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Autore: Batckas    07/09/2024    0 recensioni
Il giovane allevatore Lorenzo viene arruolato per affrontare i minacciosi uomini del nord che minacciano le città vicine.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Antichità, Medioevo
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Lorenzo viveva in quel piccolo villaggio fin da quando era nato. I suoi genitori avevano un piccolo podere che aveva ereditato alla loro morte. Era un allevatore. Era bravo, infatti riforniva di carne i compaesani che, in virtù della sua gentilezza, iniziarono a riverirlo come rispettabilissimo.
Quando aveva diciassette anni, un signorotto locale giunse nel villaggio per reclutare chiunque fosse in grado di impugnare le armi. Lorenzo fu scelto per la sua prestanza fisica insieme ad altri quindici giovani. La notte precedente alla partenza, Lorenzo andò da Isabella, una fanciulla quattordicenne di cui era innamorato dal primo giorno in cui l’aveva vista due anni prima; le disse che, quando sarebbe tornato l’avrebbe sposata. Isabella pianse e giurò che lo avrebbe aspettato.

Lorenzo e i quindici del suo villaggio seguirono il signorotto locale presso la città vicina. Era la prima volta che vedevano delle mura tanto alte. All’interno del borgo scorsero mercanti intenti in affari di cui non conoscevano la natura, donne procaci che si offrivano al miglior offerente, mendicanti che sguazzavano nel fango nel menefreghismo collettivo. Il signorotto cercò di blandirli con la vita della città, disse loro che una volta finita quella battaglia, tutti loro avrebbero avuto tanti soldi da potersi permettere una vita all’interno delle mura cittadine. A Lorenzo non interessava, voleva solo tornare al suo villaggio.

Furono portati nelle caserme, spogliati dei loro indumenti giovanili e rivestiti come soldati. Il sergente del contingente, un uomo spigoloso di nome Corrado, li prese sotto le sue grinfie per una settimana. Per gli abitanti del villaggio l’addestramento non fu difficile, erano abituati a sopportare le fatiche del corpo. L’idea di dover togliere la vita a qualcuno, invece, fece fatica a penetrare i loro cervelli dedichi all’agricoltura e all’allevamento. Nessuno di loro aveva mai ucciso prima; il loro villaggio, per grazia divina e la perfetta collocazione tra le colline, non era mai stato minacciato direttamente; quindi, non avevano nemmeno mai impugnato un’arma che non fosse per andare a caccia o allontanare i lupi dalle greggi.

Corrado ebbe molto da lavorare in quei pochi giorni per convincere quei ragazzi ad uccidere senza pietà, senza pensare a Dio o alla loro coscienza. Lorenzo e gli altri non conoscevano nemmeno il volto del loro avversario.

In una di quelle notti fredde in cui Corrado li costringeva a rimanere all’addiaccio per temprarne gli spiriti, il sergente, che era sempre con loro, raccontò ai ragazzi di quando, neanche cinque anni prima, aveva dovuto affrontare in battaglia gli uomini provenienti dal nord.
“Arrivano come demoni su delle imbarcazioni veloci. Colpiscono, uccidono, depredano, violentano le nostre donne e massacrano i nostri bambini. Con la stessa rapidità con la quale arrivano, così scompaiono nel mare. Intere città saccheggiate nel giro di poche ore. Raramente si fermano a bivaccare sulle loro spoglie. Ancor meno raramente siamo stati in grado di respingerli. Affronteremo questi demoni in battaglia e devo assicurarmi che ciascuno di voi sia pronto ad affondare la propria spada nel loro cuore deviato e corrotto. Ricordate che per ogni uomo del nord che ucciderete salverete la vita ad un vecchio, una donna e un bambino.”

In città giungevano notizie sempre diverse, ma tutte avevano una costante: gli uomini del nord erano in arrivo. Alcune città vicine erano state già attaccate. Presto sarebbe toccata anche alla loro. In quei sei giorni, molti compagni di Lorenzo decisero di diventare uomini andando con le signore del luogo pagando con le poche monete che ricevevano come paga. Lorenzo li vedeva entrare in quelle case logore come gli stessi bambini con cui aveva giocato fin da piccolo, ma uscirne con sguardi diversi, come se ora fossero pronti davvero a morire perché non c’era altro nella loro esistenza che avrebbero potuto compiere. Cercarono di convincerlo, ma ogni sera lui si addormentava pensando ad Isabella.
Lorenzo, in quei giorni, quando non era vessato da Corrado, si recava presso la bottega del fabbro, il signor Marcello, impegnato con i preparativi di guerra. Era un uomo dalla profonda cultura, conosceva storie provenienti da ogni angolo della Terra. A Lorenzo ricordava il padre. Trascorreva lì le sue ore libere, aiutandolo negli affari della bottega e ascoltandolo parlare. Cosa più importante, quando Marcello aveva qualche ora libera, cercava di insegnare al povero allevatore a leggere e a scrivere. Gli diceva che un uomo non poteva dirsi libero finché non fosse stato in grado di rinchiudere il mondo che lo circondava nelle parole. I risultati in quei pochi giorni furono scarsi, ma accesero in Lorenzo il desiderio.

L’ultimo giorno d’addestramento, ai soldati in procinto di partire furono distribuiti porzioni abbondanti di cibo e di vino. “Almeno muoiono satolli”, commentava il signorotto.

L’aria era elettrica, i giovani, ormai soldati, si riunirono alle porte della città insieme agli altri. I sergenti, tra cui Corrado, osservavano orgogliosi i loro uomini. La città li salutò con omaggi e doni. Il prete celebrò una solenne messa pregando affinché il loro coraggio fosse scudo sufficiente per il popolo.

Si misero in marcia.
Parlavano tra loro nel tentativo di smorzare la paura che attanagliava i loro cuori. Lorenzo era vicino a Corrado, scrutava davanti a sé ogni ombra nella paura che ovunque si potessero nascondere i suoi nemici.
“Non preoccuparti.”, lo rassicurò Corrado. “Sono troppo grossi per potersi nascondere nel sottobosco. Quando ti attaccheranno, li vedrai bene.”
Il signorotto guidava la spedizione. Aveva accolto la richiesta d’aiuto di una città vicina. Arrivarono con l’assalto in corso.

Videro le navi di cui aveva parlato Corrado, scorsero i loro nemici nudi, macchiati del sangue di coloro che avevano già trucidato. Gridavano come ossessi e si abbattevano come furie demoniache contro i difensori della città. Il cuore di Lorenzo sobbalzò nel petto.
“Soldati! Pronti! Rendetemi orgoglioso! Ammazzateli senza pietà, sono empie bestie!”, urlò Corrado.
Il signorotto lasciò passare i soldati e restò nelle retrovie, i sergenti e i loro uomini marciarono spediti verso i tetti in fiamme.

Fu sufficiente un singolo assalto per sfaldare le linee dei soldati di Corrado e degli altri sergenti. Lorenzo sopportò la carica di un avversario, ma rovinò al suolo e ruzzolò lontano nel fango. Quando fu nuovamente in piedi, si ritrovò da solo alle spalle di una piccola abitazione che stava crollando. Cercò di capire il da farsi. All’interno scorse una donna e due bambine, si stringevano tra loro, c’era anche un uomo: nudo, alto, biondo, il corpo pitturato. Lorenzo capì.
Continuava a ripetersi che uccidere quell’essere sarebbe stato come accoppare un maiale, niente di diverso. Un colpo secco alla gola e tutto sarebbe finito.
Lorenzo si trascinò fino all’ingresso dell’abitazione, il cadavere di un uomo privo di testa giaceva immobile sull’uscio. Lorenzo si avventò sul suo nemico, le donne e le bambine urlarono, gridò anche l’avversario. Lorenzo cercò di perforargli la gola con la spada, ma la potenza del suo nemico era tale da scaraventarlo lontano. L’allevatore fu presto nuovamente in piedi, l’uomo del nord lo aggredì con foga.
“Ricordate che per ogni uomo del nord che ucciderete salverete la vita ad un vecchio, una donna e un bambino.”
Le parole di Corrado gli risuonavano in mente.
Evitò un fendente mortale, scivolò alle spalle dell’avversario, prese bene la mira. Poteva vedere le vene pulsare sul collo di quell’uomo. L’attimo dopo il ferro penetrava nella carne. Lorenzo estrasse la lama con un urlo. Il corpo possente si accasciò al suolo. Colto da una morbosa curiosità, l’allevatore lo girò sulla schiena per vederlo in volto. Gli occhi chiari scrutavano il soffitto della casa vuoti nella fissità della morte. Quegli occhi, pensò Lorenzo, che un tempo erano appartenuti ad un figlio, forse ad un marito e un padre, ora non erano più niente. Nelle sue orecchie risuonava un corno diabolico di orrore colpevole, ma quell’orrendo stridio si trasformò lievemente in un pianto sommesso, la donna e le bambine lo stavano benedicendo e ringraziando. Lorenzo strinse l’elsa della spada.
Lanciò un’ultima occhiata al cadavere.
Quegli occhi erano di un padre, di un marito o di un figlio. Ma in quel disgraziato giorno quegli occhi appartenevano ad un demonio feroce.
“Mettetevi al sicuro.”, disse Lorenzo con tono fermo.
Avvertì una strana calma, il cuore che palpitava a mille in petto gli si era placato. Quel posto, quel momento con il clangore della battaglia, gli era familiare. Era nella sua piccola abitazione al villaggio con gli animali da allevare e i lupi da cacciare. E i lupi erano uomini come lui.

Gli uomini del nord sopravvissuti deposero le armi e si dichiararono prigionieri.
Gli abitanti della città in lutto li trucidarono.
I soldati del signorotto furono trattati come eroi. Lorenzo fu portato in trionfo dai suoi stessi compagni.
Sopraggiunse la notte e una spossatezza biblica calò sui sopravvissuti.

“Il tuo dovere è compiuto, Lorenzo, ma ho visto come combatti e come ti muovi, hai un talento. Questi uomini del nord non sono gli unici che minacciano le nostre città.”, Corrado parlava lentamente. “C’è ancora molto da fare. So che altri comandanti sono alla ricerca di braccia abili. Io partirò domattina. Questa guerra non finirà soltanto perché decideremo di far finta che abbiamo vinto. Finché anche l’ultimo di quegli animali avrà vita, noi non saremo al sicuro. Le nostre famiglie non saranno al sicuro. So che probabilmente hai qualcuno che ti aspetta a casa e non ti biasimerei se decidessi di tornare. Se lo farai, promettimi che terrai sempre la guardia alta e che sarai pronto a quando gli uomini del nord torneranno. Perché fidati, Lorenzo, che torneranno.”

L’appello di Corrado non cadde nel silenzio. Lorenzo partì con lui con il cuore aggravato dalla promessa che aveva fatto ad Isabella. La campagna militare, che sarebbe dovuta durare non più di qualche mese, portò via anni. Lorenzo dimostrò il suo valore e la sua ferocia in battaglia tanto che anche gli uomini del nord iniziarono a temere la sua spada. La lama, durante una delle tante battaglie, si spezzò sulla punta. Lorenzo, tuttavia, continuò a maneggiarla e con essa ad uccidere. Quello strumento di morte, che non poteva più chiamarsi spada, diventò famigerato fra gli uomini del nord. Per coloro che combattevano al fianco dell’allevatore, invece, significava speranza.
Dopo due anni di scontri, le incursioni diventarono sempre più rare. Passò ancora un anno e le coste sembravano sicure. Lorenzo capì che era giunto il momento.
“Sergente.”
“Torni a casa?”
“Credo che il mio compito qui sia finito.”
“Torna, ma la guerra non è finita, Lorenzo, non dimenticarlo mai. Proteggi la tua famiglia e la tua casa. Promettimelo.”
“Te lo prometto, sergente.”
“Bene. È stato un onore combattere al tuo fianco.”
Si strinsero la mano e si salutarono. Corrado vide le spalle di Lorenzo allontanarsi.

Ogni sera, quando il Sole tramontava e la brezza era piacevole, Isabella si accoccolava vicino al tronco di un possente albero antistante la stradina boscosa da cui si entrava al villaggio. Ad ogni viandante sussultava. Ogni volta si allargava una piccola crepa sulla sua anima. Le sue amiche erano maritate, gli altri soldati erano tornati da ormai anni.
Era lì accoccolata quando un passante comparve dal bosco, lei aguzzò gli occhi, poi si chinò nuovamente su se stessa, delusa.
“Dove sei?”, domandò al cielo.
“Sono tornato.”, rispose una voce.
Isabella levò gli occhi verso il passante sconosciuto.
“Tu…”
Gli occhi erano tutto ciò che rimaneva del suo Lorenzo, del ragazzo di cui si era innamorata tanto tempo prima.
“Hai mantenuto la promessa.”
“Non avrei potuto fare altrimenti.”

Si sposarono, ebbero una figlia: Caterina. Trascorsero quindici anni dal ritorno di Lorenzo al villaggio e l’allevatore non dovette più sollevare la spada che, dalla lama spezzata, decorava le pareti della sua modesta abitazione.

Lorenzo tornò dalla caccia. Caterina e Isabella lo stavano attendendo all’esterno mentre badavano ai maiali e alle galline. La figlia accorse dal padre, ma fu disgustata dal puzzo nauseabondo che emanava per via delle ore spese nel fango a rintracciare la preda. Isabella, al contrario, gli baciò le labbra e si lamentò con la figlia.
“Abituati, altrimenti come farai a trovare marito?”, le diceva.
“Lo cercherò meno puzzolente di papà.”

“Come vanno gli studi?”, domandò Lorenzo alla figlia. Caterina studiava con il prete del villaggio, padre Benito, per imparare a leggere e a scrivere, conoscenze che, nonostante la sua passione, erano rimaste sempre precluse a Lorenzo.
“Procedono, ma ho paura che l’assistente del parroco sia un po’ troppo interessato a vedere cosa c’è sotto la mia gonna.”, scherzò la ragazza.
“E tu ricordagli cosa fa tuo padre come mestiere.”, rispose Isabella.
“Non ci piace l’assistente del parroco?”, chiese Lorenzo.
“Assolutamente no.”, sentenziò la moglie.
“Allora non esiste, cerca marito altrove.”, rintuzzò il padre alla figlia.

Era notte fonda quando qualcuno bussò alla porta di casa. Era padre Benito con un messaggio, Lorenzo era ricercato presso la chiesa. L’uomo, senza destare moglie e figlia, seguì il prelato fino al centro cittadino. Davanti all’altare si trovava una figura senza il braccio sinistro. Non appena la lieve luce lunare gli illuminò il volto, gli occhi di Lorenzo si sciolsero in un pianto sommesso.
“Sergente.”, chiamò abbracciandolo. “Cosa è successo?”
“È una ferita vecchia, non sono qui per questo.”
“Non hai smesso di combattere?”
“C’è sempre una nuova guerra, ascoltami. Gli uomini del nord, stanno tornando, hanno intenzione di rimanere. Corre voce che abbiano creato dei regni e che vogliano fare lo stesso qui. Non mi importa quello che dicono di loro, restano gli animali che abbiamo così aspramente combattuto. Un loro reggimento è a cinque giorni di cammino dal tuo villaggio.”
“Puoi portarmici?”

Isabella lo attendeva alla porta. Vide la figura che lo seguiva da lontano, ma non osò fare domande. Lo sguardo nel suo Lorenzo era lo stesso di tanti anni prima. Lo riempì di domande, ma non ottenne risposte. L’allevatore recuperò la sua spada dalla lama spezzata.
“Devo tenervi al sicuro.”, disse. “Tornerò.”
“Non andare via, ti prego, resta con me e Caterina.”
“Non posso. Credevo che la guerra fosse finita, ma mi sbagliavo. Mi dispiace.”
Isabella pianse, lo bagnò di baci e lacrime, ma Lorenzo uscì di casa e si perse nella notte.

Percorsero la distanza in meno di tre giorni. Il reggimento degli uomini del nord contava un centinaio di uomini in armi. Corrado e Lorenzo si mantennero nascosti.
“Qual è il piano?”, chiese il sergente.
“Ucciderli tutti.”
“Ricordi ancora come si fa?”
“Non potrei mai dimenticarlo.”

Attesero che calasse la notte. Si avventarono sui primi, addormentati, nemici. Sgozzarono e infilzarono per ore, quando una vedetta li scorse muoversi come ombre. Lanciò l’allarme. Gli uomini del nord realizzarono che molti dei loro compagni erano periti quando li scossero nel vano tentativo di svegliarli dal sonno eterno. Il terreno era zuppo di sangue. I sopravvissuti, in gran numero, si riversarono su Corrado e Lorenzo.

“Scappa, li tratterrò io!”, gridava Corrado che anche con un solo braccio lottava con la forza di un leone e l’astuzia di una serpe. Lorenzo non aveva alcuna intenzione di lasciare il sergente. Si allontanarono su una piccola altura, scagliarono pietre e dardi recuperati dai cadaveri contro i loro assalitori. I loro nemici sembravano in un numero infinito, per ogni caduto tre ne prendevano il posto.
“È la spada maledetta!”, gridò qualcuno ricordando le leggende che da quindici anni circolavano presso il suo popolo.
“È il Macellatore!”, urlarono gli uomini del nord che vedevano davanti ai loro occhi concretizzarsi un incubo tramandato nei racconti cantati davanti al fuoco.
E come bestie al macello, i nemici di Lorenzo caddero sotto i suoi temibili colpi. I pochi che scamparono alla sua ira fuggirono. L’allevatore era pronto all’inseguimento, ma un rantolio alle sue spalle lo fece desistere.
“Vai.”, disse la voce sempre più debole di Corrado.
Lorenzo si chinò su di lui.
“Sto morendo.”, confessò il sergente.
“No…”
“Devi finire la tua opera, Lorenzo. Nessuno di loro deve sopravvivere.”
“Ogni uomo del nord conoscerà il tuo nome, sergente, glielo farò supplicare quando gli strapperò il cuore dal petto, te lo giuro.”
Corrado cercò la mano di Lorenzo, gliela strinse forte, disperato alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Nei suoi occhi si lesse la disperazione quando neanche la presa del potente allevatore sembrava abbastanza forte da sostenere il peso della morte.
Corrado si spense.
Lorenzo pianse e lo seppellì in quel mare di cadaveri. Credeva che un campo di battaglia fosse il terreno di riposo ideale per un uomo che aveva dato tutto se stesso alla guerra.
“Riposa in pace, sergente.”, disse prima di riprendere il suo viaggio.

Si mise sulle tracce dei superstiti, li trovò in un accampamento poco distante dove oltre ai soldati c’erano anche donne, bambini e anziani. I sopravvissuti stavano ancora raccontando ciò che era successo, negli occhi degli ascoltatori si scorgeva un bagliore d’orrore che si diffondeva come una malattia. Per Lorenzo, invece, era un lussuoso banchetto. Spinto da una voluttà di morte bestiale, si lanciò nell’accampamento. Sgozzò i sopravvissuti. Pugnalò il ventre delle donne: gli uomini del nord non avrebbero avuto futuro una volta squartati i grembi delle loro mogli e madri.
Udì un gridolino provenire dalle viscere di una delle sue vittime.
“Basta!”, tuonò la voce del potente Harald, comandante degli uomini del nord.
Lorenzo era sordo ai suoi moniti, persisteva nel suo massacro, puntò i suoi occhi sul minaccioso nuovo avversario, lo affrontò, ma fu sconfitto e ridotto in catene.

Quando rinvenne era a casa sua, in giogo. Harald lo sovrastava con la sua stazza.
“Macellatore, hai massacrato i miei figli e figlie, mogli e mariti del mio popolo con una ferocia infernale.”
Isabella e Caterina erano davanti a lui, in lacrime, tenute ferme da mani immonde e criminali.
“Lasciatele!”, gridò Lorenzo.
“Taci, bestia!”, Harald lo colpì al volto.
Negli occhi di Isabella c’era la colpa perpetua che albergava sull’animo di Lorenzo. Era tornato di nuovo, ma aveva portato con sé l’Inferno.
“Patirai le sofferenze che hai provocato al mio popolo, e anche di più. Che la tua punizione sia di monito a tutti coloro che oseranno frapporsi sul nostro cammino. Eravamo giunti in pace, Macellatore, ma la tua lama ingiusta si è abbattuta su di noi con violenza. Il tuo castigo sarà esemplare. Che il tuo cuore arda di terrore e paura finché avrai vita, che il seme dei miei guerrieri inondi il ventre della madre della tua progenie.”
Harald fece un cenno.
“No! No! Fermi! Cani immondi, vi distruggo, vi uccido tutti! Lasciatele!”

Quel giorno stuprarono Isabella e Caterina. Gli occhi delle due donne erano fissi in quelli del marito e padre che avrebbe dovuto proteggerle.

“Tornerò, Macellatore, tornerò per essere testimone della tua dolce agonia.”

Il resto del villaggio fu lasciato intatto.

Isabella morì di parto l’anno dopo dando alla luce il figlio dei suoi violentatori. Aveva vissuto i suoi ultimi tempi in silenzio, lontana da Lorenzo e da Caterina.

La pietà del villaggio si era consumata come fuoco fatuo. Dopo i primi tempi, le voci che volevano Lorenzo responsabile dei suoi stessi mali si fecero più forti della carità provocata dagli avvenimenti. Fu lasciato solo, in uno stato catatonico di inferno personale. Caterina, la povera disgraziata, rimase al suo fianco. Lo accudiva, cercava di mantenere in piedi l’allevamento, ma invano. Con la morte della madre, senza una lacrima, accolse in casa il fratellastro. Non piangeva più da quel giorno. La sua anima e le sue lacrime si erano consumate nei grugniti dei violentatori. Sopravviveva per costringere il padre alla vita. A ricordargli, ogni volta che si guardavano, che era colpa sua.

L’avvento in casa del bambino provocò a Lorenzo grande sgomento. Gli occhi del pargolo erano quelli di Isabella. Non della ragazza di cui Lorenzo si era innamorato, ma della moglie stuprata.
Tentò di ucciderlo più volte, ma Caterina tenne il bambino sempre al sicuro. Gli diede un nome, Alessandro, e lo accudì come se fosse suo, sola, abbandonata dal villaggio e dal padre che assisteva alla vita che scorreva da un angolo della sua antica abitazione, proprio sotto la lama spezzata.
“Neanche la prendi e te la ficchi in gola.”, gli diceva Caterina guardando lo strumento di morte e tragedia. Di tanto in tanto era lei stessa a stringerne l’elsa e a puntarla contro il padre, ma la risoluzione moriva quando negli occhi dell’uomo scorgeva sollievo nella presunta morte imminente.
“No. Anche l’Inferno per te sarebbe una liberazione da questa vita infame.”

Caterina non aveva mezzi per sostenere il padre e il piccolo. Nessuno la voleva in moglie, ma sempre più curiosi si aggiravano attorno all’abitazione di Lorenzo. Caterina vedeva come la guardavano. Proprio come l’assistente del parroco. Questi, ormai adulto, fu il primo ad entrare in casa. Sbrigarono i loro affari nella camera vicina a quella dove marciva Lorenzo, dopodiché Caterina tese la mano che fu ricoperta da alcune monete. Incrociò lo sguardo perso, ma consapevole e cosciente, del padre. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma chinò il capo e si allontanò.

Trascorsero quattro anni. La peste arrivò al villaggio portando via il piccolo e gattonante Alessandro. Caterina contrasse il morbo, ma sopravvisse. Lorenzo era inviso anche alle forze distruttive della natura.

L’abitazione sempre più diroccata sopravvisse ad altri tre inverni.

Caterina stava facendo compere al villaggio, dove era guardata in cagnesco dalle donne, mentre il padre, piagato, continuava la sua esistenza. Pomeriggio freddo e senza Sole, la porta si aprì.

“Il Macellatore… vecchio e schifoso. Insignito dalla sua vita di crudeltà con un’esistenza grama e riluttante.”
Gli occhi di Lorenzo si posarono sulla voce che da decenni infestava i suoi incubi e ogni istante della sua miserevole vita. Era invecchiato, ma appariva ancora più grande di prima. Le labbra di Lorenzo si mossero in un ghigno di odiosa rabbia.
“Harald.”, ruppe un silenzio decennale in un ringhio cavernoso.
“Ti avevo promesso che sarei tornato.”
Lorenzo vide che c’era un’altra persona, un bimbo che si nascondeva dietro alla stazza del padre mentre adocchiava curioso il cadavere vivo.
“Vedi, figliolo, quest’uomo ha subito la mia punizione perché ha compiuto truci azioni contro il nostro popolo. È lui… che ha ucciso tua madre. Ti ho dovuto strappare dalle budella squarciate da questo animale. Eri ancora vivo, gridavi disperato. Sei sopravvissuto anche all’odio più puro di questa belva. Non avere paura. Guardalo, non può più farti del male. È morto il giorno in cui lo abbiamo punito.”

La porta di casa si aprì nuovamente. Caterina lasciò cadere tutto ciò che portava tra le mani. Una mela rotolò fino ai piedi di Harald che la raccolse e la porse alla donna.
“Bella come il giorno in cui ci siamo incontrati.”, sentenziò.
Caterina si immobilizzò.
Il corpo di Lorenzo vibrò nella morte.
“Lei è la figlia del Macellatore, figliolo, subì la punizione per conto del padre.”, spiegava l’uomo. “Vedi com’è bella, anche se gli anni non sono stati clementi con lei. Anche la sua vita si è spenta quel giorno. La colpa del padre è ricaduta su di lei e ricadrà su tutta la sua discendenza.”
Caterina si avvicinò a Lorenzo, colto da spasmi. I suoi occhi erano fissi in quelli della figlia.
La donna si chinò su di lui, gli baciò la fronte.
“Vendica tua moglie. Vendica tua figlia. Lava col sangue il tuo peccato e muori come il marito e il padre che non sei stato.”

Caterina si slanciò su Harald stringendo una lama nascosta. Il comandante degli uomini del nord la colpì con uno schiaffo, le strappò il coltello e la pugnalò. La donna rovinò al suolo. Lorenzo vibrò.
“Le cagne non sono mai sazie, figliolo, per questo devi imparare a tenerle a bada. Questa è tua, diventa un uomo, finché è ancora in vita.”
Caterina guardò il padre.
Un grido atavico si innalzò dal cadavere come un inno profano alla morte.
La lama spezzata si conficcò nel costato di Harald.
Il bimbo scappò via terrorizzato e piangente.
“Questo è per Isabella, per Caterina, per me.”
L’uomo del nord cadde.
La bocca spalancata nella sorpresa. Gli occhi iniettati di terrore.
Lorenzo lasciò cadere la spada.
Si trascinò da Caterina.
Le baciò la fronte.
Era pallida, fredda, tremante.
“Mi dispiace.”, disse Lorenzo.
Lei lo guardò.
Il suo sguardo era criptico quanto la morte che l’avvinghiava.
Le forze le mancarono prima di poter parlare.
Spirò.

Guardò la lama spezzata.
Sotto al cadavere di Harald si allargava una pozza scura.
Lorenzo ci immerse le mani, si toccò la fronte, si battezzò nel sangue del suo avversario.
Strinse l’elsa.
La puntò al collo.

L’inverno successivo la casa non sopravvisse alle bufere che si abbatterono sulla costa.
Caterina e Lorenzo si persero nelle storie del villaggio, ormai da tempo abbandonato e ridotto al silenzio dall’usura del tempo.
 






 
 
 
   
 
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