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Autore: PrimPrime    11/09/2024    0 recensioni
Ambientata dopo "Una giornata che non avrebbero dimenticato"
Jim Gordon è costretto a mettere da parte la sue divergenze nei confronti di Edward Nygma quando entrambi si ritrovano a sostenere Oswald Cobblepot, candidato alla posizione di sindaco.
Ma Nygma sarà in grado di fare lo stesso?
E soprattutto, Jim è davvero pronto a far uscire allo scoperto i suoi veri sentimenti?
Ambientata all'inizio della stagione 3. Non tiene conto di Alice e Jervis Tetch, quindi non ci sono le conseguenze della loro comparsa.
8400 parole
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Edward Nygma, Harvey Bullock, Jim Gordon, Leslie Thompkins, Oswald Cobblepot
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Inseguendo un'idea di normalità'
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Attenzione: questa storia è la quarta parte di una serie. L'ordine di lettura è Premure tra sospettati, Relazione Segreta, Una giornata che non avrebbero dimenticato e poi La Scommessa, ovvero questa. Per capire tutto assicuratevi di aver già letto le parti precedenti.

Buona lettura!



 

La Scommessa

 

 
Jim Gordon stava vivendo il sogno.
 
Dopo la sua bravata di entrare ad Arkham senza autorizzazione, accompagnato da Fox e Bruce, il capitano Barnes lo aveva finalmente reintegrato nel suo ruolo di detective. Ma non era questo il punto.
 
Sul piano personale, la sua relazione con Oswald procedeva a gonfie vele e Jim si sentiva più appagato che mai.
 
Non gli era mai successo, con le donne con cui era stato fino a quel momento, di sentirsi così compreso.
 
Andava considerato che Oswald, dopo una resistenza iniziale, si era rivelato interessato al sesso tanto quanto lui, e per un primo periodo lo avevano fatto in ogni angolo della casa di Jim, e poi persino nella stanza di Oswald alla villa dei Van Dahl.
 
Ancora una volta lui lo aveva fatto sentire un ragazzino alle prime armi, che non riusciva a trattenersi con la persona che gli piace.
 
E se quel momento di novità e possibilità da esplorare si era ormai esaurito, il desiderio e l’affetto reciproci c’erano ancora.
 
Unica nota dolente, che li aveva fatti discutere di recente, era la candidatura di Oswald a sindaco.
 
Aveva sfidato pubblicamente Aubrey James sottolineando quanto fosse importante fare fronte comune per catturare gli evasi da Arkham, sostenendo che erano capitanati da Fish Mooney, cosa che poi la GCPD aveva confermato.
 
Sembrava impossibile, ma Fish era ancora viva.
 
Poi lei aveva avuto un incontro ravvicinato con Oswald, tentando di scappare con Hugo Strange, e alla fine lui l’aveva lasciata andare. Questo aveva sorpreso Jim, ma francamente era fiero di lui. Sempre sperando che Mooney non avrebbe fatto ritorno, altrimenti sarebbe stato un bel problema.
 
Quanto alla sua candidatura a sindaco, Jim all’inizio non capiva perché intendesse esporsi tanto e così glielo aveva fatto pesare. Oswald voleva cambiare la sua immagine pubblica, avere un ruolo di tutto rispetto in città e allo stesso tempo ottenere il potere. Qualcosa che Jim, in cuor suo, non riusciva a comprendere davvero.
 
Ma alla fine convenne con lui che si trattasse di un ideale di potere più sano rispetto a quello che aveva in quanto boss del crimine, ruolo che comunque non intendeva abbandonare. Inoltre era certo che avrebbe fatto meglio di Aubrey James, qualsiasi fossero le sue intenzioni per la città.
 
Dopo aver stabilito che Jim era finalmente d’accordo con la sua candidatura, era trascorso il breve ma intenso periodo in cui la GCPD aveva catturato gli ultimissimi evasi rimasti in circolazione, e poi era arrivato il momento delle elezioni.
 
Quella mattina Jim arrivò al lavoro di buon umore, pronto ad affrontare le sfide della giornata, ma vedere il sorrisetto di Edward Nygma - e la spilla elettorale di Oswald appuntata sul suo camice - un po’ glielo guastò.
 
Anche Jim ne aveva una, nella tasca dei pantaloni per la precisione, ma non aveva ancora deciso se indossarla o meno al lavoro. Forse tutto sommato non ne aveva il coraggio.
 
Nygma invece aveva già informato Barnes che intendeva aiutare il candidato sindaco nella sua campagna elettorale, e per questo chiedeva una diminuzione delle ore lavorative. Il che aveva avuto come conseguenza l'assunzione di Lucius Fox come tecnico ausiliario, ma soprattutto uno scatto d'ira da parte di Barnes, ira che sembrava riaccendersi ogni volta che vedeva quella spilla sul suo petto.
 
Jim poteva solo immaginare cosa sarebbe successo, se avesse iniziato a indossarla anche lui.
 
Quel giorno però c’era un altro motivo per cui si sentiva teso. Oswald lo aveva avvisato che sarebbe passato per parlare con Barnes, per provare a ottenere l’appoggio della GCPD, e che se Jim era libero gli sarebbe piaciuto andare a pranzo insieme, subito dopo.
 
Avevano convenuto che ormai non ci sarebbero stati grossi problemi a farsi vedere ad andare d'accordo in pubblico, dato che Oswald aveva ripulito la sua immagine o almeno ci stava provando.
 
Comunque tutto dipendeva dal carico di lavoro, perché se gli avessero assegnato un nuovo caso allora difficilmente si sarebbe potuto allontanare con lui.
 
Quanto a ottenere l’appoggio della GCPD per le elezioni, Jim dubitava che Barnes glielo avrebbe accordato, anche se Oswald intendeva chiederglielo offrendo in cambio più fondi per il personale e per comprare nuove attrezzature all’avanguardia, e avrebbero mentito dicendo che non servivano.
 
Aubrey James, l’altro candidato nonché colui che era già stato sindaco prima di Galavan, non aveva mai avuto altro che belle parole - vuote - per la GCPD, e intanto faceva patti con i boss del crimine.
 
Difficilmente sarebbe riuscito a portare avanti la stessa condotta di un tempo, dato che adesso al vertice della criminalità di Gotham c’era proprio il suo sfidante.
 
Per questo semplice motivo Jim era certo che Barnes avrebbe rifiutato la sua offerta, e anzi che essa sarebbe solo riuscita a farlo arrabbiare ancora di più.
 
“Ehi Jimbo, tu non metti una di quelle belle spille?” chiese Harvey in tono ironico, indicando con la penna che aveva in mano quella sul petto di Nygma, che stava passando per la sala in quel momento.
 
“Sto ancora cercando di capire se voglio farlo oppure preferisco non scatenare l’ira di Barnes,” ammise, riservando uno sguardo infastidito a Edward, che non si era nemmeno accorto di lui.
 
Non gli piaceva il fatto che Oswald avesse chiesto aiuto a lui per la campagna elettorale. Okay che erano amici, ma Jim non riusciva proprio a sopportarlo e aveva le sue buone ragioni.
 
Trascorrere la mattinata sulle scartoffie fu particolarmente tedioso, sapendo cosa sarebbe successo da lì a poco, ma il detective cercò di mettersi d’impegno.
 
Era quasi l’ora di pranzo quando le porte della centrale si aprirono e, voltandosi in quella direzione, Jim vide Oswald fare la sua entrata in scena.
 
Restò a guardarlo mentre chiedeva con calma all'agente all'ingresso di fargli avere un'udienza con Barnes, e poi si faceva scortare con al seguito una ragazza assunta come segretaria, che teneva in mano una scatola colma di spille, e un Gabe ripulito ma dall'aria sempre burbera.
 
Arrivato vicino alla scrivania di Jim, gli rivolse un sorriso e un cenno del capo ma non disse niente, continuando a proseguire fino all'ufficio del capitano dove l'agente lo annunciò.
 
L'atipico gruppetto entrò, Gabe chiuse la porta alle loro spalle e Jim non smise di sentirsi teso. Spiando attraverso la finestra vide Barnes alzarsi in piedi, l'espressione sorpresa sul suo volto, e poi sedersi mentre lo faceva anche Oswald, invece gli altri due restarono in piedi alle sue spalle.
 
Jim non sapeva cosa si stessero dicendo nello specifico, anche se poteva immaginare qualcosa dato che conosceva il motivo per cui Oswald si trovava lì. In ogni caso, dal momento in cui era entrato nell’ufficio di Barnes, Jim non stava più nemmeno provando a concentrarsi. Fingeva, con lo sguardo che si posava sui documenti per poi tornare alla finestra.
 
Era teso ed era più forte di lui.
 
I toni dentro l’ufficio dovevano essersi accesi, conoscendo il capo, ma da lì non avevano modo di saperlo. Non si sentivano urla e questo era già positivo.
 
Quando, circa dieci minuti dopo, Gabe aprì la porta per far uscire per primo Oswald, sul suo viso Jim non vide più il sorriso, bensì l’espressione di chi era stato sconfitto ma non voleva darlo a vedere.
 
Stava ancora scendendo le scale quando Jim si alzò per affiancarlo, fregandosene del fatto che qualcun altro avrebbe potuto vederli parlare, e così Oswald si fermò accanto alla sua scrivania, sollevò lo sguardo su di lui e rimase in attesa di scoprire cosa volesse dirgli.
 
“Va tutto bene?” gli chiese, perché l’esito della conversazione già lo aveva immaginato e, in fondo, quello che gli interessava davvero era sapere come stesse.
 
“Sì, ma non è andata come speravo,” rispose, facendo spallucce mentre stirava le labbra in un sorriso forzato. “Non avrò l’appoggio della GCPD. Ho insistito almeno per poter distribuire le spille agli agenti, ma diciamo che non ha risposto in modo molto gentile.”
 
“Salve Oswald,” disse qualcuno, e voltandosi videro Lucius Fox che si avvicinava. “Se permetti, io ne prenderei una.”
 
Il tecnico raccolse una spilla dalla scatola e se l’appuntò sul camice con una tranquillità che fece sorridere sia Oswald che Jim, e fece ritrovare al candidato sindaco il buonumore.
 
“Grazie, Lucius,” gli rispose, e lui dopo avergli fatto un cenno con il capo tornò al lavoro.
 
“Io ho già la mia,” disse Jim, sperando di poter contribuire, e la tolse momentaneamente dalla tasca per mostrargliela.
 
Ma solo momentaneamente, perché non si era ancora deciso a indossarla.
 
“Anche io vorrei prenderne una,” dichiarò Harvey, alzandosi dalla scrivania e facendosi avanti. “Grazie cara,” disse alla segretaria, che gli aveva avvicinato la scatola.
 
Afferrò quindi una spilla sotto i loro sguardi sorpresi, tornò sui suoi passi e la gettò nel cestino che teneva accanto alla scrivania.
 
“Ecco, molto meglio.”
 
“Avrei dovuto aspettarmelo da te, Bullock,” commentò Oswald, il sorriso tirato e un’espressione che rendeva chiaro che avrebbe voluto urlargli contro, se solo avesse potuto.
 
“Harvey! Ti ricordo che l’altro candidato è Aubrey James,” provò a intervenire Jim.
 
“Infatti questa volta io non voto,” dichiarò acidamente.
 
Jim rivolse di nuovo lo sguardo a Oswald, che era rimasto fermo sul posto. La sua mano destra era stretta saldamente sul manico del bastone che gli aveva regalato lui, mentre lo sguardo era basso.
 
“Andiamo a pranzo insieme?” gli chiese, e Oswald si fece sorpreso.
 
“Pensavo… che mi avresti raggiunto al ristorante…”
 
“No, vengo con te subito. Tanto ormai è ora. Harvey, ti dispiace se ti lascio solo?”
 
“Fai come ti pare Jim, ci vediamo dopo,” rispose il suo amico con disinteresse.
 
Oswald gli sorrise, emozionato perché lo aveva invitato apertamente, anziché fare finta di conoscerlo a malapena. E se fosse diventato sindaco, Jim lo avrebbe fatto ancora perché l’idea di poter stare insieme alla luce del sole gli piaceva, e perché sapeva che piaceva anche al suo ragazzo.
 
Se invece avesse vinto Aubrey James, e lui sarebbe tornato a essere solo il Re di Gotham, probabilmente avrebbero ripreso a frequentarsi in segreto. Ma a questo scenario Jim, per il momento, non voleva pensare.
 
“Signorina Jones, vada pure. Ci rivedremo nel pomeriggio. Gabe vai anche tu, ma resta a disposizione.”
 
La segretaria lo salutò, il suo scagnozzo invece gli fece appena un cenno, mantenendo invariata la sua espressione facciale.
 
“Vogliamo andare?” propose.
 
“Oswald!” lo chiamò qualcun altro, una voce fastidiosa che preannunciava l’arrivo di Nygma.
 
E infatti lui salì le scale mettendosi al loro stesso livello, sul viso il sorriso ampio che Jim avrebbe tanto voluto togliergli a suon di schiaffi.
 
“Edward, mi chiedevo giusto dove fossi,” gli disse Oswald, felice di vedere il suo amico.
 
“Scusa, avevo delle prove da analizzare in laboratorio, ma adesso sono qui,” rispose, e Jim si chiese se non stesse facendo finta di non vederlo. “Ma per oggi ho finito e posso venire con te.”
 
“Veramente noi stavamo per andare a pranzo insieme,” gli fece notare Oswald, accennando alla presenza di Jim con un breve movimento del capo.
 
Finalmente Nygma si decise a guardarlo, ma la sua espressione non mutò.
 
“Ho delle idee importanti per la tua campagna elettorale e vorrei discuterne subito. Non vi disturberò,” insistette.
 
“Molto bene allora,” rispose Oswald, anche se sembrava combattuto a riguardo.
 
Jim quindi si trovò suo malgrado a uscire dalla centrale insieme a entrambi, e capì che la sua breve pausa pranzo non sarebbe andata come sperava.
 
 
La meta che avevano concordato era un ristorante italiano che si trovava in zona, così Jim sarebbe potuto tornare in fretta alla centrale in caso di necessità.
 
Oswald aveva prenotato un tavolo a nome suo, e il cameriere che li accolse non si fece problemi ad aggiungerci una sedia in più, perché potessero starci tutti e tre.
 
E così Jim si ritrovò seduto tra Oswald e Nygma a un tavolo di forma circolare, mentre loro non facevano altro che parlare della strategia per le elezioni.
 
Il tema non gli interessava particolarmente, né lo capiva a fondo quanto Edward, era ovvio. Jim trovava piacere, piuttosto, nel vedere quanto Oswald sembrasse entusiasta a riguardo. Certo, sapere che quell'entusiasmo era stato causato da un'idea di Nygma gli procurava una punta di bruciante fastidio alla nuca.
 
Si distrasse dalla loro conversazione per un momento, intenzionato a esaminare il menù. Il ristorante era di medio livello, qualcosa di abbordabile anche per il suo stipendio da detective, ma non per questo di economico. Non male, per il loro primo pranzo insieme in pubblico.
 
Sapeva che Oswald aveva gusti più sofisticati, ma sapeva anche che quando lavorava fino a tardi si faceva prendere qualcosa d'asporto da uno dei suoi sottoposti, e che era in grado di mandare giù persino le ricette fallimentari di Jim.
 
La scelta di quel ristorante sembrava la perfetta via di mezzo, del tipo “non spendo troppo e mangio bene”, e Jim era grato che avesse scelto proprio quel posto perché implicava che avrebbe anche potuto offrire lui il pranzo, per celebrare l'occasione.
 
Se non fosse stato per Nygma, ovviamente, perché la sua presenza vanificava la sua intenzione di offrire.
 
“Non so come fate a parlare tranquillamente fingendo che lui non ci stia ricattando,” buttò lì Jim in un momento di silenzio, appena la cameriera si era allontanata dopo aver preso i loro ordini.
 
Oswald sembrò stupito dalla domanda, quasi non desse più peso a quella faccenda.
 
“Non te l'avevo ancora detto, ma abbiamo un accordo che implica che alla fine mi ridarà la lettera, e avverrà molto presto,” disse Oswald, l'entusiasmo improvvisamente spento.
 
Jim corrugò la fronte. Stava forse ricattando Oswald per costringerlo a fare qualcosa, fintanto che aveva la lettera che attestava che loro due avevano una relazione, e che Jim lo aveva ospitato a casa sua dopo l'omicidio di Galavan?
 
Ma prima che potesse prendere parola per chiedere spiegazioni, Nygma gli fece segno di fermarsi con una mano, cosa che lo infastidì ancora di più.
 
“Oswald, ti senti minacciato o sotto ricatto?” gli chiese, con tono serio e un'espressione che trasmetteva lo stesso.
 
“No,” rispose con calma, e Jim si ritrovò ancora più confuso.
 
“Ecco, vedi? Nessuno sta ricattando nessuno,” sottolineò Edward, rivolgendo a Jim quel sorriso che lui non riusciva proprio a sopportare.
 
Come se non bastasse, dopo averlo detto diede due colpetti leggeri sulla spalla sinistra di Oswald.
 
Dentro di sé, Jim ribolliva di rabbia, ma fuori stava cercando di non darlo a vedere. Soprattutto perché il suo ragazzo aveva l'aria serena.
 
“Non preoccuparti James,” gli disse, accennando un sorriso. “Abbiamo deciso di non parlartene finché non mi avrà ridato la lettera, ma non mi sta obbligando a fare niente di spiacevole.”
 
Jim serrò la mascella, perché quell’affermazione non era riuscita affatto a rassicurarlo.
 
Nygma sembrava essersene accorto ed esserne molto divertito.
 
Quei due erano entrambi degli strateghi, e insieme potevano essere molto pericolosi, secondo Jim. Non sapeva quale fosse il loro patto riguardo la lettera, ma una cosa la sapeva: erano in grado di capire le altre persone e di immaginare come avrebbero reagito in determinate situazioni.
 
Oswald forse ci riusciva meglio di Edward, dato come lui aveva preso un granchio quando Jim gli aveva chiesto notizie della Kringle, credendo che sospettasse qualcosa. In quel caso si era auto sabotato a causa della paranoia, forse?
 
In compenso, anche Oswald aveva i suoi punti deboli, come la ricerca di affetto e l'insicurezza, entrambe cose alle quali Jim cercava di mettere una pezza da quando stavano insieme.
 
In ogni caso, la loro unione in vista delle elezioni significava solo una cosa, ovvero buone probabilità di vittoria.
 
Ora, cosa c'entrasse con questo la lettera con cui Nygma lo teneva in pugno, lui non lo sapeva, per questo non poteva fare a meno di preoccuparsi.
 
Ma soprattutto, gli dava fastidio la confidenza che Edward continuava a dare a Oswald, per poi riservare a lui dei sorrisi furbi, compiaciuti. Anche se erano amici, questo Jim non poteva tollerarlo.
 
“Scusate, torno subito,” disse Oswald a un certo punto, alzandosi da tavola.
 
E malgrado a Jim dispiacesse molto essere costretto a stare seduto da solo con Nygma, decise che era un buon momento per mettere le cose in chiaro.
 
“A che gioco stai giocando?” gli chiese quindi, cercando di non sembrare arrabbiato quanto lo era in realtà.
 
“Non capisco a cosa ti riferisci, Jim,” rispose Edward, per niente turbato dalla sua domanda.
 
“Mi riferisco al modo in cui tratti Oswald, e a come ti prendi la libertà di toccarlo, o di zittirmi.
 
“Ah, quello,” disse Edward, divertito. “Sei geloso quindi.”
 
“Non sono… geloso. Ma sto iniziando a chiedermi se non ti piaccia,” ammise, andando dritto al punto.
 
Dopotutto, quella di Jim non poteva essere gelosia, ma fastidio vero e proprio verso l'uomo che era entrato in casa sua e che lo aveva ricattato, minacciando di mettere in pericolo anche Oswald.
 
E adesso si comportava così con lo stesso Oswald, come se niente fosse.
 
“Non mi piace nel modo che credi, no. Io sono al cento percento etero, anche se l'unica donna che mi interessava è morta,” mentre rispondeva, abbassò lo sguardo sul suo bicchiere di vino che poi portò alle labbra.
 
Jim avrebbe voluto sottolineare che era stato lui stesso a ucciderla, ma strinse i denti.
 
“Allora cos'è questa storia dell’accordo?”
 
“Niente di cui tu debba preoccuparti, detective,” disse Nygma, il solito sorrisetto tornato sul suo volto. “È una cosa tra me e Oswald, ed è più una scommessa, in verità. Non te ne abbiamo parlato perché sarebbe sfavorevole per uno dei due, se tu ne conoscessi i termini…”
 
Sorpreso, Jim si ritrovò a corto di parole per un istante.
 
“Oswald sembra avere molta fiducia nella sua ipotesi, ma anche io credo nella mia,” aggiunse Edward, scrutandolo.
 
“Rieccomi,” annunciò Oswald, mettendo fine alla loro discussione mentre si sedeva. “Siete andati d'accordo mentre non c’ero?”
 
“Sì, abbiamo parlato del più e del meno,” rispose Nygma con nonchalance.
 
Oswald però stava aspettando la risposta di Jim, perché lo guardava con un'aria preoccupata. E alla fine lui annuì per rassicurarlo.
 
Il discorso tornò al tema delle elezioni, e Jim fece appena in tempo a finire il suo piatto di pasta che Harvey lo chiamò avvisandolo che Barnes aveva assegnato loro un caso e li voleva entrambi sul posto subito.
 
“Mi dispiace ma devo scappare,” disse a Oswald, seriamente dispiaciuto perché non erano nemmeno riusciti a parlare.
 
“Che peccato, Jim. Sentiremo la tua mancanza,” si intromise Nygma, ancora con quel sorrisetto ironico sulla faccia.
 
“Ci scommetto,” ribatté, poi decise di ignorarlo e si avvicinò all'orecchio di Oswald.
 
Gli sussurrò un invito a raggiungerlo a casa sua quella sera, e si sentì più sollevato quando Oswald annuì, accettando silenziosamente.
 
Dopodiché dovette correre in centrale.
 
 
Ci si sarebbe potuti aspettare un po’ di calma, dopo che tutti i fuggitivi di Arkham erano stati catturati, ma loro vivevano a Gotham, dove il crimine non dormiva mai.
 
E così Jim e Harvey passarono le successive due ore a esaminare una scena del crimine dove erano stati trovati tre cadaveri. Con loro c'era anche Lucius Fox, a raccogliere le prove.
 
Presto erano passati da ipotizzare cosa fosse successo a interrogare i testimoni ed erano tornati indietro per mettere insieme una prima bozza di pista da seguire.
 
Verso sera, sperando che le analisi delle prove fossero pronte, Jim scese in laboratorio dove credeva di poter parlare con Fox, e invece ci trovò Lee.
 
“Lucius è uscito per occuparsi di un altro caso,” gli disse lei, forse notando la sorpresa sul suo viso, e poi controllò al computer ciò a cui stava lavorando. “I risultati che aspettavi non sono ancora pronti.”
 
Appurato che lei non aveva ciò che stava cercando, e soprattutto perché non aveva voglia di parlarle dopo il modo in cui si erano separati l'ultima volta, Jim cercò di congedarsi gentilmente.
 
La loro ultima vera conversazione era stata prima di Natale, quando lei gli aveva sì offerto amicizia, ma anche chiesto spiegazioni sul suo rapporto con Oswald. E per quanto avesse deciso da tempo di essere più trasparente a riguardo, la sua ex non era sulla lista delle persone con cui non vedeva l'ora di parlarne.
 
“Aspetta un momento, Jim. Abbiamo ancora una questione in sospeso,” sottolineò, e lui capì di essere arrivato al capolinea.
 
Per quanto avrebbe potuto continuare a evitarla o a rimandare l’argomento? Forse poteva avere davvero un rapporto pacifico con lei. Dato che glielo stava offrendo da tempo, magari valeva la pena di provare, e magari Jim si sarebbe tolto di dosso il disagio che provava in sua presenza.
 
Ma tutto sarebbe dipeso da come avrebbe reagito sapendo come stavano le cose.
 
“Tu e Oswald Cobblepot. State insieme, per caso?” chiese, sollevando un sopracciglio e dimostrandosi curiosa a riguardo.
 
“E anche se fosse?” buttò lì Jim, muovendo un passo verso la sua scrivania. “Vuoi giudicarmi o psicanalizzarmi per questo?”
 
“Certo che no, Jim. Solo… non me l'aspettavo. Ma sono felice che tu me l'abbia detto, finalmente.”
 
Jim si rilassò, sorpreso dalla sua reazione.
 
“Avrei dovuto capirlo prima. Sapevo della vostra connessione, ed era ovvio che il vostro odio comune per Theo Galavan vi avrebbe uniti.”
 
“Galavan non c’entra niente con questo,” puntualizzò subito Jim, temendo di aver cantato vittoria troppo presto. “E comunque quella che chiami connessione non era altro che un rapporto distaccato, dettato da esigenze comuni. Se credi che mi piacesse già quando stavo con te, ti sbagli di grosso.”
 
Lee annuì, e dall’espressione sul suo viso Jim capì che doveva averle tolto un peso. Evidentemente il pensiero aveva sfiorato la sua mente, e dato quanto tempo era passato da quando si erano lasciati a quando lui aveva iniziato a frequentare Oswald… Sì, aveva senso che le venisse il dubbio.
 
“Posso chiederti com’è successo? Vivete in due mondi diversi… Ma non lo dico per giudicarti, vorrei solo capire,” specificò.
 
“È successo dopo l’arresto di Gilzean. Ho avuto motivo di andare al suo club diverse volte in quel periodo, per discutere con lui, ed è scattato qualcosa,” raccontò.
 
E Jim in effetti aveva frequentato il Lounge, e aveva avuto una buona scusa per andarci ogni singola volta, quindi quella storia di copertura era a posto, a suo parere.
 
Lee corrugò la fronte.
 
“Credevo che vi frequentaste da prima,” ribatté, e lui si ricordò che in effetti aveva dato modo di sospettare anche ad Harvey, e che in quel periodo era particolarmente scontroso con lei.
 
Quindi forse non aveva pensato proprio a tutto.
 
“No, ma ammetto che aveva iniziato a interessarmi prima,” le disse, mettendosi a braccia conserte. “Senti, quando l’ho visto andare via con Galavan quella sera credevo che fosse stato lui a ucciderlo, per di più dopo era sparito, quindi ero preoccupato.”
 
Lee lo ascoltò e sembrò senza parole per un istante.
 
“Ma tu sei sicuro che non l’abbia ucciso lui?”
 
Jim sospirò. Quel discorso si era fatto decisamente pericoloso.
 
“Al cento percento. E so anche come stavano le cose tra lui e Butch Gilzean.”
 
“Va bene, allora ti credo,” rispose, abbassando lo sguardo sul suo lavoro.
 
“Lee, lui è davvero cambiato,” sottolineò, perché temeva che la questione non fosse chiusa. “Riesce a controllare la rabbia e si prende persino cura di suo padre malato…”
 
“Non c’è bisogno di giustificarlo, Jim. Conosco i tuoi valori, se stai insieme a lui e al contempo ti senti bene con te stesso allora significa molto, e io sono felice per voi,” dichiarò, e dal suo sorriso il detective capì che era vero, non aveva il minimo dubbio. “Magari quando avrò trovato qualcuno anch’io organizzeremo una cena a quattro.”
 
Jim non poté fare a meno di accennare un sorriso, anche se il ricordo dell’ultima volta che era successo, con Nygma e la Kringle, quasi glielo tolse bruscamente dal viso.
 
Inoltre si trattava pur sempre della sua ex, quindi forse non sarebbe stata un’occasione completamente serena. Magari avrebbe detto qualcosa per mettere in imbarazzo Jim, o lui avrebbe attirato la gelosia del suo nuovo ragazzo, chissà. Non era certo che sarebbe stata una buona idea, ma per il momento non c’era pericolo e quindi evitò di pensarci più a lungo di così.
 
“Si potrebbe fare. Torno di sopra adesso,” annunciò, e poté finalmente lasciare il laboratorio, sentendosi un po’ più leggero.
 
 
Verso sera, Oswald lo avvisò per messaggio che avrebbe lavorato fino a tardi, il che guastò completamente le poche briciole rimaste del buon umore di Jim. Quindi lui, che uscì dalla centrale alla solita ora, andò al posto suo da Elijah a dargli le medicine, fermandosi giusto per quattro chiacchiere ma rifiutando l’invito a cena, dopodiché si rimise in macchina.
 
A quel punto tornò a casa per cenare da solo e andare a dormire, perché aveva poco altro da fare.
 
L’indomani cercò di non pensare a com’erano andate le cose alla fine, e quando arrivò al lavoro riuscì a distrarsi completamente dedicandosi al caso, che si rivelò più spinoso di quanto lui e Harvey avessero preventivato.
 
Quando, quella sera, apprese da un messaggio di Oswald che sarebbe rimasto fino a tardi nell’ufficio che aveva affittato per farne il suo quartier generale in vista delle elezioni, decise di chiamarlo per sapere se poteva raggiungerlo.
 
Quel giorno non si erano visti affatto e, per quanto sapeva che fosse impegnato, gli dispiaceva.
 
Così, ricevuto il suo okay, salutò Harvey e si precipitò alla sua auto.
 
L’edificio affittato da Oswald per organizzare la sua campagna elettorale era un piccolo complesso di uffici in centro, che Jim raggiunse in pochi minuti. Quando entrò, non si sorprese di vedere Gabe che faceva da guardia all’ingresso e lo salutò con un cenno del capo, pur sapendo che lui non avrebbe risposto, limitandosi come sempre a permettergli di entrare.
 
Trovò Oswald immerso in una conversazione con Edward Nygma, mentre esaminavano dei documenti appoggiati su un grande tavolo da riunioni. Non si accorsero subito che lui era arrivato, in compenso venne accolto dalla segretaria, la signorina Jones.
 
“Buonasera detective Gordon, non sapevo che sarebbe venuto,” gli disse, portandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. “Ha qualcosa di cui discutere con il signor Cobblepot?”
 
Prima di rispondere, Jim accarezzò nervosamente la spilla che teneva nella tasca della giacca. La portava sempre con sé ormai, anche quando cambiava giacca ricordava di infilarcela.
 
“No, niente di particolare. Sono solo venuto a vedere come andassero le cose,” dichiarò, riportando la sua attenzione su Oswald.
 
“Temo che il signor Cobblepot sia un po’ impegnato al momento, ma faremo una pausa tra poco,” disse gentilmente la ragazza, che doveva avere qualche anno meno di Jim. “Può sedersi nel frattempo, se vuole le porto un caffè,” aggiunse, facendogli cenno di spostarsi in un’altra stanza.
 
“Non serve, e rimarrei qui se possibile.”
 
Alla fine la giovane annuì e lo lasciò restare, e quando tornò da Oswald lui alzò lo sguardo dalle carte e finalmente notò Jim.
 
“James,” disse, sembrando sorpreso di vederlo. Forse era talmente immerso nel lavoro che per un attimo si era dimenticato che lui stava per arrivare. “Vieni pure,” lo invitò.
 
Jim si fece avanti e salutò Nygma con un cenno del capo, decidendo di non voler perdere neanche un secondo del suo tempo con lui. Da dove si trovava adesso poteva dare uno sguardo alla proposta che aveva preparato per Oswald, ma non ci capì molto senza avere modo di esaminarla davvero, e in fondo non gli competeva.
 
Era conscio, suo malgrado, del potenziale di Edward, e contento del fatto che stesse appoggiando Oswald. Sapeva che stava facendo un buon lavoro, anche se non glielo avrebbe detto neanche sotto tortura.
 
Jim si sedette davanti a Oswald e accanto alla sua segretaria, che aveva iniziato a sua volta a mostrare loro delle carte, sondaggi preliminari volti a farsi un’idea dell’esito delle elezioni. Ormai l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno utile per guadagnarsi nuovi elettori, perché il giorno successivo ci sarebbero state le votazioni.
 
Il detective era stanco dopo la lunga giornata di lavoro, ma era felice di trovarsi lì con loro, a dare il suo sostegno silenzioso.
 
Poco dopo Gabe aprì la porta e mostrò loro un sacchetto contenente del cibo preso d’asporto, segno che avevano ordinato la cena ed era appena stata consegnata.
 
“Vado io,” annunciò Nygma, e raggiunse il sottoposto per prendere il sacchetto dalle sue mani.
 
“Ho ordinato qualcosa anche per te, James,” gli disse Oswald, accennando un sorriso mentre la segretaria raccoglieva le carte e le riponeva accuratamente da parte.
 
“Grazie,” rispose lui, che in effetti iniziava ad avere fame.
 
Gabe tornò fuori a fare il suo lavoro e Nygma si sedette, mettendo al centro del tavolo il sacchetto perché ognuno prendesse qualcosa. Anche la segretaria rimase a mangiare con loro, segno che forse erano rimasti gli ultimi nell’edificio.
 
E in effetti, anche se i documenti erano stati messi via, l’argomento della conversazione rimase lo stesso.
 
Jim ascoltò senza un grande interesse, traendo serenità dall’espressione entusiasta di Oswald e dalla sua determinazione. Saperlo impegnato a lavorare fino a quell’ora, non con dei criminali ma lì, per le elezioni, era rassicurante.
 
Sperava che riuscisse davvero a diventare sindaco, e che lo scoprisse tanto appassionante che avrebbe determinato un vero cambiamento, un distanziamento dalle sue attività losche in favore di incarichi sempre di potere, ma da svolgere alla luce del sole. Immaginare uno scenario del genere gli piaceva molto… anche se non lo avrebbe forzato, né ci sarebbe rimasto male se Oswald avesse continuato a fare entrambe le cose.
 
Dopotutto, era fatto così e Jim non solo lo aveva accettato, ma gli piaceva così com’era.
 
“Cambiando discorso, Jim, ho saputo che sei tornato in buoni rapporti con la dottoressa Thompkins,” disse improvvisamente Nygma, e sia lui che Oswald smisero di mangiare.
 
“Chi è la dottoressa Thompkins?” chiese la signorina Jones.
 
“L’ex di Jim, è il medico legale della GCPD,” rispose Edward, ed era chiaro dove volesse andare a parare.
 
Oswald infatti sembrava essersi irrigidito.
 
“Mi stai spiando per caso?” domandò Jim, mantenendosi calmo.
 
“Oh no Jim, ma io e Lee siamo diventati amici.”
 
Quella notizia gli diede i brividi, considerando chi era in realtà Edward. Inoltre, saperli a parlare da soli, magari di lui, non era qualcosa che gli faceva piacere.
 
Prima di rispondere alla sua provocazione, emise un leggero sospiro.
 
“Allora sappi che mi ha proposto di tornare amici prima di chiedermi se io e Oswald stessimo insieme, e le ho detto che le cose stanno così,” tagliò corto, e vide il suo ragazzo alzare uno sguardo sorpreso su di lui mentre la signorina Jones, alla sua destra, iniziava a tossire, forse perché qualcosa le era andato di traverso.
 
“Pensavo non volessi dirglielo,” osservò, stupito ma apparentemente felice della cosa.
 
“In realtà non ne sentivo il bisogno, ma dato che era la seconda volta che me lo chiedeva ho deciso che fosse meglio così,” spiegò. “A proposito, è felice per noi.”
 
Oswald sorrise e abbassò lo sguardo, tornando a concentrarsi sulla sua cena. Jim, invece, rivolse un’occhiata di sfida a Nygma, che non sembrava affatto contento di come fosse finito quel discorso.
 
 
Dopo la cena, sembrava che il lavoro si sarebbe protratto per le lunghe e Jim era stanco, inoltre l’indomani si sarebbe dovuto svegliare presto per occuparsi del caso. Così alla fine salutò tutti e se ne andò, lasciando suo malgrado il suo ragazzo con Nygma.
 
L’indomani era l’ultimo giorno prima delle votazioni e loro si erano accordati per trascorrere la serata insieme, perché immaginava che Oswald sarebbe stato nervoso.
 
Così quel giorno, prima di uscire dal lavoro, quando vide il suo ultimo messaggio in cui gli diceva che aveva appena dato le medicine a suo padre e stava per mettersi in macchina diretto al suo appartamento, sorrise.
 
Rientrando a casa vide che Oswald non era ancora arrivato, così decise che avrebbe iniziato a preparare la cena in sua assenza. Voleva preparargli qualcosa di semplice, che fosse in grado di cucinare senza problemi, ma che allo stesso tempo potesse rendere felice Oswald. E così scelse una ricetta e si concentrò perché venisse bene.
 
Il suo ragazzo arrivò nel giro di pochi minuti e venne accolto dal profumo della carne e delle patate che cuocevano.
 
“Stai preparando la cena?” gli chiese, colpito.
 
“Sì. Volevo fare qualcosa per te, dato che è una serata importante,” rispose Jim, mentre lui lo raggiungeva ai fornelli.
 
“Non me lo ricordare…” disse Oswald, con un sospiro.
 
“Ehi, andrà tutto bene. Vuoi sederti? Tra poco è pronto.”
 
Oswald annuì, ma alla fine si mise ad apparecchiare e Jim sapeva che lo faceva per non stare con le mani in mano.
 
Durante il pasto Jim cercò di distrarlo raccontando come stava procedendo il suo caso, ma Oswald sembrava assente e, se parlava, riportava il discorso sulle sue preoccupazioni riguardo alle votazioni.
 
“Sono domani, ormai ci siamo…” sottolineò, per poi sospirare. “Vorrei tanto che venissi con me a votare, come prima cosa domattina. So che vorranno farmi una foto e potrò essere più sereno se mi accompagnerai…” disse, spostando nervosamente le patate nel piatto.
 
“Ci sarò,” rispose Jim senza pensare, perché voleva davvero sostenerlo.
 
“Dici sul serio?” gli chiese, sorpreso, e lui annuì. “Credevo che non volessi ancora farti vedere con me nelle occasioni pubbliche.”
 
Jim fece spallucce.
 
“Sarà un’occasione speciale, quindi voglio esserci. Ci sarà anche Nygma?” chiese, per prepararsi psicologicamente.
 
“No, a lui non l’ho ancora chiesto e se vieni tu conto di non farlo. So che non ti va a genio.”
 
“Puoi biasimarmi?” sottolineò Jim, sollevando un sopracciglio.
 
“No, ma sono felice che tu non mi stia chiedendo di fare una scelta…”
 
Jim trattenne un sospiro. Sarebbe stato come chiedere a lui di scegliere tra Oswald e Harvey.
 
“Non lo farei mai. Sai, credo che voglia a tutti i costi essere il tuo numero uno in questo periodo, la persona su cui fai affidamento maggiormente,” buttò lì, perché era la conclusione a cui era arrivato. “Quindi l’idea di accompagnarti al posto suo senza che nemmeno lo sappia mi diverte molto.”
 
Oswald gli rivolse un sorriso ma non commentò. Era evidente che fosse teso in vista dell’indomani, e tutto il resto in quel momento non aveva importanza.
 
“Metto via i piatti?”
 
“Sì, scusami ma ho lo stomaco chiuso,” ammise, porgendogli il suo piatto quando Jim si alzò per prenderlo.
 
Li lavarono insieme, portando avanti una timida conversazione, dopodiché Jim gli diede un bacio sempre più profondo e bisognoso. Oswald si aggrappò alle sue spalle, ricambiando il bacio con la stessa intensità.
 
Si spostarono in bagno dove fecero una doccia insieme, e dove Jim fu sicuro di essere finalmente riuscito a distrarre Oswald, ma il momento durò poco.
 
Mezz’ora dopo erano a letto, sdraiati l’uno accanto all’altro, entrambi con i capelli ancora umidi.
 
Oswald guardava il soffitto, perso nei suoi pensieri, mentre Jim lo studiava con lo sguardo senza dire niente. Poi improvvisamente il candidato sindaco si voltò su un lato, dandogli la schiena.
 
“Sai, ero sul punto di comprare le votazioni. Sapevo già quale somma elargire a chi, per assicurarmi la vittoria… ma Ed mi ha convinto a non farlo. Secondo lui, se vinco in modo disonesto non saprò mai se i cittadini mi amano…”
 
Jim sospirò impercettibilmente. Sapeva che la sua ricerca di amore era uno dei motivi che l’avevano spinto a candidarsi, quindi sapeva anche che Nygma aveva centrato il punto.
 
“Ahimè devo ammettere di essere d’accordo con lui su questo,” gli disse. “Meglio perdere con onore, che vincere con l’inganno e rimanere per sempre nel dubbio su come sarebbero andate le cose altrimenti.”
 
Oswald non rispose, così Jim continuò.
 
“Hai fatto bene. Credo tu abbia una buona probabilità di vincere… dopotutto, il tuo sfidante è Aubrey James, inoltre ti sei fatto apprezzare in questo periodo di campagna elettorale. Per non parlare dei consensi che hai ricevuto nella tua lotta ai fuggitivi di Arkham.”
 
“Non ne sarei così sicuro, Jim. Forse sono ancora in tempo per uscire e comprare qualche voto…”
 
“Non te lo permetterò,” ribatté, abbracciandolo da dietro per tenerlo vicino al suo petto.
 
Da quella posizione, inspirò il profumo dei suoi capelli appena lavati.
 
“Io voglio credere che vincerai. Se però non dovesse succedere… compreremo del gelato e lo mangeremo lamentandoci di come sono andate le cose. E poi ci potrai riprovare la prossima volta.”
 
A quelle parole, sentì Oswald tremare tra le sue braccia.
 
“Anche se non dovessi vincere, lo sai che ci sono già delle persone che ti amano, vero? C’è tuo padre… e poi ci sono io…”
 
Oswald si girò, aiutato dal fatto che le braccia di Jim non erano davvero strette saldamente intorno a lui, e così poté guardarlo negli occhi. I suoi erano lucidi e la sua espressione era di pura sorpresa.
 
“Mi ami? Non me l’avevi mai detto…”
 
“Perché pensavo che ormai fosse ovvio,” ribatté, improvvisamente imbarazzato dalla sua ammissione, ma sperava non gli si leggesse in faccia.
 
“No che non lo era… Ma anche io ti amo, James. Aspettavo solo il momento giusto per dirtelo,” confessò, abbassando un istante lo sguardo per poi riportarlo subito sui suoi occhi.
 
Jim avvertì una piacevole sensazione al petto, qualcosa di caldo che gli confermò che sì, valeva la pena dire certe cose piuttosto che darle per scontate. Non riusciva a smettere di sorridere, ora che gli aveva sentito dire quelle semplici parole.
 
Si avvicinò di più per zittirlo con un bacio, che si fece presto passionale. Jim si ritrovò sopra a Oswald, ben attento a non pesarsi per sbaglio sulla sua gamba destra, pronto per distrarre il candidato sindaco e per renderlo così stanco che poi si sarebbe addormentato senza più alcuna preoccupazione.
 
 
La mattina dopo si svegliarono insieme, si lavarono i denti l’uno accanto all’altro e poi si vestirono. Oswald indossò uno dei completi che aveva lasciato a casa di Jim, per le occasioni in cui avrebbe passato lì la notte.
 
Jim uno dei soliti completi intercambiabili che metteva abitualmente. Avrebbe voluto abbellirlo con il fermacravatta che gli aveva regalato Oswald, ma non si fidava a indossarlo per andare al lavoro, considerando che a volte rimaneva coinvolto in sparatorie o finiva per inseguire dei sospettati. E se si fosse perso o rovinato non se lo sarebbe mai perdonato.
 
Ci stava pensando quando si ricordò della spilla rimasta nella giacca del giorno prima, così andò all’ingresso a prenderla. Mentre Oswald finiva di sistemarsi i capelli allo specchio del bagno, Jim si avvicinò per assicurarsi che stesse bene nel punto che aveva scelto.
 
Il suo ragazzo si voltò, lo sguardo meravigliato prima sulla spilla e poi puntato nei suoi occhi.
 
“L’hai messa,” constatò, più sorpreso di quanto Jim avesse immaginato.
 
“Già,” disse e accennò un sorriso.
 
“Pensavo… che ormai non volessi farti vedere a sostenermi pubblicamente.”
 
“Ho deciso che non mi importa più,” ammise Jim, che quel giorno si era svegliato con una spinta nuova a dargli la carica. “È abbastanza presto, potremmo fermarci a fare colazione da qualche parte dopo aver votato,” propose, e Oswald annuì con convinzione mostrandogli un sorriso genuino.
 
Terminati gli ultimi preparativi si diressero in municipio, dove vennero accolti da un piccolo gruppo di giornalisti. Il sindaco James era già arrivato e aveva appena votato, così i reporter ne approfittarono per chiedere una foto dei due candidati che si stringevano la mano. Poi toccò a Oswald dare il suo voto e mettersi in posa per la foto mentre lo inseriva nell’urna. Solo dopo, quando il momento fu terminato e Oswald si fermò a scambiare due parole con i giornalisti, poté votare anche Jim.
 
Lo fece in fretta, perché aveva le idee chiare e perché voleva uscire da lì il prima possibile. Non gli dava pensieri l’idea di essere visto con Oswald, non più ormai. C’era qualcosa, quella mattina, che lo faceva sentire invincibile. Probabilmente era dovuto al fatto che si erano appena confessati i propri sentimenti reciproci.
 
Il punto era che credeva che i giornalisti lo avrebbero trattenuto troppo, e Jim ci teneva molto a poter fare colazione con il suo ragazzo quella mattina. Ogni minuto insieme, prima di doversi separare per andare al lavoro, gli sembrava prezioso.
 
Alla fine riuscirono ad andarsene senza problemi, anche perché Oswald stesso non sembrava intenzionato a perdere altro tempo lì.
 
“Come ti senti?” gli chiese Jim, dopo che ebbero preso posto a un tavolo in una caffetteria che si trovava vicino alla centrale.
 
“Teso, ma allo stesso tempo è come se mi fossi tolto un peso,” ammise, e Jim lo aveva immaginato dal modo in cui le sue spalle sembravano meno rigide, da quando erano usciti dal municipio.
 
Jim allungò una mano per prendere la sua da sopra il tavolo e far intrecciare le loro dita. Oswald glielo lasciò fare, posando lo sguardo sulle loro mani per un lungo istante.
 
Non c’era molta gente nella caffetteria a quell’ora, e a Jim francamente non interessava.
 
“Ti dà fastidio?” chiese a Oswald, che dopo un attimo di smarrimento gli rivolse lo sguardo, accennò un sorriso e scosse la testa.
 
Una cameriera li raggiunse per prendere le loro ordinazioni, e quando tornò al bancone, liberando la visuale di Jim verso l’uscita, il detective si accorse che era appena entrata una persona che li conosceva.
 
Probabilmente la persona peggiore che potesse vederli in una situazione del genere.
 
Il capitano Barnes.
 
La mano di Jim ebbe un tremito dato da un moto istintuale a ritrarla, ma alla fine non lo fece. Decise che non era giusto nascondersi quando avrebbe potuto continuare a fare qualcosa che aveva altamente desiderato, ovvero godersi un’uscita in pubblico come se fossero una coppia normale.
 
Forse non li avrebbe nemmeno notati, perciò si stava preoccupando per niente.
 
“Qualcosa non va?” gli chiese Oswald, che doveva aver notato il suo disagio.
 
Jim scosse la testa.
 
“È appena entrato Barnes, ma… non voglio lasciarti andare. Forse non ci noterà nemmeno,” buttò lì.
 
Tempo di dirlo, che la cameriera tornò indietro con le loro ordinazioni e le dispose sul tavolo. E quando Jim alzò lo sguardo per ringraziarla, si accorse che Barnes si era voltato verso di loro.
 
Il detective distolse subito lo sguardo, decidendo che ormai poteva solo fingere di non averlo visto, anche se in verità era ovvio che non fosse così.
 
“Deduco che ci abbia visto,” disse Oswald, stirando le labbra in un sorriso forzato.
 
“Già… Come minimo, dopo mi aspetta una sfuriata,” commentò Jim, sciogliendo l’intreccio delle loro dita per sollevare il suo caffè e portarlo alla bocca.
 
“E cosa potrebbe mai dirti? Si tratta della tua vita privata e non stai facendo del male a nessuno,” ribatté Oswald, scaldandosi le mani con la sua tazza di tè. “La mia immagine è pulita ormai.”
 
Jim annuì, perché in effetti aveva ragione. Peccato che gli sembrava troppo facile pensare di potersela cavare senza conseguenze.
 
Anche se, per come si sentiva quella mattina, credeva di essere in grado di accettare le conseguenze della sua uscita pubblica con Oswald.
 
Poco dopo Barnes lasciò la caffetteria, il che fece capire a Jim che la sua sfuriata sarebbe arrivata più tardi, al lavoro. Inoltre si rese conto che non doveva mancare poi molto all’inizio del suo orario lavorativo.
 
“Tra poco devo andare, ti dispiace se ti lascio qui?” chiese, dopodiché diede un morso al muffin ai mirtilli che aveva ordinato.
 
Oswald scosse la testa.
 
“Ho avvisato Gabe, mi sta aspettando qui fuori in macchina.”
 
“Perfetto allora,” dichiarò Jim.
 
Finì il suo caffè e prese dal portafogli i soldi della consumazione per lasciarli sul tavolo.
 
“Non serve, avrei pagato io,” gli disse Oswald, apparentemente dispiaciuto.
 
“Ti prego, fa’ pagare me oggi. Sono poche le volte in cui mi permetti di offrire, ma oggi è un giorno importante e ci tengo.”
 
“Va bene allora,” rispose, rivolgendogli un sorriso sincero.
 
“Cerca di non preoccuparti troppo per l’esito delle elezioni, e per qualsiasi cosa scrivimi,” si raccomandò, quindi si alzò.
 
“Ci proverò. Buon lavoro, James.”
 
E Jim sperava tanto che la sua giornata di lavoro sarebbe andata bene.
 
Uscì dalla caffetteria e si diresse a passo sicuro verso la centrale, distante un paio di minuti a piedi.
 
Una volta arrivato, scoprì che Harvey era già al lavoro e gli si avvicinò per sedersi alla propria scrivania.
 
“Ehi Jimbo. Guarda,” lo chiamò, e quando si voltò nella sua direzione vide che il suo amico aveva tolto la spilla elettorale di Oswald da dentro il cestino e l’aveva attaccata al suo esterno.
 
“Harvey, ti prego,” ribatté.
 
“Che c’è? Mi piace che stia qui. E comunque, appena l’ha vista Barnes si è arrabbiato e mi ha ordinato di farla sparire. Che improvvisamente abbia deciso di dare a lui il suo voto?” ironizzò, e Jim gli rivolse un sorriso tirato.
 
“Non credo. Mi ha visto, poco fa, che facevo colazione con Oswald,” disse, lasciando sottinteso il piccolo, piccolissimo dettaglio che si stavano anche tenendo per mano. “Probabilmente gli abbiamo già guastato l’umore.”
 
“È per questo che oggi l’hai messa?” gli chiese il suo amico, e solo in quel momento Jim si accorse di avere ancora la spilla sul petto.
 
Quella consapevolezza, però, non provocò alcuna sensazione negativa in lui.
 
Non l’aveva tenuta su perché Barnes ormai sapeva della loro relazione. L’aveva fatto per distrazione, perché quel giorno si sentiva sicuro di sé. Sentiva di non avere nessun motivo per tenere nascosto il semplice fatto che lo sosteneva nelle elezioni, e se si sentiva così era perché si amavano e se l’erano finalmente detto.
 
Era bastato così poco a dargli la spinta necessaria per capire che ormai, qualsiasi fossero state le conseguenze, le avrebbe affrontate.
 
“Barnes non c’entra, oggi mi andava così,” rispose.
 
Harvey fece spallucce, dopodiché tolse la spilla dal cestino e ce la buttò dentro con disinteresse.
 
“Sei proprio sicuro di non volerlo votare? Avrai sentito le sue promesse, e a me ha garantito che intende mantenerle tutte quante.”
 
“È sicuramente un’ottima cosa, se lo farà davvero, ma ho deciso che non mi riguarda. Non voterò per Cobblepot, e piuttosto che votare per Aubrey James mi taglio una mano,” commentò acidamente.
 
Jim decise di non insistere oltre. Prima che potesse mettersi davvero al lavoro, però, notò Nygma che camminava nella sua direzione.
 
“Jim, buongiorno. Detective Bullock,” aggiunse, e a lui riservò un gesto del capo prima di tornare a guardare Jim, un sorrisetto finto e fastidioso stampato sul suo viso. “Sarei voluto andare a votare insieme a Oswald, ma ho saputo che lo ha già fatto…”
 
“Sì, c’è andato con me. Aveva altro a cui pensare stamattina e... deve essersi dimenticato di avvisarti.”
 
Edward assottigliò lo sguardo, chiaramente infastidito all’idea di essere stato messo da parte. Poi si accorse della spilla sul petto di Jim e il suo sorriso svanì del tutto.
 
“Hai deciso di mettere la sua spilla… Te l’ha chiesto Oswald?”
 
“No, l’ho fatto di mia iniziativa. Perché ti interessa tanto?” chiese, confuso.
 
“Niente di cui tu debba preoccuparti. Ho del lavoro che mi attende in laboratorio,” annunciò, quindi fece dietrofront.
 
“Più passano i giorni e più si fa strano,” commentò Harvey, e Jim non poté dargli torto.
 
 
Jim si dedicò con impegno al caso su cui stava lavorando, e la sfuriata che si aspettava da parte di Barnes alla fine non arrivò mai. Come aveva detto Oswald, probabilmente non avrebbe messo bocca nelle sue scelte personali, per quanto non potesse approvarle. Il che, quando a fine giornata ci fece caso, fu un sollievo.
 
Jim lasciò la centrale alla solita ora, con la spilla di Oswald ancora sul petto, e lo raggiunse a villa Van Dahl per una cena in famiglia. Per non lasciare il suo ragazzo in preda alle preoccupazioni la notte prima che venissero annunciati i risultati, accettò di fermarsi a dormire lì.
 
E così si ritrovò nella sua camera da letto, stanco ma soddisfatto per com’era andata la giornata. In quanto alle votazioni, era ancora fiducioso anche se iniziava a sentirsi un po’ teso, più che altro per empatia nei confronti di Oswald.
 
Mentre si trovavano da soli, prima di decidere che fosse arrivato il momento di andare a dormire, parlarono del più e del meno per distrarsi da quei pensieri, e Jim gli raccontò del caso a cui stavano lavorando da giorni lui e Harvey, e che ancora non erano riusciti a risolvere.
 
E poi Oswald gli rivolse uno sguardo sorpreso, come se improvvisamente si fosse ricordato di qualcosa di importante. Si alzò dal letto, raggiunse la sedia dove aveva appoggiato la sua giacca ed estrasse un bigliettino da una delle tasche.
 
Jim riconobbe subito quel foglio di carta piegato, quindi schiuse le labbra.
 
“Come hai fatto a riaverlo? Pensavo che ormai Nygma se lo sarebbe tenuto per sempre,” disse, un attimo dopo.
 
Jim era serio, ormai credeva che la lettera compromettente di Oswald sarebbe per sempre rimasta in mano sua. E il fatto che Oswald dicesse che Edward, comunque, non ne avrebbe fatto nulla perché era un suo amico, gli faceva pensare solo che si fidava troppo di lui.
 
Poi sembrava che avessero fatto una specie di accordo che riguardava quella stessa lettera, e all’improvviso rieccola qui, al sicuro tra le mani di chi l’aveva scritta.
 
“Devi sapere, James, che io e Ed avevamo fatto una scommessa. Oggi pomeriggio è passato a ridarmela ammettendo che l’aveva persa,” annunciò fieramente.
 
“E di che scommessa si trattava?” chiese Jim, corrugando la fronte.
 
“Riguardava la spilla. Dopo che l’hai presa, Ed continuava a ripetere che non avresti mai avuto il coraggio di indossarla al lavoro, per paura delle conseguenze. Invece pare che tu oggi l’abbia portata per tutto il giorno…”
 
“È così,” confermò, sorpreso. “Quindi tu sapevi che lo avrei fatto?”
 
“No, ma speravo che prima o poi sarebbe successo. Diciamo che mi piaceva l’idea,” ammise, con un sorriso imbarazzato. “La scommessa prevedeva che, se avesse vinto lui, avrebbe tenuto la lettera, quindi ho pensato che non avrei avuto nulla da perdere. Non fraintendermi, poi avrei mandato qualcuno a cercarla nel suo appartamento, perché ero consapevole che saperla in mano sua non ti faceva stare tranquillo.”
 
Jim sorrise, colpito dalla sua rivelazione.
 
“Però ho vinto io,” aggiunse, aprendo il foglietto precedentemente piegato in quattro. “E se permetti, credo sia meglio distruggerla subito.”
 
“Per quanto mi dispiaccia, sì, va fatto,” concordò, e gli si avvicinò intuendo la sua intenzione di gettarla nel camino della stanza, acceso per scaldare l’ambiente.
 
“Se vorrai che ti scriva altre lettere, lo farò,” disse Oswald, dopodiché gli rivolse una lunga occhiata, forse per confermare che non provasse nessuna remora, prima di buttarla tra le fiamme.
 
Jim la guardò bruciare e con la carta si dissolse anche un peso che sentiva sulle spalle da tempo, troppo tempo perché ci potesse fare caso ormai, ma c’era stato e adesso non c’era più.
 
“Francamente, preferisco altre dimostrazioni d’amore,” rispose, e allungò un braccio per poter circondare i suoi fianchi, mentre entrambi si trovavano ancora fermi a guardare la lettera che bruciava.
 
“Anche io, James,” convenne Oswald, rivolgendogli un sorriso.
 
E, scaldati dalle fiamme del camino, si avvicinarono l’uno all’altro per darsi un lungo bacio carico di affetto, desiderio e sollievo.
 

 
 
-FINE-

...e invece no!





Spazio di quella che scrive

Ciò che avete appena letto doveva essere l'ultima parte di questa serie, ma ultimamente ho deciso di scriverne un'altra. Perciò aspettatevi un ulteriore (ed ultimo) seguito!
Prima di pubblicare quello, però, pubblicherò altre Gobblepot slegate dalle storie che fanno parte di questa serie. Quindi i contenuti su Jim e Oswald non mancheranno.
A presto!
   
 
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