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Autore: lulla46    23/09/2009    0 recensioni
Questa ff potrebbe sembrare la solita copia di Twilight, con la ragazza che si rispecchia nel ruolo di Bella... Ma non è così. Anche se la ragazza porta il mio nome non sono io, è solo che mi piaceva per una protagonista che viene da un'altra epoca, e che soprattutto è italiana. Anche se è la mia prima ff, spero vi piaccia. Spero che commentiate. Grazie a tutti in anticipo... Ciao!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nuova vita

Nuova Vita



La pioggia picchiava forte sulla finestra. La stanza era poco illuminata quando aprii gli occhi. Riuscivo a malapena a vedere l’inutile mobilio usato per arredare la mia stanza: una scrivania in mogano con un PC portatile quasi mai acceso ed una lampada per studiare appoggiati sopra; l’armadio a destra della scrivania, era in legno massello con tre ante; sul pavimento c’era un tappeto in moquette bianca, disposto al centro della stanza.
Mi girai per vedere l’ora. Le sei e trenta. Era troppo presto per prepararmi al mio primo giorno di scuola alla Forks Hight School, ma decisi di alzarmi lo stesso.
Scesi in cucina malgrado non avessi voglia di fare colazione, così mi limitai a bere un bicchiere d’acqua e salii di nuovo in camera per decidere come vestirmi.
Ho sempre pensato che il mio armadio fosse troppo piccolo per la quantità di vestiti che possedevo. Nel mio caso era meglio una stanza guardaroba, ma questa casa era troppo piccola quindi mi dovetti accontentare.
Come non detto, appena aprii le ante rischiai quasi di essere travolta da un pila enorme di vestiti, ma riuscii ad evitarla e scelsi tra quelli caduti a terra un paio di jeans scuri con un maglione lungo bianco, al quale abbinai una cinta scura e degli stivali scamosciati beige.
Presi il tutto e lo buttai sul letto.
A quel punto corsi in bagno, e diedi una sbirciatina allo specchio. Oh. Mio. Dio. Ero in condizioni terribili dopo la caccia di ieri sera. Mi tolsi di corsa i pantacollant neri e la canottiera viola che usavo come pigiama lasciandoli cadere sul pavimento e mi infilai sotto la doccia. Regolai l’acqua ad una temperatura sufficiente a non ustionarmi ed iniziai a massaggiare con lo shampoo. Sapeva di muschio. Mi fece tornare in mente il lungo dove ero cresciuta. Quando mia madre era ancora viva uscivamo spesso dal palazzo e andavamo a fare lunghe passeggiate: il sole che brillava sulla pelle, irradiando mille arcobaleni; il vento che soffiava, fresco, leggero, piacevole; i fiori, un mantello profumato e coloratissimo…
Fu il cane dei Russel a ricongiungermi al presente, sicuramente aveva visto l’ennesimo scoiattolo.
Uscendo dalla doccia mi accorsi che, sovrappensiero, avevo quasi finito l’intera boccetta di shampoo. Così sgattaiolai in camera per vestirmi, ma l’occhio mi cadde sulla sveglia. Le sette e quaranta. Ora si che ero in ritardo!
Mi affrettai ad indossare i vestiti e per poco non inciampai su quelli ancora per terra. Corsi in bagno per sistemarmi i capelli: erano mori, lunghi fino a metà schiena, ed ero agevolata dal fatto che fossero mossi quindi mi ci volle un attimo per sistemarli. Appena ottenni un risultato discreto uscii dal bagno e feci un salto dalla ringhiera per evitare di perdere tempo ad inciampare sugli scalini come una qualunque umana.
Atterrai perfettamente in equilibrio sul parquet scuro che c’era all’ingresso. Afferrai di corsa l’enorme borsa di Gucci che usavo come zaino, il giacchetto di pelle rossiccio e volai sul vialetto sbattendo la porta.
Davanti casa c’erano parcheggiati i due lentissimi –in confronto a me- mezzi di trasporto che usavo per muovermi in città. Una Porche Carrera GT bianca come macchina e una Ducati 1098s nera come moto. Visto che pioveva ancora e il cielo sembrava non voler smettere per il resto della giornata, decisi per la Porche.
Appena girai la chiave il motore inizio subito a fare le fusa. Feci retromarcia per uscire dal vialetto e imboccai subito la strada per andare a scuola.
Per la fretta mi ritrovai a 155 su una strada con limite 80.
Durante il tragitto mi ritrovai a pensare ad un vampiro di cui mio zio parlò una volta: Carlise Cullen. Basandomi su ciò che mi aveva detto, doveva essersi stabilito nei pressi di questa cittadina. Chissà se lo avrei incontrato durante il mio soggiorno qui; ero molto curiosa, perche lui adottava un’alimentazione che definivamo “vegetariana”… L’alimentazione che mia madre scelse per me.
Il suono della campanella mi fece tornare alla realtà, e mi affrettai –visto che mi trovavo ancora in macchina- verso l’entrata.
Nel camminare verso la segreteria mi accorsi di un piccolo particolare: mi fissavano tutti.
Oddio, perché mi fissano!
Non mi ci voleva molto ad entrare nel panico. Tutti gli occhi erano puntati su di me, come se fossi la prima e l’ultima novità dell’anno scolastico appena iniziato, qualcosa su cui sparlare e montare storie fondate su false voci di corridoio.
Tirai un sospiro di sollievo quando vidi la Segreteria. Appena aprii la parta fui invasa da un odore talmente dolce da essere quasi nauseante. Mi feci forza e mi avvicinai per chiedere informazioni.
La signora che mi accolse aveva un’aria gentile. I capelli corti biondi e ricci la facevano sembrare un angelo. Il viso era solcato da rughe non molto profonde, poche in confronto alle altre donne della sua età. In confronto al mio metro e settantasei, non era molto alta.
Appena mi avvicinai vidi i suoi occhi illuminarsi e la bocca spalancarsi in un sorriso accogliente. Sulla targhetta, che portava attaccata al maglione rosa, c’era scritto il suo nome: Mrs. Baker.
-Posso esserti d’aiuto, tesoro?- disse con tono materno.
-Salve, sono quella nuova- a giudicare da come mi guardavano in corridoio era ovvio che tutti sapessero del mio arrivo.
-Oh tesoro, ti stavamo aspettando. Sei… Lucrezia. Lucrezia Devinson- il tono con cui pronunciò il mio nome era incerto, ma il sorriso che lo segui mi rassicurò subito.
-Si, sono io. Oggi è il mio primo giorno e sono un po’ agitata- in parte era vero. Mi agitavo sempre ogni primo giorno di scuola.
-Oh, non preoccuparti. Vedrai che andrà benissimo. E poi con quel bel faccino che ti ritrovi, non sarà difficile fare amicizia- ed era proprio quello che volevo evitare: fare amicizia. Sono troppo emotiva per sopportare gli addii, quindi risolvevo il problema in partenza evitando di parlare con chiunque.
Le mie congetture mentali furono interrotte da Mrs. Baker, che iniziò a parlarmi mentre prendeva i vari fogli, che –come sempre- avrei dovuto riportare a fine giornata firmati dai professori.
-Ma dimmi, tesoro… Che bel nome che hai, è italiano presumo. Hai qualche parente lì?- la sua voce provava a tranquillizzarmi –visto che avevo ridotto il foglio che tenevo in mano in mille pezzettini- ma allo stesso tempo era curiosa.
-Si, un paio di zii… Ma non lì vedo da un po’ di tempo- si accorse che il tono della mia voce era diventato malinconico, quindi cambiò velocemente discorso.
-Oh, sono sicura che lì rincontrerai presto… Tieni, questi me lì devi riportare firmati dai professori al termine delle lezioni. Buona giornata, tesoro e… Benvenuta alla Forks Hight School-.
La salutai e mi affrettai ad uscire, per poi avviarmi verso l’aula di matematica.
Decisi di fare un’entrata indolore, quindi spalancai subito la porta –Scusi per il ritardo, ma…-
Che stupida! Sei proprio un genio, lo sai?!
Si voltarono tutti. Perfino il professore.
Mi guardava in modo strano: all’inizio sembrava infastidito dalla mia –bisogna ammetterlo- entrata con effetto sorpresa, poi però sembrava ipnotizzato. Si ricompose soltanto quando chiusi la porta.
-Ehm… ecco… dunque… Ti stavamo giusto aspettando Signorina Devinson- disse cercando di riacquistare il solito tono di voce fermo e severo.
-Si, mi scusi, è solo che non riuscivo a trovare l’aula e…- avevo talento per le bugie.
-Si, si… Ora vai a sederti. Lì c’è un posto libero- seguii le sue istruzioni. Il posto vuoto era esattamente al centro dell’aula.
Mi accomodai e la lezione riprese. Mi limitai a prendere appunti e ad ascoltare le solite cose banali e noiose che si spiegavano in terzo liceo.
La giornata trascorse così, tra un’aula e l’altra. Durante la pausa pranzo, entrando nella mensa, mi accorsi che –di nuovo- mi fissavano tutti e, inoltre, li sentivo commentare ogni mio gesto.
-Sicuramente fa la modella e si è trasferita qui per motivi di lavoro- disse una ragazza di nome Jessica.
-No. Secondo me i genitori hanno ricevuto un offerta di lavoro da queste parti e lei li ha seguiti, tutto qui- la voce era sempre femminile, ma non era la stessa di prima. Questa ragazza si chiamava Angela.
-Io dico che ha combinato qualche guaio nel posto in cui si trovava prima ed i suoi genitori l’hanno obbligata a trasferirsi qui- questa -sempre fatta da una ragazza- sembrava più un’affermazione, che una supposizione. Inoltre avevo colto una nota acida, come se fosse invidiosa o qualcosa del genere.
-Ma che dici, Lauren- la riprese un ragazzo, Tyler -Lei è… bellissima- disse infine.
-Su questo hai ragione- disse un altro ragazzo, credo si chiamasse Eric.
-Secondo voi… se la invito a sedersi al nostro tavolo…- disse più timidamente Mike, il ragazzo che completava la comitiva seduta al tavolo che mi era alle spalle.
-Non dire sciocchezze, Mike!- a quel punto il suo tono di voce si era alzato a tal punto che, né io, né i ragazzi che si trovavano lì intorno, potemmo fare a meno di voltarci.
Le sue guance diventarono rosse, sentivo il suo cuore battere all’impazzata per l’imbarazzo, e mi guardava dritto negli occhi per paura che avessi sentito la conversazione –e in parte era vero-.
La tentazione fu troppa, e mi avvicinai –Ciao- la mia voce sembrava più decisa del solito.
-Ciao- mi risposerò uno dopo l’altro.
-Scusatemi ma… non ho potuto fare a meno di ascoltare una parte della vostra conversazione, posso esservi d’aiuto in qualche modo?- io miei occhi –diventati di una tonalità lilla, per la caccia- lì fissarono con dolcezza uno ad uno. Perfino Lauren, che mi guardavo con gli occhi sgranati e la bocca aperta.
Fu Mike a parlare per primo –Ci chiedevamo… se avevi voglia di… pranzare con noi…-.
Riuscii a sentirlo per miracolo –Certo, mi farebbe molto piacere-.
Sembravo una maestra che parlava con i suoi alunni della prima elementare, ma mi stavo divertendo. Era un nuovo gioco per me.
Passai il resto della pausa pranzo tra gli occhi da pesce-lesso di Tyler che mi fissavano e le occhiate accusatrici di Lauren, condite con i discorsi infiniti di Jessica e le prese in giro di Eric e Mike; l’unica che disse poco e niente fu Angela… questo era già un punto a suo favore!
Prima di tornare a casa, passai al supermercato. Quindi misi a posto la spesa mentre ingurgitavo un panino e, appena ebbi terminato, andai in camera per fare i compiti.
Finii tardissimo e, stanchissima, crollai sul letto.
  
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