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Autore: EmmaJTurner    01/10/2024    3 recensioni
Una nobildonna con un segreto in fuga da un matrimonio combinato; un soldato che ha giurato di dare la vita per proteggerla.
Un low fantasy, cozy mystery romance in un piccolo ducato tra i colli assolati del 1700.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Capitolo 5 - Bess 

La nostalgia la colpì forte quando vide lo scintillare del fiume che circondava le mura del ducato. Quante volte aveva guardato quei flutti dalla sua finestra, invidiando le ninfee e le anatre pascersi al sole senza un solo pensiero al mondo! E anche le mura che si ergevano al di là dell’acqua erano imponenti come le ricordava, con le due torri più alte della città, il campanile e il mastio, che svettavano ardite contro il cielo al tramonto, dandole un senso di sicurezza e di inquietudine insieme.

Il ponte levatoio venne calato con un cigolio di carrucole e un tonfo; il rumore delle ruote della carrozza sul legno fu stranamente confortante. 

Bess spiò fuori dalle tendine ricamate. Avevano attraversato la Porta della Notte, così chiamata perché rivolta a ponente, e adesso la carrozza procedeva spedita sobbalzando sulla strada acciottolata tra due file di case.

Superata la città bassa attraversarono un secondo giro di mura e un elegante giardino con alberi secolari e fontane di marmo; pochi minuti dopo, la carrozza si fermò davanti a un palazzo con due scalinate ricurve che portavano all’ingresso sopraelevato. E lì, davanti ai portali di legno scuro finemente cesellati, stavano i suoi genitori: Stefano e Ginevra, duca e duchessa di Altoponte.

Era arrivata a casa.

I suoi l'accolsero con la stessa disperata gioia di un naufrago ritrovato dopo essere stato disperso in mare per giorni; pareva quasi che avessero dimenticato di essere stati loro stessi, cinque anni prima, a rinchiuderla in un istituto religioso accuratamente selezionato.

Ma Bess accettò le lacrime e gli abbracci di buon grado, scegliendo di posticipare le discussioni a una sede più consona della scalinata di Palazzo del Vento, esposti a decine di occhi indiscreti.

Fu preparata una cena veloce, che Bess pretese di mangiare nella sua camera, in solitudine e silenzio. Dopo essersi scambiati un’occhiata preoccupata, il duca e la duchessa accettarono di buon grado la sua preferenza.

Sbocconcellata una porzione di verdure stufate e carne fredda, Bess si ritrovò a osservare una stanza che era stranamente familiare e distante allo stesso tempo. Era sempre stata così enorme? E con tutte quelle tende verde muffa? Le pareti damascate? E i vestiti appesi nell’armadio, erano davvero suoi?

La verità era che Bess era ancora scossa. Inorridiva al pensiero di essere stata così vicina al pericolo e, nonostante fosse illesa, si sentiva violata. Un estraneo era entrato nella sua stanza mentre lei era addormentata, ignara e vulnerabile. 

Era stato uno dei girovaghi della carovana, come aveva suggerito il capitano? Ma perché mai? Cosa volevano da lei? 

Bess ripensò a quello che le aveva detto la donna barbuta.

“Ci sarà una prossima volta, bambina. Tu sei speciale. E saresti più al sicuro con noi che attorniata da cento lame di soldati”.

Bess rabbridì. La gitana l’aveva guardata fin dentro l’anima e l’aveva vista. Aveva capito.

Se erano stati loro, forse volevano rapirla per chiedere un riscatto. Non aveva senso che volessero farle del male… no? Altrimenti perché dirle una cosa del genere? 

Gli occhi truccati della donna barbuta le galleggiarono nella mente. Occhi neri, consapevoli, e luccicanti come biglie.

Bess si strinse nel misero vestito di cotone che le avevano dato al convento.

Chiunque fosse stato, grazie alle Celesti era intervenuto Sebastian. 

Insieme all’incredulità e alla paura, Bess rievocò il senso di sicurezza e di protezione che l’aveva inondata quando aveva capito che era stato proprio lui a irrompere nella stanza per mettere in fuga lo sconosciuto.

“Qualunque cosa per voi, Beatrice”.

Aveva usato il suo nome. Lo aveva mai fatto, prima? Non ricordava. Se si concentrava, sentiva ancora il calore della sua voce, del suo sguardo sulla pelle. 

Scosse la testa con forza. Pensieri pericolosi, quelli, su cui indugiare.

Il matrimonio. Qualcuno aveva fatto irruzione nella sua stanza. Ecco su cosa doveva concentrarsi. 

Si tolse il vestito leggero — non aveva bisogno della servitù per levarsi quello scampolo di tessuto — e si coricò nel letto a baldacchino addossato alla parete.

Spense l’ultima candela e, contro ogni buon proposito, si addormentò pensando a una divisa rossa e capelli color grano illuminati dalla luna.

***

La mattina seguente, a colazione, i suoi genitori non erano affatto felici.

“È inammissibile” stava dicendo suo padre. “Un attacco nel bel mezzo del paese. Con dieci maledetti Falchi al tuo seguito”.

“Quei nomadi devono essere cacciati dalle terre sotto la nostra giurisdizione” approvò la duchessa sorseggiando una tazzina di tè.

“Prenderò adeguati provvedimenti” dichiarò il duca, furioso. “Grazie alle Celesti non è successo nulla di grave”.

“Sì. Sono ancora qui” accennò Bess nel tentativo di far notare la propria presenza. “E se posso dire la mia…”.

“Le guardie saranno punite, ovviamente. Come è possibile che qualcuno sia riuscito a entrare nella tua stanza? Devo parlare con Ghilroi e…”

“... non è necessario…”.

“... è inammissibile che ci siano falle di sicurezza di questa portata…”.

“... infatti qui a Benaco quella gentaglia non ha diritto di entrare. Qui sei al sicuro, bambina mia”.

“Devo parlare con Ghilroi”.

“Dovresti assolutamente, caro. Delle punizioni esemplari sono d’obbligo. E dovremmo far portare ancora tè, questo ormai è freddo. Antonia, mi porteresti dell’acqua calda?”.

Bess alzò la voce. “Non è necessario punire i Falchi. Hanno fatto il possibile per tenermi al sicuro”.

“Non è stato abbastanza, evidentemente” replicò suo padre gelido. “E setacceremo i boschi alla ricerca di quella maledetta carovana”.

Con questa dichiarazione scostò rumorosamente la sedia dalla tavola e uscì.

Un silenzio pesante scese nella sala da pranzo. I servi si scambiarono occhiate titubanti. Bess fece rotolare un acino d’uva nel piatto con la forchetta. 

“Va tutto bene ora, tesoro. Non preoccuparti più” la rassicurò la madre.

Bess la guardò e si chiese se fosse arrivato il momento di affrontare l’argomento che più le bruciava addosso — il matrimonio — ma non era sicura che quello fosse il momento più adatto. Optò per informarsi sulla situazione familiare.

“Dove sono Edo e Fabri? Non li ho visti ieri sera”.

“Se ti fossi degnata di cenare con noi, sapresti che i tuoi fratelli sono in viaggio” ribatté l’altra con il suo solito tono graziosamente accusatorio.

Bess ignorò la frecciatina. "Entrambi?".

“Sì. Edoardo sta girando i latifondi a sud; Fabrizio è in villeggiatura sulla costa con Ivonne. Torneranno tra pochi giorni”.

Ivonne, la moglie di Fabrizio, era una donna pallida e cagionevole con cui Bess non aveva mai avuto l’occasione di parlare prima di essere spedita dalle Silene.

Fece la domanda che le premeva di più di tutte. “E Biagio dov’è?”.

La duchessa Ginevra corrugò la fronte. “Chi?”.

“Il mio cane. Biagio” insistette, infastidita dalla smemoratezza della madre.

“Oh. Credo che tuo fratello se lo sia portato al mare”.

Bess, che lo supponeva, infilzò l'acino d’uva. Discussero blandamente di amenità varie finché non fu servito il dolce; quando le fu concesso rientrare nella sua camera, sua madre la seguì. Seduta compita sul divanetto di taffettà rosa, Bess la osservò per un po’ camminare avanti e indietro tra il baldacchino e le ampie finestre, ancora cianciando di girovaghi, infrazioni del protocollo e punizioni esemplari. Attese che fosse lei a introdurre l’argomento tanto spinoso. Non accadde.

“Mamma” sospirò infine, esasperata. “I soldati della guardia non hanno bisogno di nessuna punizione. Voglio parlare del matrimonio”.

Il flusso di coscienza di sua madre si interruppe. La nobildonna si fermò e abbassò su di lei uno sguardo greve. Era sempre stata una donna molto bella, con i sottili capelli biondi raccolti in una crocchia elegante, il viso a cuore, la struttura delicata del collo e dei polsi. Bess non le somigliava per niente.

“Lord Devon ti aspetta entro la fine del mese, tesoro”.

Bess si corrucciò. “Può aspettare fino alla fine dell’anno, per quel che mi riguarda” replicò, offesa dalla mancanza di delicatezza della madre.

La duchessa scosse la testa. “Lord Devon è un gentiluomo, Beatrice. Lo abbiamo scelto con grande attenzione. È un marchese ma ti tratterà da regina. E sarai al sicuro con lui”.

“Cosa significa che sarò al sicuro con lui?”.

“È un uomo molto meticoloso”.

“Cosa vorrebbe dire?”

“Che abbiamo scelto con criterio” fu la secca risposta.

Bess cominciava a infastidirsi di tutte quelle spiegazioni a metà. “Avete scelto, per l’appunto. Senza nemmeno informarmi”.

“Informare te? A che scopo? Ci sarebbe mai stata una risposta diversa da assolutamente no?”.

Bess si morse la lingua.

Il viso di sua madre si addolcì. “Come immaginavo”.

Si sedette sul divanetto accanto a lei. “So che sei spaventata, tesoro mio” disse con tono più accomodante. “Ancora di più dopo quello che è successo ieri notte — avrò le mie punizioni esemplari, vedrai — ma fidati di noi. Anche io e tuo padre ci siamo conosciuti un mese prima del matrimonio, e la nostra unione è stata felice”.

“Ma non so niente di lui” si lamentò Bess cupa.

“Rimedierai in un batter d’occhio. Lord Devon gioca a scacchi, tira di scherma, è appassionato di caccia e di botanica. E soprattutto ama cavalcare, come te”.

Suo malgrado, Bess pensò che c’erano passioni ben peggiori che un lord potesse avere. Aveva molte domande sulla punta della lingua, ma venne preceduta da sua madre, che aggiunse con fare cospiratorio: “Ed è molto bello, anche. Assomiglia a Edoardo”.

Bess fece una smorfia “E questo dovrebbe essere un pregio?”.

“Su su. Non puoi negare che tuo fratello sia un bell’uomo”.

Per quanto l’idea di sposare un uomo uguale a suo fratello le creasse ribrezzo, Bess non poteva negarlo. Con i ricci neri e gli occhi verdi, suo fratello Edoardo era stato desiderato e corteggiato in lungo e in largo prima di prendere moglie.

“Ma perché?” supplicò. Si vergognò del proprio tono infantile.

Sua madre la guardò, le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sospirò. “Oh, Beatrice, amore mio. Perché sono passati cinque anni e i tuoi fratelli non hanno avuto alcun erede. “Sono cosciente delle tue… difficoltà e sai che non te lo chiederei se non fosse assolutamente necessario. Ma dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per assicurare che il ducato resti alla nostra famiglia. La linea di sangue deve continuare. O con i tuoi fratelli, o con te”.

Bess si ritrovò senza parole. Ricordava gli screzi tra suo padre e il fratello, suo zio Atlas; aveva vaghe memorie di minacce e preannunciati disastri politici in caso il titolo fosse passato a lui.

Eccolo, l’inghippo. L’eredità.

“Se io avrò un erede, il titolo di duchessa verrà dato a me?” chiese titubante.

“Esatto. Così è stabilito”.

“E io? Dove vivrò?”.

“Tu vivrai con lord Devon finché sarà necessario. Tornerete qui quando sarà ormai stabilito che tuo figlio è in salute e sarà in grado, un giorno, di assumere il ruolo di duca”.

“Figlio… o figlia”.

“O figlia. Anche se un maschio sarebbe meglio, se le Signore Celesti ce lo concedono".

“Hai molta fiducia nelle mie capacità di procreazione”.

“Ho fiducia in tutto quello che fai, tesoro”.

“Non in tutto”.

Un silenzio pesante aleggiò tra loro, e Bess seppe che sua madre aveva capito. 

La guardò negli occhi. “Qualcuno sa…?”.

“Nessuno” negò Bess con sicurezza.

“Ho fiducia in te” ripeté allora la duchessa Ginevra. “Tutto quello che abbiamo fatto è stato sempre e solo per tenerti al sicuro”.

Nonostante il tradimento di essere stata allontanata senza diritto di replica dall’unica casa che conosceva, Bess guardò quel viso a lei tanto caro e non poté provare un innegabile affetto. Sua madre le era mancata. Glielo disse.

Gli occhi della duchessa si fecero lucidi. Si chinò ad abbracciarla, le sue braccia fragili e sottili attorno alle spalle atletiche di Bess. “Oh, tesoro. Anche tu mi sei mancata”.

Bess deglutì. “Glielo avete già detto?”.

“Cosa, tesoro?”.

L’espressione di Bess fu sufficiente a far sbuffare la madre. “Non essere ridicola, bambina mia. Certo che no. Non c’è motivo per dirgli alcunché in questo momento”.

“Ma sarà mio marito” insisté. “Dovrebbe saperlo”.

“Io e tuo padre non siamo d’accordo. E poi hai detto che non è più successo, no? Magari non tornerà più”.

Bess sentì, con la certezza inequivocabile della morte e delle tasse, che sua madre si sbagliava. Improvvisamente prosciugata dalla forza necessaria per ribattere ancora, cambiò argomento.

“Quando dovrò partire?”.

“Dopo quello che è successo a Fossalta, i piani sono cambiati. Stiamo considerando di celebrare qui il rito e non presso Collenero. Dobbiamo scrivere a Lord Devon. Non citeremo i dettagli di quanto accaduto, ovviamente; nessuna necessità di farlo preoccupare prima delle nozze” spiegò sua madre sventolando una mano con nonchalance.

“Ovviamente” sospirò Bess. Si sentiva svuotata. 

Sua madre la avvisò che per quel pomeriggio aveva fatto chiamare la sarta per confezionarle nuovi abiti; poi la salutò con un bacio e uscì graziosamente dalla stanza.

Una volta sola, Bess si lasciò ricadere sul divanetto rosa e chiuse gli occhi. La notizia dell'eredità aveva gettato una nuova luce sui recenti avvenimenti. 

Un pensiero la colpì con più forza degli altri.

Potrebbero non essere stati i gitani.

Più ci pensava, più aveva senso. Quello sconosciuto forse non era capitato nella sua stanza per caso. Bess era stata cinque anni in un convento non sorvegliato e nessuno aveva mai tentato di torcerle un capello; ora che invece la linea di sangue degli Altoponte era minacciata, era diventata un obiettivo.

Se quelle supposizioni erano corrette, non sembrava più plausibile che una scalcagnata compagnia circense c’entrasse qualcosa in quella vicenda. Se si poteva parlare di tentato omicidio, non era difficile immaginare chi potesse nascondersi dietro.

Qualcuno di famiglia.

Decisamente non una bella prospettiva.

Stordita da quei pensieri bui, si alzò, fece chiamare la servitù — una sensazione bizzarra, dopo anni passati a pulire il pavimento con uno straccio — e andò alla ricerca dei suoi stivali. Aveva bisogno di cavalcare.

***

Suo padre non alzò nemmeno gli occhi dai documenti che stava studiando con il suo avvocato. “È fuori discussione”.

“Ma…”.

“Cavalcare? Fuori dalle mura? No, mia cara. Sei intelligente abbastanza da renderti conto che non è raccomandabile. Non con… lo sai”. Le lanciò un’occhiata significativa. L’avvocato al suo fianco, un uomo piccolo e pelato, li guardò entrambi con espressione dubbiosa.

Bess aveva valutato se condividere le sue supposizioni con qualcuno — con i suoi genitori, ad esempio — ma si era ricreduta in fretta. Loro non avrebbero permesso che si facessero accuse del genere, anzi: avrebbero pensato che fosse pazza, e che qualcuno pensasse che lei fosse pazza era ora l’ultima cosa di cui aveva bisogno. No, per ora meglio tenere quelle considerazioni per sé.

“Vai al recinto, se proprio vuoi cavalcare” la liquidò riportando gli occhi sui documenti. Poi fece cenno alle due guardie alla porta. “Voi due. Andate con lei”.

Mentre marciava molto poco elegantemente nei corridoi del palazzo, Bess ingoiò il risentimento. Era così che sarebbe stata la sua vita, adesso? Trattata da invalida, con un susseguirsi di obblighi, divieti e norme di condotta peggio che al monastero, oltre al trauma dello spiacevole attacco notturno appena vissuto? Erano finiti i tempi delle cavalcate in libertà con solo gli zoccoli del cavallo a dividerla alla natura sconfinata?

Scese abbacchiata nelle stalle, scelse il cavallo — una giumenta pezzata dagli occhi brillanti — e montò dritta. I vestiti da nobildonna le pesavano addosso nella calura, prova tangibile della sua pena spirituale.

Si rassegnò a girare in tondo nel recinto vicino la piazzetta antistante l’armeria, quella dove di solito si allenavano i militari, triste e accaldata sotto gli strati di seta e di broccato. Non le diede alcun senso di libertà o di soddisfazione, e si stancò presto. Lasciò la cavalla pezzata a uno degli stallieri e, sempre marcata stretta dai due soldati, tornò nelle sue stanze più depressa di prima.

Appena superata la soglia della camera — le guardie ebbero la decenza di restare fuori — lanciò via gli stivali come faceva da bambina. Poi si sentì in colpa e li rimise in ordine al loro posto vicino all’ingresso.

Si slacciò gli abiti da cavallerizza e li posò sul divanetto, restando in camicia, corsetto e sottogonna. 

Si avvicinò a una delle finestre che dava sul fiume. Desiderosa di far passare un po’ d’aria, tirò verso l’alto per aprirla; nulla di mosse. I telai erano stati inchiodati.

Frustrata, Bess afferrò un pesante tendaggio e lo tirò a nascondere la finestra.

Niente più fughe. Niente più cavalcate nei campi. Il brusco ritorno a casa, l’aggressione, il matrimonio. 

Bess si accasciò a terra con la testa stretta tra le mani. Che cosa poteva fare? Con chi poteva parlare? Il respiro si fece affannoso e accelerato. Il mondo cominciò a stringersi e assottigliarsi.

No, no, non adesso.

Si artigliò il petto in preda al panico. Non poteva succedere ancora.

Prese una boccata d’aria e si concentrò sul respiro. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. 

Rimase lì a lungo, assordata dal pulsare del sangue nelle orecchie, la bocca aperta e la mente paralizzata in un angoscioso stato di rovina incombente.

Continuò imperterrita a inspirare e espirare con intenzione. Dopo qualche altro infinito, terribile minuto, sentì che il peggio era passato.

Si asciugò gli occhi umidi con i palmi delle mani e si alzò con cautela. Era da parecchio che non aveva un attacco con quello. Non andava bene. Non andava affatto bene. Ci mancava solo quello, oltre alla caterva di rogne che le era piombata addosso.

Se solo Mag fosse qui.

Bess tirò su col naso. Si sarebbe sentita meglio con l’amica al suo fianco. Le mancava più che mai.

Con un lieve bussare alla porta, una cameriera fece capolino per avvertirla che il pranzo era pronto. Più stanca di quando si era alzata, Bess annuì e si fece assistere nella vestizione.

In un susseguirsi di abiti troppo pesanti, calura insopportabile, svaghi negati e sventate crisi respiratorie, passarono altri quattro giorni. Era la cena del quarto quando le venne recapitata la lettera in cui ormai non sperava più. Bess ruppe il sigillo delle Silene e riconobbe subito la scrittura del mittente. Leggere la risposta le strappò un urlo di gioia: Margaret aveva accettato.





Spazio dell'autrice
Se avete notato nei nomi a voi nuovi, è perché ho cambiato i nomi dei fratelli Bess. Portate pazienza: Edoardo è il maggiore, Fabrizio è quello di mezzo. Spero che questo capitolo sia stato interessante! Fatemi sapere. Io torno presto :D

   
 
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