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Autore: whitemushroom    04/09/2024    1 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le città di mare, in fondo, erano un po’ tutte uguali.
Poteva cambiare il colore delle case, un po’ la loro forma, senza dubbio la lingua, ma in ciascuna di essa si poteva nascondere un'opportunità, se si era bravi e si sapeva come cercare.
E Randall sapeva sempre come cercare.
La cittadina in questione era fin troppo tranquilla per i suoi gusti: nelle strade di La Spezia - o Spezia, come la chiamavano i suoi abitanti - la gente non amava accalcarsi. Anche nelle ore più piene del pomeriggio, o nella piacevole frescura della brezza al porto, gli abitanti sembravano camminare il più lontano possibile l'uno dall'altro, come per paura di consumare la stessa aria. Tendevano a rivolgere a chiunque uno sguardo discreto, non severo o scrutatore come altrove, abbastanza curioso da stuzzicarlo ma non abbastanza da far incrociare gli occhi.
Nel centro della città i turisti non erano mai così tanti: li aveva visti accalcarsi più che per altro alla stazione ferroviaria, tutti con i biglietti per le Cinque Terre, compressi in una stazione che nelle ore di punta non riusciva nemmeno a contenerli tutti e li vomitava sul piazzale o sulla scalinata antistante. I locali preferivano invece passeggiare nelle vie che conducevano al porto, sotto ai portici e nei piccoli giardini pubblici, tra le gelaterie ed i locali per pranzare.
La piazza che aveva scelto per lavorare si trovava al crocevia di quattro strade in un'area pedonale ampia, dall'aria buona. Si sedette sul bordo di una fontana per prepararsi, una struttura chiamata “fontana delle vele” dove delle lastre curve e bianche dovevano ricordare proprio ciò a cui davano il nome, anche se da un paio di ragazzi del posto la aveva sentita soprannominare in maniera senza dubbio più irriverente.
Poco male, di arte non ci aveva mai capito nulla, ma aveva trovato le battute piuttosto divertenti.
Si abbottonò per bene i bottoni della giacca, grato che le temperature infernali di pochi giorni prima fossero state sostituite da qualche goccia di pioggia e da un piacevole venticello.
Odiava sudare.
Il vecchio stereo gracchiava, ma non lo aveva mai abbandonato. Aveva iniziato a pensare che fosse una sorta di portafortuna. Una stupidaggine per una persona che la fortuna le vendeva o la inventava, tagliandola su misura quando necessario, ma che non sapesse dove iniziasse la propria. Sistemò il tavolino tra le prime occhiate dei passanti, aprendolo e posizionandoci sopra una tovaglia, per poi indossare i guanti: certo, tutto il necessario era già stato preposto ben prima dello spettacolo, ma adorava sbirciare di soppiatto i futuri spettatori per indovinare le loro reazioni. Vi era una sottile gara di sguardi, di intelligenza, di pensieri che correvano tra lui e loro, una strana scacchiera che si formava nell'aria e che ogni volta lo invitava a giocare.
Un paio di bambini si avvicinò, incuriositi dal cappello a cilindro che aveva tirato fuori dalla valigia e dal cappotto con più lustrini che rattoppi. La madre si avvicinò, dicendo loro di non fare confusione e non disturbare, e fu il segnale.
Si va in scena.
“È il momento del Magico Randy, signore e signori. Non lascerete che questo pomeriggio continui senza un pizzico di magia, giusto?” gridò, alzandosi in piedi sul suo sgabellino pieghevole. La musica di inizio spettacolo uscì dallo stereo proprio in quell'istante, e con un inchino alla piazza fece roteare col dito il cappello. I primi bambini furono raggiunti da dei ragazzi più grandi, dalle facce annoiate; qualcuno tirò fuori un telefono e gli scattarono delle foto, a cui il giovane uomo rispose col suo migliore sorriso.
“Allora, iniziamo scaldando un po’ la platea con un grande classico, che ne dite?”
Si alzarono mormorii di entusiasmo, e ormai intorno a lui si erano accalcate almeno venti persone. La scatolina per raccogliere i soldi era bene in evidenza, così da far capire a tutti che contava solo sulla generosità del pubblico e non fosse a pagamento.
“Magari c'è qualche giovane che desidera darmi una mano. È faticoso lavorare da soli, sapete? Per esempio… tu!” disse, rivolto ad un ragazzo di forse dodici anni, accompagnato da una signora - probabilmente la madre molto elegante, con una borsetta firmata in pelle rosa e dei vistosi occhiali da sole nonostante la luce non fosse eccessiva. Il ragazzo designato cambiò subito espressione, illuminandosi. “Come ti chiami?”
“Matteo”.
“Matteo. Fantastico! Che ne dici di mettere un pizzico della tua magia in questo spettacolo? Qualcosa da raccontare al tuo rientro a scuola, magari!”
Lui guardò la madre, speranzoso. Quella scoccò un'occhiata al telefono, senza dubbio guardando l'ora, poi annuì. Matteo scattò come una molla verso di lui, e d'un tratto gli occhi del pubblico furono calamitati dalla sua piccola figura, garantendogli esattamente il succo di ogni buono spettacolo: qualcosa da osservare mentre il vero gioco di prestigio aveva inizio.
“Allora, Matteo. Per prima cosa voglio che guardi il mio cappello con attenzione. Tutta l'attenzione che puoi. Ovviamente sei libero di guardare se ci sia qualcosa dentro” fece. Rivolse alla madre il sorriso più charmant del suo repertorio. “Stia tranquilla, signora, è pulito”.
Quella sollevò un sopracciglio, ma restò in silenzio.
Il giovane fece esattamente tutto quello che Randall aveva già visto decine e decine di volte: scosse il cappello, se lo rigirò più volte tra le mani, poi mise il palmo dentro e prese a tastare. Grattò un po’, senza dubbio alla ricerca di un doppio fondo, avvicinandolo pure ad un paio di ragazzi della stessa età che presero ad esaminarlo in ogni modo possibile, anche sciogliendo il nastro rosso decorativo e rimettendolo in malo modo. Nella sua lunghissima carriera di mago aveva visto i bambini trovare le soluzioni più fantasiose e potenzialmente pericolose, tipo due bambine che avevano chiesto ad un loro genitore di avvicinare la fiamma di un accendino al cilindro convinte che il fuoco avrebbe rivelato delle scritte contenenti una parola magica per far apparire un coniglio. Grazie al cielo Matteo si attenne ad un copione più classico, e glielo riportò con un'espressione a metà tra il deluso e lo scettico. “Niente. Non c'è niente”.
“Infatti. Non c'è niente. Per ora” disse con un tono volontariamente provocatorio. “La vera magia inizia adesso”.
Cambiò un po’ la musica con lo stereo, poi invitò il giovane assistente a mettersi al suo posto sul banchetto, appoggiando il cappello sul tavolo per aprire una valigetta contenente una decina di boccette con sali dai vari colori. Fece scegliere a Matteo due di queste, chiedendogli di mescolarle bene davanti a lui e di concentrarsi.
Come da copione la musica aumentò d’intensità, simulando un rullo di tamburi. Nel frattempo la folla era aumentata e gli astanti sgomitavano per riuscire a vedere meglio, tutti puntati sulle mani del ragazzo che ormai si erano impiastrate di sabbia gialla e blu. “Bene, Matteo. Adesso devi pensare a Freiya, una bella coniglietta bianca come la neve. Concentrati bene, altrimenti potrebbero apparire solo degli scarafaggi!”.
Il pubblico rise, e tutti fecero un sottile passo avanti per vedere la reazione del piccolo Matteo o per catturare anche solo un frammento della sua espressione concentrata.
Gli bastò quell'istante.
In fondo il mondo si riduceva a quello, all'istante giusto.
Al sapere il come ed il quando.
Le sue dita saettarono, grazie a oltre dieci anni di allenamento serrato. Aprì il sacchetto sotto il tavolo, quello in cui aveva rinchiuso Freiya sin da prima di iniziare lo spettacolo; la afferrò per le orecchie morbide e l'animale nemmeno oppose resistenza, lasciandosi stipare nel cappello a cilindro che il prestigiatore aveva abilmente appoggiato proprio sul margine del tavolo. Coprì parte del gesto con il proprio cappotto, parte con un movimento simile ad un fluente passo di danza, tutto nel sottile battito di ciglia che legava gli astanti alla faccia tesa di Matteo.
Con nonchalance prese il cappello in mano, stavolta con la parte cava rivolta verso l'alto. “Mi è appena parso di sentire qualcosa… E se fossero scarafaggi?”
Lo scosse un po’, aspettando con pazienza che il pubblico si sganciasse dal suo assistente, per poi passargli il cilindro “Sei pronto?”
Il ragazzo sorrise e annuì.
“Allora… te la senti di dare una sbirciatina?”
Matteo non trattenne un urletto sorpreso quando la testa bianca della coniglietta emerse dal fondo, per poi darle una grattatina. Non la afferrò per le orecchie, ma con gentilezza la invitò ad uscire sul tavolo, stavolta guadagnando un'esplosione di applausi, compreso quello della madre. La donna per poco non spintonò la gente per tirare fuori il telefono dalla borsa e scattare una foto, senza più l'espressione glaciale di pochi minuti prima.
Finita l’ovazione, Matteo gli strinse una mano e il Magico Randy riprese la scena, notando con uno sguardo soddisfatto che la scatola di scarpe davanti a lui si stava riempiendo di offerte. La musica dello stereo si spostò su un ritmo più allegro, dandogli il tempo, ed il giovane mago invitò gli astanti a battere le mani a tempo mentre estrasse il suo mazzo di carte e prese a muoverle in aria, improvvisando un gioco di prestigio ed equilibrio ormai più naturale del respirare o del bere.
Alla fine il trucco era sempre uno: il come ed il quando.
Alla gente non interessava più svelare i trucchi, di fondo anche un bambino sarebbe potuto andare su Google a cercare il numero del coniglio nel cappello a cilindro. Alle persone interessava solo essere speciali: trovarsi anche solo per dieci minuti in un posto diverso, poter vedere il proprio figlio su un palco, tutti alla ricerca di qualcosa di diverso e particolare. E lui, Randall, sapeva benissimo come fare.
Al momento dell'ultimo numero la piazza si era riempita.
Prese le boccette con i sali che aveva già mostrato durante il primo trucco, se ne riempì i palmi e le lanciò in aria, creando un polverone arcobaleno; scrollò le lunghe maniche e afferrò l'accendino, poi accese la punta dei guanti ed il trucco del fuoco tra le dita fece effetto. Nell'aria dai mille colori l'apparizione delle fiammelle fu accolta da un lunghissimo applauso, e mentre Randall disegnava con le dita delle intricate lingue di fuoco il tintinnare delle monete aumentò, confermando il gradimento del pubblico di Spezia.
Terminato lo spettacolo salutò tutti, e rimase sul posto per scattarsi delle foto con i più piccoli.
Quando finì di raccogliere tutta l'attrezzatura di scena si avvicinava l'ora del tramonto, e il viavai della cittadina era ancora placido, fisso nella sua stasi che avevano in comune i posti come quello. Dalla tasca estrasse un pezzo di carota e lo allungò a Freiya, che aveva ripreso a dormicchiare nella sua gabbietta; erano diversi anni che lo accompagnava, e da un po’ di tempo si era accorto che si era fatta pigra e lenta, ed i denti iniziavano a cedere. Le diede un buffetto affettuoso tra le sbarre per esortarla a mangiare, poi si caricò le valigie e si incamminò verso il porto.
I passi lo condussero in un'area poco turistica, dove le ombre delle case si mescolavano con quelle delle navi attraccate; la banchina si perdeva per diversi chilometri e con il passare dei minuti la gente tendeva ad evitarla, e con la luce del primo autunno sempre più lieve, le saracinesche dei negozi si abbassavano.
Il ragazzo che aspettava era già lì. Certo, avrebbe potuto non presentarsi e sarebbe stata una gran bella seccatura andarlo a ritrovare per tutta Spezia, ma di solito Randall aveva un buon fiuto quando si trattava della gente.
Per la merda, poi aveva un talento particolare.
“Te lo devo riconoscere, sei forte”.
Il ragazzo - Carlo? Claudio? talvolta i nomi italiani gli sembravano tutti uguali - gli rivolse un sorrisetto spaccone. Doveva avere anche meno dei suoi anni, ma la barba lasciata incolta lo faceva sembrare più grande; gli fece cenno di seguirlo, e Randall lo seguì, appoggiando per precauzione la gabbietta di Freiya e la sua valigia da prestigiatore in un punto poco visibile.
“Era da un po’ che non mi capitava un lavoro facile” esordì, e dal marsupio che portava intorno alla vita estrasse un portafogli con almeno cinque belle banconote color arancio che facevano capolino. “Se la tipa non avesse avuto sempre in mano il telefono avrei potuto prendere pure quello”.
“La vera magia sta lì. Distrarre lo sguardo” commentò Randall. “Con suo figlio a farmi da assistente, come avrebbe potuto resistere al fargli delle foto? Ti ho aperto una strada facile facile, Carlo”.
“Mi chiamo Claudio, Randy. E, per carità, bel trucchetto e tutto, ma direi di darci una mossa”.
“Rilassati, avevo controllato quella piazza. Non c'erano telecamere” sbuffò.
L'unico limite del suo lavoro: aveva bisogno di un assistente.
E, per ovvie ragioni, i suoi assistenti non duravano molto a lungo.
Claudio gli passò il portafogli, e lui lo svuotò senza nemmeno contare le banconote, buttando l'oggetto e i documenti direttamente nelle acque del porto.
Lo sguardo dell'altro era fisso su di lui come quello di un avvoltoio, dunque decise di liberarsene. Dalla tasca del soprabito prese una dozzina di bustine che aveva avvolto in una carta di giornale, ed in ciascuna di esse si intravedevano grani di polvere bianca. Il ragazzo per poco non gliele strappò di mano per la foga, e Randall resistette all’impulso di spingere lui e tutto il prezioso carico giù nel molo. “Ricordati, questa va diluita bene. Se la inali non rende, chiaro?”
“Sì, sì, me lo hai detto” fece l'altro, imboccando una strada laterale senza nemmeno salutare o guardarlo in faccia. Randall contò rapidamente le banconote, notando con piacere che c'era anche qualcosa in più di quello che aveva adocchiato quando aveva notato la mamma di Matteo andare a prelevare al bancomat, dieci minuti prima del suo spettacolo.
Alla fine tornava sempre tutto, il come ed il quando. Tutto il resto non aveva senso, o non era il senso di cui aveva bisogno chiunque avesse bisogno di sopravvivere in quel mondo. Claudio, ad esempio, gli era sembrato subito uno che non avesse molta capacità di sopravvivere. Se avesse inalato le sue polveri, forse si sarebbe accorto che si trattava soltanto di sali da bagno e intonaco grattato.
Tornò sui suoi passi, recuperò Freiya e pigramente guardò il telefono, la sua vecchia caffettiera che nemmeno si collegava ad internet.
Se quello vibrava, c'erano novità.
Ovviamente novità interessanti.
  
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