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Autore: Glenda    30/09/2024    0 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*** Breve spazio autrice: chiedo scusa se ho rallentato così tanto il ritmo di pubblicazione...Ho appena traslocato (e benché casa nuova sia bellissima e sul mare, non auguro l’esperienza nemmeno al mio peggior nemico). Non ho più un minuto per scrivere. Sono ancora sommersa dallo scatolame. Sorry! ;_; ***

 

Era crollato di nuovo tutto.

Per la seconda volta era stata abbandonata e tradita da qualcuno per cui si sarebbe tuffata in un baratro ad occhi chiusi.

Per la seconda volta la vita a cui si era abituata e che aveva imparato ad amare si sfaldava sotto i suoi piedi, e proprio come allora avrebbe desiderato che Iruvàn le indicasse un altro colpevole, qualcuno da odiare e ritenere responsabile di tutto: ma quel qualcuno o era Xau o era Yèlveran, e Meirem sentiva che nessuno dei due lo meritava davvero.

“È colpa mia. Non ero pronta per usare il mio potere contro un mio compagno… Avrei potuto fermarli. Mi sarebbe bastato un po’ di coraggio in più. Merito la tua punizione e accetterò qualsiasi conseguenza.”

Iruvàn era torvo in viso, ma non l’aveva ancora rimproverata di niente. Appena compreso cosa stava accadendo, aveva dato ordine di inseguire i fuggiaschi, ma si erano trovati di fronte un paesaggio che non era più lo stesso, e per quanto avessero cercato di oltrepassare quel confine avevano finito per girare in tondo e tornare al punto di partenza. Era stato Iruvàn stesso a desistere e prendere atto che per distruggere un lavoro del genere ci voleva più del tempo che sarebbe bastato a quei due per allontanarsi e far sparire le tracce.

Teshdei guardava Meirem di sottecchi, con quegli occhi timidi che si domandavano cosa ci facesse lì, se davvero era valsa la pena farsi trascinare in quel complotto: non era proprio l’uomo adatto per fare il cospiratore, né, tanto meno, per usare il suo potere in modo offensivo. Prima o poi – pensò lei con amarezza – avrebbe finito per sentirsi come Xau e magari per fare la stessa scelta e fregarli nel momento più sbagliato. Si poteva davvero costruire un piano in cui era in ballo la vita di tutti sulla Persuasione del Cuore? Erano davvero così malleabili i sentimenti? E, se lo erano, come mai Xau era riuscito a ribellarsi? Cosa era meglio credere? Che l’arte di Iruvàn fosse sufficiente a garantire la loro assoluta lealtà – e allora anche il suo amore era frutto di una manipolazione – o credere che con la stregoneria non si potesse davvero arrivare al cuore degli altri, allora erano tutti in pericolo di essere traditi e di tradire, ma il suo amore era vero?

“Non sei stata abbastanza salda.” disse ad un tratto Iruvàn “Ma non voglio biasimarti per questo. Quello per cui ti biasimo è altro, e non sta nelle tue azioni ma nei tuoi pensieri.”

Le sorrise inaspettatamente, con un’espressione amorevole che faceva a pugni con la collera nel suo sguardo: una collera che forse davvero non era per lei, ma era vasta e totale, pronta ad abbattersi sul mondo.

“Tu hai pensato” esplicitò “che se avessi impedito a Xau di fuggire, io avrei potuto fargli del male, non è così? Di certo è ciò che lui ti ha detto, e tu hai creduto a lui piuttosto che fidarti di me. Ho forse mai fatto qualcosa che potesse nuocere a voi, Meirem?”

Era come se potesse leggerle la mente: davanti a lui si sentiva scoperta, ovvia, banale. Non c’era bisogno di spiegarsi, con Iruvàn: gli bastava guardarla per avere ogni risposta, anzi, quello sguardo aiutava lei a rispondere a se stessa.

“Mi ha detto che lo avresti ucciso.” ammise “Ci stava tradendo. Ho avuto paura.”

“Così lo hai lasciato scappare.”

“Perdonami.”

Iruvàn sorrise di nuovo, ma c’era un abisso in quel sorriso.

“Meirem:” le appoggiò le mani sulle spalle “tu sei convinta di amarmi.”

Non era una domanda ma una constatazione. Certo, sapeva benissimo che Iruvàn era al corrente dei suoi sentimenti, e lei non si era certo mai sforzata di nasconderli, ma non era quello il modo né la circostanza in cui sperava che un giorno si trovassero a parlarne.

“Tuttavia hai dubitato di me. Perché?”

Perché l’amore discute e risponde, pensò. Il loro, invece, era sempre stato un dialogo a senso unico, anzi, un lungo monologo: Iruvàn che parlava, lei che lo stava ad ascoltare adorante, senza chiedersi niente, senza aspettarsi mai niente.

“Perdonami.” ripeté di nuovo.

Iruvàn le accarezzò il viso.

“Fa niente. Non essere così triste.”

Meirem si sentì rabbrividire: desiderava quella dolcezza, desiderava che lui fosse in pena per lei.

“Un giorno dicesti che saresti stata pronta ad uccidere per me. Quelle parole sono ancora vere?”

Dentro di sé sentiva che lo erano. Eppure, quando si era trovata a lottare con Xau le aveva del tutto dimenticate. Avrebbe potuto uccidere il suo più caro amico per ordine dell’uomo che amava? E poi avrebbe potuto ancora amarlo?

Rispondere no o rispondere sì potevano entrambe rivelarsi menzogne, e lei non voleva mentire ad Iruvàn.

“Non avevo mai pensato che il mio nemico potesse essere Xau…”

Lui le posò una mano sulla testa.

“Ed io non avevo mai pensato che il mio potesse essere Luxei. Ma proprio perché so quanto questo possa essere doloroso, non ti chiederò più di quello che puoi darmi…”

Fece un lungo sospiro. Sembrava sinceramente addolorato.

“Credo di sapere dove andrà Yèlveran Devenya una volta arrivato a Feuzte.” disse “Trovalo e uccidilo. Se anche dovesse aver messo in guardia i Persuasori, abbiamo ancora una possibilità di agire, ma non possiamo permetterci che lui sia vivo quando attueremo il piano.” fece una pausa, poi la guardò negli occhi “Se Xau dovesse essere con lui, riportarlo da me sano e salvo.”

 

Yèlveran appoggiò la testa fra le mani e si coprì gli occhi.

“Scusate.” disse “Devo averci messo tanto. Non avevo mai installato due confini in così poco tempo.”

Dopo aver lasciato la casa più velocemente possibile, si erano rifugiati in un capanno che Heze aveva adocchiato lungo la via e avevano deciso di rimanere fermi lì per un po’, nella speranza di confondere le tracce. Yèlveran non era il tipo di uomo capace di procedere a marce forzate, così la loro migliore scelta era stata affidarsi alle sue arti per nascondersi, ma Heze si domandava se lo sforzo che gli costava fosse davvero, a conti fatti, meno impegnativo che una lunga corsa.

Lo vedeva sfinito.

Anche il loro compagno di fuga non aveva una bella cera: doveva essersi battuto con quella ragazza – che, gli aveva spiegato, non era un Persuasore bensì una Maledizione, proprio come lui – e chissà cos’altro era accaduto in quei lunghi minuti. Se ne stava in disparte, apatico, quasi aspettando di essere interpellato, o persino aggredito. Heze non riusciva facilmente a perdonargli i fatti di Lafargau, ma era anche vero che gli doveva molto: inoltre, sapeva riconoscere nel volto degli altri l’espressione di chi crede di avere perso tutto.

Si sentiva diviso a metà fra la rabbia e il sollievo: aveva trovato Yèlveran, erano entrambi salvi, la meta non era lontana… ma cosa li aspettava a Feuzte? Quante menzogne e omissioni era destinato a scoprire, sentendosi tradito ancora e ancora?

Quel silenzio pieno di domande lo stava facendo impazzire.

Pensò alle mille cose che avrebbe voluto chiedergli.

Ne scelse una.

“Quando pensavi di dirmi la verità?”

Yèlveran sollevò le sopracciglia, stranito.

“Mai, eh?” incalzò “Avresti fatto finta di niente, alla fine di questa storia ci saremmo salutati da buoni amici, e arrivederci e grazie.”

“Non riesco a comprendere…”

Lo guardava con un’espressione sinceramente interrogativa: sembrava incredibile, ma non aveva capito davvero! Possibile che l’ordine delle priorità di quell’uomo divergesse sempre così tanto dal senso comune?

“Sei una delle persone più potenti del paese: la tua stessa esistenza ha un peso politico enorme!”

Lui scrollò dolcemente la testa.

“No, credo.”

No che cosa, Yèlveran!?”

“Non sono… una delle persone più potenti del paese. Non sono… ” esitò, si massaggiò di nuovo la fronte “Una volta ti ho detto che i nomi non sono importanti. Lo sono?”

Quell’atteggiamento evasivo cominciava ad alterarlo.

“In questo caso specifico, decisamente sì! C’è una bella differenza tra l’accompagnare un Persuasore e l’accompagnare Yèlveran Devenya! Avevi promesso che saresti stato trasparente con me, mi hai detto che neppure tu eri a conoscenza del motivo per cui stavamo viaggiando e che mi avresti taciuto solo le cose che potevano mettermi in pericolo. Davvero credi che tacere questo non mi mettesse in un’infinità di pericoli?”

Eppure, d’altro canto, non aveva mai avuto alcun diritto di pretendere che non glielo tacesse. Aveva accettato di accompagnare un mago in un viaggio improbabile e tra un mago e un ex schiavo eshkarti non avrebbe dovuto esserci alcun tipo di relazione. Figuriamoci con un Devenya. Le nove famiglie non si mescolavano alla gente comune… e lui invece se ne stava piantato lì, come un povero illuso, ad aspettarsi di ricevere delle spiegazioni da un uomo che era nato col diritto di non darle.

Poteva un nome rendere due persone tanto distanti?

Al diavolo!

“Scusami.” disse Yèlveran.

Scusami se non posso dirti il mio nome. Scusami se ho la febbre e non riesco a procedere. Scusami se non mantengo l’assoluto controllo. Scusami se non trovo le parole giuste. Scusami, scusami, scusami. Quante volte ancora voleva nascondersi dietro quella parola?

“Anziché scusarti, preferirei mi spiegassi perché non mi hai detto la verità!”

Lui si irrigidì e si strinse nelle spalle.

“Perché.” fece eco “Perché.”

Il suo sguardo sprofondò in un luogo lontanissimo, come tutte le volte che i pensieri gli sfuggivano e andavano a impigliarsi chissà dove, ma quella volta Heze non aveva strumenti per tenerli lì: era stato lui a chiedergli di mandarli laggiù, indietro nel tempo.

“Perché io sono un assassino.” disse, senza alcuna espressione “Perché la mia famiglia ho desiderato distruggerla, e quel desiderio si è trasformato in realtà. Perché sono la Maledizione che ha ucciso suo padre e suo fratello, e non l’ho fatto per incidente o per mancanza di controllo: l’ho fatto perché li odiavo, perché ne avevo paura, perché mi stavano facendo del male e volevo che sparissero. Perché vorrei sparire. Perché solo quando tengo chiusa quella serratura riesco a non pensare che avrei dovuto morire anch’io. Ma ho avuto paura di morire e quindi, tanti anni fa, ho accettato di aggrapparmi alla mano di chi mi ha offerto di entrare in un’altra vita. Ho tanto desiderato un’altra vita: una vita in cui non avevo fatto male a nessuno. Ma forse non ne sono capace… oppure non lo merito.” i suoi occhi riemersero per un attimo “Ci sono altre cose che desideri sapere, Heze?”

No.

Sì.

Avrebbe voluto sapere ogni cosa di lui, la sua vita prima di conoscerlo, tutto ciò che gli era stato fatto, le sue ferite, il dolore che lo aveva portato ad un gesto così estremo e così lontano dalla sua natura: un gesto che lo aveva condannato all’infelicità.

Provava paura per quel lato così oscuro di lui, e compassione, e desiderio vacuo di poter cambiare le cose, e rimorso per aver costretto un uomo che già si detestava a mettere in parole le colpe per cui pensava di non aver diritto ad alcun perdono: ma aveva avuto bisogno di sentirgliele dire, quelle parole, anche a costo di ferirlo. Arrivato ad un simile punto di non ritorno, aveva bisogno di sapere chi era l’uomo per cui stava probabilmente andando a farsi ammazzare.

 

Iruvàn per la prima volta si accorse che non si era mai trovato da solo in quella casa: c’era sempre stato almeno Xau a riempirla, come una specie di spirito guardiano, e, nonostante la sua presenza fosse stata sempre tanto silenziosa, senza di lui il silenzio era diverso, più pervasivo, più doloroso.

Gli sembrava che tutto si sfaldasse a poco a poco: Yurlan era morto, Xau se ne era andato, e aveva dato a Meirem l’ordine che più di qualsiasi altro le avrebbe fatto del male.

Non avrebbe voluto farlo: non desiderava che Yèlveran morisse.

Ma non poteva neppure non farlo, perché questo avrebbe significato arrendersi.

Era di nuovo colpa di Luxei. Luxei che era stato uno stupido, che negli anni aveva smarrito la sua capacità di pensare una mossa in avanti, che lo aveva sottovalutato. Davvero aveva pensato che il suo allievo avrebbe potuto raggiungere Feuzte senza che lui si accorgesse di niente? Davvero lo considerava così facile da ingannare? E, se invece un briciolo di lungimiranza gli era rimasto, come aveva potuto esporre quel ragazzo ad un rischio simile e mettere proprio lui nella condizione di doverlo fermare?

Eppure, anche nella lontananza erano ancora maledettamente simili.

Erano diventati due pessimi vecchi che pensavano, in maniere diverse, di star facendo il bene del mondo, ma nessuno dei due ci stava mettendo la faccia: la faccia era quella dei più giovani, di quelli per cui si erano vantati di agire e che avrebbero dovuto avere ancora un futuro davanti.

Luxei aveva salvato la vita di Yèlveran, lo cresciuto, aveva messo a frutto le sue potenzialità, gli aveva permesso di avere una vita, lo aveva reso un Persuasore e un uomo fidato e poi gli aveva mentito sulla questione più importante. Questo non poteva chiamarsi affetto.

Identica cosa aveva fatto lui con Meirem: l’aveva trascinata in un progetto che probabilmente li avrebbe condannati a morte, l’aveva strumentalizzata e le aveva permesso di innamorarsi di lui.

Come se salvare la vita di qualcuno comportasse appropriarsi di quella stessa vita.

Era tutto dannatamente sbagliato.

Ma lui sarebbe andato avanti lo stesso, avrebbe portato avanti il piano fino in fondo.

Non si trattava di crederci o non crederci: dopo tutto ciò che aveva sacrificato, lo smettere di crederci non era più un’opzione.

 

Yèlveran sentiva la testa incredibilmente leggera: i suoi fantasmi erano lì con lui, eppure non provava desiderio di chiudere la serratura. Aveva appena raccontato ad Heze tutta la verità, aveva messo in parole a quella storia, e ora, al posto dell’orrore, del rimorso e del disprezzo di sé, provava un unico, straziante sentimento, che spazzava via tutti gli altri con una meravigliosa potenza: la tristezza. Gli pareva di incontrarla per la prima volta nella vita: gli pareva di non aver mai provato qualcosa di così puro, così intenso eppure così semplice.

Luxei gli aveva rimproverato tante volte di non desiderare abbastanza, di accettare che le cose inesorabilmente debbano accadere, di subirle anziché sceglierle: ma quella volta era stato lui a non permettergli di fare una scelta. Scegliere senza possedere tutte le informazioni non era scegliere, era scommettere, e Yèlveran aveva scommesso tante volte su Luxei: lo aveva fatto quando aveva accettato di guardarlo negli occhi, quando aveva preso la sua mano e quando gli aveva concesso di usare la Persuasione dei Ricordi su di lui… Ma cos’era questo se non continuare a farsi trascinare dalla corrente? L’amore fa domande, aveva detto lui a Meirem.

La fiducia non è qualcosa che ci cade addosso, è una scelta, aveva detto Luxei a lui.

La sua fiducia era stata come l’amore di Meirem. Assoluta e passiva.

Forse, se avesse rifiutato di portare un messaggio di cui non sapeva niente, Luxei gli avrebbe chiesto onestamente aiuto e gli avrebbe raccontato la verità.

Forse Luxei aveva sentito il bisogno che lui gli dicesse no.

Forse, ad un certo punto della loro ultima conversazione, lo aveva persino desiderato.

Si sentiva triste di non averlo fatto, triste per aver ferito Heze, triste per Xau, triste per Meirem e persino per Iruvàn, ma in quella tristezza si sentiva solido.

“Credo di aver passato abbastanza tempo qua dentro,” disse ad un tratto “credo di dover andare.”

Erano nascosti all’interno del suo confine da molte ore, anche se non aveva idea di quante.

Heze, che dopo il suo racconto non aveva più osato chiedergli niente salvo se avesse fame o sete, sollevò la testa e lo guardò interrogativo, quasi che qualcosa nell’espressione del suo volto lo stupisse. Anche Xau gli rivolse la sua attenzione.

“Non posso nascondermi per sempre.” proseguì, ritrovando un timido sorriso “A questo punto devo raggiungere Feuzte per capire, e non solo perché me lo ha chiesto un uomo a cui sono legato. Ma prima, Heze, voglio dire ancora qualcosa a te.”

Il ragazzo distolse gli occhi, come se si sentisse in colpa per una domanda che in realtà non aveva fatto.

“La persona che ci ha mandati a fare questo viaggio si chiama Luxei,” spiegò “è uno dei responsabili dell’enclave di Villanuova e il mio principale addestratore. Un tempo viveva a Feuzte, come me: so poco o niente di quale fosse il suo ruolo, tranne che già allora insegnava ed era un selezionatore di futuri persuasori. Dopo l’evento in cui si manifestò la mia natura di Maledizione, mi portò con sé Oltrefrattura, dove mi ha istruito e cresciuto, e né lui né io siamo più tornati nella capitale. Le persone che ci stanno inseguendo” e accennò a Xau quasi a cercare la sua conferma “mi hanno spiegato che Luxei era legato ad un gruppo di congiurati che volevano rovesciare il sistema, e che aveva organizzato una specie di colpo di stato che doveva essere portato a compimento in concomitanza con la Celebrazione dell’Umanità. Poiché lui non si è mai ricongiunto con loro e ha affidato un messaggio segreto a me, si sono convinti che abbia deciso di tradirli. Ma io non riesco a non fidarmi dell’uomo a cui devo la vita e anche di più. Non riesco a pensare che il suo unico modo per chiamarsene fuori fosse la condanna a morte dei suoi ex compagni, voglio credere nelle sue motivazioni e credere anche che avesse trovato una soluzione diversa.” esitò, si portò il dito indice al centro della fronte “Il mio solo modo per capire è avere l’accesso al ricordo sepolto, e per riuscirci devo incontrare di persona colui da cui Luxei voleva mandarmi. Perciò… ” si rimise in piedi e si sgranchì le braccia come se si fosse appena alzato dal letto “perciò farò il possibile per arrivarci vivo. Tuttavia, Heze…”

Lui non gli fece finire la frase.

“Vuoi o non vuoi che venga con te?” lo interruppe.

Yèlveran sollevò le sopracciglia, preso alla sprovvista. Aveva immaginato di dover insistere per tenerlo fuori dai guai o, al contrario, di doversi separare da lui scusandosi per non essere stato onesto: ma di dover rispondere ad una domanda diretta sui suoi reali desideri, quello no.

“La situazione è molto cambiata da quando siamo partiti… lo hai visto anche tu, non sono affatto in grado di garantire la protezione di nessuno, e…”

Heze portò le mani ai fianchi e lo sfidò con un cipiglio severo.

“Non provare a delegarmi a decidere al tuo posto. Vuoi che venga con te o no, Yèlveran?”

Se lo voleva? Si sarebbe volentieri legato di nuovo una corda attorno alla vita per poter camminare su quel precipizio continuando a guardare la sua schiena.

“Sì, credo.”

Il ragazzo sbuffò.

“Il tuo credo è fastidioso almeno quanto il tuo abbastanza.”

Aveva ragione. Aveva stemperato ancora una volta i suoi desideri, e non era giusto nei confronti di qualcuno che stava mettendo in gioco la propria stessa vita.

E poi non era nemmeno la verità.

“Sì. Mi piacerebbe tanto.”

Heze sfoderò un ampio sorriso.

“Magnifico. Adoro quando usi questa parola!”

 

Xau si rendeva conto di provare una profonda invidia per Yèlveran Devenya: fino al giorno precedente Heze non conosceva nemmeno la sua identità, eppure gli dimostrava un affetto che a lui non era stato mai concesso da nessuno. Né Iruvàn, né Meirem, neppure suo fratello lo avevano mai guardato così: l’amore dei suoi cari era sempre stato in qualche modo condizionato dal suo valore, e quel valore andava continuamente provato. Heze invece trattava Yèlveran come qualcuno che non doveva dimostrargli un bel niente.

Xau non metteva in dubbio che quell’uomo lo meritasse: sembrava davvero una brava persona e aveva ripetutamente dato prova della sua gentilezza e delle sue buone intenzioni… Ma non era per rispetto che quel ragazzo era corso a salvarlo a costo di entrare da solo nel covo di un gruppo di Persuasori, né era per rispetto che lo avrebbe accompagnato fino a Feuzte pur sapendo cosa rischiava.

“Vieni con noi?” lo sorprese la voce di Yèlveran.

“Signor Devenya…”

“Yèlveran.”

“Yèlveran, sarebbe una pessima idea. Io sono una Maledizione che ha appena tradito un Persuasore d’Aria. A quest’ora, come lui stesso mi ha assicurato, tutti potrebbero già sapere chi sono, e non ho neppure il vantaggio di avere un aspetto poco riconoscibile…”

“Mm…” lui rifletté “Allora andartene in giro per conto tuo è una pessima idea. Anche io sono un Persuasore: ho tutta l’autorità di prendere in consegna una Maledizione e sono piuttosto sicuro che nessuno oserà avvicinarsi a fare domande.”

“Buon piano!” approvò Heze “Ci nascondiamo in piena vista!”

“Pensi che dobbiamo modificare il nostro percorso ed evitare di nuovo le strade principali?”

“Al contrario: questo è proprio ciò che un inseguitore si aspetterebbe. Faremo esattamente la strada prevista, ci imbarchiamo a Baozdega e procediamo via fiume. Tutto sta ad evitare che qualcuno ci tenda un’imboscata a bordo, ma” si rivolse a Xau “immagino che tu conosca uno per uno i tuoi compagni. Giusto?”

Lui annuì.

“Un altro buon motivo per viaggiare con noi.” constatò Yèlveran.

“Vero.” rimarcò Heze “Reciproco vantaggio.”

Era una scusa stupida, tuttavia gli fu grato. Una cosa era essere consapevole di poter morire quello stesso giorno, ma per accettare che sarebbe morto da solo non era ancora pronto.

 

  
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