ottenendo nessuna reazione, Bran raddrizzò la schiena, rimanendo comunque seduto a terra come lei. Si portò una mano sul collo e fece un lungo respiro, poi le si rivolse con calma: «Se vuoi posso aiutarti ad asciugare i capelli».
Un guizzo di interesse illuminò gli occhi della ragazza, che sembrò ravvivarsi: «Davvero?» domandò incuriosita. Bran annuì, accennando un sorriso, ma poi sembrò colto da un lieve imbarazzo: «Solo, ecco... Ti chiedo di non guardare».
Lei acconsentì, quindi si girò con la schiena verso il giovane. Tenne lo sguardo fisso davanti a sé, aspettando con pazienza. Si immaginava forse una corrente d’aria calda, o un incantesimo che avrebbe fatto evaporare l’acqua intrappolata nelle sue ciocche. Invece si sentì irrigidire da capo a piedi, mentre il suo viso diventava dello stesso colore delle fiamme: Bran iniziò a sfiorarle i capelli con delicatezza, rilasciando un calore tenue ma costante; ma la cosa che più la scioccò fu che, per farlo, si era tolto i guanti.
Chiuse gli occhi, cercando di percepire le mani del giovane: sentì le sue dita intrecciarsi tra le ciocche, avvertì il tocco leggero dei polpastrelli sulla testa, rabbrividì d’imbarazzo quando le sfiorò per sbaglio un orecchio. Lo sentì scendere man mano dalle radici alle punte, prese una ciocca intorno al dito e guardò con meraviglia come si fosse asciugata perfettamente in pochi minuti. Sorrise appena, poi cercò di concentrarsi di nuovo sulle mani di Bran: non le era parso di notare particolari strani, almeno sui palmi. Le aveva trovate un po’ callose, sicuramente dovute ai lavori manuali che faceva quotidianamente. Si chiese se fosse veramente una questione di cicatrici, come aveva sostenuto lui in passato, e che aspetto dovessero avere per tenerle nascoste tutto il tempo.
Le venne in mente anche un’altra cosa, che forse la mise ancora più in imbarazzo: era la seconda volta che stavano così vicini. Ricordò l’episodio del laboratorio, quando gli aveva preso il viso tra le mani, e ai tempi si era quasi meravigliata della propria audacia; e l’espressione di Bran che le aveva provocato un moto di compassione.
Adesso, invece, non poté non pensare al senso di intimità di quello che stava facendo il re, alla delicatezza e alla premura che le stava mostrando nonostante il loro litigio.
Dopo circa mezz’ora i capelli di Tessa erano perfettamente asciutti. La ragazza si concesse un attimo di vanità, guardandosi in uno specchietto per ammirare il lavoro dello stregone. Lo ringraziò di cuore, vedendo che si era immediatamente rimesso i guanti.
Quest'ultimo la salutò e girò i tacchi per uscire, ma la principessa lo chiamò: «Aspetta, non andare».
Bran si fermò, guardandola con stupore. Lei si accomodò sul divanetto, tenendo lo sguardo basso: «Ti devo delle scuse per ciò che è successo» spiegò.
«Non sei l’unica» replicò lui. Tessa sollevò le sopracciglia, sorpresa da quella frase. Il giovane si sedette sul divano, a poca distanza da lei, ma nessuno dei due osò interrompere il silenzio che era calato nella stanza.
Dopo aver preso un profondo respiro, la ragazza trovò il coraggio di parlare: «Avevi ragione, non avrei dovuto fidarmi di quella voce, nonostante le sue promesse. Avrei dovuto aspettarmi che mi avrebbe causato solo guai».
Bran scosse la testa: «E io avrei dovuto avvertirti della sua esistenza e della sua malvagità» contestò.
Tessa strinse un lembo dell’abito tra le dita, ripensando ai pericoli che aveva corso per colpa di qualunque entità fosse rinchiusa nei sotterranei. Si maledisse ancora una volta per la propria ingenuità, mentre il dolore per la verità su Ferruccio le fece abbassare le spalle dallo sconforto. Il giovane re notò quel cambio di umore, e abbassò di poco la testa per guardarla in faccia: «Puoi dirmi cos’è successo nel bosco, prima che arrivassi io?»
Lei arricciò con ancora più forza la stoffa del vestito, sentendosi improvvisamente tesa. Esalò un sospiro e iniziò a raccontare di come la voce le avesse fatto vedere uno scenario falso, facendole credere di essere tornata al castello. «E poi ho visto Isabella in una bara e ho iniziato a correre. Sembrava così vero, avevo così paura... e poi un lupo bianco mi è saltato addosso, rompendo l’illusione».
Bran alzò le sopracciglia, senza però interromperla. La ragazza continuò, mettendosi una ciocca dietro l’orecchio: «In realtà era una strega di nome Vahla. Mi ha spiegato cosa mi era successo, anche se non è scesa nei dettagli. Sembrava quasi di fretta e ha detto... che io sarei stata la chiave per salvarti».
Non appena ebbe detto queste parole vide Bran fremere, anche se cercava di nascondere l’agitazione. Il giovane deglutì con difficoltà, tanto che le si rivolse con voce rauca: «Che cosa ti ha detto?»
Tessa si morse il labbro inferiore, sentendo un nuovo senso di colpa crescere in lei: «Ricordo poco o niente. Sembrava una specie di profezia, parlava di sangue, di un sacrificio e una promessa. Mi dispiace, Bran» si scusò.
Il giovane sembrò riflettere su ciò che aveva appena detto, ma poi sospirò. Accennò un sorriso, anche se un’ombra di tristezza gli attraversò le iridi: «Non fa niente» la rassicurò.
La ragazza strinse le mani a pugno, sapendo di averlo deluso un’altra volta. Incrociò le braccia e guardò distrattamente il focolare, la sua mente altrove.
«È successo qualcos’altro, non è vero?»
Chiuse gli occhi e gli riaprì, per niente sorpresa. Inspirò a fondo: «Mi ha detto che ha ucciso mio fratello. O altrimenti lui avrebbe ucciso me».
Bran si lasciò scappare un’imprecazione, incredulo. La fissò con espressione turbata, per poi abbassare lo sguardo: «Mi dispiace, dev’essere stato un duro colpo».
Tessa si sentì la gola riarsa, come se non avesse bevuto per giorni. Continuò a guardare le fiamme del camino: «Mi ha fatto rivivere quel maledetto giorno. Mi sono rivista bambina, quando...» disse, prima di venire interrotta da un singulto.
Il re la guardò con preoccupazione: «Non devi dirmelo, se non vuoi».
Lei scosse il capo con decisione: «No. È giusto che tu sappia cos’è successo, e perché mio padre odia i mutaforma».
Prese un profondo respiro, quindi iniziò a raccontare: «Ferruccio era il primogenito dei nostri genitori. Io e Ludovico non abbiamo mai avuto un rapporto molto stretto con lui, forse dovuto anche alla differenza di età. Nostro padre lo aveva istruito fina da giovanissimo nell’arte venatoria, scoprendo la sua bravura nelle armi. E forse anche questo ha contribuito a rendere il nostro rapporto più difficile».
«Era orgoglioso?» chiese Bran, ricevendo una risposta affermativa. Tessa riprese il racconto: «Il suo orgoglio divenne superbia, ma i nostri genitori non fecero mai nulla per redarguirlo. Interagiva pochissimo con Ludovico e ancora meno con me, a volte ignorandomi completamente. Le cose andarono avanti così, fino a una giornata di primavera di molti anni fa».
Si strinse il bordo di una manica, preparandosi mentalmente alla parte peggiore del suo ricordo: «Avevo sette anni. Mio padre aveva invitato il re di Gran Monte e i suoi figli a una gita per i nostri boschi, convincendo tutta la famiglia a partecipare. Ci svegliammo presto e, dopo aver marciato per ore, montammo un campo in una grande radura. Io e mio fratello giocammo con Enrico, mentre Ferruccio partì subito con i cacciatori nel bosco».
Bran fece un’osservazione: «Non gli disse di interagire con l’altro sovrano? Come erede al trono avrebbe dovuto rinforzare i legami tra i due regni».
Tessa fece spallucce: «Disse che era ancora giovane per queste cose. Aveva solo diciassette anni, preferiva divertirsi ad ammazzare animali» rispose con sdegno.
«Ad ogni modo, dopo un po’ mi ero stancata di giocare con loro due. Ad un certo punto vidi una farfalla bellissima, con delle stupende ali rosa. Sciocca com’ero, la seguii senza che nessuno mi vedesse e mi inoltrai nel bosco. Non feci che pochi passi e mi trovai di fronte a un cervo enorme, con dei palchi magnifici».
Bran ascoltava con interesse, senza interromperla. La principessa proseguì con il ricordo: «La cosa più strana fu che quell’animale mi fece la riverenza, poi mi fece una specie di cenno, come se avesse voluto che lo seguissi. E io ovviamente lo feci, andandogli dietro e addentrandomi ancora di più nel bosco. Non so quanta strada percorsi, quando a un certo punto si fermò e da dietro alcuni cespugli uscì un lupo bianco con gli occhi dorati».
A queste parole lo stregone trattenne il fiato, senza però dire nulla.
Tessa tirò su le gambe, stringendosi le ginocchia al petto: «Stranamente non provai paura. Il lupo si avvicinò sempre di più a me, fiutandomi con curiosità, poi si trasformò in una donna. Mi guardò con una strana espressione, come se avesse scoperto un tesoro nascosto. “Sei tu” mormorò, quasi emozionata. Ma all’improvviso si guardò intorno e si ritrasformò in lupo, sparendo nella foresta. E in quell’istante una freccia mi sfiorò la guancia».
D'istinto si portò la mano alla guancia sinistra, come se fosse stata lambita in quel momento: «Da dietro gli alberi apparve Ferruccio, rosso in viso. Mi incolpò di aver fatto scappare il lupo, dicendo che si sarebbe accontentato del cervo ancora lì. Lo implorai di lasciarlo stare, ma lui aveva già incoccato una freccia nella balestra. E il cervo rimaneva lì impalato, senza spostarsi. Allora lo spinsi, facendogli mancare il bersaglio, e finalmente il cervo scappò. Ma...»
S'interruppe bruscamente per colpa di un singhiozzo. Quando riprese il racconto parlò con voce incrinata: «Mi urlò delle cose orribili. Disse che ero una disgrazia, uno spreco di risorse, che per colpa mia non era più il figlio prediletto, e mi tirò uno schiaffo dove mi aveva già ferita».
Lacrime sottili le scendevano sulle guance. Se le asciugò con la manica, ma non riuscì a fermarle: «Fu così forte che mi buttò a terra. Poi lo vidi sfoderare il pugnale e alzarlo sopra la testa. “Così impari a stare al tuo posto” disse. Gridai terrorizzata, pregandolo di fermarsi, ma sembrava completamente impazzito. E quando pensavo che quella sarebbe stata la mia fine, il lupo bianco gli saltò addosso e lo allontanò da me. Rimasi immobile, le mie orecchie piene di urla e latrati, finché non sentii una voce nella mia testa che disse una sola parola: “Scappa”. E io scappai, piangendo e sanguinando, con i rami che mi graffiavano la faccia, finché alcuni cacciatori che ci avevano accompagnati non mi trovarono».
Rinunciò ad asciugarsi le lacrime, lasciandole scorrere sulle gote: «Corsi tra le braccia di mia madre, gridando che Ferruccio mi voleva fare del male. Mio padre partì subito sulle sue tracce con altri uomini. Mia madre e Ludovico cercarono di tranquillizzarmi e consolarmi, ma io ero terrorizzata che Ferruccio volesse ancora colpirmi...»
«E poi lo trovarono» disse Bran con un sussurro.
Tessa annuì, la sua voce così flebile che lo stregone dovette chinarsi verso di lei: «Ritornarono dopo un paio d’ore col suo cadavere, con il petto sporco di sangue. Mio padre disse che aveva visto una donna con gli occhi dorati e i denti insanguinati vicino a lui, per poi trasformarsi in lupo bianco davanti a loro. Mia madre era inconsolabile, così addolorata che fece sostituire il rubino che portava al dito con un’onice in segno di lutto. Io invece iniziai ad avere incubi spaventosi, ma ogni volta che dicevo che Ferruccio voleva uccidermi dicevano che... che la mia mente mi stava facendo dei brutti scherzi, che il trauma della sua morte mi faceva ricordare cose diverse».
La principessa pianse in silenzio, lasciando che le lacrime le scendessero fino al mento. Si soffiò il naso con un fazzoletto, cercando di calmarsi. Si stropicciò gli occhi, sentendosi stanca per tutto il dolore e la rabbia che aveva rivissuto per colpa del fratello defunto.
Guardò Bran, rimanendo turbata dalla sua reazione: guardava dritto davanti a sé, stringendo le mani tremanti sulle cosce.
«Bran, cosa ti succede?» chiese, visibilmente preoccupata.
Nonostante il riflesso delle fiamme, il viso dello stregone appariva più pallido del solito. Si girò lentamente verso la ragazza: «Devo dirti una cosa che mi farà odiare ancora di più da tuo padre, e anche da te».
Tessa aprì la bocca per chiedergli cosa intendesse dire, ma lui la interruppe con un gesto della mano. Inspirò profondamente, poi la guardò dritta negli occhi: «Vahla, la donna che ha ucciso tuo fratello... è mia nonna».
La ragazza rimase interdetta, incapace di reagire a quell’informazione. Stranamente non provava rabbia, ma solo una grande confusione: «Tua nonna mi ha salvato, perché io devo salvare te. Eri già prigioniero del castello?»
Colto di sorpresa dalla sua domanda, Bran impiegò qualche secondo prima di replicare: «Ormai sono anni che sono rinchiuso in questa radura. Ma... non sei arrabbiata con me?»
Lei scosse il capo: «No. Né con te né con Vahla».
Il re distolse lo sguardo, sentendosi comunque turbato. Tessa gli si avvicinò di poco, cercando di guardarlo in faccia: «Davvero Bran, non sono arrabbiata. Ho sofferto troppo tempo per colpa di Ferruccio, adesso posso lasciarmelo alle spalle».
Il giovane guardò le fiamme nel camino, perso nei suoi pensieri. Appoggiò la mano al suo fianco, senza accorgersi della vicinanza con quella di Tessa: «Vorrei poterti dire di più...» mormorò.
La ragazza gli sfiorò le dita: «Perché non lo fai?»
Lui sospirò, chiudendo gli occhi sconfitto: «Perché sono un codardo. Perché ho paura che se scoprissi la verità su di me... te ne andresti per davvero. E con tutte le ragioni del mondo».
Tessa gli si avvicinò ancora di più, la sua mano sopra quella del re: «Ho rischiato di morire, sia stanotte che anni fa. Pensi che quello che non mi hai detto sia peggio?»
Bran abbassò il capo, lasciando che la ragazza gli stringesse con affetto le dita: «Lo so che sembrerò un ipocrita, ma devi fidarti di me. E se tutto andrà bene, allora ti dirò la mia storia» le promise.
Lei sospirò, non insistendo ulteriormente. Da una parte era felice di essersi riappacificata con lo stregone, un pensiero che le tinse le gote di rosa, ma dall’altra si chiese, per l’ennesima volta, quale orribile segreto le stesse celando. E come potesse fare in modo che si aprisse con lei, abbattendo il muro immaginario che si era costruito attorno.