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Autore: whitemushroom    26/09/2024    2 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Padre Tsekani riaprì gli occhi fu invaso da un bruciore indicibile. Gli parve che la sua intera cornea andasse a fuoco e chiuse di scatto le palpebre, solo per poi costringersi a riaprirle e cercare di rimettersi in piedi al più presto; tutto, dalle spalle alla punta dei piedi, sembrava essere pieno di ferite e lividi, e se la testa non gli doleva era forse soltanto perché prima dell'impatto aveva protetto d'istinto il cranio con un braccio.
Il caldo era insopportabile. L'aria rovente gli portò l'odore di benzina, plastica, gomma, tutto carico delle fiamme dell’incendio; fece per tirarsi la kefiah sul naso e proteggersi da quel fumo denso, ma la sua mano trovò solo il colletto della camicia e ciò che restava dell'elegante giacca di Giulio Torre. Gonfiò le guance, sforzandosi di respirare il minimo possibile, ma presto l'odore acre si diffuse sul palato e per poco non vomitò.
L'aria crepitava, muovendosi in modo confuso per il calore. Intorno a lui le fiamme divampavano, avvolgendo qualunque cosa nel raggio di diversi metri: l'area di servizio non esisteva più, sventrata dall’esplosione dell'impatto, e le mura rimanenti erano carbonizzate, con le ultime fiamme che divoravano ciò che rimaneva dell'interno. Delle macchine parcheggiate che aveva visto di sfuggita durante la corsa forsennata ne riuscì a scorgere solo un paio, le più lontane dal punto dell'impatto, al massimo annerite ma ancora sul posto. Tutti i veicoli vicini alla pompa di benzina, al contrario, erano stati aperti come se un esercito di elefanti li avesse calpestati e poi dati alle fiamme, con pezzi di lamiere e sportelli che giacevano ai suoi piedi, con i vetri scheggiati e l'esterno carbonizzato.
Ciò che restava del pullman sembrava soltanto un'enorme pira.
L’esecutore mise un piede avanti all'altro, costringendosi ad avvicinarsi: cercò nel crepitare delle fiamme almeno una piccola voce che chiedesse aiuto, anche solo un gemito, un minuscolo segno di vita, ma l'unico suono che gli invadeva le orecchie e la mente era quello dell'incendio che divorava ogni cosa. L'aria rovente continuava a scivolargli addosso, e se non fosse stato per il suo crocifisso avrebbe fatto la fine degli abitanti dell’Antilux; l'oggetto sacro allontanava l'energia della Firma avversaria in modo gentile ma fermo, scostando il potere ancestrale lontano da lui. L'energia della Creazione era intensa, dolorosa, un'unica entità con l’Antilux e la Fata che la aveva incanalata, e in quel momento più che mai non poté fare altro che sentirsi un topo in una scatola, una scatola pronta a crollare e schiacciarlo con la sua stessa potenza.
Barcollando, si avvicinò al pullman.
Le lamiere ancora bruciavano e il fumo nero rendeva complicato vedere a più di un metro da lui, ma avanzò.
Sapeva di aver sbagliato qualcosa, e non perché tutto intorno a lui vi erano solo fiamme e corpi irriconoscibili. Se lo sentiva dentro, nelle viscere, nel non aver afferrato il cuore dell’Antilux nel modo corretto. Vi era un senso in quelle trappole ancestrali, un nodo su cui l'intera esistenza del Daoine Maithe si costruiva e si plasmava; uscirne richiedeva capire dove fosse quel nodo e scioglierlo. La testa dell’esecutore volò subito allo strano Autista ed a Sara, e senza nemmeno rendersene conto i passi lo portarono verso la carcassa del veicolo più grossa, e i suoi piedi sfiorarono le dita carbonizzate dei corpi dei ragazzi.
Si costrinse a guardare.
Lo schianto e l'incendio successivo potevano solo fargli sperare che i giovani fossero morti sul colpo: certo, erano soltanto proiezioni, ma le figure cariche di gioia e di infantile stupidità dovevano essere state reali, in qualche tempo o in qualche luogo.
Reali come Sara.
Alcuni corpi stavano ancora bruciando. Ringraziò in fondo il fumo per distruggere l'odore del sangue, poi si fermò, benedicendo uno dei tanti corpi straziati, assolutamente irriconoscibile, la cui parte inferiore era stata cancellata dall’esplosione e di cui rimaneva riconoscibile solo un berretto annerito. Mormorò la preghiera con l'amaro in bocca per poi ripeterla davanti allo studente successivo.
Avrebbe voluto non riconoscere Sara. O non trovarla.
Purtroppo per lui, era molto bravo a trovare le persone.
La gola gli si strinse, e non per il fumo, quando raggiunse la parte del pullman dove si era seduto nemmeno pochi minuti prima. Avrebbe riconosciuto la giacchetta e lo zaino colorato ovunque, anche in mezzo al fumo più denso ed alle scintille che saettavano, accartocciata tra due file di sedili. Degli abiti erano rimasti pochi brandelli, e l'intero corpo era un'unica massa nera su cui il fuoco aveva infierito, cancellando persino i lunghi capelli castani ed il sorriso triste e timido che gliela aveva immediatamente fatta venire a simpatia. Anche se era solo una proiezione, anche se la vera Sara Zurlí era deceduta ben prima di potersi incontrare, maledì l’orribile sensazione di essere arrivato tardi. Era di nuovo quello vivo.
Quello con una storia da raccontare.
Quello che, come diceva sempre Freki, doveva incollarsi sulle spalle tutto; perché nonostante il pullman, l'autista, l’Antilux e le Fate, forse avrebbe potuto evitare quel disastro, avrebbe potuto prevederlo. Valutarlo. Si passò la manica della camicia sugli occhi, ricacciando subito il dolore e la frustrazione che avevano il brutto vizio di appannargli la vista e mandarlo in confusione; strinse i denti con tutta la furia che aveva in corpo, restituita dieci volte più aggressiva dalla Firma che volteggiava intorno al corpo della ragazza.
Quando si decise a sollevare la testa, i suoi occhi si buttarono tra le fiamme.
Sebbene la genesi di un Antilux prevedesse la presenza di un Daoine Maithe, il dolore di Antonio Zurlí doveva aver avuto un impatto più che significativo per plasmare la genesi di uno spazio separato di norma collegato alla natura intima di una Fata. Attraverso qualunque inferno fosse passato quell’uomo, non poteva passare avanti e far finta di nulla.
Aveva consacrato la sua vita a quello.
“Fatti vedere!” gridò, lo sguardo rivolto verso la coltre di fumo più nera e densa che trovasse. “So che sei qui”.
Si scacciò le ultime lacrime, e inspirò.
L'aria era carica di fumo, gas, e plastica bruciata.
Nel crepitio della distruzione, il suo orecchio avvertì il click di un accendino.
Si girò, con le mani che cercavano spasmodicamente un coltello che chiaramente non trovarono; in un punto dove le fiamme erano basse ma il fumo intenso e carico di cenere, qualcosa si mosse. Lo fece in modo impercettibile, e forse un occhio meno allenato lo avrebbe confuso con il tremolio dell'aria rovente, ma un esecutore sapeva distinguere quando era il cacciatore e quando la preda.
Cercò di ottenere il minimo vantaggio allontanandosi dalle aree più infiammate, senza perdere di vista la figura.
Nello sfondo grigio e nero, la piccola fiamma di un accendino fu il segnale.
“Te lo avevo detto. Niente casini sul mio pullman”.
Quello che doveva essere stato il corpo dell'autista era diventato qualcosa di irriconoscibile. La sagoma aveva ancora delle fattezze umane, con gambe evidenti e il braccio destro su cui terminava un sigaro, ma la pelle era annerita, come se tratti fossero fatti di cenere ed altri di pura ossidiana, un gioco di grigi e neri che rivaleggiava con il fumo tossico e le lamiere scure dei veicoli. La camicia sudicia che gli aveva visto a bordo prese fuoco nel momento in cui accese l'accendino, delineando meglio la sua figura che prese ad ardere a livello del torso, delineando il dettaglio che il suo avversario non aveva alcuna intenzione di nascondersi. Il fumo che usciva dal sigaro disegnava un filo che arrivava fino alle labbra, incredibilmente chiaro in quello scenario grigio. Strane scintille guizzavano tra i capelli, ma questi sembravano non bruciare.
Non aveva bisogno del crocifisso per capire l'entità della Firma e l'intero vorticare dell’Antilux intorno alla sua figura.
Se il ricordo di Sara era l'origine del campo ancestrale, quell’autista ne era il drago che vi si poteva scatenare. Ogni Antilux nascondeva nella sua parte più profonda qualcosa che lo stesso Maithe temeva, qualcosa che la sua natura collegata alla Creazione potenziava come estrema concretizzazione di forza e pericolo. Coloro che utilizzavano gli Antilux come trappole si assicuravano che nessuno vi rimanesse vivo.
Se davvero la Fata responsabile di quel luogo lo aveva modellato in base ai ricordi del professor Zurlí, la creatura lì davanti poteva avere solo un significato. “Sara è morta in un incidente, giusto?”
La creatura mosse la mano, imitando il gesto di fumare ed aspirare. Il fumo che uscì dalla sua bocca, però, rimase sospeso intorno alla sua testa, oscurandone gli occhi e lasciando solo la bocca in evidenza. “Ogni giorno la gente muore. Questo non ti dà diritto di fare quello che ti piace qui, prete”.
La sua voce era diversa da quella sentita sul pullman. Gli giungeva più profonda, più scura, come se stesse provando a rivolgersi alla cappa fuligginosa di un camino.
La Firma, fino ad allora quiescente tra le fiamme e ciò che restava della pompa di benzina, prese ad ammassarsi intorno alla sua essenza. La scintilla del sigaro la catalizzava come un punto fermo, e solo il crocefisso riusciva a deviare le linee sferzanti che altrimenti avrebbero colpito la sua figura. L'energia della Creazione aveva la potenza di un'onda in piena, ma non fu la forza distruttiva a preoccupare l’esecutore; scintille di pura Vita presero ad ardere nell'aria intorno alla figura dell'autista e, dopo essere scese a livello dell'asfalto, esplosero all'unisono riportando in vita le ultime braci, che presero a divampare come se nuova benzina fosse stata gettata su di esse.
La temperatura si fece insopportabile, e l'aria intorno al vortice protettivo del crocifisso si fece sfumata.
Senza la sua protezione probabilmente sarebbe morto.
Indietreggiò il più possibile, allontanandosi dalla combustione in arrivo: i Maithe odiavano e temevano la luce ed il fuoco più di ogni altra cosa, e quello scenario era più che sufficiente a fargli capire il livello di pericolo.
Si ritrovò alla carcassa del pullman e cercò qualcosa, anche un pezzo di lamiera, da impugnare come difesa; vide la sbarra divelta di una seduta che avrebbe fatto al caso suo, ma ritrasse la mano in tempo. Le scintille apparvero intorno a lui, ed ebbe i riflessi pronti nel buttarsi a terra ed essere coinvolto in una nuova pira che divorò in pochi attimi anche ciò che rimaneva dei ragazzi carbonizzati.
Si guardò intorno, e il bitume dell'asfalto fiammeggiava, riversandosi verso di lui; un dolore crescente gli partì dai piedi, e sotto di lui la strada sfrigolava, sfidando le sue protezioni, il calore mortale pronto a colpire dal basso non appena le sue difese non fossero state abbastanza per reggere l'impatto.
Cercò un punto dove l'asfalto non coprisse il terreno, ma l'unica area che ricordava un terreno era oltre la figura avversaria.
L'altro non aveva alcuna espressione, immobile come tutto ciò che riguardava i Maithe.
“La Creazione è una fiamma, hym”.
Il tono era ancora più profondo, impossibile da essere generato da un corpo che aveva ancora delle forme umane.
Gli ricordò il rimbombo di una tempesta di vento attraverso la cappa del camino.
“E potete soltanto bruciare”.
Espirò, e in quel momento le fiamme scattarono all'unisono nella sua direzione. D'istinto prese a correre, solo per trovarsi le fiamme anche alle spalle.
Il calore penetrò oltre la barriera del crocifisso, e gli parve di andare a fuoco.
Poi un boato sommerse qualsiasi cosa. La terra tremò sotto i suoi piedi ed esplose tra lui e le fiamme; Padre Tsekani perse l'equilibrio e si preparò a cadere, ma un secondo smottamento alle sue spalle fece alzare parte della strada e si ritrovò sospinto di nuovo in piedi. Avvertì subito dopo una seconda scossa, più violenta della prima, ma era preparato e si aggrappò al supporto improvvisato quando l'asfalto si aprì sotto il pullman in fiamme, rallentando l'incendio.
“Kani, puoi ricordarmi quella parte sulla discrezione e la modestia nelle missioni?”
Alla sua destra la strada si sollevò di oltre un metro da terra, rovesciando l'asfalto incandescente e rivelando prima il sottofondo, poi il terreno naturale, scavando allo stesso tempo un solco che disegnò un semicerchio netto tra lui e l'attacco. Un ultimo, più leggero smottamento, e la sagoma di Dewhellan apparve in mezzo al fumo, immobile, con il terreno sotto di lui che si spostava come una passerella per farlo muovere nella sua direzione. Fu solo quando fu sicuro di incrociare il suo sguardo che mosse il braccio in un cenno di saluto. “Dovresti essere felice di essere mio amico! Stavi per fare la fine del magus sul rogo, proprio nello stile della Santa Sede!”
L’esecutore ebbe la decenza di non rispondere come avrebbe voluto soltanto perché il magus gli aveva appena salvato la vita.
Si limitò a borbottare un ringraziamento, preoccupandosi più della propria sopravvivenza che della faccia da schiaffi sotto al ciuffo azzurro.
Intorno al fossato improvvisato il fuoco si affacciava, alla disperata ricerca di qualcosa da ardere. L'autista, o qualunque cosa esso fosse, non aveva nemmeno degnato il nuovo venuto di uno sguardo. L'incendio continuava a divampare nascondendone la parte inferiore del corpo, ma il sorriso emblematico, il sigaro e le volute di fumo mantenevano la stessa compostezza di prima, come se la nuova variabile inserita nello scontro non avesse la minima rilevanza.
Forse, per una creatura che esisteva soltanto in un Antilux, poteva avere persino senso.
L’esecutore si voltò verso Dewhellan, che ormai si era trasportato al suo fianco. “Se ti piaceva tanto esibirti, potevi salire con me sul pullman”.
“Eri così preso dalla missione che non mi hai lasciato il tempo di precisare un particolare…”
Sotto i suoi piedi, delle leggere strie colorate di azzurro si dipanavano nel terreno, come una ragnatela spezzata. Nell’esperienza dell’esecutore, la geomanzia non era una delle arti più pericolose dei magi, ma senza dubbio una delle più imprevedibili e capricciose.
Dew, dal canto suo, non sembrava nemmeno troppo preoccupato del fatto che potessero bruciare vivi da un momento all'altro, e completò la frase con uno schiocco della lingua “... odio andare in macchina. O su un pullman. Mi mettono di cattivo umore!”
“Ma guarda un po’, anche a me mette di cattivo umore un pullman che si schianta su una pompa di benzina dentro un Antilux!”
“Visto? Abbiamo qualcosa in comune, amico mio!”
Un crepitio alle sue spalle costrinse Padre Tsekani a riportare l'attenzione su dei problemi più pressanti, tra cui le fiamme sulla carcassa del veicolo che in pochi istanti si alzarono così tanto da coprire la vista dello spazio intorno. Bruciavano usando l'aria stessa come comburente, alzandosi al seguito della Firma della creatura ancestrale. Il terreno nudo esposto dal magus poteva essere un utile terrapieno per contenere l'incendio, ma i suoi polmoni strillavano; il suo crocifisso poteva trattenere e rimandare indietro buona parte dell'energia ancestrale, ma il fumo e la rapida distruzione dell'ossigeno non erano dei nemici da sottovalutare.
Si diede del cretino, e nella sua testa se lo disse con la voce di Freki.
Si era fatto trascinare in una trappola dopo l'altra da quando aveva inseguito quel maledetto gabbiano.
“Bene, adesso è il momento del grande piano per sconfiggere quella creatura! Piano che non ho, per comune presa visione” trillò Dew, che senza nessun preavviso invase il suo spazio personale. “Sei davvero scortese a non invitarmi sotto la protezione del tuo crocifisso. Capisci però che non voglio morire perché hai fatto arrabbiare la Fata sbagliata”.
L’esecutore deglutì.
“Chiudi la bocca e stammi a sentire…”
Si aspettava l'ennesima obiezione, ma quella non arrivò.
“Puoi farmi arrivare fino all'autista?”
Da quella posizione riusciva a vedere soltanto i capelli, ma era sicuro che un sogghigno avesse attraversato la faccia del magus “E con questa sarebbero tre le volte che ti salvo il crocifisso, e tutte in una giornata. Mi sentirei quasi in dovere di chiederti qualcosa in cambio”.
“Potresti sempre sconfiggerlo tu. Fidati, non intendo sottrarti i meriti”.
“Mh, la forza bruta non mi è mai piaciuta”.
Di nuovo la moneta che aveva intravisto nel memento apparve nella mano dell'altro, che la fece volare in aria per poi riprenderla e contemplare il risultato. “È da stamattina che esce sempre croce. Non potevo chiedere un segno migliore al destino”.
Padre Tsekani ebbe la tentazione di dirgli che avrebbe messo quella moneta da un'altra parte, ma l'incendio era un problema più impellente. “Puoi farmi arrivare fin lì o no?”
“Certo che posso. Dipende tu quanto sia bravo a correre”.
Mosse la moneta tra le dita, e l’esecutore notò che sul terreno davanti a loro apparivano strani solchi semicircolari. “Il terreno non è infiammabile, ma non garantisco che quel mostro non trovi un modo per farti arrosto. O fare arrosto me, cosa ancora più problematica”.
L’esecutore strinse i denti. Fissò l'obiettivo oltre l'inferno fiammeggiante, preparandosi a caricarlo. Il sudore gli colava ovunque, annebbiandogli la vista, e la mano destra sembrava perdere la presa sull'arma
“Ultimo dettaglio, Kani. La mia riserva di energie non è infinita. Sei pregato di correre come se avessi un necromante alle costole”.
“Piantala di parlare e fai quello che ti dico!”
Gea
La Firma intrappolata dentro il magus esplose di nuovo. Le varie volte che l’esecutore si era trovato a fronteggiare una simile violenza sull’energia della Creazione era sempre quando un magus l'aveva rivolta contro di lui o peggio, contro degli innocenti, e non trattenne un ringhio quando la sentì muoversi priva della sua normale purezza, bensì legata e imbrigliata allo schiocco capriccioso del volere dell'altro. La parola di potere fu la chiave per aprire la diga con cui Dew aveva sigillato le proprie energie, e l'attimo dopo il terreno si aprì di nuovo, rivoltando l'asfalto e tutti gli strati sottostanti, come se un gigante avesse appena abbattuto un pugno sulla piazzola e stesse rovistando il terreno con le dita.
Bitume secco e frammenti di pietra volarono da tutte le parti, ma in mezzo a quel caos il suo nemico rimaneva bene in vista, senza nemmeno il bisogno di muoversi.
Scattò in avanti, approfittando dello spazio.
I poteri di Dewhellan dilaniavano la superficie, e il contatto con la terra fresca fu subito un sollievo. Evitò in tempo dei sassi vicini ai suoi occhi, proteggendosi con il braccio da una tubatura lacerata che prese a vomitare liquami.
Ad ogni passo un altro frammento della piazzola si apriva davanti a lui, scostando le fiamme e disegnandogli un percorso dritto fino all'avversario.
Lo vide a pochi metri da lui, ma quello non fece alcun movimento per allontanarsi.
Se lo sarebbe fatto bastare.
Nel cuore della corsa si accorse non solo di avere ancora tra le mani la piccola sbarra metallica stretta nella destra, ma anche che questa stava mutando forma. Un’estremità si fece appuntita e lucida, mentre il ferro della parte inferiore sembrò fondersi per poi disegnare un anello intorno al suo polso, stabilizzandigli la presa.
Il maledetto geomante purtroppo sapeva il fatto suo.
Quando fu a pochi passi dall'essere in fiamme fece per prendere la rincorsa e sfruttare il proprio peso per arrivargli addosso, ma non fu necessario. La terra si aggregò in meno di un secondo davanti a lui quasi a creare una rampa in grado di dargli supporto e slancio; i piedi la sentirono dura, affidabile, e con un salto ottenne il vantaggio che gli serviva. Comandò alle difese sacre di scacciare le fiamme e atterrò con tutto il proprio peso sulla creatura.
Non sapeva nemmeno lui cosa aspettarsi al contatto, ma nonostante il calore disumano il corpo dell'autista aveva la consistenza di un corpo umano, e atterrò a terra insieme a lui in una esplosione di scintille che lo avrebbero ustionato sul colpo se non fosse stato per le difese sacre.
L'essere non lasciò la presa sul sigaro, limitandosi a incrementare le fiamme ed a trasformare il mondo intorno a lui in un universo rosso e bianco.
“Sara è morta, hym
A meno di un palmo di distanza, la sua faccia di umano aveva soltanto gli occhi e la bocca, ed i denti erano ormai completamente neri. Tutto il resto era pelle carbonizzata, buio profondo e scintille frutto del caos ancestrale. “Non è una partita che puoi vincere”.
“Non sono qui per vincere” disse, senza perdere la presa. Con la mano destra avvicinò l'arma alla testa del nemico. “Ma per impedire a quelli come voi di fare del male agli esseri umani”.
“Siete tutti qui per vincere”.
Un essere umano avrebbe mostrato qualche espressione. Anche un Maithe, forse.
L'essere di fiamme e cenere continuava a rivolgere su di lui le braci che ormai ne componevano gli occhi come se potesse guardargli attraverso. “Ma non potete. Non finché gli occhi di Caelamun resteranno aperti”.
“Che vuoi dire?”
Non fu preparato a quello che accadde dopo.
La protezione del suo crocifisso venne meno, come se una crepa la avesse attraversata. Prima ancora delle fiamme, prima anche del calore mortale, quello che lo investì fu l'odore del sigaro.
Gli parve che qualcuno gli stesse strappando i polmoni dal corpo.
Mandò un urlo, alla ricerca di aria, e allentò la presa sul nemico. Usò tutta la concentrazione in suo possesso per dare energia al crocifisso e ripristinare le proprie difese.
La creatura si rialzò come se avesse tutta la calma del mondo. Il fuoco era diventato una corrente priva di alcuna logica, un rogo senza distinzione dove l’esecutore era l'unica forma ancora viva.
Gli si lanciò addosso, stavolta con l'arma improvvisata in avanti. Si preparò mentalmente ad una possibile schivata o un contrattacco, ma la lama non incontrò nessuna resistenza ed entrò nel petto dell'autista fino all’elsa.
Fu come affondare una spada in un cumulo di cenere.
Il corpo che fino a pochi istanti prima era solido e definito sembrò volatilizzarsi; l’esecutore fu abile a non cadere in avanti per la spinta eccessiva e ritirò il braccio, colpendo stavolta il nemico al petto nella speranza di batterlo in velocità. Il metallo attraversò di nuovo uno strato di cenere, e dal petto comparvero delle scintille.
Con gli occhi provò a cercare organi, muscoli, qualcosa che gli indicasse un punto debole, ma fu costretto ad allontanarsi quando la punta incandescente del sigaro toccò l'aura protettiva del crocefisso, tingendola per un istante di arancione.
“Avete lasciato morire Sara, hym. Come potete pensare di fermarne il padre?”
Padre Tsekani trattenne il fiato, poi lanciò un ultimo assalto alla testa. Non sapeva nemmeno più a cosa stava mirando, ma i suoi polmoni erano giunti al collasso.
Gli affondò la lama in mezzo agli occhi, disperato, e ancora una volta ottenne soltanto cenere e scintille.
La fiamma del sigaro si fece più intensa, e la barriera sacra cedette.
Gli abiti gli presero fuoco, e un dolore indicibile gli fece avvampare il viso e le mani.
“Prega che la mia uscita d'emergenza funzioni, Kani” fece la voce di Dew, quasi impercettibile sopra le sue stesse urla di dolore “E prega bene, ti supplico!”
Qualunque cosa fosse successa negli istanti successivi, l’esecutore lo ricordò soltanto il boato più potente mai sentito nella sua vita e la sensazione che tutto, la terra, l'aria, l’Antilux ed il memento gli stessero squarciando il petto.
  
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