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Autore: Zobeyde    27/10/2024    2 recensioni
Prequel de “Gli ultimi maghi”
Sono anni turbolenti per l’Europa: la Belle Époque sta per tramontare, sotto l'incombere di una guerra come non se n’erano mai viste, e nella millenaria città di Arcanta, dove la magia esiste e i suoi abitanti hanno da sempre vissuto al riparo dalla corruzione del mondo, c’è chi non può restare indifferente ai cambiamenti fuori dalle sue mura incantate:
Abigail Blackthorn, in fuga da una gabbia dorata per aiutare chi soffre nelle trincee, dove, inaspettatamente, troverà amore e dannazione.
Solomon Blake: genio, ladro, machiavellico, determinato a compiere la sua vendetta fino al giorno in cui scoprirà che ogni cosa ha un prezzo. Non solo nella magia.
Zora Sejdic, maga decaduta che ha fatto dello spiritismo la propria arma per la scalata al successo. Un’arma però che si rivelerà presto a doppio taglio…
Dal testo:
[…] Vede, ambasciatore, io non credo né negli dei, né negli uomini. Credo che ognuno di noi, presto o tardi, venga chiamato a giocare un ruolo in una partita ben più grande. Deve solo capire qual è il suo. […]
Genere: Angst, Fantasy, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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LERRORE
– Seconda parte –

 
 
 
L’ingresso all’Anello di Detenzione era sormontato da un frontone di marmo degno dei templi antichi; si trovava nel cuore della Cittadella, otto anelli più in basso rispetto al livello della strada. Un ascensore rivestito d’acciaio alchemico aveva condotto Solomon e i due Guardiani Silenti che lo scortavano nei sotterranei della Torre a Spirale, in cui erano rinchiusi i prigionieri di Stato in attesa di processo.
Le porte dell’ascensore si aprirono su un’anticamera di spoglia pietra bianca; un cancello dorato sbarrava l’accesso alle celle sulla destra, mentre a sinistra, un mago occhialuto dall’aria annoiata sedeva dietro una scrivania sfogliando il giornale. Alle sue spalle, una parete ricoperta da dozzine di dischetti d’acciaio, ognuno contrassegnato da una targhetta numerata.
Senza staccare gli occhi dalla sua copia dell’Oraculum il mago alla scrivania disse, con voce lamentosa: «Consegni armi e oggetti personali, prego.»
Il bastone gli era già stato confiscato al momento dell’arresto, così Solomon fece scivolare dai polsini della giacca due piccoli grimaldelli, poi sollevò il bavero della giacca, dov’erano cuciti internamente un paio di lamette sottili, e le depose sul tavolo. «Gli accessori completano il look, sa…»
L’impiegato non batté ciglio. «Altro da dichiarare?»
Sotto lo sguardo attento dei Guardiani, Solomon si frugò nelle tasche interne della redingote, estraendo una spirale di fascette metalliche, due pugnali ricurvi, e infine una fialetta di pozione esplosiva sigillata con la cera rossa.
«Nient’altro?» insistette l’impiegato.
Dopo averci riflettuto un momento, Solomon si chinò, sollevò l’orlo del pantalone, e rimosse dal polpaccio destro una piccola lama da stivale. La mise accanto agli altri oggetti, accompagnando il gesto con un sorrisino di scuse. «Ecco, dovrebbe essere tutto.»
«Ne è proprio sicuro?»
I Guardiani Silenti girarono lentamente gli elmi cavi verso di lui. Lo stregone ebbe un attimo di esitazione, poi lasciò andare un lungo sospiro e tirò fuori dal taschino l’orologio d’argento di Jonathan. Gli rivolse un ultimo sguardo colpevole, prima di deporlo sul tavolo. «Abbiatene cura.»
In silenzio, l’impiegato raccolse tutti gli oggetti e li ripose in un cassetto, chiudendolo a chiave, dopodiché si voltò verso la parete, prese un dischetto e lo porse a uno dei Guardiani. «Cella 1408. Buona permanenza, signor Blake.»
Il cancello dorato si aprì con un lugubre cigolio e il Guardiano diede a Solomon un colpetto con la punta della sua alabarda, costringendolo ad avanzare.
Davanti a lui si stendeva un lungo corridoio bianco, inondato da una luce fredda e spietata. Solomon aveva già visto le celle anti-magia progettate dal Cerchio d’Oro in passato, ma non avrebbe mai pensato di sperimentarle di persona un giorno: erano delle casseforti perfette, azionabili unicamente dall’esterno tramite le chiavi a disco come quella in possesso del Guardiano, ed erano prive di maniglie, cardini o serrature da scassinare.  Il che rendeva quella prigione del tutto a prova fuga.
Il Guardiano Silente si arrestò e premette il disco d’acciaio contro la parete bianca. In quel punto preciso, apparve una porta blindata spessa varie decine di centimetri, che si aprì senza alcun rumore.
«Ed eccoci arrivati alla suite» commentò Solomon. «Come funziona il servizio in camera..?»
Il Guardiano lo spinse dentro senza cerimonie, e la porta scomparve nella parete alle sue spalle come se non fosse mai esistita. L’interno era fatto della stessa pietra bianca del corridoio, ed era provvisto solo di un tavolo di legno con due sedie e di una panca di marmo fredda come il ghiaccio, su cui era adagiato un libro. Solomon lo raccolse.
«“La Guida del Buon Cittadino”. Per tutti i demoni, se non c’è nient’altro da leggere tanto vale essere Mutilato subito!»
Non avendo altro da fare se non aspettare, gettò via il libro e si sedette sulla panca, incrociando braccia e gambe. Il tempo a sua disposizione scorreva, e aveva assolutamente bisogno di pensare alla prossima mossa.
Senza finestre e senza il suo fidato orologio, era difficile stabilire con precisione quanto fosse rimasto lì, ma ad un certo punto nel bianco si aprì un varco e l’austera figura dell’Inquisitore Blackthorn apparve sulla soglia.
«La lettura non è stata di suo gradimento?» domandò con ironia, gettando un’occhiata alla “Guida del Buon Cittadino” abbandonata sul pavimento. «Peccato: se le avesse dato una chance, forse a quest’ora non sarebbe qui.»
Solomon gli restituì un sorrisetto provocatorio. «O forse avrei trovato altri cento validi motivi per voler radere al suolo questo posto pezzo per pezzo.»
Sistemò la giacca e si sedette di fronte al tavolo, indicandogli educatamente l’altra sedia. «Deduco sia qui per interrogarmi, Inquisitore: prego, si accomodi. Magari uno di quei suoi giganti di latta ci porterà persino un tè…»
«Preferirei non prolungare questa sceneggiata» lo interruppe Blackthorn, sedendosi con rigidità. «Giuro, Blake, in tutta la mia carriera non ho mai visto nessuno disonorare il suo titolo in così tanti modi: ha mentito, truffato, corrotto, condotto uno stile di vita così depravato che non intendo soffermarmici più del necessario…e pensare che c’è chi le ha addirittura affidato l’educazione dei propri figli!»
Solomon fece spallucce. «La gente ha sempre avuto un debole per i furfanti. E a proposito di figli, Inquisitore, mi dica un po’.» Si sporse leggermente sul tavolo, il sorriso malizioso che si allargava. «Come sta la sua deliziosa figlia? Abigail, ricordo bene? Se ne va ancora a spasso per il Mondo Esterno, pur di stare alla larga da lei?»
Gli sembrava assurdo che un uomo così noioso fosse stato sposato, e ancor di più che avesse fatto sesso. Solomon trovava più facile immaginare che prima o poi si sarebbe riprodotto per mitosi.
Una vampata di collera infiammò il collo del Decano. «Questi non sono affari che la riguardano!»
«Trovo solo ironico che faccia tutti questi bei discorsi sull’educazione dei giovani, e poi non riesca a tenere a bada neppure sua figlia…»
«Basta così!» ruggì Blackthorn. «Veniamo ai suoi capi d’accusa: il Bibliotecario della Cittadella ha sporto denuncia, sostiene che lei abbia trafugato un pericoloso testo di Magia Vuota!»
«Oh, intende il misantropo paranoico segregato da anni in Biblioteca?» chiese Solomon, lisciandosi il pizzetto. «Non le è passato per la mente che forse, e dico forse, potrebbe trattarsi di una disperata richiesta d’attenzioni?»
«Xavier Ascanor è uno dei maghi più rispettati e devoti di Arcanta» sbottò Blackthorn. «Un ragazzo da prendere come esempio: si è dimesso oggi stesso dall’incarico di Bibliotecario per essere venuto meno ai suoi doveri, permettendo a lei di accedere alla Sezione Proibita!»
«Sezione che, per quanto ne so, non dovrebbe neppure esistere.»
«I suoi giochetti con me non attaccano» disse l’Inquisitore, gli occhi ridotti a fessure. «Dov’è il Libro Nero? Cosa aveva intenzione di farci?»
«Mi perdoni, Inquisitore, ma a parte la parola di un sociopatico, e per giunta poco affidabile, non ha alcuna prova che l’abbia rubato io. Magari lo ha semplicemente perso.»
«Ho raccolto delle testimonianze! È stato visto raggiungere Xavier Ascanor in Biblioteca dopo l’orario di chiusura!»
«Un sacco di gente si trattiene in Biblioteca fino a tardi.»
«Ah, ma non è tutto!» esclamò Blackthorn. «Ho interrogato i suoi studenti: li ho dovuti tartassare un po’, ma alla fine hanno ammesso che negli ultimi tre mesi ha saltato parecchie lezioni, assentandosi da Arcanta senza alcuna giustificazione!»
Solomon sentì il sangue ribollire, e il suo sguardo si riempì di freddezza. Nessuno aveva il diritto di prendersela con i suoi ragazzi. Nessuno.
«Ho dovuto curare certi affari a Hurtgrove Hall, dopo la morte di mio padre. Ma questo il Decanato lo sa bene: sembra che la mia corrispondenza privata non sia più tanto privata.»
«Vuole farmi credere che le sue continue partenze fossero dovute al lutto?»
«Una delle tante sorpassate usanze di famiglia» lo rimbeccò Solomon, asciutto. «Certo non credevo che fosse nelle usanze della Cittadella mettere sotto torchio dei ragazzini freschi di ammissione per estorcere loro informazioni: li ha forse minacciati di stroncare le loro carriere se si fossero rifiutati di testimoniare? O che avrebbe coinvolto i loro genitori?»
«Sono Cittadini di Arcanta, chiamati a dimostrare la propria lealtà.»
«Può darsi. Ma finora, qui l’unico che non ha dimostrato proprio nulla è lei, Inquisitore…»
«Abbiamo preso la ragazza.»
Solomon s’interruppe.
«Lucia Sforza, la sua preziosa assistente.» Blackthorn studiò il suo volto per un momento, assaporando vittorioso il panico che cresceva nei suoi occhi. «I suoi studenti ci hanno detto dove trovarla, nella sua residenza italiana. Ricordo il giorno in cui la portò ad Arcanta, sembrava sul punto di rovesciare l’intera Cittadella per permetterle di restare…»
Una vertiginosa scarica di violenza lo attraversò, e Solomon scattò in piedi. «Lei dov’è? Cosa le avete fatto?»
«Si sieda» ordinò Blackthorn, glaciale. «I Guardiani Silenti sono proprio qui fuori, pronti a tagliarle la testa al primo segno di escandescenza. Le conviene tenere sotto controllo i nervi.»
Fremendo, lo stregone si costrinse a tornare seduto.
«Nessuno le ha torto un capello, è rinchiusa qualche cella più avanti. E devo riconoscere che l’ha resa proprio un cagnolino fedele: non ha fatto il suo nome per tutto l’interrogatorio.» Blackthorn accarezzò distrattamente la superficie liscia del tavolo. «Ma è solo questione di tempo perché la verità venga a galla. Il Cerchio d’Oro ha preso in custodia quel suo strano ragazzino, e sono sicuro che presto emergeranno interessanti sviluppi dalle loro analisi.»
Solomon tacque, fissando il Decano con odio.
«Cosa c’è, il Famiglio le ha mangiato la lingua, Blake? Non fa più lo sbruffone adesso?» Blackthorn non avrebbe potuto essere più soddisfatto di così. «Confessi i suoi crimini, e mi dica dove ha nascosto il Libro Nero. Ormai è con le spalle al muro.»
Solomon continuò a tenere la bocca ostinatamente serrata. Il Decano sbuffò, contrariato.
«Molto bene, ci rifletta pure su. Il tempo non le manca.» L’Inquisitore si alzò in piedi. «Oh, un ultimo appunto: come sa, la Legge vieta l’importazione non autorizzata di bestie magiche dal Mondo Esterno: il suo orco da guardia è stato condotto al Bestiario. Verrà aggiunto anche questo alla sua lunga lista di trasgressioni…»
«Valletto.»
«Come, prego?»
«Valdar non è un orco da guardia» disse Solomon. «E tanto meno una bestia. È il mio valletto. E se gli verrà fatto del male posso assicurarle che se ne pentirà.»
L’inquisitore inarcò appena il sopracciglio, divertito. «Non è nella posizione di avanzare minacce. Ci è voluto un po’ ma alla fine tutta Arcanta la vedrà per ciò che è veramente, Blake. E una volta che sarà fuori dai piedi, completerò l’opera facendo chiudere il ridicolo museo di sua moglie.»
Solomon sentì lo stomaco serrarsi. «Isabel non ha niente a che vedere con tutto questo. La lasci fuori!»
Blackthorn si mise a ridere, una piccola risata calda, ma dai contorni affilati. «Fossi in lei mi preoccuperei di mettere insieme una difesa convincente: per maghi e streghe non finisce mai bene quando si tratta di processi.»
Su quelle ultime parole, la porta riapparve e il Decano la attraversò, svanendo nel bianco assoluto.
 

Calcolò che fossero trascorse più o meno due ore, durante le quali Solomon non poté far altro che andare avanti e indietro per la cella, il cervello che macinava a tutto spiano. Ebbe modo di riflettere sul tempo, una forza che aveva sempre trovato affascinante: incontrastabile, a volte sembrava non avanzare mai, come in quel momento, mentre era rinchiuso impotente tra quelle quattro pareti; altre volte, invece, gli eventi si susseguivano così in fretta che era difficile tenere il passo. Così era stato per i suoi piani, crollati tanto velocemente che se ne era reso conto solo quando le conseguenze gli erano state sbattute in faccia: Valdar di nuovo in catene, il museo di Isabel in pericolo, e lui e Lucia a un passo dalla Mutilazione.
A un certo punto, stanco di fare su e giù, Solomon si era steso sulla panca, la giacca accuratamente piegata sotto la testa a mo’ di cuscino. Aveva persino cominciato a sfogliare svogliatamente “La Guida del Buon Cittadino”, quando la porta della cella si aprì di nuovo.
«Era ora» disse Solomon, trattenendo uno sbadiglio. «Pensavo avesse intenzione di farmi morire di noia, Inquisitore.»
Ma sulla soglia stavolta non c’era Blackthorn. C’era Isabel.
Solomon si tirò su all’istante. «Come sei riuscita ad entrare?»
«Ho un fratello Decano» rispose lei. «Ma non abbiamo molto tempo.»
Avanzò verso di lui, e la porta scomparve. Solomon le andò incontro. «Belle, ti giuro che posso spiegarti…»
Ma appena le fu di fronte, Isabel si portò una mano allo chignon, ne sfilò uno spillo d’argento acuminato e glielo puntò alla gola. «Bene. Spiegati.»
Solomon fissò la punta stupefatto, ma subito dopo sorrise con calore, riconoscendo l’arma che le aveva regalato durante una delle loro lezioni. «Ce l’hai ancora.»
«Qui non posso usare la magia» disse lei. «E le armi sono vietate.»
«Astuta» approvò lui.
La porta della cella si aprì un’altra volta, per permettere al volto imparruccato di Tristan Ascanor di affacciarsi. «Ehm, scusate ma dovreste fare in fretta, non so quanto…oh per i Fondatori, Belle! Che stai facendo con quel pugnale!?»
«Tris, levati dai piedi» sbottò Isabel, gli occhi ardenti puntati in quelli di Solomon. «È una discussione fra marito e moglie!»
Sconvolto, Tristan emise uno squittio impaurito e richiuse la porta.
«Allora» sospirò Solomon, una volta soli. «Da dove preferisci iniziare?»
«Potresti innanzitutto dirmi come hai potuto approfittarti così di Xavier!» ringhiò Isabel. «Il posto da Bibliotecario significava tutto per lui, e per colpa tua l’ha perso! Non hai idea di quanto sia a pezzi!»
«Mi dispiace» disse Solomon. «Speravo davvero che decidesse di tenere la bocca chiusa.»
«Oh, intendi dopo che l’hai minacciato?!»
«Non ho avuto scelta» replicò Solomon, con amarezza. «Non era lui che volevo colpire, Belle. Non era mia intenzione fare del male e a nessuno della tua famiglia, soprattutto a te.»
Isabel serrò la mascella. «Ma questo non ti ha impedito di usarmi! Per tutto questo tempo mi hai fatto credere di essere dalla mia stessa parte, di voler cambiare Arcanta in meglio…e invece, il tuo unico scopo è sempre stato quello di distruggerla!»
«Sì» ammise Solomon. «Questa città rappresenta tutto ciò che odio e desideravo solo vederla bruciare. Ma questo è stato prima di incontrare te…»
«Oh, non osare!» sbottò Isabel, infuriata come non l’aveva mai vista. «Non provare a convincermi che sei cambiato per me! Ormai non ti credo più!»
«Ma vorresti» disse Solomon, abbozzando un sorriso triste. «Non saresti venuta qui a puntarmi un coltello alla gola, altrimenti.»
Isabel strinse con più forza lo stilo. La sua mano tremava, ma i suoi occhi non lasciarono quelli di Solomon.
«È vero che hai rubato il Codice di Farabi?»
«È vero» confermò lui.
«E che volevi farci?»
«Non ho mai avuto le idee ben chiare a riguardo. Ma era qualcosa di proibito, di pericoloso. Ho pensato che potesse rivelarsi un’ottima leva sui Decani.»
«Una leva per cosa, esattamente?»
«Per costringerli ad ascoltarmi. Per cambiare le cose, come volevi tu.»
Isabel lo fissò, cercando di scorgere nei suoi occhi una traccia di verità. «Io non ho mai voluto tutto questo. Noi non siamo uguali.»
«Invece lo siamo» ribatté Solomon. «Per questo abbiamo messo su la farsa del matrimonio. Siamo orgogliosi e testardi. Abbiamo ingannato la tua famiglia, ferito chi ci ama, io Lucia, tu Boris. Ci siamo usati a vicenda, perché avevamo degli obiettivi da raggiungere e non avremmo permesso a nessuno di ostacolarci.»
«Io non ti ho mai mentito» disse Isabel, con voce roca.
Solomon aggrottò la fronte. «Nemmeno io ti ho mentito. Una volta mi hai chiesto per cosa stessi lottando, e ti risposi con sincerità: Arcanta ha annientato mio fratello e io ho giurato che gli avrei reso giustizia. Avrei solo voluto capire prima che potevano esserci altre strade da seguire.»
Isabel continuò a sostenere il suo sguardo, gli occhi rabbiosi e le labbra serrate, come se ogni cosa in lei fosse in lotta.
«Belle, ho commesso molti errori» confessò Solomon. «Ho sempre pensato che il fine giustificasse i mezzi, ma sono accadute cose che…che non avevo previsto. Di certo non avrei mai pensato di innamorarmi.»
Lei sussultò, le labbra tremanti.
«Eppure è successo.» Solomon lo disse sottovoce, come se ammetterlo fosse un sollievo e una condanna insieme. «E anche adesso non riesco a rimpiangere nulla. Perché senza ognuno di quegli sbagli non avrei trovato te.»
«Come puoi dire una cosa del genere?» esclamò Isabel, la voce piena di rabbia e di disperazione; Solomon vide le lacrime brillare nei suoi occhi, scivolarle lungo le guance, e questo lo addolorò più di ogni altra cosa. Stava piangendo per lui? «Perderai i tuoi poteri per questo, tutto ciò che sei!»
«Sarebbe il minore dei mali» replicò lui con dolcezza. «Posso sempre aprire una bottega di orologi.»
Isabel continuò a piangere silenziosamente, senza staccare gli occhi dai suoi. Lentamente, abbassò la lama.
In quell’istante, il varco nella parete si aprì un’ultima volta, e la voce timorosa di Tristan tornò a farsi sentire: «Il tempo è scaduto, Belle. Devi uscire. Prima che tornino i Guardiani…»
Lei tirò su col naso, scacciò via le lacrime col dorso della mano. «Arrivo.»
Infilò lo spillo nello chignon e si voltò per andarsene, ma prima che raggiungesse la porta, Solomon le afferrò la mano, trattenendola. «Rimetterò le cose a posto, Belle. Troverò il modo, te lo prometto.»
Isabel guardò le loro mani intrecciate e subito dopo tornò a incrociare i suoi occhi.
«Hai ragione» mormorò, la voce rotta da un singhiozzo. «Vorrei crederti con tutto il cuore.»
Riluttante, Solomon le lasciò la mano e la guardò svanire, mentre le sue parole gli scavavano dentro un vuoto abissale.
 

Passo un’altra ora prima che l’Inquisitore Blackthorn tornasse a fargli visita.
«Mi auguro che questo tempo le sia servito a schiarirsi le idee» esordì, senza nemmeno provare a mascherare quanto stesse gongolando. «L’ora è giunta, la giuria la aspetta: è pronto a confessare?»
Seduto al tavolo con le braccia conserte e lo sguardo basso, Solomon annuì.
«Molto bene!» si rallegrò Blackthorn, prendendo posto di fronte a lui. «Sono tutto orecchie.»
«Sa, Inquisitore, lei ha sempre avuto ragione su di me» disse Solomon. «Credo di essere stato il peggior Arcistregone dell’Ovest che si sia mai visto ad Arcanta.»
Il sorriso tronfio del Decano si allargò. «Una lodevole presa di coscienza.»
«Probabilmente non lo ricorda» proseguì Solomon. «Ma lei e io siamo già stati in questa cella, insieme. È accaduto molti anni fa, all’inizio delle nostre carriere. Solo che a essere sotto accusa quella volta non ero io. Era Cassian Scrope.»
Blackthorn si accigliò. «Sì, me lo ricordo molto bene. Scrope era un giovane brillante e di ottime speranze. Entrò alla Cittadella con la carica di Storiografo.»
«E ricorda anche perché finì in prigione?»
«Fu accusato di aver trafugato e nascosto manufatti di magia oscura» disse Blackthorn, pensieroso. «Manufatti che, in effetti, furono ritrovati nella sua abitazione. Ricordo che la cosa mi sorprese: conoscevo bene Scrope, non l’avrei mai ritenuto capace di una cosa simile. Si dichiarò innocente fino all’ultimo, ma le prove erano schiaccianti, e venne Mutilato.»
«E aveva ragione» replicò Solomon, con calma. «Era davvero innocente.»
L’espressione di Blackthorn si fece confusa. «Di che sta parlando? Perché vuole tirare in ballo questa storia adesso?»
«Voleva una confessione» rispose Solomon. «Gliene sto dando una: fui io a mettere quei manufatti oscuri a casa di Scrope. Diffusi la voce del suo tradimento, e poi indirizzai le indagini su di lui. Al resto pensò la vostra Legge.»
Per un attimo, l’atteggiamento compiaciuto di Blackthorn vacillò, ma il suo contegno restò intatto. «Perché mai fare una cosa simile?»
«Perché desideravo vederlo crollare» fu la candida risposta di Solomon. «Come lui fece con mio fratello. Non aveva senso colpirlo direttamente, era fuori dalla mia portata: troppo potente, troppo rispettato. Allora cosa ho fatto? Ho aspettato: il tempo sa essere un prezioso alleato, Inquisitore, e la pazienza ricompensa sempre alla fine. L’ho fatto a pezzi come si fa con una casa, mattone dopo mattone. Ah, e ho anche indotto sua moglie all'adulterio. Diverse volte. Ma forse questo è meglio non metterlo a verbale…»
Blackthorn adesso era semplicemente disgustato. «Tutto questo solo perché da ragazzo umiliò suo fratello in quella stupida Disputa, se ne rende conto? Che razza di uomo è lei?»
«Un uomo disposto a tutto» rispose Solomon, impassibile. «Lo tenga bene a mente.»
«Se questo è un patetico tentativo di intimidazione, Blake…»
«Oh, nient’affatto. Mi sto confessando. È quello che voleva, no?»
«E allora veniamo al punto!» esclamò il Decano con sprezzo. «Ha rubato o no il Libro Nero di Farabi?»
«Sì, l’ho preso io» ammise Solomon senza esitazione.
«Ah» fece Blackthorn, sorpreso da tanta schiettezza. «E dov’è adesso?»
Solomon si appoggiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe. «All’interno di un dispositivo a orologeria che ho progettato personalmente. In origine aveva tutt’altra funzione: lo usavo per ricevere una copia dell’Oraculum fresca di stampa ogni mattina alle nove in punto. Ma di recente ho scoperto che il processo può essere invertito.»
«E questo cosa dovrebbe significare?» domandò Blackthorn, irritato.
«Che se non verrò scagionato entro lo scoccare della mezzanotte, da ogni camino di ogni casa di Arcanta potrebbe magicamente saltar fuori una pagina del Libro Nero. E il conto alla rovescia è già partito.»
Blackthorn sbiancò. «Come ha detto?»
«Ha capito perfettamente» disse Solomon, guardandolo dritto negli occhi. «S’immagini lo stupore dei suoi devoti Cittadini, quando domattina si troveranno per le mani un testo non solo fuori legge, ma che dovrebbe essere sparito dalla circolazione secoli fa! Tutti sapranno che i Decani hanno sempre mentito.»
Backthorn scosse con forza la testa. «Sta bluffando. Non esiste nessun dispositivo! Cerca solo di prendere tempo!»
«Be’, non le resta che aspettare la mezzanotte per scoprirlo…»
«Come osa minacciare il Decanato!?» sbraitò Blackthorn, fuori di sé. «Lei è completamente pazzo! Vuole far scoppiare il caos!?»
«No, Inquisitore. Quello che voglio è mostrare a questa città il vero volto di chi la governa: un branco di vecchi bugiardi e ipocriti, ossessionati dal potere. E chissà, magari svegliare qualche coscienza dal torpore...»
Blackthorn era furibondo e terrorizzato al tempo stesso. Batté con forza il pugno sul tavolo, mentre da sbiancato diventava paonazzo. «Razza di fanatico traditore! Convocherò Una Duval, le farò scavare nella testa finché non scoprirà dov’è nascosto quel maledetto libro!»
«Ah, sarebbe uno spreco di tempo: il dispositivo è progettato per essere disattivato solo da me. E a proposito di tempo… non ho con me l’orologio, ma direi ne resta ben poco.»
Blackthorn aveva iniziato a sudare come un maiale, e Solomon poteva quasi vedere le rotelle del suo cervello girare febbrilmente. Era pronto a scommettere che moriva dal desiderio di uscire da quella cella e saltare da un armadio all’altro finché non avesse trovato il nascondiglio del Libro. Se lo immaginò rivoltare ogni città, contea o villaggio come un disperato, e sentì il trionfo ardergli nel petto, mentre la porta oscura dentro di sé si riapriva, e la vendetta che aveva architettato prendeva finalmente forma. Questo è per te, Jon.
«Di solito non amo le espressioni volgari» commentò Solomon, le dita giunte davanti a sé e un sorriso diabolico a solcargli il volto. «Ma in questo caso, devo proprio dirlo: ho preso il Decanato per le palle. E ora, passiamo alle mie condizioni…»
Blackthorn strinse convulsamente i pugni, i denti scoperti in un ringhio. «Quali condizioni?»
«Naturalmente, mi aspetto di essere rilasciato con effetto immediato, e con me anche la mia assistente» disse Solomon. «In secondo luogo, nessuno toccherà mai più il museo di mia moglie. E ultimo punto, ma non meno importante, l’orco alle mie dipendenze verrà riaccompagnato alla Corte dei Sofisti. Con le scuse da parte della Cittadella, s’intende.»
«Mi rifiuto di sottostare a un simile ricatto!»
«Ma dovrà farlo» ribatté Solomon, serafico. «Se vuole che il Libro Nero venga restituito e che il Decanato salvi la faccia. Sarà il nostro piccolo segreto.»
Messo alle strette, Blackthorn emise un profondo sospiro frustrato, mentre vagliava attentamente le alternative.
«Va bene, ha vinto!» sputò fuori alla fine, con la faccia di chi ha appena ingoiato la pillola più amara che esista. «Ora sparisca, prima che decida di strozzarla con le mie stesse mani!»
 

Fu riaccompagnato nell’anticamera che dava l’accesso alle celle, dove l’impiegato occhialuto gli restituì i suoi oggetti personali. Solomon afferrò subito l’orologio, rigirandoselo tra le dita per assicurarsi che fosse intatto.
«Oh, ma guardi un po’» commentò allegro, mostrando il quadrante a Blackthorn. «È quasi ora di cena!»
Il Decano ruminò qualcosa a denti così stretti che Solomon lo sentì a stento.
«E ora» disse lo stregone, facendosi scivolare l’orologio in tasca. «Mi porti da Lucia.»
Blackthorn s’incamminò nuovamente per il corridoio e Solomon lo seguì, ma stavolta non si fermò davanti a una comune cella anti- magia.
Quella in cui avevano rinchiuso Lucia era diversa, nonché la più impressionante che Solomon avesse mai visto: un cubo dalle pareti spesse almeno tre metri, forgiate in un acciaio alchemico talmente puro e splendente che ci si poteva specchiare. La chiusura era un complesso meccanismo di sbarre e ingranaggi, e per aprirla serviva la forza di due Guardiani Silenti. Con un potente ticchettio metallico, che rimbalzò sui marmi del corridoio, la porta fu aperta, permettendo finalmente a Solomon di entrare.
L’interno della cella era interamente coperto da specchi, e a Solomon balzò il cuore in gola quando vide Lucia in mezzo alla stanza. «Per tutti i demoni!»
La ragazza sedeva sul freddo pavimento, coperta solo da una sottoveste leggera; i capelli ramati le piovevano davanti al viso, e spesse catene di acciaio alchemico le serravano i polsi e le caviglie. Quando sollevò la testa e i suoi occhi, velati di terrore, incontrarono quelli di lui, dalle sue labbra fuoriuscì un debole sussurro. «Solomon…»
Lo stregone si precipitò da lei. «Stai bene? Sei ferita?»
«Solomon» ripeté lei, esausta. «Dov’è Caliban? Gli hanno fatto del male?»
«Non lo so» disse lui, mentre si toglieva la giacca e la usava per avvolgerla. «È tutto finito, ora ti riporto a casa.»
Gli occhi di Lucia si riempirono di lacrime, poi emise un sospiro tremante e svenne tra le sue braccia.
«Dovevate proprio ridurla in questo stato disumano!?» esclamò Solomon rabbioso, liberandola dalle catene.
Fermo sulla soglia, l’Inquisitore disse: «Una misura necessaria. Non è mai successo nella storia di Arcanta di avere un Plasmavuoto nella Cittadella.»
Solomon si volse di scatto.
«Il Cerchio d’Oro ha appurato che le origini del ragazzino non sono naturali» disse Blackthorn, con una smorfia. «È un abominio della Magia Vuota, non è così?»
«Cosa ne avete fatto?»
«Non possediamo i mezzi per eliminarlo. Gli alchimisti hanno dovuto smembrarlo e rinchiudere i suoi pezzi in dodici forzieri di acciaio alchemico. Almeno così non dovrebbe rappresentare una minaccia.»
A Solomon si torsero le budella dall’orrore. Prese in braccio Lucia, si diresse a grandi passi verso l’uscita. Doveva portarla lontano da lì. Subito.
Backthorn gli sbarrò la strada. «Questa donna è un pericolo. Per la gente di Arcanta e per chiunque altro. Lo sa anche lei.»
«Si levi dai piedi!» sibilò Solomon. «Abbiamo un patto!»
«Dovevo sapere che era un errore madornale permetterle di restare» disse Blackthorn, assottigliando lo sguardo. «Che non potevamo fare affidamento sulle promesse di uno come lei. All’inizio mi era sembrata una precauzione eccessiva, ma visto in che modo sono andate a finire le cose…è stato un bene ordinare al Cerchio d’Oro di impedirle di riprodursi.»
A Solomon venne meno il fiato, sentì il sangue gelarsi. «Questo cosa vorrebbe dire?»
«Che le ho fatto un favore, signor Blake» rispose Blackthorn, mentre i suoi occhi azzurri mandavano un’ultima, lacerante stoccata di ghiaccio. «Grazie a me ha potuto tenere il suo giocattolino, senza doversi preoccupare di una discendenza.»
  
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