Ed eccoci qua, giunti alla fine di questa lunga storia.
Detta così sembra essere stato un sacrificio, ma posso assicurarvi che non è affatto vero. Erano anni che non scrivevo una long e avevo dimenticato quanto fosse piacevole!
Io, che sono una fan dell'introspezione, ho avuto modo e spazio per sviluppare al meglio i personaggi, tanto che Anita e Stefano resteranno nei miei pensieri ancora per un po', ne sono certa!
Ma queste righe (prima di lasciarvi all'atto finale) voglio dedicarle a voi lettori e lettrici che per quasi due anni non mi avete mai lasciata da sola! Anzi, spesso siete stati la benzina che è servita per rimettere in moto il motore (che ogni tanto ha rischiato di ingolfarsi, lo ammetto!). Quindi grazie a ciascuno di voi che non solo avete letto, ma soprattutto mi avete lasciato sempre un pensiero in fondo ad ogni capitolo!
Grazie di cuore, vi voglio bene!
Beh, non mi resta altro da fare che lasciarvi all'ultima parte della storia (preparate i fazzoletti he he).
Spero di ribeccarci/vi da queste parti, gente!
Un caro saluto,
Nina^^
Detta così sembra essere stato un sacrificio, ma posso assicurarvi che non è affatto vero. Erano anni che non scrivevo una long e avevo dimenticato quanto fosse piacevole!
Io, che sono una fan dell'introspezione, ho avuto modo e spazio per sviluppare al meglio i personaggi, tanto che Anita e Stefano resteranno nei miei pensieri ancora per un po', ne sono certa!
Ma queste righe (prima di lasciarvi all'atto finale) voglio dedicarle a voi lettori e lettrici che per quasi due anni non mi avete mai lasciata da sola! Anzi, spesso siete stati la benzina che è servita per rimettere in moto il motore (che ogni tanto ha rischiato di ingolfarsi, lo ammetto!). Quindi grazie a ciascuno di voi che non solo avete letto, ma soprattutto mi avete lasciato sempre un pensiero in fondo ad ogni capitolo!
Grazie di cuore, vi voglio bene!
Beh, non mi resta altro da fare che lasciarvi all'ultima parte della storia (preparate i fazzoletti he he).
Spero di ribeccarci/vi da queste parti, gente!
Un caro saluto,
Nina^^
Ȼapitolo Ⱦrentuno
“Ⱥerei...”
“Ⱥerei...”
«Quelli non sono i tuoi amici?»
Stefano Parisi sollevò la testa per guardare nella direzione che la madre gli aveva indicato con un cenno.
L'aereoporto di Caselle pullulava di viaggiatori in attesa del proprio volo o in attesa che i propri cari sbarcassero di lì a poco. Tra la calca di persone che si muoveva veloce, trascinando trolley e valigie, il ragazzo scorse l'ammassso di riccioli rossi che il suo compago aveva al posto dei capelli. E, la cosa più incredibile, al suo fianco c'era Anita Lentini. Entrambi si guardavano intorno con apprensione, in cerca evidentemente di qualcosa o di qualcuno.
In cerca di lui.
Stefano balzò in piedi, incurante dell'avvertimento di sua mamma di non allontanarsi, tra poco avrebbero annunciato il volo diretto a Parigi (una volta lì, avrebbero preso quello per New York e, infine, Seattle). Ma ormai la mente del figlio non faceva altro che immaginarsi il momento in cui avrebbe sentito nuovamente il profumo di Anita, la sua voce, la morbidezza delle labbra... Dribblò i presenti, saltò sopra un paio di borsoni abbandonati sulle mattonelle, evitando appena in tempo di capitolare lungo disteso, fino a intercettare lo sguardo di Fabio. Quest'ultimo fece appena in tempo ad avvertire la compagna di classe di averlo visto, che Stefano le afferrò il viso con tutti e due i palmi e schiacciò la propria bocca sulla sua. Anita rispose al bacio, aggrappandosi al collo del ragazzo, mentre Fabio fingeva di essere interessato al tabellone luminoso su cui venivano riportati gli orari dei voli. Era imbarazzato. Poi, quando il bacio tra i due innamorati scemò e restarono con la fronte incollata l'una all'altro, senza mai smettere il contatto visivo, Fabio Morini tossì, giusto per ricordare la sua presenza.
Stefano finalmente lo guardò sorridendogli: aveva gli occhi lucidi. Non riuscirono a dirsi molto, poiché la voce agli altoparlanti invitò i passeggeri del volo diretto a Parigi di prepararsi al chek-in. Sua madre aveva avuto ragione, non mancava molto ormai alla partenza.
«Di già?!» La voce di Anita fu un fremito strozzato. Non voleva piangere, se lo era promesso mentre si dirigeva lì, seduta sul sedile posteriore del motorino (che tra l'altro era quello di Stefano), alle spalle di Fabio. Quando lo aveva visto alla sua guida, davanti al portone di casa, era stato come ricevere un colpo al cuore. Accorgendosi della sua espressione, Alessia le aveva velocemente spiegato che Stefano glielo aveva regalato, non potendolo portare con sé in America. Era stato effettuato solo il passaggio di proprietà e ovviamente di assicurazione.
«Quello che dovevamo dirci l'abbiamo detto.» Stefano tornò a sollevarle il viso con le mani, anche lui si stava trattendendo dal piangere. «Niente melodrammi, ce lo siamo promessi.»
Anita annuì, tirando su con il naso.
C'erano quasi.
«Ok, Lentini?»
«Ok...»
Stefano Parisi la baciò un'ultima volta, piano, assaporando ogni secondo di quel contatto. Si discostò ancor più lentamente, sfiorandole uno zigomo con il pollice e asciugando una lacrima scivolata solitaria all'angolo dell'occhio destro. Si sorrisero, perché quello doveva essere il ricordo, il fermo immagine che avrebbero custodito per sempre nel loro cuore.
Fino al prossimo incontro...
Poi, Stefano si voltò verso Fabio, l'amico di mille avventure, quello che c'era sempre stato, di quelli rari. E veri. Anche Morini pareva commosso, ma non lo avrebbe dato a vedere neppure sotto tortura. Anche loro si erano già detti tutto ciò che dovevano, non avevano rimpianti, né rancori da digerire.
«Fai buon viaggio, Ste'», Fabio gli allungò una mano, ma l'altro invece di stringergliela lo abbracciò con slancio, lasciandolo stupefatto. In tanti anni di amicizia, mai si erano abbracciati. Passato il momento di meraviglia, Fabio rispose alla stretta e, in quel preciso istante, fu come attraversato da una folgorazione: non si sarebbero mai più rivisti.
«Stefano!» La voce della madre giunse chiara e nitida fino a loro. «Dobbiamo andare!»
Stefano sciolse l'abbraccio con l'amico e lo guardò negli occhi un'ultima volta, sforzandosi di sorridergli. Lasciò un' ultimissima carezza sul volto di Anita...
«Stefano! Dai!» Lo incitò ancora la mamma e, questa volta, il ragazzo girò sui tacchi e la raggiunse.
Fabio Morini e Anita Lentini rimasero uno accanto all'altra, trattenendo a stento le lacrime, in attesa di accompagnarlo fin oltre il gate, elemosinando un cenno di saluto – di addio – da parte dell'amico e innamorato, che non mancò. Infatti, Stefano si voltò indietro, anche lui speranzoso di vederli ancora lì. C'erano. Sollevò un braccio, li salutò, poi scomparve dietro l'angolo.
I due ragazzi rimasero qualche secondo ancora in assoluto silenzio, ghiacciati, mentre intorno a loro la vita scorreva veloce, le persone gli oltrepassavano deviandoli come si farebbe con dei pilastri. Qualcuno addirittura li urtò, senza preoccuparsi di scusarsi. Fabio fu il primo dei due a scuotersi:
«Cazzo, Lentini! Se n'è andato davvero!»
Anita sollevò gli occhi su di lui, sbattendo le palpebre un paio di volte, risvegliandosi come da un sogno, chiedendosi cosa ci facesse in aereoporto con Fabio Morini.
Quest'ultimo si voltò a guardarla e lei poté notare alcune lacrime che gli avevano bagnato le guance. Il ragazzo se le asciugò velocemente e distrattamente:
«Vuoi vedere l'aereo che decolla?»
«Non so neppure quale sia tra quelli», rispose la ragazza, spostando l'attenzione oltre le ampie finestre che si affacciavano sulla pista di atterraggio, ingombra di tre aerei di linea grossi quanto grattacieli.
«Allora usciamo, ho bisogno di fumare.»
Fabio le porse il caffè che aveva appena comprato alle macchinette automatiche. Anita lo ringraziò e lo annusò: l'odore di caffè restava uno dei suoi preferiti. Si erano seduti su una panchina, proprio vicino ai distributori, e subito Fabio le aveva chiesto se volesse qualcosa, mentre lui aveva preferito una lattina di Pepsi Cola. L'aprì, tirando via la linguetta, e ne bevve un sorso che per poco non gli andò di traverso quando alle sue spalle udì la voce della professoressa Dell'Arco.
«Ragazzi, che ci fate qui?»
Entrambi i suoi alunni la guardarono stupiti: indossava dei leggins scuri e una camicia sbottonata, con le maniche arrotolate ai gomiti, sopra una T-shirt bianca. Al suo fianco giaceva un trolley che Anita conosceva bene: era la stessa valigia che si era portata a Sorrento. Senza attendere una risposta, la donna si accese una sigaretta e tornò a rivolgersi a loro, sorridendo non solo con la bocca ma anche con gli occhi.
«Siete venuti a salutare Parisi? Se non sbaglio partiva oggi...»
«Sì, esatto» rispose Fabio e proprio in quell'istante un aereo solcò il cielo terso. Tutti e tre alzarono il naso all'insù, pensando cose differenti.
Fabio provava quasi invidia per l'amico che stava lasciando il Paese, anche a lui sarebbe piaciuto cambiare aria, cercare lavoro in una terra straniera, non sentire la pressione di una famiglia che continuava a paragonarlo al fratello perfetto. Perciò doveva diplomarsi al più presto e poi, chissà, cominciare una nuova vita lontano da lì, in compagnia di Alessia, ovvio!
Anita Lentini si chiese se quello che stava guardando fosse l'aereo di Stefano. Ancora non le sembrava vero che se ne fosse andato, era una sensazione strana, quasi incorporea. Un po' come si era sentita all'inizio della loro storia, sembrava di star vivendo la vita di un'altra persona che non fosse lei. Ma, poco a poco, quell'emozione era scemata laciando il posto alla certezza e l'assurdo era diventato realtà. Se è per questo, ci aveva messo del tempo anche per realizzare concretamente che dietro il nickname di Ⱦhunder ci fosse Stefano Parisi... Già, Ⱦhunder. Strano, ma dalla sera dell'appuntamento ai Lampioni Innamortati non avevano più chattato...
Giovanna Dell'Arco sorrise inconscia, avvertendo un fremito che dalle gambe saliva fino alla punta dei capelli. Tra meno di un'ora sarebbe salita su uno di quegli apparecchi e avrebbe raggiunto la Spagna. Tirò una boccata di fumo e tornò a rivolgersi ai suoi alunni.
«Non avrei voluto dirvelo, ma visto che ci siamo incotrati credo sia giusto farlo», attese di avere l'attenzione di entrambi i ragazzi su di sé, un po' come faceva quando si trovava in classe. «L'anno prossimo non sarà più io la vostra insegnante di Letteratura Italiana.»
«Ci lascia?» Fece Fabio, indeciso se sentirsi sollevato – la Dell'Arco era davvero pressante nel suo lavoro – o esserne dispiaciuto.
«Me ne vado, sì...»
«Ma proprio all'ultimo anno di liceo?» Continuò lui.
«Non è stata una scelta facile...» A Giovanna vibrò impercettibilmente la voce e perciò se la schiarì. In effetti, prendere quella decisione non era stato per nulla semplice. Quando aveva lasciato Madrid, dopo la gita, lei ed Elia Morales si erano scambiati i numeri di cellulare e l'email per restare in contatto. Si erano salutati promettendosi di rivedersi, di sentirsi ogni giorno. Forse, nonostante l'attrazione che uno provava nei confronti dell'altra, erano convinti che il sentimento andasse scemando. Tuttavia, così non era stato. Avevano iniziato a chiamarsi assiduamente, a passare intere ore al cellulare, a stuzzicarsi a vicenda. Sebbene ci fossero chilometri e chilometri a dividerli, quella passione non si era mai spenta. Anzi, la lontananza pareva averla alimentata e, dopo un paio di mesi, avevano capito – e accettato – che fossero fatti per stare insieme. Giovanna aveva inviato qualche curriculum nelle scuole private della capitale spagnola e, contro ogni previsione, le era stata offerta più di una proposta di lavoro dopo appena una settimana.
Provare.
Tentare.
Riuscire o fallire.
Parole che avrebbero spaventato chiunque, ma una sera la professoressa si era detta di essere arrivata a quell'età in cui la vita ti mette di fronte a un bivio, che non si ha più tempo eventualmente per tornare indietro e cambiare la storia. Se non avesse accettato allora il cambiamento che le veniva offerto, non le si sarebbe mai più presentato...
«Va a stare con il professore Morales?» La voce di Anita risuonò atona, quasi spenta. Finora non aveva ancora aperto bocca.
La Dell'Arco la guardò e la ragazza contraccambiò lo sguardo. Provò a mettersi nei panni della giovane, a capire cosa le passasse per la testa in quel momento per cercare le parole giuste da proferire. In fondo, lei era stata a Sorrento, sapeva.
La ragazza che le si parava dinnanzi era molto diversa dalla studentessa che aveva conosciuto in quegli ultimi quattro anni di scuola. Aveva subito del bullismo e ne era uscita a testa alta, senza mai lagnarsi con un professore o correre dai genitori; uno dei due peggiori nemici che aveva in classe adesso sedeva al suo fiano e un altro era stato il suo innamorato per diversi mesi. Aveva appena detto addio proprio a quest'ultimo, eppure non si disperava, non piangeva, sembrava aver accettato la situazione.
Ciò nonostante, la professoressa capiva anche che Anita potesse provare invidia per lei: una persona adulta che, al contrario, poteva decidere della propria esistenza e, infatti, stava per raggiungere l'uomo che le piaceva – dire amare sarebbe stato troppo? - senza dover dare spiegazioni a nessuno.
«Cresci anche tu, Lentini» le disse all'improvviso la professoressa, gettando via la cicca. «Crescete entrambi e sarete liberi di decidere la propria strada. Non ascoltate gli altri, vorranno trasformarvi in ciò che fa più comodo a loro. Ma la vita è solo vostra: sia se farete bene, sia se farete male. Per lo meno non avrete rimpianti, perché saprete di aver deciso con la vostra testa. E il vostro cuore.»
Rimasero in silezio per una frazione di secondi.
«Buon viaggio, professoressa», disse solo Anita.
«Anche a voi» rispose la donna, andando via.
Fabio si accese una sigaretta – Anita notò che erano le stesse fumate da Stefano – prendendo tempo a riordinare le idee.
Nessuno parlò. Non avevano mai avuto nulla da dirsi o da condividere, e Anita in particolare non aveva intenzione di cominciare adesso. Ma aspettò con riguardo che l'altro finisse di fumare e, appena lo vide gettare via la cicca, fece per alzarsi: desiderava solo tornare a casa, farsi una doccia e chiudersi nella sua stanza ad ascoltare musica strappalacrime. Invece, Morini disse una cosa che per un attimo la lasciò con i fianchi sospesi, indecisa se tornare a sedersi o alzarsi definitivamente.
«Ti chiedo scusa.» Fabio abbozzò un sorriso tirato, senza alzare gli occhi dalla lattina di Pepsi ormai vuota che, tuttavia, continua a rigirarsi fra le mani. «Lo so, avrei dovuto farlo diverso tempo fa, ma non ho avuto il coraggio. Quindi lo faccio ora.» Così dicendo, sollevò lo sguardo sulla compagna, la quale decise di tornare ad accomodarsi sulla panchina e, senza sapere cosa controbattere, ascoltò.
«Stefano mi ha fatto promettere che mi sarei preso cura di te in sua assenza.» Anita aveva la gola sempre più secca. «Accidenti, quando mi confessò che tu eri Storm per poco non sono svenuto» Fabio scosse il capo sorridendo a quel ricordo.
Anita, al contrario, sbiancò:
«Tu sapevi di Storm?»
«Ovviamente.»
«E sapevi che Storm ero io?»
«Sì, perché ti meravigli tanto? Io e Stefano parlavano tantissimo. Certo, questo segreto ho quasi dovuto tirarglielo fuori a forza, ma alla fine non ce l'ha fatta più.»
Anita si lasciò scivolare contro lo schienale della panchina, massaggiandosi le tempie con le dita. E pensare che lei aveva fatto uno sforzo immane per aprirsi con la sorella, invece Stefano aveva spifferato tutto a Fabio...
«Dopo Sorrento, Stefano era cambiato. Era come se avesse un pensiero costante da cui non riusciva a liberarsi...» mentre raccontava, Fabio muoveva una mano intorno alla testa, per mimare le parole pronunciate. «Poi, la sera della vigilia di Capodanno, a casa sua, sono accaduti un paio di avvenimenti che mi hanno incuriosito. Innanzitutto, ha lasciato Barbara Scala di punto in bianco, in pieno veglione, con tutti i nostri amici presenti. Poi, quando tu hai scoperto me e tua sorella mentre, intanto che... insomma, ti ricordi no?»
«Purtroppo benissimo», rispose Anita. Fabio rise (Stefano gliela aveva detto che era anche ironica).
«Perfetto. Dicevo: quando ci hai scoperto, lui non ha avuto alcun problema a trascinarti di peso lontano da noi, come tra di voi ci fosse una confidenza che fino a quel momento non avevo mai notato. E quando siamo saliti in terrazzo, essendo stato io il primo ad aprire la porticina della soffitta, vi ho visti...»
«Visto cosa?» Anita lo fissò, le guance iniziavano a tingersi di rosa.
«Il bacio.»
«Non ci siamo messi insieme quella sera, Morini!»
«Lo so, ma un bacio non si da alla prima che passa, no? Quindi attesi qualche giorno e poi glielo dissi.»
«E lui?»
Fabio si accese un'altra Marlboro e soffiò fuori il fumo, verso il cielo azzurro. Un altro aereo solcò le nuvole.
«Prima negò, ovviamente. Poi mi confessò che eri Storm e che tra di voi non sarebbe mai potuto succedere niente. E, in effetti, ha preso in giro anche me, poiché ho creduto davvero che si fosse scordato di te. Invece, durante la gita a Madrid, quella sera in discoteca, quando ti vide ballare con un altro ragazzo... Gesù, ho pensato che avrebbe davvero preso a pugni quell'idiota!»
«Non era un idiota!» Fece Anita, peccato che del suo accompagnatore a Madrid non ricodasse neppure il nome, solo che fosse di Barcellona.
«Dovevi vederlo, Lentini! Sembrava impazzito! La gelosia gli aveva mandato in pappa il cervello! Mi chiese di fare qualcosa, di intervenire, e – ovviamente – lo feci.»
«Versandomi un bicchiere di coca-cola ghiacciata addosso?»
Fabio rise, quasi sputando fuori il fumo della sigaretta.
«Quello è stato un incidente, non volevo bagnare te, ma solo l'idiota.»
«Non era un idiota...» sospirò lei, inutilmente.
Fabio Morini si alzò e schiacciò la cicca ancora a metà con la punta delle scarpe da ginnastica, quindi disse che forse era meglio andare o Alessia avrebbe chiamato “Chi l'ha visto”.
Quando Fabio frenò davanti al portone d'ingresso del palazzo in cui abitava Anita, questa scese velocemente dal mezzo e fece per ringraziarlo, passandogli il casco. Ma il ragazzo salì sul marciapiede con tutto il motirino e lo sistemò nell'androne.
«Che stai facendo?» Gli chiese, perplessa.
«Sono ospite a casa tua. Alessia non te l'ha detto?»
No, sua sorella non glielo aveva detto!
Le porte dell'ascensore si aprirono con uno sbuffo e Fabio entrò nella cabina, mentre Anita cominciava a salire le scale, gradino dopo gradino.
«Hai ancora paura dell'ascensore?»
«Anche questo te l'ha detto Alessia?» Aggiunse lei, infastidita.
«No, questo me l'ha detto Stefano», ammise Fabio, un guizzo divertito gli attraversò gli occhi. E proprio quando Anita stava per risponderlo male, le porte si richiusero con uno scatto.
Sospirò nervosa, riprendendo la salita verso il quarto e ultimo piano.
Certe cose non sarebbero cambiate mai e poi mai.
Ɇpilogo
Anita Lentini si tolse gli occhiali da vista e li adagiò sul libro di filosofia. Era tornata a indossarli da qualche settimana, scendendo a patti con se stessa che avrebbe continuato a usare le lenti a contatto solo quando sarebbe uscita con gli amici. Sì, perché quell'estate era riuscita a farsi un gruppetto di amici e di amiche tutto suo, complice anche il corso di scrittura creativa che aveva seguito per l'intero quarto anno scolastico.
All'inizio era uscita in compagnia di Alessia, Fabio e altri della loro comitiva, la stessa di cui faceva parte anche Stefano, ma la mancanza di quest'ultimo era un peso troppo grande da sopportare. Il suo fantasma aleggiava in ogni battuta dei compagni, in ogni Marlboro accesa e gettata al suolo e, invece di fare progressi nel dimenicarlo, ad Anita era sembrato di fare degli enormi passi indietro. Anzi, di essere impantanata in un passato che non avrebbe mai più vissuto.
Poi, un giorno di luglio, Gianvito l'aveva contattata su Messenger per dirle che alcuni ragazzi del corso stavano organizzando una passeggiata alla Reggia di Venaria. Contro ogni previsione, Anita aveva accolto l'invito con gioia: sentiva il bisogno psicofisico di uscire e vedere altra gente. Da quel momento, il gruppetto di studenti cominciò a frequentarsi sistematicamente, tanto che uscire tutti insieme la sera o fare qualche scampagnata di giorno diventò un piacevole habitué.
Stefano Parisi, tuttavia, non scomparve dalla sua mente in un batter di ciglia. Continuava a pensarlo durante la giornata, in particolare di notte, quando si ritrovava da sola nella sua cameretta e magari si metteva a scrivere un capitolo per la nuova fiction che aveva iniziato a pubblicare sul sito. Sì, perché dopo l'incertezza iniziale, un bel giorno aveva deciso che fosse tempo di tornare in auge e non solo aveva ricaricato i vecchi racconti che aveva eliminato, ma ne aveva anche comininciato uno nuovo. E il fatto che stesse riscuotendo un discreto successo fra gli utenti della pagina web la invogliava a continuare.
Stefano, quindi, rimase un pensiero fisso per tutta l'estate, sebbene, a poco a poco, iniziasse a svanire, quasi come una fotografia che va sbiadendosi con il tempo.
Anche cambiare aula, con l'inizio della scuola, l'aiutò molto: tornare nella vecchia classe e vedere ogni santo giorno il suo posto vuoto sarebbe stato un tuffo al cuore costante. Ciò che le parve strano – e triste – fu che nessuno lo nominò, nessuno ne parlò mai, quasi che quel loro compagno di classe volato in America non fosse mai esistito. Solo Fabio Morini, dopo una quindicina di giorni dalla prima lezione, le chiese se per caso avesse sue notizie. Erano nella palestra, stavano facendo riscaldamento lungo la linea del campo di pallavolo. Anita, ovviamente, rispose di no e l'altro non replicò.
Adesso, quando ormai mancava appena un mese a Natale, e le interrogazioni erano entrate nel clou del trimestre, Anita aveva sempre meno tempo e modo di struggersi per la partenza di Stefano. In particolare, fra qualche giorno avrebbe avuto l'interrogazione alla cattadra di filosofia e non voleva toppare.
Il nuovo professore di Letteratura Italiana che aveva sostituito la Dell'Arco era anche peggio di quest'ultima, ma non perché fosse più severo, tutt'altro! Era un vero scansafatiche, gli mancavano giusto un paio di anni alla pensione e degli studenti non poteva fregare di meno!
Assegnava pagine su pagine senza neanche preoccuparsi di spiegare. Le sue lezioni erano organizzate in riassunti ed esercizi che assegnava a sbafo, senza poi prendersi la briga di correggerli o almeno verificare che li avessero fatti.
Ma Anita ci teneva comunque a fare bella figura, a studiare e ad apprendere, sia perché quello sarebbe stato l'anno del diploma e quindi dell'Esame di Stato, sia perché aveva intenzione di iscriversi proprio alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove intendeva arrivarci preparata per il test d'ingresso.
Sbadigliò, stiracchiandosi le braccia e la schiena. Fuori era già buio, sebbene l'orologio alla parete segnasse solo le diciotto e trenta. Lo stomaco brontolò: aveva un leggero languorino, forse era arrivato il momento di concedersi una pausa e fare rifornimento di energia con un caffè e magari un cioccolatino al latte...
Si alzò, facendo scivolare le ruote della sedia sul pavimento, e proprio quando stava per aprire la porta della stanza e uscire, il trillo di Messenger riecheggiò forte e chiaro nell'ambiente silenzioso.
Il cuore fece un salto fino in gola.
C'era solo una persona che negli anni si era annunciata sempre così in chat...
Mentre era imbabolata a fissare la porta della stanza, quasi che qualcuno le avesse lanciato una magia che non le permetteva di muovere le gambe, un nuovo trillo la destò completamente. Questa volta Anita si voltò indietro e raggiunse la scrivania, chianandosi in avanti per sfiorare il mouse e interrompere lo screensaver del desktop. Ed eccola lì, in basso a destra, la sua finestrella che si illuminva a intermittenza, che la (ri)chiamava. Tornò a sedersi, gli occhi colmi di lacrime le offuscavano la vista, ma cliccò lo stesso sulla finestra lampeggiante:
“Ciao Storm!”
Che gioia!
“Ciao Ⱦhunder!”
Ƒine