Di seguito trovi l'inizio (incipit) e la frase conclusiva (explicit) del breve racconto di un noto autore italiano.

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Quel giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle...

E l'ombra della notte scendeva. Tempo: 30 minuti

Quel giorno dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando, avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle...

Era una bella cassa, di fine legno di quercia; Ernest se ne intende di casse, ne ha costruite per anni. Casse da morto, certo. Ma qualcuno deve pur costruirle. Un mercato che non può fallire; e dalla loro vendita ha ricavato il gruzzolo per acquistare la villa alle sue spalle. Di legno, ovviamente. Prefabbricato. Una moda del momento, si era detto; ma perché non provare?

E adesso una cassa – cassa da morto – se la trova davanti, mentre l’uomo che gliel’ha deposta sull’uscio si stira la schiena e, sistemandosi la cravatta, estrae da sotto il risvolto della giacca di completo la bolla di consegna.

“Mister Kazirra?”

“Sì” mormora disorientato Ernest, l’accento straniero che lo assorda.

“Una firma, per cortesia. Ed è tutta sua.”

“Prego?”

“La cassa” spiega annoiato il fattorino – o quello che dovrebbe essere un fattorino, anche se gira in completo Armani e ha la faccia di chi passa la vita dietro una scrivania. “E’ a suo nome. Vede?” e con l’indice gli addita il nome sulla bolla, in un bel Serif con i piedi eleganti. Ernest Kazirra.

“E’ Lei, giusto?”

“Sì” tituba ancora. “Sì, sono io. Ma…” cosa me ne faccio di una cassa da morto mia? vorrebbe aggiungere, ma mister Armani lo interrompe, un sorriso suadente che a Ernest ricorda quello del gatto che si è mangiato il topolino.

“Oh. Non si preoccupi per il saldo” specifica, la voce flautata. “E’ già tutto pagato. Lei deve solo ritirare il prodotto.”

Pagato da chi? vorrebbe chiedere ancora Ernest. La cassa è bella. Di quella bellezza macabra che solo uno come lui sa apprezzare. Le borchie brunite mandano bagliori nella luce crepuscolare e le venature del legno assomigliano a onde di un mare quieto. Non vede l’interno, ma immagina il velluto, lo sente fresco sotto i polpastrelli. Velluto allucciolato color ottanio con finiture in oro. Raffinato, eppure con quella punta di modernità che ama consigliare ai suoi clienti.

“E” inghiotte Ernest, la penna – una Montblanc con pennino filigranato in argento – fra le mani sudate. “E cosa dovrei farci, mi scusi?”

“Che domande” borbotta ancora mister Armani. La firma è uno scarabocchio illeggibile e un po’ di inchiostro è sbavato. “Entrarci.”

“Entrarci?” ripete Ernest, senza decidersi se essere spaventato o divertito per quello scherzo di pessimo gusto. Anche per uno come lui.

“Certo; entrarci” ribadisce mister Armani, una nota di insofferenza. “E, se mi permette, anche con una certa premura” continua. “Ho un’altra consegna con ritiro fra mezz’ora, dall’altra parte della città” precisa, controllando l’ora sull’orologio. Un rolex. Ultimo modello. Cassa in titanio. “Sa, con il traffico che c’è, non vorrei tardare. Sarebbe inappropriato, non trova?” Ernest lo guarda, gli occhi bianchi dalla sclera nera. E si dimentica di inghiottire.

E l'ombra della notte scendeva.