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Autore: whitemushroom    19/11/2024    1 recensioni
Un investigatore della Santa Sede indaga sulla scomparsa di un potente magus, muovendosi in una Roma distorta, più interessata a proteggere i propri segreti che a rivelarli. In un' isola poco lontana Njal, un giovane turista, perde una persona di a lui cara e scopre che qualcosa, nel suo corpo, inizia a non comportarsi come dovrebbe.
Il primo ha dedicato la sua intera vita alla caccia di uomini e creature sovrannaturali, il secondo si ritrova suo malgrado in un universo di cui nemmeno conosceva l'esistenza; eppure entrambi rincorrono fantasmi presenti e passati sulla scia di qualcuno che, come un pittore, lascia la sua Firma su degli eventi di cui è impossibile rimanere soltanto passivi spettatori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il pensiero di dover andare di nuovo alla sede vescovile Sciarra non era piacevole, per Padre Tsekani. L'esperienza di pochi giorni prima non gli aveva lasciato un bel ricordo: l’ostilità tra Samuel ed il vescovo teatino, appena messi nella stessa stanza, era stata palpabile. L'incontro con la Asrai aveva solo complicato la storia, ma talvolta preferiva avere a che fare con Daoine Maithe senza controllo che con i piccoli screzi degli esseri umani.
Agli umani non poteva sparare.
Il corpo di assalto degli esecutori della Chiesa si basava su un principio più semplice dei comandamenti: loro combattevano, gli altri davano fiato alla bocca. Un principio che aveva unito gli esecutori di tutto il mondo in una sorta di coalizione silenziosa, un senso di appartenenza e di labile solidarietà tra tutti loro , in ogni angolo del globo, la tranquillità di guardarsi negli occhi e di parlare la stessa lingua. Sapevano benissimo che ad ogni loro fallimento c'erano persone della Cupola che non perdevano l'occasione di parlare male di loro, e avevano spesso degli stupendi capri espiatori da sbattere fuori o da criticare tra un vespro e l'altro. Era quindi ovvio che, anche senza colpe reali, Padre Tsekani si sentisse guardato con sospetto e fastidio dalle guardie del vescovo.
Il problema era che, nonostante la sua buona volontà, alcune colpe se le sentiva ancora dentro. Si era buttato all’inseguimento del gabbiano e si era lasciato trascinare dal vortice degli eventi, ma non aveva dimenticato il giovane Diego e la raccomandazione di Padre Whiteflame che aveva fallito nel prendere sul serio.
Si asciugò le mani sudate lungo la tunica.
Se alla sua prima visita aveva incontrato poche figure, schive e ben felici di passare oltre, in quel momento il posto trasudava efficienza. Uomini e donne in borghese, in divisa o in tunica, uscivano ed entravano dalle stanze che davano sul corridoio ampio ma dimesso, portando documenti, cartelline e casse; il posto non era stato affatto tirato a lucido e le infiltrazioni rimanevano, ma quella concentrazione di gente proprio sotto la Villa romana, indicava solo una cosa: il Vescovo non era solo in visita di cortesia, ma aveva progetti di ben lunga portata.
E dove c'era un Vescovo, si lavorava. Si lavorava sodo. Si lavorava su e giù per le stanze con faldoni e documenti, ci si muoveva come uno sciame d'api nei meandri della burocrazia, sudando sotto le tuniche senza però mai mettere il naso fuori e fronteggiare le vere minacce.
L'uomo che era stato seduto accanto a lui durante la fuga di Dewhellan disse un paio di parole ad un signore di fronte ad una porta, che verificato un elenco disse: “Prego, Padre Tsekani, si accomodi. Il Vescovo Vidala la aspetta”.
Se la stavano facendo tutti sotto. Ricevuto direttamente da Sua Eminenza, non da uno dei suoi lacchè.
Come la stanza in cui aveva rinvenuto dama Violet, anche quella in cui il Vescovo teatino lo stava aspettando dava l'idea di uno sfarzo lasciato a se stesso. I divani erano di buona fattezza, ma il colore era schiarito, e la scrivania era stata coperta da una tovaglia inutile e lunga per nasconderne i difetti. Un arazzo con il simbolo dell'ordine era probabilmente stato montato in fretta e furia alle spalle della scrivania, perché pendeva su un lato. Un secondo arazzo con lo stemma dei Vidala, l’orso verde dentro un occhio argentato, era ancora appoggiato a terra in attesa di essere montato.
I termosifoni in ghisa erano stati accesi, e questo aveva quantomeno cancellato dalla stanza lo spiacevole odore di umido che l’esecutore aveva riscontrato durante la visita precedente. Ad essere più attento l'aria stessa della stanza era stata profumata.
“Padre Tsekani Kaudry, al rapporto” disse, annunciandosi a voce alta.
“Sono cieco, non sordo, Padre”.
L'uomo non era seduto alla scrivania, ma si trovava in piedi, con le mani poggiate ad uno dei termosifoni. “Ed i suoi passi sono diversi da quelli di tutto il mio staff, si fidi”.
Con la mano indicò il divano, invitandolo a sedersi, ma l’esecutore rimase in piedi.
“È fatto di terra e ferro come si dice in giro? Meglio. Mi piace la gente che non perde tempo. Il mio apprezzamento nel suo operato era già alto, ma ammetto che sta superando le mie aspettative” fece “E le mie aspettative sono alte. Lo chieda pure in giro”.
“I risultati della missione attuale sono ben lontani dal mio concetto di successo, Eminenza”.
“Ed è anche perfezionista. Se fossero tutti zelanti come lei, il Santo Padre dormirebbe sonni più tranquilli”.
Padre Tsekani inspirò, ma preferì non commentare. Non si considerava il più ferreo degli esecutori, ma non erano le sue lodi l'argomento della conversazione.
Freki gli aveva insegnato a temere la carota molto più del bastone.
“Il caso Pontieri si sta rivelando una traccia piuttosto insolita da seguire. Di solito non diamo la caccia ai nostri. Purtroppo Padre Whiteflame dispensa informazioni come dispensa parole educate, quindi il mio fascicolo è più vuoto di quanto io desideri. Ma la Cupola deve essere informata, e ritengo che l'operato degli esecutori debba essere seguito dai piani alti. Desidero avere un resoconto dettagliato del suo operato e delle mosse che l'hanno condotta ad attivare un Antilux nel centro di Ostia”.
Le parole del Vescovo erano perentorie, di una persona che non era abituata a sentirsi ribattere. L’esecutore annuì. Per quanto non fosse la prassi, la gerarchia non ammetteva discussioni. Raccontò per filo e per segno il dialogo con la Asrai - omettendo però di averle consegnato Poseidon - guadagnandosi dei cenni di approvazione dall'altro. Spiegò della labile traccia della carta di credito del magus che gli aveva permesso di rintracciare il locale, nonché dei dubbi sulla strana donna dai capelli blu che era stata vista al fianco di Zurlí e Pontieri.
Narrò per ultimo del gabbiano assassino, dell’inseguimento e dell’Antilux celato dentro al memento, nonché di ciò che restava dei frammenti del corpo del professor Antonio nel suo stesso appartamento. Mentre parlava il Vescovo prese a camminare su e giù per la stanza, con i passi resi malfermi dalla zoppia adesso evidente; annuiva spesso alle sue affermazioni, interrompendolo solo con domande pertinenti. Talvolta le dita della mano non occupata dal bastone si muovevano in modo ritmico, quasi a tracciare lettere nell'aria.
Durante la narrazione un lacchè entro con un vassoio di frutta fresca, ma nessuno dei due si servì. Ebbe il sospetto che il suo rispetto dei protocolli ed il decoro generasse in Orbert Vidala un misto di divertimento e ammirazione.
“Cosa mi sa dire invece del geomante?”
Si accorse di aver rimosso l'importanza ed il ruolo di Dew negli eventi, e lo aveva fatto senza nemmeno pensarci troppo su. Purtroppo al Vescovo quel dettaglio non era sfuggito. “Non molto, in realtà. Il suo ruolo in questa vicenda è passato in secondo piano rispetto all'incontro nell’Antilux. Avevo intenzione di farlo interrogare al Bureau per sicurezza, ma senza di lui temo che sarei morto. Non credo che sia una minaccia, almeno ad occhio”.
“Non credo le sfugga il dettaglio che i magi non si muovano mai per caso, Padre”.
Annuì, resosi conto di camminare sugli specchi.
Il Vescovo si appoggiò alla scrivania, pur senza sedersi. “Sono contento che lei sia tornato sano e salvo, ma far franare un edificio abitato non è qualcosa che chiunque di noi possa permettersi di soprassedere. Non abbiamo un nome, ma aiuterebbe una sua descrizione per diramare un mandato di cattura ufficiale da presentare alla Torre o alla Piramide in caso si trattasse di uno dei loro. La sua testimonianza e le evidenze del danno saranno vitali. Oltretutto, considerata l'instabilità nota del sottosuolo di Roma, il solo pensiero che un geomante sia a piede libero perplimerebbe chiunque”.
“Ovviamente”.
Non avrebbe potuto ottenere ulteriori sconti. Dewhellan avrebbe dovuto considerarsi fortunato a non avere la sua anagrafica schedata, ma in ogni caso era conscio della gravità dell'azione dell'altro. Il Bureau aveva emesso mandati di esecuzione contro i magi per molto meno, e nemmeno la Torre, che vantava una certa protezione per i suoi membri, avrebbe potuto mettere a tacere una cosa simile. “Fornirò tutte le informazioni sul geomante al suo ufficio. Roma è grande, ma non enorme”.
“Bene. In questa città si aprono abbastanza voragini anche senza lo zampino dei magi. Ma abbiamo ancora un paio di punti da discutere…”
Picchiettò sulla spilla a forma di occhio, quella che l’esecutore aveva già notato al primo incontro; la Firma latente nella stanza si avvicinò all'uomo in cerchi lenti. Non avvertì nulla di minaccioso, ma si mise in guardia. Gli occhi vennero calamitati dalla forma dell’orso verde, le vibrazioni delicate nell'aria che sembravano dargli vita propria. Sottili voci gli giunsero come sussurri privi di sorgente, e qualcosa di evanescente scivolò ai lati della sclera.
Fece un passo indietro, e la mano gli andò al fianco, alla ricerca dell'arma, finché tra le strane immagini fu certo di afferrare la sagoma di Freki.
“Immagino abbia visto qualcuno di familiare…”
La voce di Orbert Vidala entrò in sordina, con una velata traccia di curiosità. Mosse le dita una seconda volta sul gioiello, e i suoni e le immagini svanirono. “Se espansa in modo costante, la mia Firma avrebbe potuto generare un memento” disse “Creare un'area della grandezza di un appartamento non è un compito impossibile”.
“Sospetta che Pontieri la abbia eretta?”.
“No”.
Un paio di guardie bussarono e comparvero sulla soglia, allarmate dal rilascio di energia improvviso. Padre Tsekani si sentì subito gli occhi addosso, nemmeno fosse una minaccia, ma il Vescovo li liquidò con un cenno di assenso del capo. “I magi elaborano la Firma come degli animali, con tutto il rispetto per quelle creature. La sviscerano, la ricompongono, la accumulano nemmeno fossero delle batterie. Creare un memento è un atto di delicatezza. Un modo per indirizzarla ma lasciandola sempre andare dove Essa desidera. Non a caso, nei memento, ciascuno vede ciò che è importante per sé: non vi è nessuno a dettare le immagini. Angelo Pontieri è uno dei nostri, ma pur sempre un magus rimane”
Padre Tsekani annuì.
Il sottinteso era chiaro . “È implicato qualcun altro dei nostri”.
Non ci aveva pensato, certo. Ma aveva molto più senso di tante altre cose che aveva visto nel corso degli anni. Il magus pontificio poteva rivaleggiare col Vescovo in quanto a contatti, conoscenze e accordi fuori dalla Cupola, figurarsi al suo interno. Trovare qualcuno che realizzasse un memento ed allontanasse eventuali curiosi sarebbe stato un gioco da ragazzi per il magus fuggitivo. Purtroppo la casa di Antonio Zurlí non avrebbe più potuto raccontargli nulla, ed a parte chiedere un altro colloquio con Lucio Danieli per saperne di più sulla fine di Sara, la traccia che collegava il professore di matematica al magus sembrava persa nel nulla, a meno di non incappare nella misteriosa donna dai capelli blu per pura fortuna. Avrebbe dovuto chiedere al proprietario del ristorante di aiutarlo nell’identikit.
Orbert Vidala doveva condividere i suoi pensieri, perché aveva il capo chinato, la mascella serrata e gli occhi lattiginosi puntati verso il basso: durante il loro primo incontro gli era sembrato impenetrabile, ma in quel momento sembrava più stanco e più vecchio dei suoi veri anni. L'idea di un collaboratore attivo tra Pontieri e la Santa Sede si poggiava sulle loro teste come un'aquila sul proprio nido. Il paragone, seppur istantaneo, diede voce ad un pensiero che si era fatto strada. “Gli uccelli…”
La testa chiara del Vescovo si sollevò.
“Il cigno che mi stava aspettando, ed il gabbiano che ha ucciso il cameriere e che ho seguito… non mi sembrano opere di Pontieri. Che io sappia il suo dominio di controllo sono i contratti, mentre quei volatili ricadono più nella giurisdizione degli zoomanti. Dal nostro magus mi sarei aspettato un Sidhe, non un gabbiano”.
“Qualunque cosa stia facendo il nostro uomo, non è da solo”.
“Trovare un uomo della Cupola dentro Roma è difficile. Lei pensa che dovrei concentrarmi su uno zoomante? Se lei potesse farmi rilasciare dal suo ufficio una lista….”
Si fermò, notando che sulla faccia del teatino era apparso un sorriso. Non avrebbe saputo dire se vi fosse del sollievo in quelle labbra sottilissime, ma di certo vi notò un guizzo di scherno. “Se mi chiede una cosa del genere, Padre Tsekani, vuol dire che il suo superiore non le ha conferito un dettaglio molto importante” fece “Tipico di Padre Whiteflame disseminare le informazioni a suo piacimento”.
“Cosa dovrei sapere?”
“Che se dovessi cercare uno zoomante vicino a Pontieri non andrei a mettere Roma a soqquadro. Partirei dalla sua stanza da letto. Ha idea di chi sia la attuale signora Pontieri?”
Qualcuno in grado di far saltare le coronarie a Padre Whiteflame, pensò. Ricordò la loro prima conversazione nella metropolitana.
“Emma Nightshard. Figlia di Richard Nightshard, ma penso che il cognome non vi aiuti. La casata di zoomanti più antica e dotata d’Europa, nonché i rappresentanti della zoomanzia della Torre. L'unione tra la famiglia Pontieri e la famiglia Nightshard ha allentato i rapporti di tensione con la Torre, specie considerato il ruolo cruciale che il nostro magus svolge come scorta degli esecutori, e abbiamo ricevuto un orecchio alleato tra le lancette dell’Orologio” mormorò, scrollando le spalle. “Non intendo intromettermi nel suo lavoro, Padre, ma le chiederei di investigare in quella direzione: da parte mia, avrei più facilità a rintracciare qualunque membro della Cupola che potrebbe aver realizzato quel memento. Credo di potermi muovere meglio sotto la Cupola di Santa Madre Chiesa che fuori”.
“Una pista è buona come un'altra, a questo punto. Giusto…” esitò, in attesa che il Vescovo gli degnasse tutta l'attenzione possibile. Continuò solo quando l'altro fece un lento cenno del capo. “... non sono un diplomatico. Il mio lavoro prevede di questionare i magi senza alcun intralcio riguardante il loro cognome o il loro rango. Ne capisce le implicazioni?”
“Assolutamente”
Si avvicinò alla scrivania e ne aprì un cassetto. Ne estrasse un portagioie di velluto color porpora, e le dita ne fecero scattare il meccanismo. Padre Tsekani sentì le dita sottili del teatino rovistare all'interno, e ne estrasse una spilla grande quanto il suo pollice. Era ritratta la testa di un orso verde, dove gli occhi e la bocca erano stilizzati a ricordare i colli dell'ordine teatino. “In caso di ordini contrastanti, non esiti ad indossarla. Mi assumerò personalmente i rischi e le implicazioni politiche del suo operato”.
Gli venne accanto, invadendo il suo spazio personale, ma invece di appuntargliela in bella vista gliela attaccò al contrario, in modo che la testa dell'orso guardasse il suo petto e la fibbia si mescolasse tra le pieghe, i buchi e lo sporco della giacca.
“Trovi quel magus, Padre. L'intera sicurezza del Vaticano sarà in pericolo finché non tornerà all’ovile” mormorò “Se vivo o morto, a me non fa differenza”.

Padre Tsekani non aveva scelto il proprio alloggio per la grandezza o per la posizione. Lo aveva scelto per il parcheggio privato e la vicinanza al Raccordo Anulare, quindi non si era mai lamentato di quanto piccola fosse la casa o dei tossici che facevano un rumore assurdo nello spazio verde di fronte alla palazzina anche nella prima parte della serata.
Quella sera, di ritorno dal colloquio con il Vescovo, girare la toppa del suo monolocale e buttarsi sotto la doccia era la massima ambizione.
La casa odorava di chiuso. Da quanto mancava? Non era passato nel suo alloggio da quando era giunto a Roma.
Aprì le finestre e si slacciò ciò che restava della cravatta, buttandola sulla sedia con la consapevolezza che avrebbe dovuto ritagliarsi mezza giornata per acquistare un altro completo buono. Come ogni altra maledetta volta lo scaldabagno era scarico e lottò tra il desiderio di lavarsi immediatamente, nonostante l'acqua fredda, o attendere una mezz'ora che si scaldasse al minimo. Vinse la seconda, e ingannò l'attesa contemplando il vuoto del frigorifero; ringraziò la sua proverbiale previdenza per i secondi ed i contorni stipati nel surgelatore, e lasciò sul minuscolo tavolo una porzione di pollo e patate da riscaldare in padella. Mise il suo portatile scassato in carica, poi entrò sotto la doccia.
A El-Gebal l'acqua era poca. Pochissima.
Arrivava con un camioncino in delle taniche, e sua madre gliene faceva portare anche tre alla volta. Erano contate, e c'era sempre qualcuno che si portava via anche quelle che non avrebbe dovuto, quindi i suoi non facevano mai due viaggi. Alcuni dicevano che il nuovo presidente avrebbe portato l'acqua corrente ovunque, ma da che Tsekani fosse a conoscenza molti villaggi erano ancora come quando lui li aveva lasciati.
Sua madre organizzava il bagno con grande precisione. Metteva da parte l'acqua delle taniche un po’ per volta, quando loro erano troppo impegnati a litigarsi i datteri, ed ogni quindici giorni li strigliava uno ad uno, anche a lui che a quindici anni non aveva alcuna intenzione di farsi lavare nella vasca come un poppante.
Anche adesso, dopo tutti quegli anni, per quanto si lavasse i capelli con tutta l'acqua che El-Gebal poteva consumare in un mese, gli sembrava che non venissero mai puliti come quando era lei a massaggiargli la testa intimandogli di non sbuffare. Ogni tanto, durante stupidi momenti di fantasia, gli sarebbe piaciuto portarla a Roma e lasciarle fare una doccia lunga ore e ore.
Suo padre… forse no. Non avrebbe capito quello spreco. Ma gli sarebbe piaciuto andare in macchina fino al mare.
Il suono del campanello interruppe tutti i pensieri in un istante.
Nessuno, in tanti anni, aveva mai suonato.
Non riceveva mai posta, e la corrispondenza del lavoro arrivava alla Santa Sede. Si diede una calmata, dandosi del paranoico: magari era qualcuno per il contatore, o solo i vicini. Lo scampanellare continuava, e si buttò addosso la prima tuta da casa che avesse. Fece per aprire, ma per abitudine tornò indietro e mise uno dei suoi coltelli sotto l'elastico del pantalone.
Una precauzione.
Precauzione che andò vicinissima all'utilizzo quando aprì la porta, ritrovandosi un problematico ciuffo blu proprio sotto il naso.
“Ciao, Kani. Posso entrare, vero?”
“No”.
Gli chiuse la porta in faccia.
Il campanello riprese a suonare. L’esecutore contò almeno tre minuti, e il suono insopportabile non cessò. “Te ne vuoi andare?” tuonò, sicuro che Dew potesse sentirlo “Attirerai tutta la palazzina”.
“Con tanti saluti alla segretezza del tuo lavoro, Kani. E alla tua serenità mentale. Se fossi in te, aprirei la porta”.
Se qualcuno dei vicini avesse segnalato Dew, la sicurezza del Vaticano ci avrebbe messo davvero poco ad intervenire. Si ricordò di non dover imprecare, poi aprì la porta con l'espressione più infuriata che avesse. Espressione che avrebbe dovuto perfezionare, perché il magus varcò la soglia con un sorriso a trentadue denti. “L’ho capito subito che eri una persona ragionevole. Avrei potuto farti saltare la serratura ed i cardini, ma hai capito da solo che questa era la scelta migliore”.
All’esecutore stava saltando qualcos'altro.
Chiuse la porta prima che qualcuno si affacciasse. “Hai idea che la Santa Sede vorrebbe la tua testa? E, se ti trovano qui dentro, anche la mia?”
“Basta che non mi trovino, allora”.
La faccia da schiaffi, nonostante il tono spavaldo, era tutto tranne che rilassata. I capelli erano ricoperti di sporco, polvere e qualunque cosa fossero dei piccoli grumi maleodoranti che facevano capolino sul cranio. Un dedalo di tagli superficiali gli copriva mezzo viso, e la maglietta bianca aveva cambiato colore. Gli occhi guizzavano da tutte le parti, e gli tornò in mente la scena in macchina. “Se vuoi tiro anche fuori la carta dei sensi di colpa. Ho fatto crollare il palazzo per salvarti la pelle”.
“E io ho impedito che gli uomini del Vescovo ti sparassero in fronte. Non ci provare, non mi sento in debito”.
“Che bello, vedi che siamo amici? Tra amici non ci sono debiti! E non negheresti un riparo ad un amico in difficoltà, vero?”.
L’esecutore si diede dell’imbecille per aver iniziato un confronto dialettico con un magus dopo una giornata del genere. L’indiscusso desiderio di prenderlo e buttarlo fuori dalla finestra venne fermato solo dal pensiero che con una caduta dal primo piano non gli avrebbe fatto nulla, in compenso non avrebbe avuto i soldi per pagare un fabbro e rimettere a posto eventuali danni alla sua povera porta blindata se il magus avesse deciso di mettere in pratica le sue minacce e entrargli in casa con la forza.
L'altra idea, quella che coinvolgeva l'arma che aveva nascosto sotto i vestiti… “Dammi un motivo per cui non dovrei portarti al Bureau e ricevere invece un aumento”.
Quello sollevò entrambe le mani, poi senza chiedere alcun permesso si buttò sul divano. All’esecutore non sfuggì il tremore alle gambe che accompagnò la discesa. “Piantala di minacciarmi a vuoto, Kani. Lo sappiamo tutti e due che non mi consegneresti” fece. Dalla tasca tirò fuori la sua moneta, ma invece di lanciarla in aria se la appoggiò sul ginocchio. “Se davvero mi credessi una minaccia, a quest'ora sarei ad un processo o attaccato ad una pira. Quindi piantala di fare la voce grossa e indicami il bagno. Sempre che tu non voglia che io mi sdrai sul divano senza farmi una doccia”.
L’esecutore mandò un sospiro inarticolato.
Odiava quando gli altri avevano ragione.
  
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