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Autore: whitemushroom    26/10/2024    2 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Potevano essere passati pochi secondi come venti ore: nella frazione in cui riaprì gli occhi, Padre Tsekani sentì tutte le campane delle chiese di Roma suonargli nella testa. Sotto le palpebre ancora il bianco ed il rosso delle fiamme facevano a gara, mescolati alle lacrime della sclera dolorante.
Appena realizzò di essere sdraiato su un fianco, in posizione vulnerabile, d'istinto si tirò in piedi e portò un braccio a protezione del viso, solo per sbattere la testa contro qualcosa e ricascare a terra.
“Kani, sei grosso! Non mi complicare le cose, ok?”
Lo spiacevole suono della voce lo riportò alla realtà, o quantomeno gli confermò di essere ancora vivo e in discutibile compagnia. Gli occhi gli imploravano pietà, ma si costrinse ad aprirli, una fessura alla volta, e parte di lui fu grata di trovarsi in un buio confortante e fresco.
L'altra parte, quella razionale, realizzò che quel buio non era affatto naturale e che la bocca era piena di polvere e sassolini.
Nella totale penombra, l'unica forma di luce era un sottile dedalo di luce azzurrina che attraversava lo spazio sopra e sotto di lui. Dew era sdraiato a meno di un metro da lui, con la mano sinistra premuta verso l'alto e la destra avvinghiata al terreno al di sotto, così serrata da potersi rompere da un momento all'altro. Il suo corpo era attraversato per intero dalle linee azzurre, visibili persino al di sotto dei suoi vestiti. L’esecutore impiegò qualche istante a legarsi alla Firma circostante, e percepì distintamente il flusso di potere partire dal terreno sotto di loro ed essere incanalato nei circuiti arcani dell'altro a forza. Il corpo di Dewhellan era in tensione, ogni singola fibra del suo corpo intenta a riconvertire la Firma in qualunque cosa stesse facendo: l’esecutore girò lentamente la testa cercando di ottenere una migliore visione, e si rese conto solo in quell'istante di cosa si trovasse sopra di lui.
Travi, lamine di metallo, pezzi di pietra e frammenti di mattoni formavano una cupola pericolante sopra di lui, tenuta insieme dai filamenti azzurri che scaturivano dalla mano sinistra del magus. Dove poco prima aveva urtato la testa, dei laterizi erano caduti creando una falla preoccupante nella struttura.
Realizzò in quel momento di essere sepolto vivo.
“Se questa era la tua via di fuga
…”
“Non ora, Kani. Mi consumi ossigeno” tagliò corto Dew. Sotto la solita voce, l'uomo percepì un leggero affanno.
Il flusso di energia ancestrale necessario per tenere in piedi le macerie era di molto superiore a quello che riusciva a percepire in entrata. Il contatto con la terra, fondamentale per la geomanzia, forniva a Dew una discreta quantità di Firma, ma era chiaro che il processo di trasformazione richiedesse un dispendio di potere che il magus stava compensando con le proprie energie. “Anzi…” mormorò “... se hai una preghierina silenziosa, questo è il momento giusto. Fosse mai che il vostro Dio si giri da questa parte…”
Padre Tsekani evitò di dirgli che in quel momento gli veniva in mente solo il rito dell’estrema unzione.
Non parlò.
La ragnatela azzurra si espandeva solo sopra le loro teste, impedendogli di vedere quanto grande fosse lo spazio a loro disposizione. L'aria già si era fatta stantia, ed il pulviscolo che aleggiava la rendeva più densa, più pesante. Non aveva nemmeno lo spazio per stare carponi.
Il cuore prese a ruggirgli per il panico, rimpiangendo di colpo l'autista, il pullman e le fiamme. Si costrinse a chiudere gli occhi, concentrarsi e non respirare in maniera incontrollata.
Il crocifisso era ancora integro e attaccato al suo collo, quindi estese le proprie percezioni oltre il loro spazio limitato. Erano fuori dall’Antilux, e la presenza dello spazio separato poteva tradursi ormai come sottili strali che si dissipavano nell'aria, lontani da loro due. L'energia del memento, al contrario, era ancora netta e precisa; aleggiava sopra le loro teste e sembrava persino in espansione. Qualunque cosa avesse fatto Dew - e pregò che i suoi terrori fossero infondati - aveva distrutto il vettore dell’Antilux, ovvero l'urna di Sara, ma non aveva intaccato l'origine della protezione della Santa Sede
Meglio.
Un tratto della sua coscienza cercò di avvicinarsi all'area protettiva, alla ricerca di conforto. Di calma.
Se avesse finito per morire come un topo in trappola, Freki lo avrebbe deriso per l'eternità.

Non aveva visto il primo colpo. Né il secondo. Il terzo lo aveva solo intuito, ma non era stato abbastanza rapido.
“Ma in questi anni cosa ti hanno insegnato? Punto croce e uncinetto?”
Provò a rispondere, solo per ricevere un quarto pugno, stavolta tra lo sterno e il collo.
Freki smise di infierire, ma la sua espressione gli fece rimpiangere la scarica di pugni. “Nemmeno ti avessi chiesto di parare…” disse, le braccia incrociate mentre lo scrutava come un insaccato al mercato. “Hai più punti aperti di un manichino scassato”.
Il giovane Tsekani ricambiò lo sguardo, furioso.
Sapeva di essere bravo nel combattimento. Molto più bravo degli altri cadetti. Le volte che se le erano date di santa ragione quando gli istruttori non vedevano erano state numerose, e ne era uscito sempre vittorioso. Sapeva come disarmare un avversario indipendentemente dall’arma, o abbattere un ostacolo a spallate quando necessario.
La donna non gli arrivava nemmeno al collo e pesava al massimo la metà di lui, ma i pugni facevano un male cane.
Non si portò la mano alla tempia dolorante solo per dignità.
Erano atterrati in Brasile da nemmeno ventiquattro ore e la sequenza di lamentele e insulti nella sua direzione lo aveva investito come un'onda in piena. La Falce della Luna aveva avuto da ridire assolutamente su qualsiasi cosa avesse fatto, dall’essersi soffiato il naso in modo rumoroso a bordo dell'aereo al suo modo di guidare, per di più su strade così schifose da far sembrare El-Gebal più ristrutturata del Cairo. Gli aveva inzeppato la testa di nomi di contatti locali da tenere a mente all'istante per poi dargli del mulo non appena se li era appuntati su un taccuino per memorizzarli con calma. L'unico istante in cui le sue orecchie avevano ricevuto tregua era stato quando la vittima del suo superiore era stato un ambulante nel tentativo di venderle chissà quale souvenir.
Quando, invece di dormire, la donna gli aveva proposto di farle vedere se avesse avuto ancora i pugni di quando si erano conosciuti, Tsekani aveva creduto di avere finalmente la sua Grande Occasione. I lividi che gli si stavano formando lungo il collo raccontavano però una storia diversa, e la frustrazione gli fece montare la rabbia in petto. “Non è vero” mormorò, ricacciando in gola la saliva. “Mi hai solo preso alla sprovvista”.
“Chiamami al prossimo nemico che ci attaccherà con una dichiarazione formale e tre giorni di preavviso. Potrei considerare l'idea di stringergli la mano”.
“Posso fare di meglio!”
“Ah, sì?”
Le sue gambe cambiarono posizione. Con un passo rapido, quasi di danza, il piede destro scivolò davanti al sinistro, che invece girò di lato. Alzò la guardia destra, invitandolo a fare altrettanto. “E allora che stai aspettando?”
Tsekani partì in avanti, come gli avevano insegnato. Un primo pugno rapido, al massimo della forza, dritto verso la testa dell'altro per fargli perdere l'equilibrio e dominare lo scontro. La donna aveva la guardia opposta alzata, quindi non aveva spazio di manovra o potenza sufficiente con la sinistra… o
o almeno quel pensiero venne formulato a metà, perché l'istante dopo la sua faccia si ritrovò a terra e la netta sensazione di essere stato lanciato come un sacco della spazzatura.
“Di nuovo”.
Il comando di Freki fu più secco di una frusta, e si rimise in piedi. Se la donna voleva umiliarlo con dei movimenti da marzialista non gliene avrebbe data possibilità: se c'era una cosa in cui sapeva di essere abile, era usare il proprio peso come vantaggio. Provò a replicare il pugno, stavolta preparandosi alla reazione della donna e lasciando volutamente un po’ di spazio per invogliarla a tentare una presa. La donna entrò nel suo spazio personale una seconda volta e cercò una presa, ma Tsekani si irrigidì a metà movimento, opponendosi al lancio e sentendo la figura contro di lui sbuffare per lo sforzo.
“Bella idea, ragazzino. Ma pessima esecuzione”.
La ginocchiata tra le gambe gli fece calare un repentino velo bianco sulla faccia, seguito da una manciata di secondi da un movimento fluido di lei e da un calcio contro la guancia che atterrò proprio quando si piegò per il dolore. “Di nuovo”.
Sputò e ripartì all'attacco, col cuore a mille. Caricò di forza, stanco dei colpi, pronto a ricevere un calcio o un pugno ma puntando a buttarla a terra con tutta la propria massa e farle capire quanto valesse.
Nel preciso momento in cui la afferrò per le spalle e la spinse indietro, però, lei si buttò a terra di sua spontanea volontà e se lo trascinò dietro. Tsekani fu pronto a caderle addosso ed assestarle una ginocchiata sulla pancia, solo per sentire il piede di lei tra le gambe che lo trascinò di lato e lo buttò di nuovo a terra di faccia. Si rialzò di colpo per impedirle di tirarsi in piedi, ma in pochi istanti lei lo anticipò, rotolandogli di lato e stringendogli un braccio intorno al collo, bloccandogli l'aria.
“Troppo lento” abbaiò, liberandolo dalla presa. Si alzò, la guardia ancora alzata, in chiara attesa che lui facesse altrettanto. “Di nuovo”.
“Ti diverti a prenderti gioco di me?”
Lo disse un po’ mormorando, un po’ reprimendo la voglia di spaccare qualcosa per la delusione. Lei aveva visto i suoi test, sapeva cosa era in grado di fare.
Freki sbuffò, ma senza levare il tono sornione. “Mi diverto in altro modo, fidati. E non ti sto prendendo per il culo. Ci stiamo allenando, cretino”.
“No. Non ci stiamo allenando. Questo non è allenarsi!”
“E come dovremmo fare, scusa?”
“Tu sei la migliore, no? Magari potresti andarci piano e…”
“Stop” fece, con quel suo tono strano che aveva il potere di chiudergli immediatamente la bocca. Si avvicinò al punto dove aveva lasciato la giacca ed armeggiò con una delle tasche. “Prima di sentire queste cazzate ho bisogno di una sigaretta”.
Il ragazzo si guardò bene dal proseguire.
Avrebbe potuto, beninteso. L'enorme testa di lupo stilizzata, tatuata sul braccio destro della sua istruttrice, sembrava fissarlo con l'intenzione di prendergli la lingua e sbranarla. La lentezza con cui la Falce della Luna terminò la sigaretta fu esasperante eppure, quando spense la cicca sotto i piedi, le interiora di Tsekani si contorsero come a rimangiarsi tutto quello che le aveva detto.
“Allora, ragazzino. Tu vorresti che ci andassi piano. Giusto?”
“Sì…” fece. Odiò il modo insicuro con cui la risposta gli scivolò tra le labbra. “Perché voglio imparare…”
“Sai quale è la prima cosa che ti devi ficcare nella zucca? Che la parola piano non esiste nella vita di un esecutore. O è il massimo, o non esiste”.
“Non si può dare sempre il massimo!”
“Ah, no?”
Calò un silenzio imbarazzante. Benché la donna dai capelli chiari lo fissasse chiaramente dal basso verso l'alto, il ragazzo si sentì ancora più piccolo, stupido e impacciato di quanto non fosse al loro primo incontro in Egitto.
Perché dopo nemmeno dieci minuti di scontro era chiaro che il suo massimo non fosse abbastanza, nemmeno per errore. Che la sua mira non fosse abbastanza, e che la sua abilità nel combattimento, quella su cui aveva puntato buona parte del suo addestramento, non fosse nemmeno sufficiente per la persona che lo aveva preso, impacchettato e stravolto la sua vita in meno di cinque ore.
“Quelli come noi non si possono permettere giornate no. Non ti puoi permettere di andarci piano quando sei in missione, e da oggi a quando non tirerai le cuoia sarai sempre in missione, ragazzino. Sei la prima linea in un mondo di merda, e la merda continuerà ad uscire tutti i giorni, per tutta la tua vita, e se la prenderà sempre con quelli più deboli di te. Se cadi tu, cadono tutti, chiaro?”
Rimase in silenzio, in attesa di una sua risposta. Tsekani non poté far altro che deglutire a secco ed annuire.
“Se saremo fortunati e non finirai in una bara nel corso dei prossimi tre anni, con buona probabilità diventerai abbastanza bravo che non dovrò farti da baby sitter. Ma se dovessi venire a scoprire che ti alleni con i più deboli, sappi che verrò di persona a farti fare il colonnato di San Pietro a calci nel sedere. E chiedi pure in giro, lo ho già fatto con altri giovani e pomposi esecutori”.
Tsekani si fissò le nocche, non sapendo più cosa ribattere. Dopo quello scontro l'idea di riuscire a sopravvivere sembrava molto, molto più fumosa di quando la donna lo aveva reclutato al poligono. “Però…”
Ci impiegò del tempo per completare la frase.
Forse perché c'erano tante cose che si stavano accavallando nel suo petto, abbastanza da mangiargli l'aria e trasformarla in nulla più che suoni inarticolati e ansimi di fatica. Non aveva buttato al cesso la sua intera vita e la sua famiglia per farsi trattare come uno stupido adolescente. “... in questo momento sei tu ad allenarti con uno più debole di te”.
La faccia di lei si allargò in un ghigno. Se possibile, anche il lupo tatuato parve esporre le zanne. “Se hai ancora fiato per rispondermi vuol dire che forse ci sono davvero andata piano. Dici che mi sto invecchiando?”.
Gli venne accanto, con passo lento. Tsekani non si era accorto di essere ancora piegato a metà, e quando lei si fermò le loro teste erano al medesimo livello.
“Forse non te ne sei accorto, ma non sei più un piccolo pugile morto di fame. Un tuo pugno a piena potenza può tranquillamente mandarmi in rianimazione. O dal dentista, e fidati che preferisco la rianimazione. Quindi no, non mi sto allenando con qualcuno di più debole di me”.
Lui la osservò da sotto i capelli. Il tono di lei era cambiato. Qualcosa tra le sue parole suonava come un complimento, ma ne aveva sentiti troppo pochi per saperli riconoscere nella bocca di un istruttore. “Se non avessi dato del mio meglio, mi sarei fatta davvero male. Non sottovalutare i tuoi punti di forza” mormorò, e per un attimo dietro i suoi occhi chiari ci fu un lampo impossibile da decifrare “È letale quanto sopravvalutarli”.
Gli tese la mano, scrollando la spalla destra. Il lupo tornò a dormire sotto la pelle.
Tsekani la prese, per essere sbilanciato subito dopo in avanti e ricevere un pugno di sinistro sotto le costole.
“Adesso basta piagnistei” borbottò, stavolta con un'espressione divertita. “Di nuovo!”

Una lama di luce fendette il mondo, tagliando Padre Tsekani fuori dal memento. L'immagine della Falce della Luna svanì dalla sua testa e sentì diverse paia di braccia aiutarlo a rialzarsi. Prese aria fino a riempirsi i polmoni, solo per sputare la polvere che aleggiava ancora intorno a loro.
Il rumore delle sirene dell'ambulanza si sovrapponeva alle voci dei suoi soccorritori, e con la coda dell'occhio vide un paio di uomini sollevare per le spalle un Dewhellan cereo, più morto che vivo.
Sotto la luce del sole, decine di curiosi si accalcavano intorno a delle transenne improvvisato, dove i soccorsi facevano del loro meglio per favorire il passaggio dei mezzi addetti ed allontanare la gente dal cellulare facile.
Fece cenno agli uomini di stare bene e di poter camminare da solo. Traballò un po’, solo per accorgersi di star camminando su quelle che erano le macerie del palazzo dove aveva abitato il professor Zurlí. I danni erano ben peggiori di quanto avesse immaginato, perché dove prima vi era stato un piccolo giardino sul retro adesso vi era una voragine dove non ebbe il coraggio di guardare. Avvicinò la mano al crocifisso per valutare la scia della Firma e aiutare negli scavi, ma dal drappello di soccorritori si staccò un uomo in divisa della protezione civile. “Padre Tsekani Kaudry?”.
L’esecutore non ebbe bisogno di sentire altro.
Solo qualcuno della Santa Sede avrebbe potuto usare il suo nome completo.
Fece un cenno di assenso e scrutò il suo interlocutore. Il volto sarebbe potuto appartenere a chiunque, ma non la spilla apparentemente casuale all'altezza del taschino, un occhio argentato con dentro un orso verde stilizzato. L'uomo ricambiò il cenno, invitandolo con la mano a raggiungerlo. “Il Vescovo sarà contento di saperla in salvo” disse. “È stato lei a fermare il magus, immagino”.
L’esecutore scosse la testa. “È una situazione complicata. Devo fare rapporto all’esecutore Whiteflame, e al più presto”.
“Sua eminenza Vidala avrebbe piacere a discutere del caso direttamente con lei. Non sono state riportate vittime, ma un geomante aggressivo sul suolo della Santa Sede prevede uno snellimento dei protocolli. Immagino lo comprenda anche lei”.
Purtroppo la questione non presentava falle; sebbene indipendenti dal punto di vista operativo, anche i migliori esecutori rispondevano alle autorità vescovili, se necessario. E non aveva dubbi che Orbert Vidala stesse seguendo il suo caso, anche se a dovuta distanza.
Gettò uno sguardo tra la folla nella speranza di scorgere la zazzera chiara di Samuel o la faccia arcigna di Querquen Whiteflame, ma invano.
Una vettura con il simbolo della protezione civile, chiaramente di copertura, li stava aspettando. L'uomo entrò per primo e l’esecutore lo seguì, mentre le due figure che stavano soccorrendo Dew lo spinsero a forza contro di lui per poi andare ad occupare i due posti anteriori. L’emissario vescovile fece apparire delle manette da un vano, ma Padre Tsekani lo fermò. “Sa manipolare i metalli” disse, facendo segno all'autista di andarsene di lì “Sarebbe solo una perdita di tempo”.
Lanciò un ultimo sguardo a ciò che restava dell'abitazione del prof Zurlì e di sua moglie, per poi accettarne la scomparsa quando la luce del sole trasformò tutto il paesaggio in un mare bianco. Gli ultimi ricordi della sua insegnante si sgretolarono insieme a quelli degli eventi dell’Antilux, e per un attimo gli sembrò di percepire, nell'aria perfettamente climatizzata della macchina, l'odore acre di un sigaro.
Dew, dal canto suo, sarebbe apparso del tutto privo di sensi se non fosse stato per un mormorio sconnesso che partiva dalle sue labbra di tanto in tanto; l’esecutore cercò di afferrarne il senso, ma sembrava in tedesco. Dopo anni di caccia incessante ai magi sapeva che lasciare che esaurissero le loro riserve di Firma per poterli catturare era una tattica valida ma poco praticabile. I magi delle famiglie più antiche impiegavano giorni interi prima di crollare a terra, e aveva visto più di un necromante ricaricare i propri circuiti anche nel cuore degli scontri fino a realizzare dei loop che aveva spezzato solo piantando loro un coltello tra le costole. Se Dew aveva causato il crollo della palazzina per farli uscire di forza dall’Antilux - e tremava alla sola idea di spiegare quel dettaglio a chiunque dei suoi superiori, che fosse Whiteflame o Vidala - doveva aver dato fondo alla quasi totalità delle sue scorte. Anche quando si erano trovati sotto le macerie doveva aver consumato più Firma di quanta ne avesse potuta recuperare dal contatto con il terreno, o almeno così aveva intuito grazie al crocifisso. La geomanzia quantomeno si abbeverava dalle infinite energie della terra stessa, il che rendeva coloro che la sfruttavano meno problematici di altri.
Buttò la testa all’indietro, liberando un respiro di sollievo. Uno degli uomini del Vescovo gli passò una bottiglietta d'acqua, e la tracannò come se fosse la cosa più buona che avesse mai bevuto. Commise l'errore di guardarsi nello specchietto retrovisore, e più che un uomo o un esecutore vide un relitto dagli occhi arrossati dal terreno e una bruciatura sopra l'orecchio destro che gli aveva mangiato parte dei capelli.
Più che un mastino sembrava un grosso gatto randagio e malato.
Non che Dew fosse messo meglio.
Quando gli venne passata una seconda bottiglietta ne versò un po’ del contenuto sul proprio palmo e lo passò prima sulla fronte, poi sulle labbra dell'altro. Ignorò le facce interrogative dei tre uomini e gli bagnò anche i polsi, massaggiandogli le dita con vigore finché non le sentì perdere rigidità.
Andò avanti così per diversi minuti, lasciando che la vettura attraversasse la Via del Mare ben oltre il limite di velocità consentito. I pini scorrevano intorno a loro per poi diradarsi all'ingresso della città, e quando la macchina entrò nel centro il sole aveva iniziato la sua discesa.
Fu quando si ritrovarono immersi nell’immancabile traffico che conduceva su Via della Conciliazione che Dewhellan sgranò gli occhi e scosse la testa, facendo sobbalzare l’esecutore e la scorta.
Gli occhi del magus erano aperti in maniera innaturale, e le iridi si muovevano all'impazzata. Si poggiarono su tutto in pura frenesia, e le mani presero a tremargli.
Successe tutto in pochissimi attimi.
Sotto di loro un botto imprevisto, con la vettura che si inclinò sul lato destro. Dalla tasca del pantalone del magus qualcosa si illuminò di celeste, un minuscolo disco che poteva corrispondere alla sua moneta, e in quell'istante il click di una sicura.
L'uomo alla sua sinistra estrasse una pistola da sotto la giacca e fece per puntarla verso Dew, ma l’esecutore agì prima. Si gettò sul mago con tutta la sua mole, impedendo all'altro di prendere la mira; finse di afferrarlo per il bavero, e approfittò di un secondo movimento della vettura, ancora più improvviso, per sbatterlo di forza contro la portiera. Il magus ebbe un altro movimento improvviso, stavolta uno scatto della testa all'indietro alla ricerca di aria, ma fece il suo gioco; la mano di Padre Tsekani trovò la maniglia della portiera approfittando del caos, e questa si aprì di colpo, scaraventando Dewhellan fuoribordo.
L'autista frenò pochi istanti dopo, ma nel farlo finirono addosso a dei cassonetti; la gente sciamava come dei pazzi, seguita da una pastorale di clacson e imprecazioni.
L’esecutore era ancora aggrappato alla portiera quando riuscirono finalmente a fermarsi, e dovette sforzarsi per non nascondere il sollievo nel vedere un leggero smottamento dell'asfalto nel punto in cui Dew era caduto.
“Diramate subito un allarme!” gridò l'autista agli altri due “Avvisate tutti gli esecutori sul territorio”.
Gli venne accanto, ancora frastornato. Padre Tsekani pregò che quei tre galoppini non avessero l'occhio abbastanza allenato da essersi accorti del suo piccolo trucco. “Sa qualcosa di quel geomante, Padre? Anche solo il nome? Se attentasse a Sua Santità….”
“Non so nulla” mentì, più intento a fissare le ruote della macchina. Bucate. Freki adorava sottolineare che quando provava a mentire sul suo viso apparivano smorfie troppo buffe. “Speravo di interrogarlo alla centrale del Bureau”.
“Mi domando perché sia necessario un mandato per sparargli. Far fuori un magus è un omicidio di pubblica utilità”.
“Perché altrimenti non saremmo meglio di loro” replicò l’esecutore, la risposta pronta ripetuta talmente tante volte da essersi quasi convinto da solo.
Quasi.
“Sarà…”
Cadde un silenzio, rotto solo dalla sirena di un'autoambulanza - probabilmente vera- in arrivo. “... ma se nel crollo di quel palazzo ci fossero state delle vittime glielo avrebbe spiegato lei? Non credo sia una gara a chi sia migliore, Padre, con tutto il rispetto. Fosse per me, li metterei tutti su una pira”.
L’esecutore non rispose.
Forse perché non aveva avuto nessun motivo logico per salvare la vita a Dewhellan.
  
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