7
Lucas alzò la testa di scatto quando bussarono alla porta. Era seduto sul bordo del letto con le gambe a penzoloni, concentrato sulla relazione che i pryderi avevano compilato dopo l’attacco del mese precedente. Non c’era niente di utile tra quelle righe, niente che lo aiutasse a capire cosa avesse spinto i nemici a quell’intrusione.
Vide Alexander con la coda dell’occhio avvicinarsi alla porta e tirare la maniglia. “Ehi, Honey.” Lo sentì salutare verso il corridoio, per poi farsi da parte. Dietro di lui spuntò Vittoria, la ragazza di suo fratello. Lucas la guardò mentre entrava nella sua stanza, seguita da Richard. I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle, coperte da una felpa bordeaux, indossava degli stivali scamosciati e un paio di pantaloni della tuta. “Posso?” Chiese, indicando la sedia che Alexander aveva lasciato davanti al letto. Non lo salutò nemmeno.
Lucas fece scattare gli occhi verso gli amici, incerto sul da farsi, ma acconsentì con un cenno del capo. Lei annuì in risposta, muovendo le labbra per mimare un piccolo sorriso e si avvicinò alla sedia.
“Noi… andiamo.” Richard intercettò il suo sguardo, indicando con la mano ad Alexander lo zaino che aveva appoggiato sul comodino. “Prendo lo zaino.” Disse il biondo ad alta voce, superando Vittoria ed attraversando la stanza con poche falcate. Recuperato lo zaino Alexander gli sorrise, incoraggiante, e strinse la spalla della ragazza, che aveva preso posto sulla sedia a mezzo metro dal letto. Lei coprì la mano di Alexander con la sua, ricambiando la stretta dell’amico e facendogli cenno con la testa di raggiungere la porta.
“Siamo qui fuori, come al solito.” Aggiunse Richard, prima di aprire la porta ed attraversarla, seguito dal compagno, che la richiuse alle sue spalle.
Lucas guardò la giovane davanti a lui alzarsi e girare la sedia, così da avere lo schienale parallelo al suo braccio sinistro e sedersi di nuovo, incrociando le gambe sul sedile e appoggiando il braccio sul legno dello schienale. Che strana posizione, pensò. Di sicuro non lui non sarebbe stato comodo ma, forse, il fatto che non superasse il metro e sessanta le consentiva di poter piegare le gambe in quella maniera rimanendo comunque comoda.
La guardò meglio, mentre lei cercava di sistemare le proprie ginocchia in una posizione che poteva mantenere a lungo. Si ricordava a malapena di lei, a dire la verità. Sapeva che quando erano piccoli avevano passato del tempo insieme, ma non gli pareva avessero mai parlato più del minimo indispensabile. E poi, dopo la morte della sua compagna, lei era stata addestrata separatamente da loro e lui l’aveva rivista solamente per le feste o, almeno, finchè non aveva deciso di lasciare definitivamente l’Oikos, preferendo rimanere a scuola o dovunque veniva mandata a lavorare. Lucas non faticava a nascondere di essersene quasi dimenticato, non gli erano mai interessate le vite dei pryderi, per quanto Alexander e Richard li frequentassero spesso. A dire il vero, non aveva mai pensato a lei, nemmeno un momento, fino a quando Logan non era tornato da una missione con Alexander convinto di aver trovato quella giusta.
Negli ultimi due anni Lucas aveva sentito il suo nome tante di quelle volte che non avrebbe saputo definirne un numero preciso, Logan aveva cercato di tenere separati i pensieri ed i ricordi rivolti a lei, ma qualche volta a Lucas era capitato di intravedere o sentire qualcosa.
“Da quanto?” Parlò per primo.
Lei lo guardò, aggrottando le sopracciglia. “Da quanto, cosa?”
“Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti?” Specificò lui.
“Cinque anni, credo.” Lei si inumidì le labbra. “Ti vedo bene.”
Lucas annuì. “Anche tu.” Si spinse all’indietro sul materasso con le braccia, piegando una gamba e appoggiando la caviglia destra sul ginocchio sinistro. La guardò di nuovo, accorgendosi di quanto ciò che sapeva di lei era stato filtrato dagli occhi del gemello. Certo, indubbiamente quella che aveva davanti era una bella ragazza ma le mancava quel qualcosa che aveva sempre visto nei ricordi di Logan. Aveva subito notato le fossette sulle guance o tutti quei dettagli a cui a prima vista lui non avrebbe mai fatto caso, come il piccolo neo che sapeva essere dietro l’orecchio destro, che suo fratello trovava adorabile.
Vittoria abbassò lo sguardo, non riuscendo a mantenere il contatto visivo con lui. “Scusami.” Disse Lucas, rendendosi conto di averla guardata con troppa attenzione, probabilmente mettendola a disagio.
“No, non sei tu, è che…” La vide scuotere la testa. “Tu e lui siete – eravate quasi uguali. Mi sembra di averlo qui davanti a me se non…”
“Per gli occhi. Lo so.” Lucas li chiuse, alzando la testa verso il soffitto. Lo sapeva, fin da piccoli erano sempre stati molto somiglianti: capelli ricci e castani per entrambi, stessa altezza, voce simile. L’unica cosa che li contraddistingueva erano gli occhi, Lucas li aveva scuri come i capelli, mentre Logan aveva ereditato dalla madre gli occhi di ghiaccio.
Lei si coprì il pugno con la manica della felpa, appoggiandolo sulle labbra e socchiudendo gli occhi qualche secondo, giusto mentre inspirava attraverso la stoffa. Fu in quel momento che realizzò. Fece un cenno con la testa. “Quella…”
Lei aprì gli occhi di scatto, con espressione colpevole. “Si.” Rispose, mordendosi un labbro. “Lo so che è patetico ma… il suo odore c’è ancora. In tutto il suo armadio, sulle lenzuola, io – io non.”
Abbassò lo sguardo, ma Lucas aveva fatto in tempo a vedere gli occhi diventare lucidi.
Ricordava quella felpa. Logan l’aveva presa anni prima, dopo un viaggio a Budapest. La metteva spesso, quando potevano rimanere a casa a riposare. Gliela aveva anche prestata, un paio di volte.
“Ehi.” Si ritrovò a dirle, non sapendo esattamente come comportarsi. Scivolò in avanti con il bacino, appoggiando entrambi i piedi a terra ed avvicinandosi di più alla ragazza che aveva davanti.
“Quando mi dimetteranno da qui probabilmente lo farò anch’io.” Cercò di confortarla. Socchiuse gli occhi, cercando di non pensare a quando sarebbe potuto uscire dall’infermeria. Sarebbe tornato nel loro dormitorio ma, sarebbe stato solo. Sarebbe tornato a casa senza suo fratello.
“È che… non ha senso stare qui senza di lui.” Soffiò piano dalle labbra. “Ed è pieno delle sue cose, ovunque, io – non sono in grado di…” Lei scosse la testa, per poi portarsi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che era scivolata sul viso. “Non posso – non senza di lui.”
Lucas la vide spezzarsi davanti ai suoi occhi. In tutti quegli anni non avevano mai avuto nulla in comune, niente. Non c’era mai stata la necessità di doversi parlare, di fare amicizia, di creare un qualche legame. In quel momento, però, Lucas si rese conto che, invece, qualcosa in comune lo avevano. Entrambi avevano perso la persona più importante che gli era rimasta.
Sentì gli occhi pizzicare, mentre davanti a lui Vittoria piangeva in rigoroso silenzio, con gli occhi chiusi e la testa bassa, mentre le lacrime scendevano, veloci, lungo il suo viso.
Lucas si morse l’interno della guancia, cercando di trattenere le proprie. Rimase in silenzio, concentrato nel suo compito, tenendo gli occhi socchiusi.
Logan non c’era più.
Era un dato di fatto. Suo fratello lo aveva salvato rimettendoci la propria vita. E quelle carogne non avevano avuto nemmeno il coraggio di combatterlo, lo avevano ucciso a sangue freddo, quando lui non era in grado di difendersi. Li ucciderò. Avrebbe bruciato ogni avamposto dei farkars, dal primo all’ultimo, per essere certo di aver vendicato la morte del gemello.
Lo avrebbe fatto per Logan, per se stesso, ma anche per la ragazza che aveva davanti.
“Mi dispiace. Scusami.” Sussurrò lei dopo qualche minuto trascorso in silenzio. “Non vole…”
“Avrebbe dato la vita per te, lo sai questo?” La interruppe Lucas, alzando lo sguardo.
Vittoria lo guardò con occhi sbarrati. “Come?” Si passò una mano sul viso, cercando di asciugare le lacrime.
“Siamo sempre stati noi due contro il mondo. Da sempre. Ma da quando ti ha conosciuta, da quando ha capito di amarti… non lo ha mai detto, ma sono – “ Si bloccò, senza fiato “Ero, ero nella sua testa, so cosa provava. Era un sentimento inconscio, probabilmente, ma… pensavo dovessi saperlo.” Disse con semplicità, aprendo le mani.
La guardò chiudere gli occhi, annuendo piano e arricciare le labbra, trattenendo un sospiro tremolante.
Lo avrebbe fatto per lei. Lo ha fatto per me. Pensò Lucas, sentendo un brivido scorrergli lungo la schiena. Logan lo aveva salvato. Era morto per salvargli la vita.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, prima che lei stendesse le gambe e si alzasse in piedi.
Lucas la fissò, mentre incrociava le braccia ed incurvava la schiena, facendo un paio di passi all’indietro. “Non finirà mai.” Disse, guardando il mazzo di fiori sul comodino, un paio erano già appassiti.
“Che cosa?”
“Quella sensazione.” Allargò le braccia. “Anche quando avrai accettato l’idea che – che il tuo compagno se n’è andato continuerai comunque a sentirti incompleto. E non, non parlo del fatto che sei rimasto da solo, lì, nella tua testa, sto parlando di quello che sentirai qui dentro.” Indicò il proprio petto con l’indice. “Nessuno potrà mai capire davvero cosa provi, perché nessuno lo ha mai provato. Gli umani, i pryderi, sono fatti per essere singoli individui. Sono stati creati per stare da soli, per loro è naturale. Noi siamo nati per… condividere ciò che siamo con un altro e – nemmeno Alex o Ric sono in grado di capire. Semplicemente non possono. Non sanno – non comprendono cosa vuol dire perdere il proprio compagno, le loro menti sono troppo unite anche solo per riuscire ad immaginare una cosa del genere.”
Lucas la fissò, mentre camminava lentamente per la stanza, con gli occhi sui propri passi.
“Quando è morta Helena non me ne sono resa conto subito, ero troppo piccola ma… con lei è morta una parte di me. Per quanto possa far finta di niente, quello che Helena rappresentava dentro di me, non l’avrò mai più indietro.” Si passò la lingua sulle labbra. “Voglio solo dire che…” Scosse la testa. “Ti diranno tutti che con il tempo andrà meglio, non è vero.”
Lucas fischiò. “Però, sei un faro di ottimismo.”
Lei fece una smorfia. “Non voglio crearti delle false aspettative.”
“È per questo che te ne sei andata? Perchè ti mancava qualcosa?” Chiese lui, curioso. Non aveva mai capito il motivo della sua partenza definitiva dall’Oikos. Nel senso, comprendeva il motivo per cui era stata affidata a degli istruttori diversi dai loro ma comunque gli sembrava che, durante le vacanze, lei fosse comunque la benvenuta nella struttura.
Lei sorrise, sbuffando dal naso. “Voi quattro siete sempre stati trattati come delle divinità viventi. I pryderi vi rispettano, i farkars vi temono e io… non ne ho mai fatto davvero parte.”
“Questo non è vero.” La corresse lui. “Sei nata con noi, come noi. Te ne sei voluta andare.”
Lei gli scoccò un’occhiataccia. Lucas si accigliò, notando quanto facilmente poteva leggere il dolore nei suoi occhi. “Adrian ci ha provato, a farmi rimanere, è vero. Anche Alex e Ric a modo loro hanno cercato di non farmelo pesare ma… tu non hai visto come mi guardano gli altri. Alcuni mi incolpano per la morte di Helena e – credo tu ti sia accorto di cosa significhi per noi non avere il legame.” Lucas la ascoltava, in silenzio. Non aveva mai pensato a quello. Per lui Vittoria era una di loro, era lei che se n’era andata. Non aveva mai pensato che la ragione della partenza potessero essere legate alla morte di Helena. E, soprattutto, non aveva mai pensato che un pryderi potesse anche solo sentirsi giustificato a fare insinuazioni di quel tipo. Sapevano tutti com’era andata, quella notte: un gruppo di farkars ed eidolon aveva attaccato le due famiglie nella casa di vacanza che condividevano. Avevano dato loro alle fiamme l’abitazione, erano stati loro ad uccidere Helena.
I pryderi avevano sempre rispettato gli auryn. Era un dato di fatto, radicato nella loro cultura. Gli auryn erano quelli che guidavano le spedizioni, organizzavano le battute di caccia e comandavano nelle missioni di gruppo. L'ultima parola nelle questioni decisionali era sempre la loro, e il loro consenso superava persino quello del signor Davis, se erano tutti e quattro d'accordo. Nessun pryderi osava mettere in discussione le loro decisioni.
Lei si appoggiò alla parete con la schiena, un gesto che rifletteva la sua stanchezza e preoccupazione. “Hai già provato ad ampliare la mente?”
Lucas fece una smorfia che tradiva chiaramente il suo stato d’animo. La sua espressione era abbastanza eloquente da comunicare il suo fallimento, e Vittoria lo notò subito, facendo un cenno di comprensione. “Non è solo quello. Probabilmente te ne sarai accorto da solo, visto che sei qui.” Indicò la stanza dell'infermeria con un ampio gesto delle braccia. “Ci vogliono sei ore per curare un osso rotto, pochi minuti per un taglietto, mezz’ora per un occhio nero, e potrei continuare all’infinito.”
Vittoria si spostò con un piccolo movimento delle anche, avanzando di un paio di passi verso di lui. “Questo vale per tutte le nostre capacità,” continuò, guardando furtivamente verso la porta. “Se i due là fuori stanno ascoltando la nostra conversazione per essere certi che ti dica le cose giuste…” Sottolineò il concetto con un’enfasi esagerata, e Lucas non poté fare a meno di lasciar sfuggire un leggero sorriso. Sapeva che gli amici erano rimasti lì, fuori dalla porta, in corridoio, a disposizione per qualsiasi cosa avesse potuto servire. Lo facevano da quando era stato portato in infermeria. Vittoria ricambiò il sorriso, notando l'espressione divertita di Lucas.
“… Ora non potrai più fare quello che facevi prima. Non sei più veloce o forte come prima, è tutto…”
“Dimezzato. Ho capito.” Interruppe secco Lucas. “Mi stai dicendo che ora siamo inutili?”
Vide un bagliore di conferma negli occhi di Vittoria, ma invece di rispondere affermativamente, lei scosse la testa. “Forse ‘incompleti’ è una parola migliore.”
Mise le mani sullo schienale della sedia, stringendolo tra le dita. “Sai, fin da quando ero piccola ho cercato di compensare ciò che mi mancava. I pryderi non erano mai stati particolarmente gentili e – ci sono… Devi capire quali sono i tuoi punti di forza e concentrarti su quelli.” Si dondolò leggermente sulle punte, scaricando il peso sulla sedia.
Era questo ciò che aveva vissuto lei. Persi i poteri e il proprio compagno, rimaneva solo un'ombra di quello che sarebbero stati. Logan le aveva raccontato che Vittoria aveva iniziato molto presto con piccoli incarichi, spesso in solitaria a meno che non fosse stata inviata ad accompagnare Alexander e Richard a caccia.
“Ti hanno chiesto loro di parlarmi?” chiese Lucas, spezzando il silenzio.
Vittoria sobbalzò, poi piegò la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore. “È così evidente?”
“Non sono stupido,” rispose Lucas, con un sorriso sornione. Era una scelta logica mandare lei a parlargli. In fondo, era l’unica che sapeva cosa stava provando in quel momento, o che comunque ci era già passata. “È ovvio che ti abbiano chiesto di aiutarmi.”
“Non me lo hanno chiesto i ragazzi.” Vittoria fece una smorfia. “Non per metterti pressione, ma Adrian ci ha dato due mesi per farti tornare in grado di andare a caccia.”
Lucas sussultò, sorpreso. Era strano sentire qualcuno chiamare il signor Davis per nome. “Siamo messi così male?”
“Evidentemente.”
“Non lo sai?” indagò lui.
“Nessuno mi dice niente. Dicono che devo concentrarmi sulle mie emozioni,” rispose lei, stringendo le spalle in segno di rassegnazione.
“Perché? Hanno paura che tu possa distruggere qualcosa?” chiese Lucas, ridacchiando.
Vittoria sorrise. “Potrei anche decidere di vendicarmi e tentare di radere al suolo qualunque base dei farkars mi capiti a tiro.”
Lucas alzò il mento, colpito. Aveva pensato la stessa cosa. Scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero dalla mente. “Quindi? Cosa dovrò fare, grande guru?”
Lei si strinse nelle spalle, trattenendo un sorriso. “Ora? Guarire.” Rispose semplicemente.
Lui sbuffò. “Sto solo aspettando che il dottor Mirton mi dimetta. Sto bene.” Spalancò le braccia, come per sottolineare la sua apparente normalità.
Vittoria ridacchiò, avvicinandosi a lui. “Non sto parlando di guarire qui.” Indicò la sua intera persona con un movimento circolare delle mani, poi alzò la mano destra e gli sfiorò il petto. “Sto parlando di questo.” Spostò l’indice sulla sua fronte. “E di questo.”
Lucas fece una smorfia, annuendo. “Perché, è possibile?”
“Ci vorrà tempo,” rispose lei. “Ma ce la faremo. Entrambi.” Le sue labbra accennarono un sorriso, che Lucas ricambiò dopo qualche secondo. “Nel frattempo, penseremo a questo.” Indicò l’intera stanza, facendo su e giù con l’indice. “Bene, direi che per il momento possa bastare così.” Vittoria si avvicinò alla porta, bussando un paio di volte verso l’esterno. “Se voi due signorine avete finito di nascondervi dietro il muro, direi che potete aprire.”
“Scusate.” Richard aprì la porta, facendo un paio di passi verso l’interno.
“La prossima volta potete sedervi e assistere in diretta, se volete,” rispose Lucas, sogghignando.
“Non oseremmo mai. Abbiamo un minimo di decenza,” replicò Alexander. “Le conversazioni private devono sembrare private.”
“Ah, e non possono esserlo?” Vittoria lo spinse con il gomito, ridendo.
“Non se mi interessano e ho un udito sopraffino,” rispose il biondo con un sorriso innocente, ricambiando la spinta.
“Dovresti provare a farti gli affari tuoi, una volta o l’altra,” commentò Richard, circondando le spalle di Alexander con un braccio e stringendoglielo attorno al collo. Alexander sgusciò via dalla presa. “Ma se importano anche a te.”
Lucas sorrise, osservando gli amici che si relazionavano serenamente tra di loro.
“Che cosa stavi guardando?” chiese Vittoria, indicando il fascicolo che Lucas aveva lasciato sul materasso.
“Oh, questo.” Lucas ruotò la schiena per prenderlo. “È il resoconto dell’imboscata. Speravo ci fosse qualcosa di significativo, ma… sembra tutto regolare.” Spiegò, visibilmente insoddisfatto.
Aveva esaminato ogni singola riga, parola, qualsiasi cosa che potesse sembrare sospetta. Ma tutto era chiaro. Era esplosa una pirè, lui si trovava sulla traiettoria del fuoco e Logan lo aveva spinto via all'ultimo secondo, venendo investito dalle fiamme. Lui era atterrato su un masso e, quando i farkars li avevano raggiunti, avevano recuperato le gemme e dato a Logan il colpo di grazia, buttando il corpo insanguinato di Logan in un cespuglio. Poi, per qualche motivo sconosciuto, il corpo del gemello era stato trascinato fino al limitare del bosco e abbandonato lì, lontano dal luogo dell’esplosione. Le tracce che i farkars avevano lasciato, dalle orme alle scie di sangue, erano perfettamente allineate con i loro movimenti.
Ma perché uccidere solo uno di loro se avevano la nyx? Questo era il punto che non riusciva a spiegarsi. Lui era lì, privo di sensi e indifeso. Avrebbero potuto uccidere due auryn in un solo colpo, e invece si erano accontentati di Logan.
“Il tempo delle visite è finito!”
Sussultò, sentendo battere sulla porta. “Cinque minuti,” avvertì qualcuno dall’esterno.
“Sono già le nove?” chiese Richard, guardando l’orologio. “Già,” si rispose da solo, abbassando il braccio e lasciandolo penzolare lungo il fianco.
“Domani dovrebbero farmi gli ultimi controlli per dimettermi,” avvertì Lucas. “O almeno è quello che il dottor Mirton mi ha detto stamattina.”
“Peccato,” ridacchiò Alexander. “Mi piaceva avere la casa tutta per noi.”
“Sono due settimane che ti lamenti,” lo rimbeccò Vittoria.
“Ma tu da che parte stai?”
Lucas giocò con il plico di fogli che aveva ancora in mano, guardando Vittoria. Glielo porse. “Lo vuoi tu?”
“Grazie.” Annuì Vittoria, fissando il cartoncino giallo della cartellina.
“Tempo finito!” bussò di nuovo qualcuno. “Potete tornare domani.”
“D’accordo.” Richard prese Alexander per le spalle. “Usciamo prima che ci caccino fuori da qui.”
“Come se ne avessero l’autorità,” rispose Alexander, lasciandosi trascinare verso la porta. “Ci vediamo domani, Luke,” salutò, mettendo la mano sulla maniglia e ridacchiando.
Vittoria seguì i due, stringendo il fascicolo tra le braccia.
“Ehi,” la chiamò Lucas mentre stava per chiudere la porta alle sue spalle. “Per quello che vale, sono felice che tu sia qui.” Le sorrise sinceramente. “Non sparire di nuovo.”
La vide sorridere di rimando e annuire. “Anche io.”