Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Orso Scrive    01/10/2024    1 recensioni
Durante la torrida estate del 2022, la Toscana è sconvolta da alcuni misteriosi e brutali omicidi. Omicidi che vedono, come vittime, tombaroli sorpresi a scavare all’interno di antiche sepolture etrusche.
Per questo motivo, il tenente Manfredi e il sottotenente Bresciani vengono inviati a San Gimignano, in provincia di Siena, nel cuore dell’antica Etruria, per indagare sugli strani avvenimenti.
Riusciranno Alberto e Aurora a fare luce su questo nuovo caso, che affonda le sue radici ai tempi della guerra tra Roma e gli Etruschi, e forse a tempi ancora più remoti?
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

32.

 

 

 

Il cri-cri dei grilli si faceva udire dal folto della vegetazione circostante. Di quando in quando, un qualche altro insetto si univa al coro, con ronzii più brevi e acuti. Nel buio si accendevano e spegnevano le luci fosforescenti delle lucciole, simili a fantasmi, parenti lontane delle stelle che a milioni punteggiavano il firmamento. L’aria, adesso liberata dalla calura opprimente di cui si impregnava durante il giorno, era fresca e profumata, odorava di campagna. La frescura dell’aria era un dolce toccasana, che si mischiava in modo armonioso al calore di cui era rimasto impregnato il suolo, che lo aveva assorbito nel corso della giornata e che adesso lo lasciava andare. Una brezza leggera scuoteva le erbe alte dei prati e le chiome degli alberi che ricoprivano i colli circostanti. In lontananza, al di là del buio dei saliscendi ondulati, si ergevano le torri illuminate di San Gimignano.

Suoni e miraggi di una tipica notte d’estate.

Il disco bianco e lucente della Luna accarezzava con i suoi raggi lattiginosi le morbide e irresistibili forme di Aurora, giocando e confondendosi con il candore quasi evanescente della sua pelle. Sembrava esaltare le lentiggini che aveva sul viso, marcandone gli angoli duri, eppure così rilassati in quel momento. I suoi capelli sembravano accesi di mille tonalità di rosso, come una colata di lava incandescente.

La giovane donna era sdraiata di schiena sul bordo della piscina. Gli occhi chiusi, un’espressione beata dipinta sul viso. La mano sinistra era protesa verso l’acqua, e di quando in quando ne lambiva adagio la superficie con la punta delle dita. Cerchi concentrici si increspavano e si allargavano ai suoi tocchi. Aveva disteso le gambe nude e teneva i piedi abbandonati sulle cosce di Manfredi. Era l’incarnazione della tranquillità e della rilassatezza. Un’immagine di sé che, quella donna turbolenta e sopra le righe, offriva davvero di rado.

Le mani di Alberto – che aveva tolto le scarpe e arrotolato i pantaloni e sedeva con le caviglie immerse nell’acqua odorosa di cloro, traendone una delicata sensazione di fresco, nonostante il liquido fosse ancora caldo per essere stato esposto tutto il giorno ai raggi del Sole – li toccavano, li stringevano e li carezzavano a tratti con delicatezza, subito dopo con forza maggiore, partendo dalle dita e arrivando alle caviglie, per poi tornare indietro.

Brividi leggeri e soddisfatti accompagnavano quei tocchi improvvisati eppure sapienti, scuotendo piano il corpo di Aurora, mentre la soddisfazione si allargava attraverso tutto il suo organismo. Le sue labbra erano distese in un sorriso. Di quando in quando, le stringeva e le succhiava, come se stesse cercando di impedirsi di gemere per il piacere. Aveva gli occhi chiusi e un’espressione beata dipinta in viso.

«Mmm… tenente, avresti dovuto scegliere di fare carriera come massaggiatore, lo avresti sicuramente fatto meglio del carabiniere», si lasciò sfuggire, in un mormorio appena percettibile. «Anzi, se solo tu fossi un po’ più carino e simpatico, ti suggerirei di mollare tutto e di andare a fare il gigolò.»

Alberto era troppo abituato alla sua sottile ironia, che molto spesso rasentava un maligno sarcasmo. Non rispose. Si limitò a un sorriso. Conosceva abbastanza bene Aurora da sapere che, da parte sua, quello era un vero complimento.

Non era la prima volta che le massaggiava i piedi, e di certo non sarebbe stata l’ultima. Molto spesso, dai piedi passava al resto delle gambe, e magari anche alle spalle, alle braccia e alla schiena. Aurora amava farsi toccare a quel modo da lui. Era l’unico a cui lo concedesse, a dire il vero. E soltanto quando erano soli e nessuno poteva vederli. In ogni altro momento, doveva restare sempre e soltanto la tipa tosta che conosceva soltanto l’arte di tirare pugni e calci e che non aveva la più pallida idea di che cosa fossero le smancerie e altre cose del genere.

«Ah…» disse poi, mascherando un sorriso. «E io che pensavo di starti facendo malissimo. Allora smetto.»

Aurora ridacchiò.

«Cioè, Manfredino, volevo proprio dire questo: mi stai facendo tanto male. Sei proprio cattivo, lo sai?»

«Oh, bene», replicò lui. «Se ti sto facendo male, allora continuo.»

«Sì, sì, continua a farmi male», quasi implorò lei.

Era bello, starsene lì insieme, nel silenzio e nella pace della notte. Rimarsene lì, a scherzare a modo loro, senza pensare a niente altro. In momenti come quelli, potevano benissimo dimenticare di essere due carabinieri inviati in Toscana per indagare su una serie di brutali omicidi. Potevano davvero concedersi il lusso di essere quei due ragazzini che erano stati, tornare ancora una volta a essere quei due vecchi – e, a tratti, strani – amici che si erano divertiti insieme in lunghi notte d’estate come quella, quando l’assillo e il pensiero dei banchi di scuola era ancora lontanissimo, una visione fugace e distante che aveva nome “settembre”. Quei tempi in cui, tra loro, c’era stata sempre quella perenne tensione, a volte quasi erotica, che anche se non era mai sfociata per davvero in qualcosa di concreto – e mai lo avrebbe fatto – non era mai realmente venuta meno.

Alberto poteva soltanto sperare che durasse il più a lungo possibile.

Non aveva alcuna voglia di tornarsene a casa, a passare il resto dell’estate insieme all’afa, alle zanzare e a sua sorella. Che, a ben vedere, era persino peggio delle zanzare e dell’afa.

Quelle, almeno, con una manata, puoi scacciarle. E, se fa troppo caldo, posso sempre accendere il ventilatore.

«Secondo te, ci vorrà molto, per risolvere questo caso?» domandò. Cercò di non imprimere troppa speranza nella propria voce.

Non fu sicuro di esserci riuscito.

Aurora non aprì gli occhi.

«Già voglia di tornartene a casa, Manfredino?» domandò, con il tono di chi conosce già la risposta.

Tutto il contrario. Ci sto così bene, qui con te. Ma mica te lo dico.

«Più che altro, non vorrei che, quel pazzo – o quei pazzi, se è vero che sono più di uno – facesse troppi danni. Non mi importa granché, se fa – o fanno – fuori qualche altro tombarolo. Ma le devastazioni nelle tombe antiche, quelle non riesco a tollerarle.»

Lei fece un vago cenno.

«Vedrai che – uno o tanti che siano – gli metteremo il sale sulla coda molto presto, Manfredino. E, quando succederà, mi concederò il lusso di dargli un paio di calci in culo, per tutto i danni provocati. Tu lasciami da sola in una stanza per dieci minuti con quel tipo, e gliela tolgo per sempre, la voglia di distruggere reperti archeologici. E, se sono più di uno, gliela faccio passare a tutti insieme, in gruppo.»

Alberto fu scosso da un leggero brivido.

Di solito, si sarebbe premurato di ricordare ad Aurora che, il ruolo istituzionale che ricoprivano, e il distintivo che avevano in tasca, impediva loro di tenere certi comportamenti. Stavolta non ce la fece. Le devastazioni subite dalle antiche sepolture erano qualcosa di davvero ripugnante, per pensare che chi le aveva compiute se la passasse liscia, magari con una lievissima condanna. Cosa, per altro, fin troppo prevedibile, considerate le modalità con cui veniva spesso amministrata la giustizia in Italia, dove tutti erano innocenti e mai nessuno colpevole.

Chiunque sia l’assassino, non sa cosa lo aspetta. Ho quasi pena per lui.

Continuò a massaggiarle i piedi. Fece scivolare i polpastrelli lungo le sue dita, risalì la pelle liscia. Non erano i piedi di una modella o di una persona raffinata che pensava in modo maniacale alla cura estetica. Erano i piedi forti di una donna in perenne attività, induriti dai calli e segnati da botte e cicatrici, le stesse che avrebbe potuto trovare un po’ ovunque su tutto il resto del corpo di Aurora. Forse non avrebbe vinto un concorso di bellezza, con piedi del genere. Ma lui li trovava lo stesso tanto belli.

Era innegabile che, per Aurora, aveva una vera cotta, che durava da tantissimo tempo. Una cotta che non si sarebbe mai tradotta in altro, ne era consapevole. E nemmeno avrebbe voluto, che diventasse qualcosa di più di quello che già erano. Questo, comunque, non cambiava la sostanza delle cose: la trovava bellissima, e le voleva un bene dell’anima. Era l’amica più importante che avesse mai avuto, e lo sarebbe stata per sempre, a dispetto di tutto e di tutti.

Sentiva i suoi leggeri sospiri. Sapeva che le piaceva il modo in cui le toccava e accarezzava i piedi, che le piaceva tanto. La consapevolezza di starle infondendo piacere, di starle donando qualcosa che la faceva sentire bene, lo faceva stare bene a sua volta. Perché se Aurora stava bene, anche Alberto stava bene.

La ragazza aprì gli occhi. Per un momento, quegli splendidi smeraldi si fissarono sul viso di Alberto. Lei sorrise, e lui ricambiò il sorriso.

«Grazie mille, Manfredino», mormorò. «Mi hai proprio rigenerata. Mi ci voleva. L’ho detto e lo ripeto: secondo me, hai sbagliato mestiere. Dovevi fare il massaggiatore. Avresti avuto tra le mani un mucchio di donzelle, tra le altre cose.»

Alberto fece un sogghigno ironico.

«Perché dovrei volere tra le mani un mucchio di donzelle, quando posso avere la più bella di tutte?» domandò.

«Già, non capita certo a tutti, di poter massaggiare la dea della bellezza», concesse Aurora.

Si rizzò a sedere e fece il gesto di sfilarsi la maglietta. Alberto, che alla sola prospettiva di vedersela davanti praticamente nuda, stava già sentendosi la bocca arida, la fissa con sguardo ebete.

«Allora che ne diresti, se mi togliessi la canottiera e il massaggio me lo facessi anche alle braccia, alle spalle e alle te…»

Non terminò di formulare quella prospettiva che si sarebbe rivelata parecchio allettante.

Un ringhio si levò nella notte.

Gli insetti tacquero, spaventati. Le lucciole parvero spegnersi. Aurora rimase imbambolata, la bocca ancora aperta. I suoi occhi, come quelli di Manfredi, schizzarono impazziti in tutte le direzioni, cercando di capire che cosa lo avesse provocato.

Attorno a loro, soltanto il buio.

Tutto era immobile.

Il ringhio bestiale e mostruoso si ripeté, propagandosi nell’oscurità della campagna sprofondata in un silenzio assoluto e innaturale.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Orso Scrive