Rebecca chiude la porta del bagno, si siede sul gabinetto e si infila la testa tra le mani. È stato Camillo a insegnarle a scaricare l’acqua, fino all’asilo aspettava che mamma e papà lo facessero per lei.
Vorrebbe non averlo rivisto.
Selene è andata via dopo altre tre ore, i suoi si sono rinchiusi di nuovo nelle loro camere, non sa più come dire che vuole un cellulare e si sta annoiando troppo. Ha trovato il gioco, mancavano dei pezzi.
«Per questo vi ho sempre esortati a mettere in ordine», le ha detto Philippe. Rebecca non si è offesa solo perché, dietro il suo astio, ha recepito un leggero dispiacere.
Non ceneranno insieme, papà deve andare a giocare a bowling, la mamma ha organizzato una serata con le amiche. Rebecca deve scegliere che attività fare.
«Voglio dare io la cena a Billy», dice a Philippe, che ha rovesciato metà busta di croccantini in tre delle quattro vaschette al piano terra. Rina, Ulay e Nando si sono fiondati di gusto, scambiandosi in continuazione le ciotole come fanno di solito. Hanno dovuto dar via il distributore di croccantini high tech, che funzionava con la connessione wifi: la loro irruenza non lasciava scampo. Philippe alza le spalle e le dà la busta.
Rebecca sale le scale a passo leggero, ha lasciato le ciabatte in camera sua. Corre nel corridoio e apre la porta della stanza dei cani. Billy non sembra nella sua cuccia. Si piega sulle ginocchia, scosta la tenda bianca. Il cane è rannicchiato su sé stesso e le dà la schiena. Una zampa è sospesa per aria. Rebecca la tocca ma lei non si piega: si abbassa e torna subito alla sua posizione. Abbassa la mano sul collo e volta il muso verso di sé. L’occhio semichiuso è vitreo, ha la bocca aperta ma le labbra nascondono la lingua e i denti, come quelle di un anziano senza dentiera. Billy è morto.
Rebecca ritrae la mano di scatto, il cane non è ancora congestionato né puzzolente, soltanto inanimato, come un pupazzo. Esce dalla stanza e corre alla ricerca di Philippe, potrebbe farlo chiamare da Casa ma lacrime calde le hanno già annidato la gola e offuscato gli occhi. Scivola e si fa gli ultimi gradini col sedere, sbatte il gomito contro la ringhiera. La confezione che teneva ancora in mano cade, i croccantini si sparpagliano per terra.
«Che succede?» Philippe si materializza di fronte a lei. Dietro di lui ci sono gli altri tre cani con il muso puntato per terra, in modalità aspirapolvere. Rebecca piange, si copre gli occhi con i polsi. Billy c’è sempre stato. Gli strappava ciuffi di pelo quando era piccola e lui non si lamentava mai. Amava le carezze dietro le orecchie. Scovava tutte le carcasse nel giardino. L’ha vista crescere, mentre lei l’ha visto invecchiare. I loro cani sono speciali, persino i fan hanno imparato a distinguerli. Matilde ha creato una pagina per tutti loro, l’unica che Rebecca può parzialmente gestire. Le stringe lo stomaco perché ha sempre pensato a che frase condividere il giorno in cui sarebbe morto uno di loro. Una poesia di Kipling. Il che non la rende diversa da sua madre.
Fa un respiro profondo e si toglie le mani dagli occhi, Philippe è scomparso. È salito senza che se ne accorgesse, gli altri lo hanno seguito dopo essersi spazzati da terra i croccantini di Billy. Controvoglia, Rebecca torna su, massaggiandosi il gomito. Deve mettere del ghiaccio. Philippe è fuori dalla porta, il telefono attaccato all’orecchio.
«Posso scavare io, non ti preoccupare… sì, sconvolta…».
Nando e Ulay si stanno litigando una corda, mentre Rina sonnecchia tranquilla ai piedi di Philippe. I cani annusano la sofferenza, non la morte. Avrebbero temuto per Billy solo se l’avessero visto soffrire. L’agonia della perdita è legata alla memoria degli umani. Una agonia che lei è pronta a svendere per l’approvazione degli sconosciuti.
Philippe riattacca e la guarda, composto e distaccato.
«Mi dispiace per il cane. Chris sta tornando, prepariamo la tomba»
Rebecca annuisce, scendono in garage. La tomba per i cani è stabilita da tempo, per quanto Matilde parli sempre del cambiare casa. Papà sta tornando per lei mentre mamma no, questo la innervosisce.
In tanti hanno un genitore preferito, lei non riesce a decidersi, ma è sempre sua madre che la lascia sola nelle situazioni peggiori.
I cani, invece, hanno sempre delle persone preferite e Rebecca non è la preferita di nessuno dei suoi, anche se la conoscono da quando è nata ed è quella che li porta più fuori. Considerata la reazione che hanno avuto per la morte di Billy, non sa se c’è da esserne invidiosi.
È crudele imporsi la compagnia dei cani, così breve, così singolare.
Nel garage non c’è la pala e Philippe risale per cercarla nello sgabuzzino. Il familiare profumo di umido e chiuso la conforta, il garage è un piccolo museo, soprattutto quando non ci sono le tre auto a ingombrare il passaggio. Tra tavolini rotti, poltrone fuori moda ed elettrodomestici, Rebecca trova sempre oggetti di cui non sa spiegarsi l’uso, come le carte risalenti a quando a Matilde era venuta la passione per i tarocchi. Ci sono cornicioni giganteschi con sotto locandine cinematografiche. Per leggere i titoli dovrebbe scuotere via il grosso alone di polvere sul vetro, ma è allergica agli acari.
Philippe arriva, la pala è alta quasi quanto lui. Si è slacciato il colletto del completo. Escono nella notte, c’è un vento freddo ma non gelido, la luce dei lampioni illumina solo il prato. Rebecca guarda Philippe in silenzio che delimita il rettangolo della sepoltura di Billy. Ha tirato fuori un paio di zolle, Rebecca si è chinata per appiattire la terra ai lati. Una musica dissonante li ferma con le mani a mezz’aria, un taxi entra nel vialetto e scarica Chris davanti al cancello. Rebecca corre ad aprire per non sentire Casa che lo annuncia.
«Tesoro, hai una faccia…» Chris abbraccia Rebecca. Rebecca lo stringe forte, le piace il profumo del suo dopobarba.
«Papà, non voglio altri cani», la voce le si strozza nella gola. Quei quattro sono gli unici che si sente di volere nella sua vita, anche perché non è sicura, da grande, di scaricare la loro responsabilità sui suoi figli.
«Lo capisco, tenevo anch’io a Billy. Lo abbiamo trovato che appena camminava»
«È colpa nostra quello che è successo, stava male da giorni… lo volevo portare dal veterinario, ma non l’abbiamo fatto».
Chris si stacca dall’abbraccio e allunga le braccia per osservare meglio Rebecca.
«Vatti a sciacquare, dopo. Hai un po’ di terra sul naso».
Rebecca si porta la mano alla faccia e gratta via, la terra le entra sotto le unghie. Chris la accarezza.
«Non è colpa nostra, amore. Billy era vecchio. Adesso dov’è?»
«È rimasto nella sua stanza», Rebecca tira su col naso, «lo prendi tu?»
Il taxi ha cambiato musica, un pezzo di musica classica, forse più gradito dall’autista. La macchina lampeggia, Chris alza il braccio con il pollice alzato. L’automobile accosta parallela al cancello e si spegne.
«Aspetta nel nostro giardino?»
«Sì, dopo la sepoltura torno al bowling, gli amici contano su di me».
Rebecca spalanca gli occhi. Chris intuisce che si è irritata e si scansa, per raggiungere Philippe e salire da Billy. Rebecca torna a preparare buca.
Quando papà riscende ha tra le mani un sacco nero. Rebecca è incredula.
«Stai trasportando il corpo di Billy in un sacchetto della spazzatura?».
Chris alza le spalle. Rebecca lascia la buca e si avvicina per strappargli il sacco tra le mani, ma lei non è un cane, il cadavere di Billy la impressiona. Lo osserva penzolare come la rete con i palloni di educazione fisica.
Chris non getta Billy nella buca, anche se è piuttosto profonda. Rebecca è sollevata quando lo vede sedersi per lanciarcisi dentro. Philippe gli passa il cane. Nell’imperturbabilità della sua espressione si percepisce un accenno di disgusto. Un flash luminoso la allarma.
«Stai facendo… sei venuto per fare le foto?», Rebecca prova un sincero odio per questa situazione.
«Dai amore, sono momenti importanti questi, dobbiamo preservarli».
Rebecca incrocia le braccia e fissa il taxi parcheggiato di fianco al giardino.
«Così importanti che sei venuto solo per fotografarli»
«Vieni anche tu, Bebe, vogliono sapere come stai».
Chris non tiene mai la vibrazione, Rebecca si sente più a suo agio quando è il suo telefono a riprendere le loro vite.
«Io papà voglio un telefono mio».
Vorrebbe di nuovo piangere, ma ha le palpebre e le guance secche, è troppo arrabbiata.

