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Autore: Shadow writer    05/09/2024    1 recensioni
"Si erano fissati in silenzio, come se fossero state rubate loro le parole. Fino a qualche settimana prima, erano stati gli amici che uscivano a passeggiare prima di sera per raccontarsi la giornata, quando il sole calava e la luce si faceva dorata, ma in quel momento si erano guardati come estranei, come se già si fossero allontanati per due vite diverse."
***
Maxine si è sempre sentita fuori posto e così, finite le scuole superiori, se ne è andata dal piccolo paese in cui è cresciuta, troncando ogni rapporto con amici e familiari. Quando la malattia del padre la costringe a tornare dopo tanti anni, le cose sono cambiate e le sembra impossibile ambientarsi di nuovo.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 15

Spirale

 
Ottobre
Max aveva sempre trovato facile odiare. Anche il disprezzo era qualcosa che trovava nelle sue corde e le risultava naturale. Eppure, non aveva mai odiato nessuno con la stessa intensità con cui aveva odiato Douglas Bellingham quel dannato venerdì sera.
Era uscita fumante dalla riunione in cui i suoi capi avevano affidato a quel damerino – chiaramente imparentato con qualcuno dei loro amici – il nuovo progetto a cui lei stava lavorando da mesi. Si era portata il lavoro a casa per settimane intere, era rimasta sveglia fino a tardi per perfezionare le sue idee solo per sentirsi dire che non volevano farla distrarre con lavoro in più e che sarebbe rimasta sul suo vecchio programma insieme a Colin Beck.
«Mettete Douglas sul programma di Beck» aveva detto Max, pronta più che mai a prendere le redini di quel nuovo progetto.
«Sei così brava a fare il tuo lavoro, cara» le aveva detto una delle manager. «Ci dispiacerebbe sottrarti al povero Colin».
Max era tornata in ufficio pronta a esplodere come un vulcano, così alcuni dei suoi colleghi più affezionati l’avevano convinta a sbollire la rabbia di fronte a un buon drink nel locale poco distante dagli uffici.
Era venerdì sera e il locale era affollato di impiegati appena usciti dall’ultimo pomeriggio di lavoro prima del fine settimana. Donne in abiti eleganti e uomini in completo chiacchieravano davanti a bicchieri di cocktail dall’aspetto invitante.
Come previsto dai suoi colleghi, l’alcol aiutò Max a sbollire la rabbia, ma ce ne vollero almeno tre bicchieri prima che la furia lasciasse il posto a un pungente ma sopportabile senso di fastidio.
«Se Douglas è davvero così incompetente come dicono» stava dicendo Helen, seduta alla sua destra, «vedrai che si auto-saboterà nel giro di un mese».
«La gente come lui ha sempre le spalle coperte» ribatté lei. «Se manda tutto a puttane gli metteranno a fianco qualcuno che farà tutto il lavoro e Douglas si prenderà il merito. Li odio questi raccomandati del cazzo».
«Li odiamo tutti, Maxine» rise Tom, che sedeva di fronte a lei. «Ma a volte bisogna affrontarli come si affronta il mal di gola. Lo sopporti per un po’ e poi un giorno ti svegli e non ti dà più fastidio».
Max bofonchiò un ringraziamento sarcastico, poi alzò il braccio per attirare nuovamente l’attenzione del cameriere.
Helen si piegò verso di lei e le sussurrò in un orecchio: «Non è meglio fermarsi al terzo drink?»
«Sto una favola» replicò lei e chiese il quarto giro al cameriere che nel frattempo si era avvicinato al tavolo.
Il nuovo cocktail andò in circolo velocemente e per qualche secondo Max smise di capire dove si trovava. Quando riprese lucidità scoprì che al tavolo erano rimaste solo lei ed Helen.
«Dove sono tutti?» chiese e la sua voce le risultò involontariamente piagnucolosa.
«Max, siamo stati qui due ore. Sono andati a casa e forse è meglio se vai anche tu».
Helen l’aiutò ad alzarsi dalla sedia e la accompagnò fino all’ingresso. Quei movimenti provocarono un annebbiamento agli occhi di Max, che riuscì a rimettere a fuoco il mondo solo quando furono in strada con un taxi fermo davanti a loro.
«Ascoltami» le stava dicendo Helen con una voce che proveniva da un altro universo. «Gli ho già detto il tuo indirizzo di casa, devi solo pagare quando arrivi, capito?»
«Tutto super chiaro, Elena, grazie» biascicò lei cercando di annuire con aria sicura di sé.
L’altra sospirò. «Mi chiamo Helen, ma non importa. Abbi cura di te, Maxine».
Lei le mostrò il pollice sollevato, poi si lasciò guidare verso il taxi e arrancò all’interno.
Si rese conto che l’autista aveva messo in moto il veicolo solo quando capì di essere ormai ad alcuni chilometri dall’ufficio.
Controllò il cellulare. Elias le aveva scritto che era arrivato al compleanno di un regista amico di Eric, mentre Thea le diceva che erano in un club in centro e avrebbero trascorso la serata lì.
«Ehi, ehi» esclamò a gran voce Max e vide l’autista sobbalzare. «Cambio di programmi, ho un nuovo indirizzo».
«Basta che non mi vomiti in auto, ragazzina» replicò lui scocciato. «Altrimenti ti lascio a piedi».
«Non preoccuparti, bello, guarda che l’alcol lo reggo bene. Dai, portami al Golden Sky».
L’uomo borbottò qualcosa che lei non intuì, ma prese la direzione indicata.
 
Il Golden Sky era un pacchiano club del centro, interamente decorato da arredi azzurro acceso o dorati. Le pareti e i soffitti erano rivestiti di specchi così che entrando si aveva l’impressione di camminare in un enorme caleidoscopio. 
Thea lo adorava – poteva vedere la sua immagine riflessa ovunque si voltasse – mentre per Max quel gioco di specchi servì solo a disorientarla più di quanto non avesse già fatto l’alcol.
Mentre camminava per il locale alla ricerca delle sue amiche, fu attratta da una macchia di arancione accanto a uno dei tavoli riservati. Strizzò gli occhi e capì che la macchia arancione era l’abito di Hannah, che stava sventolando un braccio per farsi riconoscere.
Max la raggiunse e l’abbraccio. «Grazie a Dio» le disse. «Questa è stata una giornata di merda».
«Ordina qualcosa e rilassati!» urlò Hannah nel suo orecchio con vibrante entusiasmo per sovrastare il frastuono della musica.
«Sono già ubriaca» replicò, ma l’amica non la sentì e fermò un cameriere per ordinare al posto suo.
Intontita dalla musica, Max si lasciò cadere sulla sedia libera accanto a Thea, che la salutò calorosamente con due baci sulle guance.
Per non sembrare maleducata, poi, bevve il cocktail ordinato da Hannah e, ormai priva di qualsiasi forma di libero arbitrio, seguì le sue amiche in pista. Ballare con quella quantità di alcol in corpo era un’esperienza strana, perché ogni movimento amplificava la sensazione di trovarsi sospesa nel vuoto, senza corpo e senza peso. 
Ballò per un tempo indefinito sotto al soffitto fatto di specchi, abbracciando Thea e muovendosi insieme a lei. 
Cercò Hannah nella calca intorno a loro e di nuovo riuscì a trovarla grazie al colore sgargiante del suo abito. Hannah ballava poco lontano da loro, con la schiena appoggiata al petto di un giovane alto e ben piazzato.
Max urlò in segno di sostegno – anche se l’amica non poteva sentirla – e indicò a Thea la sua scoperta che cacciò a sua volta un grido entusiasta. Hannah le guardò e dovette vedere le espressioni sui loro visi, perché sorrise, poi si voltò e baciò il giovane. Quando Hannah si staccò da lui, fu allora che Max lo riconobbe. Era Will. Il ragazzo per cui l’amica aveva sempre avuto una cotta. Il ragazzo che le aveva fatte allontanare. Max allora urlò ancora, sempre più felice per l’amica e si mise a ballare sfrenatamente.
Poco più tardi Thea le chiese una pausa, così tornarono verso il loro tavolo e Hannah ordinò una bottiglia di champagne per tutti, poi disse che sarebbe andata sistemarsi il rossetto e Thea si affrettò a seguirla a ruota. 
C’erano altre persone al tavolo, ma Will decise di sedersi accanto a Max e la salutò con due cordiali baci sulle guance.
«Come stai?» le domandò a voce abbastanza alta da sovrastare la musica.
«Una merda, tu?»
Lui rise, senza perdere il con modo elegante e principesco. «Non c’è male».
Arrivò lo champagne e Will le riempì il bicchiere. Max prese il bicchiere, ignorò il modo in cui i suoi organi si accartocciarono su se stessi all’idea di accogliere altro alcol, e ne bevve giusto un sorso.
«Hannah mi ha detto che avevate litigato» continuò Will vicino al suo orecchio.
«Già, ma adesso è tutto risolto. È una cosa nuova la vostra?».
Lui scosse il capo. «Ci stiamo frequentando da alcune settimane. Credo sia cotta di me, potrei farle fare qualsiasi cosa».
Max credette di aver sentito male e gli rivolse uno sguardo perplesso, cercando di decifrare le sue parole.
Will si piegò in avanti, avvicinandosi fin quasi a sfiorare il suo viso, e i suoi occhi azzurri brillarono di una voglia che non riuscivano a celare. «Andremo a casa mia dopo la serata, ho un appartamento poco lontano da qui. Mi farebbe molto piacere se ti volessi unire a noi».
Rallentata nelle sue facoltà, Max sgranò con lentezza gli occhi, poi lo sguardo le cadde sulle proprie gambe e si accorse in quel momento che Will aveva fatto scivolare una mano sotto all’orlo del suo vestito.
Ingoiando un crescente senso di nausea, spinse il ragazzo lontano da sé e lui rischiò di cadere dalla sua sedia.
«Vaffanculo, lei non ti merita!» gli urlò in faccia, poi prese la sua borsa e uscì a grandi passi dalla sala. La sua idea era trovare i bagni e avvertire Hannah, ma sbagliò strada e si ritrovò nel parcheggio.
Cercò di ritrovare l’ingresso, ma era troppo confusa e arrabbiata e triste, così si rassegnò a chiamare un taxi e a mandare un messaggio alle sue amiche: “Willl stronso, no buono Hnaah, non anradare casa sua”. 
 
Mentre era in taxi si era addormentata, così barcollò verso l’ascensore del suo palazzo sentendosi ubriaca e disorientata, come se qualcuno l’avesse svegliata nel cuore della notte e l’avesse costretta a precipitarsi in strada.
Nel corridoio che conduceva al suo appartamento c’era una mattonella leggermente sporgente. Lo sapeva, lo notava tutti i giorni, ma in quel momento i suoi sensi erano troppo offuscati perché potesse farci caso e così inciampò nella mattonella e franò a terra schiantando i palmi delle mani contro il pavimento gelido.
Il primo istinto fu quello di scoppiare a piangere e così fece, liberando tutta la rabbia e la frustrazione che non avevano fatto altro che accumularsi dentro di lei. Pianse perché il suo lavoro non era valorizzato. Pianse perché una persona aveva infilato una mano sotto il suo vestito senza che lei se ne accorgesse. Pianse perché si sentiva sola e voleva sua mamma. Per la prima volta non si vergognò di pensarlo. Sì, voleva sua mamma. Voleva il suo modo sbrigativo e rude di dirle le cose, ma anche il suo atteggiamento pratico quando c’era bisogno di farle capire qualcosa. Voleva che la sgridasse, che le dicesse di cambiare e che poi le preparasse la tisana e guardasse insieme a lei una commedia romantica per aiutarla a stare meglio. Le mancava sua mamma ma non riusciva a dirlo e non riusciva a pensarlo, se non sotto l’effetto dei numerosi cocktail che aveva trangugiato quella sera. Le mancava casa sua, le mancava suo padre, Carlotta e perfino suo fratello.
Pianse, accartocciata sul rigido pavimento. Non seppe dire quanto tempo passò prima che un senso di vergogna cominciasse a farsi spazio dentro di lei. Si vide dall’esterno, un corpo femminile sgraziato e volgarmente abbandonato nel corridoio di un palazzo, potenzialmente sotto agli occhi di tutti. 
Si mise seduta e si trascinò verso la parete in modo da poterci appoggiare contro la schiena, poi si mise a frugare nella sua borsa per cercare le chiavi di casa. Continuò a muovere la mano per qualche minuto, senza riuscire a trovarle, poi perse la pazienza, capovolse la borsa e si rovesciò tutto il contenuto sulle gambe. Alcuni oggetti caddero sul suo grembo, altri vi rimbalzarono contro e si sparsero per il corridoio. Un rossetto rotolò solitario, allontanandosi da lei. La colse una profonda tristezza per quel rossetto abbandonato e si sentì come lui, sola e senza nessuno che potesse aiutarla. 
Le chiavi sembravano essersi volatilizzate, ma trovò il suo telefono che – miracolosamente – era ancora carico, così aprì la rubrica e chiamò Elias, senza riuscire a frenare le lacrime che continuavano a imbrattarle il volto.
Lui rispose alla settima chiamata, quando ormai Max stava per mettersi a urlare nel corridoio dalla disperazione.
«Ehi».
La voce di Elias fu come prendere avere di nuovo ossigeno.
«Ho bisogno… di te» piagnucolò lei contro il ricevitore.
«Max…» lo sentì sospirare. «Lo sai che sono al compleanno di Hector, siamo fuori Londra».
«Chiama un taxi, ho bisogno di te» replicò lei singhiozzando.
«È successo qualcosa?»
Lei prese un respiro profondo. Come poteva la sua mente alterata spiegare in poche parole il dolore atroce che la stava mangiando dall’interno. Decise di limitarsi a dire: «Sono ubriaca, non trovo le chiavi di casa», inframmezzando alle parole singhiozzi confusi.
«Non arrivano taxi qui, Max» le disse Elias dall’altro capo del telefono. «E qui siamo tutti troppo impasticcati per guidare».
«Ma io ho bisogno di te!» urlò lei contro il telefono e poi chiuse la chiamata e riprese a piangere disperatamente.
 
Si era addormentata con la schiena contro il muro e il capo ripiegato in avanti. Se ne accorse la mattina successiva, quando la svegliò il rumore di una serratura che scattava. Sollevò le palpebre e la luce le ferì gli occhi, costringendola a chiuderli subito e ad aprirli poco alla volta.
Quando riuscì a mettere a fuoco lo spazio intorno a lei, notò una figura vestita di nero ferma davanti a lei. Fu presa dalla paura e si appiattì contro la parete, spalancando gli occhi, ma presto si rese conto che si trattava della signora O’Brien, la sua vicina.
«Che cos’è successo qui?» domandò la donna guardando gli oggetti sparsi intorno a lei con il naso storto.
Max cercò di raddrizzarsi e sentì tutto il collo indolenzito. «Non riuscivo a trovare le chiavi di casa» rispose con voce roca.
La signora fece schioccare la lingua in segno di disappunto, poi puntò il suo indice vicino a Max. «Non sono quelle?» le chiese.
La ragazza abbassò il capo e notò che le chiavi erano proprio accanto alla sua coscia destra. «Oh» disse soltanto. «Grazie».
L’altra sospirò. «Cerca di darti una ripulita, Maxine» la salutò e si allontanò indignata verso il corridoio.
 
                                                            
 
   
 
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