Capitolo 9 - Bess
Piovve quella notte. La terra riarsa accettò con gratitudine lo scrosciare dell’acqua che scivolava in piccoli torrenti, dissetando le piante sofferenti dopo tanti giorni di incessante sole rovente.
Beatrice era in piedi alla finestra, vestita con la sua camicia da notte più leggera, e guardava il cielo tingersi di rosa. Ormai era un’abitudine per lei alzarsi prima dell’alba: alle Silene a quell’ora avrebbe già dovuto essere in chiesa a intonare la Preghiera del Sole mano nella mano con le sue consorelle.
Un rituale che nei primi tempi aveva detestato — odiava alzarsi presto — ma che con il tempo aveva imparato ad apprezzare: c’era qualcosa di confortante nell’ammirare tutti i giorni il miracolo del sole cantando all’unisono con altri esseri umani. Un senso di comunità, una vicinanza di spirito che Bess non aveva mai provato prima, e che adesso le mancava terribilmente.
Davanti a quell’alba rosseggiante, si sentì sola come mai prima.
Eppure, diventare una suora dedita solo a pregare e lavorare la terra non era una vita che aveva desiderato: le era stata imposta, come la maggior parte delle cose; ora, però, anche quella vita le sembrava un’alternativa preferibile rispetto al destino che l’aspettava. Non voleva sposare uno sconosciuto. Non voleva assolvere la funzione di procreatrice con l’unico scopo di garantire un titolo di cui ormai non le importava più.
E cosa voleva, allora?
Guardò il disco rosso del sole sollevarsi dall’orizzonte, e mentre i giardini del palazzo si inondavano di luce sfumata di magenta, si chiese che cosa avrebbe fatto se fosse stata, per una volta, libera di scegliere.
Volare via, si disse. Volare via e crearmi una nuova vita lontano da qui.
Nel momento stesso in cui formulò questo desiderio, paura e senso di colpa la inchiodarono a terra. Quanto era ingrata per sognare una cosa del genere? Era nata nell’agiatezza, in un palazzo di duecento stanze con un esercito di servitù a disposizione, aveva cibo in tavola, vestiti per ogni stagione, un medico privato a distanza di un campanello. Privilegi che aveva imparato a non dare per scontati mentre era in convento, obbligata a dormire su un letto duro come legno e a strofinare i pavimenti con acqua e aceto fino a farsi venire le vesciche. Privilegi che arrivavano, ovviamente, con un prezzo da pagare: ma sposare un bell’uomo e farci un figlio era davvero un prezzo così alto per continuare quella vita? A rigor di logica, no. Era un prezzo assolutamente equo. Un sacco di persone avrebbe ucciso per essere al suo posto.
Un sacco di persone avrebbero ucciso per essere al suo posto.
Appunto.
L’alba era il momento in cui Bess rifletteva di più sulle possibili conseguenze di quel matrimonio. A qualcuno non piaceva che lei fosse tornata in lizza per l’eredità del titolo degli Altoponte. E se quel qualcuno stava attentando alla sua vita, doveva scoprirlo. Prima che succedesse qualcosa di irreparabile, auspicabilmente.
Doveva parlarne con qualcuno e liberarsi di quel peso. Ma con chi? Mag? Sebastian? Lui, d’altronde, entro mezzogiorno sarebbe diventato ufficialmente la sua scorta personale, quindi…
Bess si agitò. Il solo pensiero del rito di investitura la mandava ancora più in confusione su quello che desiderava davvero. Pensare a Sebastian la mandava in confusione, anche ora che non era più una ragazzina di quindici anni.
Cosa doveva fare, con quella consapevolezza?
Ignorarla, si disse. Ecco cosa doveva fare.
Cosa voleva fare, d’altro canto…
Un fremito lungo la nuca. Bess si schiaffeggiò.
Contieniti, per le Celesti.
Si immaginò cosa avrebbe detto Mag. Ma non poteva dare ascolto a Mag: lei era povera e libera, e con chi si sbaciucchiava nei granai non avrebbe condizionato la sua vita allo stesso modo di quella di Beatrice.
Con un sospiro abbassò gli occhi sul tavolino della toletta, dove erano posate due lettere. Una era di suo fratello Fabrizio, che l’avvertiva che lui e Edoardo sarebbero arrivati a Benaco poco prima del matrimonio; l’altra era la comunicazione ufficiale di suo padre che annunciava la cerimonia di investitura degli Alati.
Bess tornò a guardare il cielo al di là del vetro ancora punteggiato di gocce: le pennellate rosse e rosa erano scemate in un delicato color azzurro. L’alba era passata.
Sfiorò il vetro con le dita. E se anche fosse fuggita, dove sarebbe andata? Di cosa avrebbe vissuto? Bess aveva imparato presto a temere ciò che non conosceva. Il mondo era un posto pericoloso.
Con il cuore in subbuglio, chiamò Mag e iniziò a prepararsi per la cerimonia.
***
Il giuramento si svolgeva nella Sala della Caccia, di solito riservata per i ricevimenti, in quanto era la sala di Palazzo del Vento in grado di accogliere il maggior numero di visitatori. Al centro era stata collocata una sedia dallo schienale alto, simile a un trono, in cui lei avrebbe dovuto sedere per gran parte del rito. Come suggerito dal nome, la Sala della Caccia vantava alte pareti decorate con dipinti a tema venatorio; il soffitto, in particolare, mostrava la caccia mistica delle Signore Celesti, che con gli indici puntati lanciavano i cani contro una coppia di cinghiali in fuga.
Quando Beatrice fece il suo ingresso all’orario prestabilito, i due prescelti erano già al loro posto. Una era una soldatessa sulla trentina, alta e bruna: Ruth Malloi, una delle migliori al momento al loro servizio, il cui nome le era stato consigliato da suo padre. E di fianco a lei…
Bess cercò di controllare la propria espressione mentre osservava Sebastian, splendido nella divisa ufficiale. Per l’occasione entrambi i soldati indossavano l’alta uniforme, con le piastre dell’armatura sul torace, gli schinieri, gli spallacci con le ali e l’elmo decorato ai lati con piume di poiana, tinte anch’esse di rosso carminio.
Cercando di non pensare al rito che avrebbe avuto luogo di lì a poco, Bess attraversò la sala e si sedette al suo posto. Una sacerdotessa chiese il silenzio e cominciò a intonare il canto di apertura.
Bess fece scorrere lo sguardo sul pubblico. I suoi genitori, dignitari di palazzo, nobili minori a cui erano assegnati i terreni adiacenti la città, valletti in livrea, altri soldati. Una ristretta cerchia di persone fidate.
La sacerdotessa, una donna con la testa rasata e una lunga tunica azzurra, camminò in cerchio attorno ai tre senza mai smettere di cantare. Infine si posizionò in fondo alla sala, dietro i soldati, alzò le braccia al cielo e lasciò che le ultime note della sua litania si spegnessero nel silenzio.
I due soldati si inginocchiarono. Bess si alzò regale e si mise davanti a Ruth che, per diritto di anzianità, sarebbe stata la prima a prestare giuramento.
“Ruth Malloi, Terzo Reggimento” annunciò la sacerdotessa.
La soldatessa, tenendo gli occhi al pavimento e le dita intrecciate in preghiera, iniziò a recitare la formula di rito.
“Mia signora. Giuro di servirvi e di proteggervi con Coraggio, Lealtà e Onore. Che le Tre Signore Celesti mi siano testimoni: vostra è, d’ora in poi, la mia vita, pronta all’estremo sacrificio in caso di necessità; che io venga punita con una giusta morte se non sarò in grado di prestare fede al mio giuramento”.
Bess inspirò. “Accetto”.
La sacerdotessa in fondo alla sala cantilenò una breve invocazione alle Celesti. Ci fu un attimo di silenzio prima che Ruth riprendesse a parlare con voce sicura.
“Mia signora. Vostre sono le mie armi, per uccidere coloro che vi minacciano”, estrasse la spada e la posò ai piedi della nobildonna, “vostre sono le mie ali, per essere sempre al vostro fianco”. Chinò la testa e si tolse l’elmo piumato. Poi sollevò lo sguardo e mise le mani in quelle della duchessa. “Infine, vostre sono le mie mani, perché facciano sempre il vostro bene, e vostra è la mia bocca, perché vi dirà sempre e solo la verità”.
Bess si chinò e posò un lieve bacio sulle labbra della soldatessa.
“Accetto” le disse raddrizzandosi. Le strinse piano le dita prima di lasciarle andare. La soldatessa abbassò la testa in segno di deferenza.
Bess si spostò di due passi e si posizionò di fronte a Sebastian. La visione di lui a capo chino, in armatura completa e in ginocchio di fronte a lei le fece sfarfallare lo stomaco.
“Sebastian Corei, Terzo Reggimento” annunciò la sacerdotessa.
“Mia signora” cominciò lui. La sua voce era calma e stabile. Bess si sentì sciogliere. “Giuro di servirvi e di proteggervi con Coraggio, Lealtà e Onore. Che le Tre Signore Celesti mi siano testimoni: vostra è, d’ora in poi, la mia vita, pronta all’estremo sacrificio in caso di necessità; che io venga punito con una giusta morte se non sarò in grado di prestare fede al mio giuramento”.
Bess cercò di nascondere il tremolio nella voce. “Accetto”.
Attesero che si concludesse il canto rituale. Dopo un breve silenzio, Sebastian riprese con voce più bassa. “Mia signora. Vostre sono le mie armi, per uccidere coloro che vi minacciano” recitò, e estrasse la spada per posarla ai suoi piedi. “Vostre sono le mie ali, per essere sempre al vostro fianco”. Si tolse l’elmo e sollevò il capo. I suoi occhi nocciola incontrarono quelli della duchessina; erano limpidi e onesti, pieni di orgoglio e… qualcos’altro. A Bess mancò il fiato. Gli prese le mani che le porgeva. “Vostre sono le mie mani, perché facciano sempre il vostro bene e…”, fece un pausa, deglutì, espirò, “vostra è la mia bocca, perché vi dirà sempre e solo la verità”.
Mani nelle mani e occhi negli occhi, per un istante Bess trovò difficile proseguire senza pensare a quanto quel rito assomigliasse a un matrimonio. Ignorando il calore che le risaliva il collo e il cuore che batteva forte nel petto, Bess si chinò verso il soldato in ginocchio per sfiorargli le labbra con le proprie. Sebastian accolse quel bacio di rito con gli occhi aperti e l’immobilità di una statua.
“Accetto” rispose Bess, la voce fioca e il battito accelerato.
Gli strinse le mani prima di lasciarle andare. Lui ricambiò impercettibilmente la stretta.
La sacerdotessa riprese a cantare, stavolta accompagnata dal coro e dai musici. I soldati si alzarono tra gli applausi del pubblico. Come svegliata da un sogno, Beatrice ricominciò a respirare. Il rumore della musica fu improvvisamente assordante, il caldo eccessivo, gli invitati troppo numerosi.
Fece un inchino a entrambi i soldati e si voltò per uscire dalla sala.
La cerimonia di investitura degli Alati era conclusa.
***
Tre giorni dopo, Bess ancora non si era abituata ad avere due ombre di rosso vestite che la seguivano dappertutto. Erano fuori dalla sua porta quando dormiva, pochi passi dietro di lei quando passeggiava nei giardini, sull’attenti alle sue spalle durante i pasti. Se la situazione sembrava richiedere discrezione — come quando, purtroppo, lord Devon si chinava a sussurrarle cose all’orecchio durante i loro incontri — si allontanavano un poco, ma senza mai perderla di vista.
“Siete soddisfatta della vostra scelta?” le chiese una mattina il lord accennando alle due guardie poco lontano. Erano a passeggio nei giardini del palazzo, tra i platani e i ficus, e gli Alati di Bess si erano aggiunti alla solita nutrita scorta del marchese. Più che una passeggiata romantica sembravano un piccolo corteo militare.
“Molto” confermò lei neutrale.
“Avete scelto con giudizio” si complimentò lui.
“Vi ringrazio, mio signore”.
All’ombra dei grandi platani, l’erba tagliata corta era coperta di rugiada. Si poteva respirare l’umidità nell’aria, e gli unici rumori erano il cinguettio degli uccelli e lo zampillare continuo delle fontane nascoste tra i cespugli. Bess desiderò solo poter essere lasciata sola a godersi quella pace. Evidentemente, non poteva.
“È splendido qui” continuò il marchese.
“In primavera è ancora più bello” rispose lei garbata. “I cespugli traboccano di rose e di ortensie, e l’aria profuma di glicine. E non fa questo caldo schif-detestabile”.
Si morse la lingua a quello scivolone di linguaggio. A volte le risultava difficile tenere a bada la Bess che aveva pulito escrementi di gallina per cinque anni.
Il marchese, però, rise. “Schifoso mi sembra una definizione più che adatta. Ma per fortuna questa stagione passa in fretta, almeno dalle mie parti”.
“Sì. Di solito è un mese molto caldo e umido. Poi arrivano le piogge e le colline tornano verdi”.
“Però con la pioggia ci si precludono molte attività interessanti”.
Bess si accigliò. “Ad esempio?”.
“Le passeggiate. Cavalcare”.
“La pioggia non mi ha mai fermato. Né quando dovevo cavalcare da nobildonna né quando dovevo raccogliere le erbacce come novizia”.
Fu il turno di lord Devon di mostrarsi sorpreso. Di solito non parlavano del suo periodo dalle Silene, quasi volessero fingere che quel periodo della sua vita non fosse mai esistito.
“La pioggia non vi spaventa?” continuò lui con uno scintillio negli occhi neri.
Bess si fece improvvisamente cauta. “È solo acqua. Sono ben altre le cose di cui aver paura”.
Le labbra del marchese si allargarono in un sorriso difficile da interpretare. “E di cosa avete paura, quindi?”.
Bess rimase interdetta dall’inappropriatezza di quella domanda. Alzò il mento e decise che se quello era l’andazzo della conversazione, tanto valeva rispondere a tono: “È ingiusto che mi chiediate di rivelare informazioni così personali senza prima aver fatto la vostra parte, non credete? Voi di cosa avete paura, lord Devon?”.
Il marchese sbuffò una risata. “Temo che abbiate ragione, mia signora. La mia domanda è prematura e inappropriata, vi chiedo perdono. Avremo modo di approfondire la nostra conoscenza in modi e tempi più consoni”.
Bess non fece in tempo a mettere insieme una risposta che lui parlò di nuovo.
“Lasciate intanto che vi mostri il mio regalo per le nozze”. A un cenno del nobile una guardia si avvicinò e estrasse un cofanetto rettangolare color porpora. Il marchese lo aprì con un meccanismo a scatto e lo offrì a Bess.
All’interno giaceva la collana più vistosa che lei avesse mai visto: una fila di perle con un pendente centrale, tre verdissimi smeraldi tagliati a forma di goccia e incastonati in una placca d’oro. Un gioiello degno di una regina.
“Ho scelto queste pietre perché si intonano ai vostri occhi” le disse, evidentemente compiaciuto dall’espressione sbalordita di lei.
Bess era senza parole. Cosa si poteva dire davanti a un dono del genere?
“Io… io non so cosa dire, mio signore” mormorò. “Nessun ringraziamento potrà mai rendere giustizia a un dono tanto splendido”.
“La meraviglia sul vostro viso è un ringraziamento più che sufficiente per me. Ritenetemi soddisfatto e fatemi l’onore di accettare questo presente. Posso?”.
Stordita, Bess annuì. Il marchese le girò attorno e le agganciò la collana al collo. Le sue dita indugiarono un secondo di troppo sulla pelle nuda della nuca.
La collana era fredda e pesante, e il pendente le cadeva perfettamente sopra i seni.
“È bellissimo” ammise.
“La vostra bellezza è un gioiello molto più prezioso di quello che portate al collo”.
Bess si sentì arrossire e sfiorò la collana con le dita. Era già diventata tiepida contro la sua pelle.
Il marchese si chinò verso di lei. “Siete deliziosa quando arrossite” le sussurrò all’orecchio.
Colta di sorpresa, Bess si agitò ancora di più.
Il marchese le fece un sorriso malizioso e le porse il braccio per continuare a passeggiare. Bess non poté fare altro che accettarlo. Camminarono con calma attraverso il giardino inondato di sole.
“Devo confessarvi che ero un po’ preoccupato prima di arrivare qui” disse lui in tono leggero dopo qualche passo.
Bess si costrinse a domandare: “Perché, se posso chiederlo?”.
“Mi avevano riferito che eravate focosa e disobbediente, ed ero preoccupato di non riuscire a tenervi testa. Ma sono lieto di constatare che il vostro carattere è invece alquanto adorabile e accomodante”.
Di nuovo, Bess si ritrovò a faticare nel formulare una risposta. “Sono lieta che il mio carattere vi sia gradito” soffiò, un po’ incerta se essere offesa.
Lui se ne accorse e rise. “Non dovete prenderla a male, mia signora. Immagino che le voci si riferissero alla vostra gioventù, e tutti siamo stati un po’ impetuosi da ragazzini. Non ho nulla da recriminarvi”.
E ci mancherebbe, pensò Bess, suo malgrado ancora scombussolata.
Continuando a camminare, lui la guardò con un mezzo sorriso che lo rendeva molto attraente. “Siete decisa ma non sfrontata, diretta ma non indelicata. Siete intelligente, curiosa e un’ottima cavallerizza. Mi ritengo un uomo estremamente fortunato a potervi chiamare mia sposa”.
Bess lo guardò. Era colpita e confusa da quella cascata di complimenti. Il marchese era sempre stato ciarliero e gentile con lei, ma mai così audace. Dal calore che sentiva sulle guance, sapeva di essere ancora rossa in faccia; vergognosa, abbassò il viso.
Lo udì soffiare un risata e mormorare “Adorabile”.
Grazie alle Celesti, in quel momento Mag arrivò in suo soccorso. Doveva essere ormai l’ora di pranzo, dedusse; l’amica era venuta a prelevarla per aiutarla a cambiarsi d’abito in previsione del pasto.
“Il tempo è volato” commentò il marchese con il sorriso nella voce. “Vi lascio alla vostra dama di compagnia. Vi rivedrò a pranzo”. Le prese una mano e si abbassò a baciarla. “Ammetto che non vedo l’ora”.
Bess fece un inchino a sua volta. E notò che, nonostante il sorriso, gli occhi del marchese restavano neri e insondabili.
***
“Wow. Scommetto che con questo regalo il lord ha guadagnato qualche punto”.
“È così, purtroppo” ammise Bess contrariata. Era davvero così superficiale? Potevano un bel viso e regali costosi comprare la sua ammirazione, o peggio, il suo affetto?
Si cambiò d’abito e scese per il pranzo, che fu lungo e estenuante. Dopo aver vivacemente ammirato il nuovo gioiello che portava al collo, i suoi genitori e lord Devon discussero del matrimonio ormai prossimo: dell’organizzazione delle stanze per gli ospiti, della ricchezza del banchetto nuziale, in che ordine proporre intrattenimento, musica e balli.
All’arrivo del dolce Bess aveva detto forse quattro parole in tutto. Sapeva che nessuna delle sue proposte sarebbe stata considerata, quindi si limitò a mangiare in silenzio la sua crema di uova e zucchero.
“Beatrice!” saltò su sua madre. “Ho fatto chiamare la sarta. Indosserai il mio abito da sposa, naturalmente, ma immagino che dovrà essere ripreso in più punti. Verrà oggi pomeriggio”.
Bess ignorò il commento relativo alle modifiche da dover effettuare a un abito per accomodare un corpo evidentemente molto diverso. “Certo, mamma, come desideri. Sono certa che il risultato sarà splendido”.
Ginevra storse impercettibilmente il naso. Aveva colto il sarcasmo nelle parole della figlia ma non poteva farlo notare davanti agli ospiti. Si schiarì la voce e decise di cambiare argomento.
“Domani mattina arriveranno i tuoi fratelli” annunciò. “Abbiamo appena ricevuto la missiva. Mi aspetto che tu sarai con noi ad accoglierli”.
Colta alla sprovvista, Bess sbatté gli occhi. Di già?
“Certamente” rispose.
Una sensazione viscida di timore e aspettativa le annodò lo stomaco. Posò il cucchiaino accanto alla ciotola del dolce e non lo toccò più.
***
Era ancora buio quando si alzò per vestirsi. In quella stagione i viaggi più lunghi venivano compiuti la mattina presto e nel tardo pomeriggio per non rischiare di far stramazzare i cavalli sotto il sole implacabile.
Aiutata da Mag, Bess indossò il vestito verde e ne adornò la scollatura con la collana che lord Devon le aveva regalato; guardandosi allo specchio non poté fare a meno di notare quanto fosse magnifica. Allo stesso tempo, era troppo grande. Pesante. Come una catena. Una catena d’oro di perle e smeraldi, ma pur sempre una catena, adatta a tenerla stretta al guinzaglio come una piccola sposa obbediente.
Un cameriere bussò per avvertire che i figli del duca erano quasi arrivati. Bess si riscosse e si affrettò fuori dalle sue stanze.
Quando lei e i suoi genitori uscirono sulla doppia scalinata di Palazzo del Vento il cielo era ancora di un indaco cupo, venato appena di rosa e lilla laddove il sole si stava lavando all’orizzonte. Il canto dei grilli era tenue e l’aria tiepida e umida.
Un manipolo di soldati scelti, capitanati da Ghilroi, era sull’attenti ai due lati del viale. Precedute dal rumore ritmico di zoccoli e ruote, apparvero quattro carrozze che si fermarono, tra cigolii di ruote e sbuffi di cavalli, davanti alla scalinata.
Bess scese i gradini mentre i servi si affrettavano a scaricare i bagagli; nel frattempo i suoi fratelli uscirono dagli abitacoli e aiutarono le rispettive spose.
Edoardo e Fabrizio non erano cambiati poi molto in quegli anni, pensò Bess: sempre alti e atletici come suo padre, il naso importante un po’ aquilino, i ricci scuri e i vestiti eleganti — anche se ora un po’ spiegazzati dalla trasferta. Provò emozioni contrastanti nel vederli dopo tanto tempo. Era felice di ritrovarli, ma anche restia, titubante e in allerta. Nonostante l’affetto che la legava alla sua famiglia, non poteva ignorare del tutto i suoi dubbi.
Qualcuno di famiglia.
La moglie di Fabrizio, Ivonne, era una giovinetta bassa, bionda e cagionevole di salute e sembrava particolarmente affaticata dal viaggio; mentre la moglie di Edoardo, Catalina, era esattamente come Bess la ricordava: alta e fiera, dall’aspetto regale, con lunghi capelli ramati, pelle diafana e occhi grigioazzurri che osservavano tutto con severità. Teneva in braccio un cagnolino che prese a abbaiare e scodinzolare esaltato quando riconobbe la presenza della duchessa.
Bess non riuscì a trattenere la gioia. “Biagio!”
Non finse nemmeno di essere sorpresa quando il cane si liberò dalla stretta della cognata e le corse incontro. Si inginocchiò e accolse la bestiolina con entusiaste parole d’affetto e tanti grattini dietro le orecchie pendule. Catalina si incupì ma non disse nulla.
Con il cagnolino festoso che le correva ancora tra le caviglie, Bess si alzò per accogliere i parenti. Suo fratello Edoardo la salutò con un sorriso e un abbraccio formale. Quando si separarono, Bess si informò sul suo stato di salute. Suo fratello rispose con garbo e poi si ritrovarono senza nulla da dire. Bess si impegnò a mantenere un sorriso di cortesia mentre il disagio cresceva con il silenzio tra loro. Cos’altro poteva chiedere a un fratello che non vedeva da cinque anni e che non aveva avuto la sensibilità di scriverle nemmeno una volta?
Con Fabrizio andò un po’ meglio. Il fratello di mezzo aveva un gran sorriso quando la abbracciò stretta, e le chiese subito com’era stato rientrare a Benaco dopo l’esperienza mistica del convento. Scambiarono due chiacchiere gradevoli prima di essere richiamati a rientrare per la colazione.
Bess si chinò a raccogliere il cane. Era un batuffolino a pelo lungo, bianco e marrone, con orecchie penzoloni e un’espressione simpatica sul musetto rotondo. La cognata le lanciò un’occhiata di fuoco che Bess ignorò: Biagio era il suo cane, e mentre camminava gli baciò la testolina pelosa. L’odore dell’animale la scaraventò di colpo a un tempo passato in cui era giovane e spensierata. La nostalgia le pizzicò gli occhi e senza riflettere alzò lo sguardo sul soldato alla sua sinistra. Due occhi nocciola incontrarono i suoi e Bess si irrigidì. Sebastian la guardava con una domanda silenziosa negli occhi.
Bess annuì impercettibilmente e tornò a guardare davanti a sé.
Non aveva ancora avuto modo di parlare da sola con lui. Per dirgli cosa, poi? “Penso che uno dei miei parenti voglia uccidermi per assicurarsi la linea di successione; cosa possiamo fare al riguardo?”
Senza contare che ogni volta che il suo sguardo si posava su quei capelli biondi, sentiva uno stormo di farfalle nello stomaco. E le veniva caldo se ripensava a quello sfioramento tra loro durante la cerimonia. Chiamarlo bacio sarebbe stato azzardato, eppure…
Bess scosse la testa per scacciare quelle strane idee e entrò a palazzo.