Nel corso del XVI e del XVII secolo, il commercio dei bulbi di tulipano divenne sempre più diffuso nei Paesi Bassi, tanto che il possesso del fiore (anche come investimento su bulbi non ancora piantati) andò a costituire un vero e proprio status symbol. L’aumento ingiustificato della domanda portò a una bolla speculativa, che esplose nel 1637 dopo un’asta di bulbi andata deserta ad Haarlem, a cui seguì il fenomeno del panic selling: in molti si ritrovarono proprietari di bulbi che, a causa del crollo della domanda e dell’aumento vertiginoso dell’offerta, avevano diminuito il proprio valore di oltre dieci volte, cadendo così in rovina.
Nel mio racconto avrei dovuto mostrare la vita di una famiglia mercantile olandese impegnata nel commercio o nell’acquisto di tulipani: lo scoppio della bolla sarebbe comunque dovuto avvenire, ma con conseguenze diverse a quelle effettivamente verificatesi (si segnala che il ‘600 è ricordato come il Secolo d’Oro olandese, per cui la ripresa dalla crisi finanziaria fu nella realtà abbastanza efficiente).
Avrei quindi potuto mostrare una crisi con portata ancora più grande, in grado di distruggere completamente i commerci olandesi con l’Asia, oppure caratterizzata da una ripresa ancora più florida.
Io ho scelto quest'ultima.
Nel mio racconto avrei dovuto mostrare la vita di una famiglia mercantile olandese impegnata nel commercio o nell’acquisto di tulipani: lo scoppio della bolla sarebbe comunque dovuto avvenire, ma con conseguenze diverse a quelle effettivamente verificatesi (si segnala che il ‘600 è ricordato come il Secolo d’Oro olandese, per cui la ripresa dalla crisi finanziaria fu nella realtà abbastanza efficiente).
Avrei quindi potuto mostrare una crisi con portata ancora più grande, in grado di distruggere completamente i commerci olandesi con l’Asia, oppure caratterizzata da una ripresa ancora più florida.
Io ho scelto quest'ultima.
SEMPER AUGUSTUS
Prologo
Quando ero bambina, mia madre soleva narrarmi la Leggenda dei Tulipani. Per me era un momento magico, intimo, solo nostro. La più efficace delle medicine.
Si sedeva sul mio letto, con indosso una camicia da notte di cotone bianco, lunga fino alle caviglie, e prendeva a spazzolarmi i capelli. Potevo osservare la sua faccia attraverso lo specchio che tenevo in mano e, nonostante un occhio fosse difettoso, io la trovavo bellissima.
Mi chiedeva sempre quale storia volessi ascoltare, nonostante sapesse che la mia preferita riguardava la nascita del fiore più bello del mondo: il Tulipano, il fiore sacro della religione musulmana poiché rappresenta il dio stesso.
La leggenda si apriva con la consueta formula delle fiabe:
“C'era una volta, in un Paese lontano lontano, fatto di fiori e d'incanti, un uomo e una donna che si amavano tanto.”
E io, nella mia testa di bambina, ripetevo i loro nomi prima ancora che li pronunciasse mia madre: il bellissimo Shirin e la giovane Fahrad.
Un giorno, Shirin si allontanò dal villaggio in cui vivevano e non fece più ritorno. Fahrad lo attese affacciata alla finestra della sua stanza, ma i giorni passavano e di lui neppure un segno. Così, una sera, decise di avventurarsi nel deserto, sperando di ritrovarlo. Ciò che invece trovò fu la morte. Vinta dalla stanchezza e dalla fatica, sopraffatta dal dolore per la perdita del suo amato Shirin, la giovane Fahrad si accasciò al suolo, iniziando a piangere. Le lacrime, mischiandosi con il sangue delle ferite, bagnarono il terreno sabbioso e, proprio in quel punto, fiorì un bellissimo Tulipano.
Sebbene conoscessi alla perfezione la fine della vicenda, ogni volta speravo che mutasse e la tragedia si trasformasse in un lieto fine.
Per anni ho fantasticato sui volti dei due giovani amanti, identificandomi in Fahrad e innamorandomi perdutamente di Shirin.
Mi sono illusa che le leggende potessero cambiare, invece ho imparato che le storie, per quanto tristi, non cambiano mai.
Restano fedeli a se stesse...
Si sedeva sul mio letto, con indosso una camicia da notte di cotone bianco, lunga fino alle caviglie, e prendeva a spazzolarmi i capelli. Potevo osservare la sua faccia attraverso lo specchio che tenevo in mano e, nonostante un occhio fosse difettoso, io la trovavo bellissima.
Mi chiedeva sempre quale storia volessi ascoltare, nonostante sapesse che la mia preferita riguardava la nascita del fiore più bello del mondo: il Tulipano, il fiore sacro della religione musulmana poiché rappresenta il dio stesso.
La leggenda si apriva con la consueta formula delle fiabe:
“C'era una volta, in un Paese lontano lontano, fatto di fiori e d'incanti, un uomo e una donna che si amavano tanto.”
E io, nella mia testa di bambina, ripetevo i loro nomi prima ancora che li pronunciasse mia madre: il bellissimo Shirin e la giovane Fahrad.
Un giorno, Shirin si allontanò dal villaggio in cui vivevano e non fece più ritorno. Fahrad lo attese affacciata alla finestra della sua stanza, ma i giorni passavano e di lui neppure un segno. Così, una sera, decise di avventurarsi nel deserto, sperando di ritrovarlo. Ciò che invece trovò fu la morte. Vinta dalla stanchezza e dalla fatica, sopraffatta dal dolore per la perdita del suo amato Shirin, la giovane Fahrad si accasciò al suolo, iniziando a piangere. Le lacrime, mischiandosi con il sangue delle ferite, bagnarono il terreno sabbioso e, proprio in quel punto, fiorì un bellissimo Tulipano.
Sebbene conoscessi alla perfezione la fine della vicenda, ogni volta speravo che mutasse e la tragedia si trasformasse in un lieto fine.
Per anni ho fantasticato sui volti dei due giovani amanti, identificandomi in Fahrad e innamorandomi perdutamente di Shirin.
Mi sono illusa che le leggende potessero cambiare, invece ho imparato che le storie, per quanto tristi, non cambiano mai.
Restano fedeli a se stesse...
Capitolo 1
Porto di Amsterdam, 1650
Il porto di Amsterdam brulicava di gente. Un nuovo carico di bulbi di tulipani era appena attraccato alla banchina numero tre e già numerosi acquirenti si affrettavano ad avanzare le proprie offerte, dai prezzi stratosferici.
Il capitano del galeone, una vecchia imbarcazione sopravvissuta a mille intemperie, si affacciò sul pulpito di poppa e sollevò le braccia, urlando al di sopra del chiacchiericcio per annunciare ufficialmente che l'asta era aperta. Già si sfregava le mani, calcolando i denari che avrebbe guadagnato da quegli assatanati di mercanti. Poco più in là, un'altra nave gemella stava invece issando l'ancora diretta in Cina, con un numero esagerato di bulbi di tulipani rossi (i più richiesti in Oriente, essendo il rosso il loro colore portafortuna).
Ormai, da decenni, il commercio di quei fiori dalla vita effimera aveva sorclassato tutti gli altri.
La cosiddetta Tulipomania, meglio nota come l'ossessione per i tulipani, era scoppiata in Olanda non troppi anni addietro, precisamente intorno al 1630. Il Tulipano, un fiore giunto dalla Turchia un secolo prima, era diventato un vero bene di lusso. Una sorta di status symbol per le famiglie dei ricchi mercanti e anche per le più antiche casate nobiliari. Queste ultime poi facevano delle vere e proprie follie solo per abbellire le loro case o posare davanti a un ritratto con il suddetto fiore tra le mani.
Tra gli olandesi, nei primi anni del 1630, si diffuse dunque una vera mania. Qualcuno addirittura arrivò a vendere la propria abitazione o attività per un carico di bulbi, sicuro che ne avrebbe ricavato un guadagno maggiore dei suoi beni immobili. Ma non tutti gli olandesi si lasciarono abbindolare dalla follia che aveva colpito la propria gente, alcuni infatti erano convinti che solo un pazzo potesse comprare a cinquemila fiorini una scorta di cipolle marroni, i bulbi appunto, neanche buone per cucinare. Una parte della popolazione continuò a sperare che presto quella bolla di speculazione sarebbe esplosa, riducendo in povertà coloro che avevano investito senza parsimonia i propri averi, speranzosi di beccare fra quei bulbi lisci del colore della terra un esemplare raro di tulipano: il Semper Augustus, il tulipano raro per eccellenza, con le corolle simili a pennacchi screziati di rosso sangue e di bianco candido. Così speciale, affascinante e raro da fare impazzire letteralmente gli uomini.
Ben presto, si diffusero aste illeciti nei peggiori sobborghi della città, nascoste alla luce del sole e neppure visibili al chiarore della luna. Fra i commercianti iniziarono a circolare dei pagherò, ovvero pezzi di carta dove venivano riportate le informazioni sul fiore che si desiderava acquistare e la data in cui poteva essere ritirato. Secondo molti, era l'inizio della fine, il castello di sabbia stava per crollare. Invece, la domanda dei bulbi restò così alta che diverse persone, tra nobili e borghesi, ma anche conventi cristiani e proprietari terrieri, metterono a disposizione il proprio pezzo di terra per la coltivazione dei bulbi, trasformando l'Olanda in un enorme giardino colorato a cielo aperto. Il castello rimase intatto, il mercato crebbe, le domande triplicarono, riuscendo in pochi anni a oltrepassare il confine nazionale e convincere i Paesi oltreoceano che quei fiori erano tutto ciò di cui la gente avesse bisogno per sopravvivere.
Tra coloro che avevano fiutato gli affari, dietro la compravendita dei bulbi di tulipano, c'era il mercante Bernhard Van Der Zee, il quale, proprio quel giorno, era riuscito ad accaparrarsi un carico di fiori alla banchina tre, strappandola al suo rivale per ben tremilacinquecento fiorini.
Ridendo a crepapelle, l'uomo si era caricato la botte sul calesse e poi si era issato a sedere, afferrando le redini del cavallo.
“Ehi, Bertus!” Lo aveva chiamato l'altro. “Non trovarai il tuo Semper Augustus lì in mezzo!”
“Chissà, vecchio mio! Chissà…” rispose Bertus, sollevando il tricorno dal capo in segno di saluto, quindi si era messo in viaggio spronando il ronzino. La sua risata gutturale era riecheggiata lungo le strade del porto, sporche e umide a causa della leggera ma incessante pioggerellina che veniva giù da giorni.
Bernhard attraversò la campagna uggiosa, spoglia e monocolore della periferia di Amsterdam. Non era ancora tempo di fioritura, ma sapere che in primavera e per tutta l'estate quei campi avrebbero brulicato di fiori dai mille colori gli trasmetteva un senso di potenza. Prevedere ciò che sarebbe accaduto lo faceva sentire un dio in terra, invincibile.
Ogni tanto incitava l'animale che lo trainava con un verso basso, pronunciato tra i denti stretti, poi riprendeva a fischiettare un motivetto inventato da sé. Era di ottimo umore. Senza neanche troppi problemi, era riuscito ad accaparrarsi un buon carico di cipolle spellate, come soleva chiamare lui i bulbi, grazie alle quali avrebbe ricavato un bel gruzzoletto. Inoltre, quella sera, lui ed Evelien avrebbero preso parte a una festa organizzata dal duca Luke De Wit.
Sulla bocca sottile di Bernhard comparve un mezzo sorriso, molto più simile a un ghigno. Tutto procedeva secondo i suoi piani, ma d'altra parte aveva mai avuto dubbi che così non fosse? Assolutamente no!
Nella sua lunga esistenza – contava ben cinquantaquattro primavere oramai! – tutto era sempre andato secondo i suoi programmi, sin da quando ero un ragazzino e suo padre lo obbligava a svegliarsi all'alba per accompagnarlo in mare aperto a pescare. Bertus odiava doversi alzare quando il resto del mondo ancora sonnecchiava al calduccio sotto le coperte.
Odiava l'odore di rancido del pesce e i loro occhi languidi che lo fissavano in cerca d'aria, dibattendosi sulla superficie piatta dell'imbarcazione come dei miserabili, stupidi esseri.
Odiava suo padre, la sua barbetta ispida, la sua pelle chiara macchiata dal sole e i suoi capelli rossi, ricci sulla testa. Le sue mani erano grandi e le dita callose a causa dell'usurante lavoro che ogni giorno lo vedeva issare la rete dall'acqua, toccare le squame del pescato, essere perennemente bagnato dal mare salato. Ma, ciò che più di tutto detestava del suo vecchio, erano gli occhi grigi, dello stesso colore del ferro, i quali possedevano la capacità di mutare colore a seconda del cielo: se fosse stata una bella giornata, allora si velavano d'azzurro; se al contrario avesse piovuto, allora si adombravano. Suo padre, che di nome faceva Hank Van Der Zee, discendeva da una dinastia di pescatori. Si narrava che il capostipite della famiglia Van Der Zee fosse giunto naufrago sulle coste del Paese, da ciò il cognome che stava a signifcare “colui che è venuto dal mare”. Tuttavia, Bertus non aveva avuto mai nessuna intenzione di continuare la tradizione di famiglia, per quanto romantica fosse l'idea. Così, a sedici anni aveva lasciato il piccolo villaggio rurale per trasferirsi nella capitale e cercare fortuna. Il suo obiettivo era sempre stato uno solo: diventare ricco con il minor sforzo possibile. A diciotto anni aveva sposato Mariella, la figlia di un ricco mercante italiano che vendeva quadri falsi spacciandoli per originali.
L'uomo giusto per lui!
Mariella aveva già venticinque anni ed era brutta come i debiti.
Oddio, non così brutta a dire il vero, ma avevo un occhio che andava per fatti suoi. In poche parole, era strabica. Ovviamente, nessun uomo avrebbe voluto sposare una donna che rischiava di tramandare quel difetto alla propria prole, sebbene suo padre Mario sostenesse che l'occhio le si fosse spostato dopo aver contratto una febbre da cavallo quando era piccola. Sarebbe dovuta morire e invece la malattia l'aveva risparmiata, lasciandole un marchio indelebile: il pegno per averla lasciata vivevere. La madre, invece, era morta ammazzata dalla stessa febbre.
Mariella era magrissima, con il naso troppo grande per il suo viso scarno e i capelli mossi troppo folti e troppo scuri per la sua pelle bianca. Ma a Bertus non serviva una bella moglie, né pensava alla prole a soli diciotto anni. Semplicemente, era alla ricerca di un buon partito che gli concedesse le basi per avviare la sua scalata sociale. E, a onor del vero, Bernhard Van Der Zee si rivelò un ottimo acquisto anche per il suocero, il quale in poco tempo vide i propri affari raddoppiare.
In effetti, Bertus possedeva delle doti innate di oratore e venditore, tanto che come pescatore sarebbe stato sprecato. Ma era un giovane uomo che bramava a ottenere sempre di più, senza accontentarsi di ciò che già aveva realizzato. Ben presto, iniziò in solitaria un giro d'affari loschi di compravendita di dipinti falsi, finendo invischiato in un vortice di soldi sporchi e gente di cattivo conto. La situazione gli sfuggì di mano, non riuscì più a tirarsene fuori e, non riuscendo a pagare ciò che doveva, le persone in questione appiccarono un incendio alla bottega del suocero. Il povero Mario morì di crepacuore qualche settimana dopo l'incidente.
Nel 1628 sua moglie Mariella diede alla luce la loro bellissima bambina Evelien, Evie per tutti. Dopo ben quattordici anni di matrimonio, finalmente Mariella era riuscita a portare a termine una gravidanza e, un bel giorno di primavera, il malcapitato Mario, il quale sarebbe morto di lì a qualche mese, riuscì perlomeno a dimostrare ai compaesani di aver avuto ragione sullo strabismo di sua figlia: la nipotina nacque perfettamente sana. Peccato che quell'inverno sarebbe morto a causa di un arresto cardiaco e non avrebbe potuto vedere sua nipote crescere.
Nonostante tutto, Bertus non imparò la lezione e continuò imperterrito a perseguira la propria personalissima filosofia di vita: ottenere il massimo con il minimo sforzo. Dopo un anno dalla nascita di Evie e la morte del suocero, aveva già esaurito i risparmi di una vita e Mariella fu costretta a lavorare per la prima volta nella sua esistenza, alla veneranda età di quarantuno anni. Trovò impiego presso una famiglia borghese, bisognosa di una donna che badasse al capofamiglia anziano e malato.
“Per colpa tua devo passare le giornate a pulire il culo di quel vecchio rimbambito!” Sbraitava la donna ogni volta che usciva di casa alle sei di mattina, lasciando Bertus a crogiolarsi nel tepore del loro letto matrimoniale e sua figlia piccola, ancora addormentata nella culla. Mentre parlava, l'occhio destro della donna era perennemente fisso verso l'alto, nell'angolo esterno dell' orbita oculare, praticamente a guardare un punto indefinito.
“Il tuo sguardo mi ricorda quello dei pesci lessi che mi fissavano dalla rete di mio padre. Insulso”.
Mariella sbatteva la porta e andava via. Ciò che la donna non sapeva, era che suo marito stava entrando in un nuovo giro d'affari, ai tempi ancora sconosciuto ai più, e che sarebbe esploso di lì a qualche anno: i Tulipani.
Quando la smania di investire nella compravendita dei bulbi invase l'Olanda e si infiltrò sotto le membra degli olandesi, simile a un'epidemia, Bernhard Van Der Zee si era già portato avanti con il lavoro. Sebbene, molti credessero che quel commercio sconsiderato presto sarebbe imploso, lui continuò il suo lavoro, fiducioso.
Nel 1633 Mariella si ammalò di vaiolo, dopo che ne fu afflitto il vecchio a cui badava e che il virus spedì all'altro mondo. La donna sopravvisse alla malattia, ma il corpo parecchio debilitato la costrinse a trascorrere i pochi anni di vita che le restavano nel letto di casa sua, accudita dalla piccola Evie. La quale, a soli dieci anni, scese a patti con la morte che si portò via la sua adorata mamma.
Nel frattempo, gli affari di bertus proliferavano e almeno i soldi non mancarono. Riuscì infatti a comprare una bella casa in campagna, a non far mancare nulla sulla tavola, ma, come ho ribadito più volte, l'uomo che discendeva da una famiglia di pescatori non amava accontentarsi e ambiva ad avere sempre di più. Il denaro non gli mancava, i beni immobili neppure, era solito regalare a sua figlia abiti all'ultima moda e gioielli proveniente da ogni parte di Mondo conosciuto. Tuttavia, ciò che ancora non era riuscito a ottenere era un titolo nobiliare, il quale non si poteva comprare, ma solo acquisire tramite il matrimonio. Ecco perché il suo prossimo obiettivo era far maritare la ventiduenne e unica figlia a un ricco marchese di nome Hans Van Assen.
Nei decenni, Bertus era diventato il mercante di tulipani prediletto dal duca Luke De Wit, la cui moglie si riforniva da lui per avere sempre la casa piena di bellissimi fiori. Solo qualche giorno prima, il duca in persona gli aveva parlato di un suo vecchio amico, il marchese Van Assen, che cercava disperatamente una moglie dopo essere rimasto vedovo l'anno precedente. I figli vivevano in Inghilterra e lui si sentiva solo, inoltre si avvicinava inesorabilmente ai settanta, quindi gli serviva una donna che si prendesse cura di lui, lo accudisse. Possibilmente giovane. Il duca non aveva nascosto che aveva subito pensato a Evie, una ragazza che conosceva personalmente, giacchè in più di un'occasione si era beato della sua compagnia fin da quando era una ragazzina, ascoltandola suonare il clavicembalo o leggere un buon libro.
“Il titolo di marchesa le spetterebbe di diritto dinnanzi alla legge degli uomini e pure a quella di Dio”.
Bernhard, che si era ritrovato spesso a confessare il suo sogno di veder maritata la figlia con un nobile, aveva subito accettato l'offerta del duca suo amico e in gran segreto aveva stretto un patto con il marchese, mentre Luke De Wit aveva assistito in qualità di testimone oculare.
Nel giro di poche settimane, il duca aveva organizzato una festa nella propria tenuta di famiglia, invitando sia il marchese Hans Van Assen, sia Bernhard Van Der Zee e sua figlia Evelien, più altra gente che ricopriva alte cariche sociali e nobiliari lì ad Amsterdam, uno degli snodi commerciali più importanti del XVII secolo.
Evelien sollevò il capo quando udì la carrozza che si avvicinava. Suo padre fischiettava un motivetto allegro, segno che l'umore era alto e ciò poteva significare una cosa sola: aveva comprato il carico di bulbi. La giovane abbandonò il paniere con i chicchi di grano che stava distribuendo al pollame e uscì dal recinto, accompagnando con un gran sorriso il calesse fin dentro la stalla.
“Ce l'abbiamo?” Chiese, pur immaginando già la risposta. Bertus frenò, guardandola di sbieco e fingendosi offeso:
“Stai mettendo in dubbio le abilità commerciali del tuo vecchio, bimba?”
Evie trattenne un sorriso, poi l'uomo scoperchiò la botte e la ragazza alzò le braccia al cielo:
“Siii!” Esultò.
Bertus balzò giù dalla carrozza e le lasciò un bacio sulla testa, coperta da una cuffietta bianca piegata a triangolo, dalla quale spuntava una folta chioma aranciata, della stessa tonalità dell'alba che sorgeva a est le mattine d'estate.
Il destino si era divertito con lui: sua figlia aveva ereditato lo stesso colore di capelli di Hank, suo nonno paterno. Quei capelli color carota, che tanto aveva detestato in gioventù, ora appartenevano alla persona più importante della sua vita: Evelien. E, come se non bastasse già quello, del nonno aveva anche gli stessi occhi grigi, perennemente malinconici e volubili, come il tempo.
“Vieni, bimba! Aiuta questo vecchio a sistemare le cipolle spelacchiate.”
Insieme spostarono la botte dal calesse fino all'angolo più remoto della stalla.
“Padre”, lo richiamò la giovane. “Sono bulbi, non cipolle. E dal peso sembrerebbero anche belli grossi. Ci daranno un ottimo raccolto”.
Bertus sorrise, pur avendo il fiatone (prima o poi avrebbe dovuto ridurre l'alcool e i cibi grassi, se non voleva rischiare di schiattare come suo suocero Mario, buon’anima).
“Scusami, spero che i tuoi amici tulipani non si siano offesi”, scherzò.
Evie lo rimproverò con lo sguardo. Quel giorno le iridi erano grigie come le nuvole in circolo. Lei aveva una vera passione per quei fiori, li adorava, e dal momento in cui piantava i bulbi, fino al raccolto, Bertus poteva sentirla dialogare con loro. Un vezzo che si portava dietro da quando era bambina e sua madre le aveva messo in testa che anche le piante - e perciò i fiori - avevano un'anima e potevano comprendere i sentimenti di chi tenevano dinnanzi.
“Hai già scelto l'abito che indosserai questa sera al ricevimento?” Le domandò Bertus mentre rientravano in casa.
“Penso che metterò il vestito verde che mi avete regalato al compleanno” Evelien tirò via la cuffia e i capelli si mossero fluenti lungo la schiena.
“Mi raccomando, devi essere impeccabile, bimba! La più bella del ballo!”
“Non capisco perché ci teniate tanto, padre”, lei sistemò un altro ceppo di legno nel camino, in modo che la fiamma non si spegnesse.
“Perché sei la mia bimba, ecco perché!” Mentì Bertus, ma nemmeno poi così tanto.