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Autore: EmmaJTurner    08/09/2024    7 recensioni
Una nobildonna con un segreto in fuga da un matrimonio combinato; un soldato che ha giurato di dare la vita per proteggerla.
Un low fantasy, cozy mystery romance in un piccolo ducato tra i colli assolati del 1700.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Capitolo 1 - Bess

Bess affondò le dita nella terra morbida e scaldata dal sole. Era da mezzogiorno che se ne stava inginocchiata nell’orto del convento e tirava fuori le carote con una certa soddisfazione. Alcune erano belle, longilinee, di un delicato color viola; altre bitorzolute e mangiucchiate dai vermi. Le piante sane venivano gettate in un cesto, quelle marce in un altro.

Bess si tolse il cappello di paglia e si asciugò il sudore con il palmo della mano. Lo sguardo cadde al di là delle mura, molto più in basso di lei, dove le colline verdi e gialle di campi coltivati si estendevano a perdita d’occhio. Il Convento delle Silene, ormai la sua casa da anni, era una aggraziata costruzione di pietra e mattoni che se ne stava incastonata in cima a una collina, le sue mura estese ad abbracciare quasi tutto il piccolo rilievo.

Si rimise il cappello e notò le unghie nere di terra. Ne era passato di tempo da quando la cosa più sporca che le sue dita osassero sfiorare era Biagio, il suo cagnolino da compagnia. Povero Biagio. Chissà che fine aveva fatto. Probabilmente l’aveva preso quell’arpia di sua cognata quando aveva sposato Edoardo.

Era andato tutto allo scatafascio dopo quel matrimonio. Per cominciare, Bess — Beatrice Sabrina Ginevra di Altoponte, per esteso — era stata spedita in convento. Aveva riso quando i suoi genitori glielo avevano comunicato per la prima volta. Aveva smesso di ridere quando era stata caricata a forza su una carrozza con un libro, una spazzola e due bauli di vestiti. E, soprattutto, senza il suo cane. 

Erano stati tre giorni di viaggio pieni di scossoni e di lacrime rabbiose. Per tutto il tempo Bess aveva continuato a tormentarsi sui motivi che avevano spinto i suoi a spedirla così lontano da casa; nonostante desiderasse continuare a mentire a sé stessa, aveva saputo fin da subito perché lo avevano fatto e, in fondo al suo cuore, non se la sentiva di biasimarli. Ma anche dopo cinque anni, il senso di tradimento e di abbandono non smettevano di bruciare. 

Suo fratello Edoardo, primogenito, si era sposato e avrebbe potuto finalmente avere gli eredi utili per continuare la linea di sangue; Fabrizio, secondogenito, era tornato vivo e incolume dal suo addestramento da cavaliere per poi prendere in moglie la figlia di un conte. E la piccola Bess, terzogenita, era stata soppesata e considerata una zavorra di cui sgravarsi più che una figlia con obiettivi e desideri; e “per il suo bene” era stata allontanata dagli intrighi di palazzo del piccolo ducato. 

E adesso Beatrice Sabrina Ginevra Altoponte, duchessa di Benaco, era per tutti ormai solo Bess, giovane accolita delle Silene che raccoglieva ortaggi, tutta sudata e con le unghie perennemente incrostate di terriccio.

Scosse la testa e tornò affondare le dita attorno a una radice particolarmente promettente.

Ci aveva fatto la pace, ormai, con la quella sua esistenza. Le suore non erano male, dopo aver capito chi non far arrabbiare e da chi si poteva ottenere una doppia razione di zuppa. Si mangiava poco ma bene, il clima in collina era bello, e lavorare nei giardini non era poi così pesante. In quei cinque anni di isolamento aveva imparato a gestire i suoi attacchi e, contro ogni aspettativa, perfino conosciuto piccoli sprazzi di felicità.

Fu per quello che la lettera giunse assolutamente inaspettata.

“Bess! Bess!”.

Era Margaret, una novizia minuta con il velo che le scivolava sempre via dai ricci castani e le guance arrossate dal troppo ridere e correre qua e là. Margaret era tra le più giovani lì al convento: chiacchierava durante la Preghiera Celeste, finiva spesso in punizione — di solito, a pulire il pollaio — e di rado riusciva a racimolare una seconda razione di zuppa. 

A Bess, Margaret stava simpatica. Era la sorellina che non aveva mai avuto.

“Cosa succede?”.

“C’è una lettera per te! Ha il sigillo del duca!”.

Bess si alzò e si passò le mani sul grembiule per ripulirle dai resti di terra. Margaret la raggiunse ansimando e le porse la busta. Il simbolo degli Altoponte, una rondine in volo, la fissava dal sigillo di ceralacca vermiglia. Era vero, allora: una comunicazione dalla sua famiglia.

“Che vogliono da me, adesso?” bofonchiò Bess. Non le scriveva qualcuno da Benaco da almeno sei mesi, e l’ultima volta era stato Fabrizio per informarla che stavano passando di grado i nuovi Falchi. Cosa gliene fregava, a lei, dei nuovi soldati della cavalleria? Era bloccata tra le colline a raccogliere verdure, cantare inni e allevare polli. Sapeva dove poteva ficcarseli, Fabri, i suoi cavalieri.

Stracciò il sigillo e aprì la busta.

Era la scrittura di sua madre. Man mano che scorreva le righe vergate in aggraziato corsivo, Bess sentì il cuore accelerare i battiti.

No, doveva essersi sbagliata.

Rilesse.

“Bess? Che cosa succede? Sei sbiancata”.

Deglutì. I suoi occhi si fissarono su una parola particolare. 

“Bess?”.

“Mag. Puoi portare dentro le carote per me, per favore?”.

“Cosa? Io… certo. Bess, va tutto bene?”.

Ma Bess non la sentiva più. Con la lettera stretta nel pugno chiuso, superò l’amica e attraversò i giardini aromatici fino al convento. Una volta dentro, nonostante il divieto di utilizzare le proprie cellette durante gli orari di veglia, Bess chiuse la porta e si appoggiò al battente.

Nella mezz'ora seguente rilesse la lettera fino a che le frasi non le si accavallarono davanti agli occhi. 

… sacro vincolo del matrimonio…

… lord Devon di Collenero…

… data da stabilire entro la fine del mese di luglio… 

Sposata? Lei? Il mese prossimo? Con lord Devon chi?

Era per questo che in tutti quegli anni non le avevano mai fatto prendere i voti religiosi, tenendola nel limbo dello stato di novizia? Nell’eventualità che spuntasse un pretendente da una buca del terreno e la chiedesse in sposa?

Ma come si permettevano di comunicarle una cosa tanto enorme come se fosse già cosa fatta, senza nemmeno chiedere la sua opinione al riguardo?

Fu tentata di fare una palla di quel pezzo di carta e di gettarlo nel fuoco. Avrebbe avuto grande soddisfazione nel vederlo accartocciarsi fino a diventare cenere. Ma che utilità avrebbe avuto? Se non avesse risposto, sarebbe arrivata una seconda lettera. E poi una terza. E infine, eventualmente, una delegazione a cavallo sarebbe venuta a recuperarla per trascinarla, volente o nolente, davanti all’altare.

No, ignorare non sarebbe stato sufficiente. Se si fosse limitata a ignorare, il destino sarebbe venuta a prenderla. 

Stese la lettera sull’inginocchiatoio, la ripiegò con cura e la infilò nella tasca del grembiule. 

Qui serviva un piano.

***

Matrimonio?”.

Mag, per la prima volta seria in volto, la guardava con occhi spalancati e circospetti. Si erano infilate dietro il pollaio, fingendo di raccogliere le uova delle porticine mobili, con i cappellini di paglia calati bassi sulla fronte per nascondere i visi concitati.

“Così dice la lettera di mia madre. Entro il mese prossimo”.

“Ma possono farlo? Lui chi è?”. Mag infilò una mano nella prima porticina e si mise a frugare nella paglia.

“Non lo conosco. Mai sentito nominare”.

Mag si bloccò. “Ma non possono obbligarti! E se fosse un vecchio bavoso? Non puoi sposare un vecchio, Bess”.

Bess guardò l’espressione inorridita dell’amica e le venne da ridere e piangere insieme. “Hanno già scelto loro per me. Verranno a prendermi” constatò abbacchiata.

“Quando?”. Mag estrasse un uovo ricoperto di piume e paglia e lo infilò nel cestino che teneva agganciato al gomito. 

“Non c’è scritto. Ma presto, temo”.

La missiva non citava nessuna data specifica per il suo prelievo. Bess pensò che fosse stato fatto di proposito, in modo da non darle il tempo di organizzare una fuga a regola d’arte. Per quel che ne sapeva, sarebbero potuti arrivare l’indomani.

Mag richiuse la porticina di scatto. Le galline sussultarono e frullarono le ali infastidite. “È così ingiusto! Non c’è niente che puoi fare?”.

Bess scosse la testa.

“Puoi prendere i voti di nascosto?”.

“Le Silene non me li hanno concessi finora, non vedo perché adesso dovrebbe essere diverso”.

“Allora devi fuggire” dichiarò Mag. 

“Per andare dove? Non ci sono che campi e colline fino all’orizzonte”.

L’espressione di Mag si fece sempre più contrita. “Non possono farti questo. Non è giusto”.

“Lo so”. La voce minacciava di spezzarsi. Era stata felice, al convento. Era riuscita a rifarsi una vita semplice. Perché allora quel matrimonio? Perché proprio in quel momento? Bess incassò la testa tra le spalle.

L’altra giovane novizia aprì la seconda porticina, raccolse un uovo e lo fissò sconsolata. “Ma come farò io senza di te? Le bisbetiche mi metteranno in punizione ogni giorno”.

Controvoglia, Bess accennò un sorriso. “Devi smetterla di farti beccare mentre rubi romanzi dalla biblioteca”.

“Sei il mio palo. Senza di te non avrò più libri e morirò di noia” la accusò sconsolata.

Bess le prese l’uovo dalle mani e lo ripulì con il grembiule. “Non morirai. Io, invece, probabilmente dovrò buttarmi giù dalla torre prima della notte di nozze”.

Gli occhi di Mag si fecero enormi. “Non dirlo nemmeno per scherzo!”.

“Neanche se è un vecchio?”.

Per un attimo l’amica parve combattuta. “Eh, se un vecchio potrei capirti. Ma non sarà così vecchio, no? I tuoi genitori avranno pensato alla tua felicità”.

“Certo” rispose Bess con un sarcasmo tanto denso di appiccicarle la lingua al palato. 

Mag, ignara, le concesse il suo sorriso più radioso. “Forse non sarà così male, allora. Perlomeno non dovrai più raccogliere carote”.

“O lavare i pavimenti”.

“O svuotare i pitali”.

“O pulire le cacche dei polli”.

“O guardare sorella Jenna mentre si addormenta nella ciotola della colazione”.

“Quello mi mancherà” concesse Bess. “Tu mi mancherai”.

“Tu mi mancherai di più”.

Infilò l’uovo nel cestino di vimini dell’amica. “Troverai un altro palo per rubare i tuoi libri, te lo prometto”.

Mag le diede un pugno sulla spalla. “Lo sai che non è per quello”.

La bocca di Bess di piegò in un sorriso un po’ triste. “Lo so”.

Suonò la campana del refettorio. Era ora di cena.

“Andiamo a mangiare. Poi penseremo a qualcosa” suggerì Mag fiduciosa.

Bess annuì e ammirando — forse per l’ultima volta? — il giardino alle sue spalle, si lasciò trascinare verso il convento.

   
 
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