Capitolo 20-13: Destinazione
Michael era appoggiato alle sbarre fredde della nave, il suo sguardo perso nel porto di Magnus che, lentamente, si faceva sempre più piccolo fino a scomparire oltre l'orizzonte.
L’aria salmastra gli riempiva i polmoni, era la prima volta che metteva piede in una nave diretto verso un'altra nazione.
I gabbiani danzavano nel cielo sopra di loro, mentre le onde si infrangevano ritmicamente contro lo scafo. Gli uomini di Ark, intenti nei loro compiti, lavoravano come gli ingranaggi di una macchina ben calibrata, accompagnandolo in quel viaggio.
Michael sospirò, stringendo le dita contro le sbarre che lo separavano dall'oceano.
Avrebbe davvero trovato le risposte che cercava, a Savia? Vali Tiamat era la chiave per comprendere il mistero di quelle fiamme azzurre, o si sarebbe rivelato un fallimento?
Con un gesto deciso allungò una mano davanti a sé, quindi chiuse gli occhi.
Lasciò che i rumori intorno a se scomparissero, concentrandosi sul calore che bruciava dentro di lui.
Invocò quindi il nome del suo spirito, sperando di riuscire a controllare quelle fiamme ancora in parte sconosciute.
Una fiammata familiare rossa viva illuminò la sua mano.
Non era ciò che stava cercando.
Trattenne il fiato sperando che, in qualche modo, potessero cambiare... Ma quelle fiamme rimasero uguali.
Sospirò, chiudendo il pugno e spegnendo quella vampata, quindi si accasciò alle sbarre in metallo e fissò le onde che si scontravano contro il vascello.
<< Perché non ci riesco? >>
Sussurrò, il peso delle sue aspettative più opprimente del mare che lo circondava.
<< Cosa sto sbagliando...? >>
Con la coda dell'occhio notò una figura dirigersi verso di se: alzò quindi lo sguardo, abbastanza per vedere Vermilion avvicinarsi.
Aveva sostituito l’armatura cerimoniale con un abbigliamento più pratico e leggero: una veste bianca abbinata a pantaloni neri e aderenti, rinforzati da protezioni leggere con venature scarlatte. Un pezzo d’armatura argentata le copriva le gambe fino alle ginocchia, i suoi capelli legati a coda di cavallo.
<< Tutto bene? Soffri di mal di mare? >>
Gli chiese con un tono calmo, con un accenno di curiosità e preoccupazione.
<< No, sto bene… Vorrei solo capire perché non riesco a usare quelle fiamme…>>
Michael scosse il capo, la sua voce appena incrinata.
Vermilion si portò una mano al mento.
<< Forse il Dottor Lingard ha ragione. >>
Gli disse, riflettendo ad alta voce.
<< Forse Phoenix ha solo sbloccato qualcosa che già esisteva dentro di te. Quelle fiamme potrebbero non essere legate a lei. >>
<< Pensi anche tu che siano qualcosa di mio? >>
Le domandò Michael, voltandosi finalmente verso di lei, i suoi occhi carichi di speranza e, anche, dubbi.
<< Non lo so per certo. >>
Gli rispose, sollevando le spalle.
<< Ma è quello che stiamo cercando di scoprire, no? >>
Michael tornò a fissare il mare, il tumulto delle acque sembrava rispecchiare i suoi pensieri.
<< Voglio essere utile… Non voglio più essere quello che gli altri devono sempre salvare. >>
Vermilion si appoggiò quindi di spalle alle sbarre accanto a lui, incrociando le braccia davanti al petto. Un leggero sorriso comparve sulle sue labbra.
<< Sei ancora giovane e inesperto. Nessuno si aspetta che tu sia perfetto. Il fatto che siate sopravvissuti a non uno, non due, ma ben tre assalti dei Generali di Bael è già straordinario. Persino Arthur, alla tua età, non aveva visto così tanta azione. Solamente Andromeda può vantare di aver avuto esperienze di quel tipo. >>
Dopo una breve pausa gli posò una mano sulla spalla, scuotendolo delicatamente con una presa ferma e incoraggiante.
<< Troveremo il segreto di quelle fiamme, non preoccuparti troppo. >>
Prima di partire, Ehra prese in disparte i due ragazzi per dare loro dei consigli sul viaggio che stavano per affrontare.
Michael non era in grado di parlare il Saviano ma, fortunatamente per lui, gli venne affidato un'accompagnatrice che imparò quella lingua alla perfezione e avrebbe agito da tramite, se necessario.
La barriera della lingua, però, si sarebbe rivelata essere l'ultima cosa di cui avrebbero dovuto preoccuparsi.
Con loro stupore, Ehra decise di parlare dei Divini e di Vali Tiamat, permettendo ai due ragazzi di avere una idea più chiara su chi stessero per incontrare.
Ehra rivelò loro che Vali, in un passato ormai dimenticato, fosse un umano esattamente come loro.
Michael le domandò in che modo un umano potesse diventare un dio, ma la donna evitò rapidamente l'argomento.
Vali Tiamat altri non era se non un "Osservatore", un qualcuno il cui scopo era quello di tenere d'occhio i mortali e intervenire per risolvere problemi che da soli altrimenti, non sarebbero mai riusciti ad affrontare, evitando di disturbare "entità superiori con compiti ben più specifici".
Ehra spiegò anche che Vali fosse un "Divino di basso rango", ma "non significa che lui sia debole".
"Perfino il mortale più forte in tutto il creato non si avvicina al Divino più debole."
Disse ai due ragazzi che a stento riuscirono a credere alle parole della donna, e le domandarono se fosse sicuro rivelare loro informazioni di quel tipo.
"Se non fosse sicuro..."
Disse loro la donna.
"Lui non me lo avrebbe permesso."
Quelle parole colsero i due ragazzi alla sprovvista che chiesero spiegazioni, spiegazioni che non arrivarono.
I Divini, a causa della loro forza indescrivibile e autorità, sono obbligati a seguire delle regole precise per evitare di causare conflitti sia tra loro che con i mortali.
In primis, non hanno il permesso di scontrarsi tra loro, cosa che altrimenti rischierebbe di mandare in frantumi la realtà stessa.
Una delle regole più importanti, inoltre, afferma che "non hanno il permesso di fare del male ai mortali, a meno che non siano questi ultimi ad attaccarli per primi".
Questa regola, disse Ehra, era molto importante: pur essendo conscia del fatto che Vali non nutrisse alcuna ostilità verso i mortali, era importante che loro ne fossero a conoscenza.
"Per nessun motivo..."
Disse loro.
"...Dovete attaccare un Divino, indifferentemente da ciò che possa dire o fare."
Vermilion, incuriosita da quella regola, le domandò per quale ragione avesse voluto dirglielo se fosse certa del fatto che Vali non avesse cattive intenzioni.
Ehra esitò per qualche istante.
"Ho paura che qualcun altro abbia posato i suoi occhi su di noi."
Fu la sua risposta, la sua espressione pallida fece preoccupare Vermilion.
"Questa regola è molto importante... Per accertarmi della vostra sicurezza in caso incontriate lui."
Finalmente, i due ragazzi chiesero di chi stesse parlando.
"Non... Ho il permesso di dirvi altro. Quando lo incontrerete, chiedete a Vali Tiamat cosa possa dirvi di un certo Zhitia. Questa è l'unica cosa che posso dire, su di lui."
Quel nome sconosciuto continuò a riecheggiare sopra le teste della coppia durante il loro viaggio verso Savia, durante il quale continuarono a chiedersi di chi potesse trattarsi.
Provarono a chiedere anche ad Ark, ma perfino il Cancello del Paradiso non sembrò avere la benché minima idea di chi quella figura fosse.
Nel mentre ad Avalon il gruppo comandato da Sarah Ravier si stava preparando a lasciare la capitale, con obiettivo la Fabbrica Aberon, il Dottor Wilhelm Arus e Marianne Alcher.
Il convoglio lasciò le porte di Magnus attraversando strade polverose che li avrebbero portati nella zona industriale ormai caduta in rovina, dove supponevano il Dottore si stesse nascondendo, un intreccio di carrozze e cavalieri che si muovevano con precisione e attenzione.
Gli zoccoli dei cavalli picchiettavano nel terreno con un ritmo costante sulla strada sterrata, mescolandosi ai cigolii delle carrozze dentro cui sedevano coloro che avrebbero preso parte in prima linea alla missione.
Nella prima carrozza sedevano Sarah Ravier e suo padre, accompagnati dal Dottor Lingard, Ehra e Andromeda, l'atmosfera carica di concentrazione e tensione.
Sarah sedeva composta ma visibilmente preoccupata dal ruolo di comando che il padre le offrì: non sapeva se stesse semplicemente mettendo alla prova le sue capacità da leader, o se avesse qualche altra motivazione, ma non ebbe il coraggio di chiederglielo.
Con una mano indicò punti strategici intorno alla Fabbrica Aberon, sfruttando una mappa che le consegnò suo padre mentre i suoi subordinati ascoltavano in silenzio gli ordini della seconda in comando.
Nonostante fosse visibilmente calmo, il Dottor Lingard continuò incessantemente a picchiettare con un dito sulla stoffa della panca su cui era seduto, mentre Andromeda rimase in silenzio a osservare il paesaggio con una espressione severa, quasi come se si stesse preparando a qualsiasi genere di evenienza.
La sua espressione si alleggerì improvvisamente quando Iris scese di quota, avvicinandosi in volo alla sua carrozza e salutandolo per un istante prima di tornare a fianco di Belzebub, con il quale continuò a scrutare il terreno intorno a loro alla ricerca di qualunque genere di minaccia, essendo in grado di percepire la presenza di altri demoni molto più facilmente rispetto ai loro "colleghi umani".
La seconda carrozza trasmetteva invece un'energia diversa, rispetto alla prima.
Lancelot rimase in silenzio a meditare con gli occhi chiusi, cercando in tutti i modi d'ignorare le voci squillanti e divertite di Gwenevre e Viviane che invece parlavano del più e del meno mentre il loro maestro Merlin continuò ad ascoltare i suoi discepoli con un grosso sorriso gentile in volto.
La terza carrozza, invece, era colma di pensieri diversi.
Seryu sedeva vicino alla finestra, avendo ormai ricevuto il permesso di Lingard per prendere parte alla missione, dopo essersi assicurato che stesse bene.
Le mani del ragazzo tremavano mentre giocava con il pendente che portava al collo, un regalo che si scambiò con sua sorella poco prima che venisse rapita.
I suoi pensieri erano sommersi da vortici incessanti di preoccupazioni e speranze: la possibilità di rivedere sua sorella lo riempiva di energia, ma il pensiero di cosa avrebbe potuto trovare all'interno di quella fabbrica, o dello stato di Marianne, lo terrorizzava.
Jessica provò più volte a confortare il suo compagno, ma con ben poco successo. La ragazza posò quindi il suo sguardo malinconico fuori dal finestrino, posandolo inconsciamente sulla carrozza in cui si trovava Ehra.
Tesla, silenzioso e concentrato, grugniva tra se e se con le braccia conserte davanti al petto, ripensando agli scontri passati e a come avrebbe potuto diventare più forte mentre Xane, cercando di nascondere le sue stesse preoccupazioni, lo prese in giro per i versi che stava facendo, facendo scappare delle risate genuine ai suoi amici in una situazione che sapeva fosse precaria per tutti quanti.
Il paesaggio intorno a loro era dominato da colline verdi e rigogliose, alberi folti che si allungavano verso il cielo le cui chiome vive danzavano con il vento. Campi di grano dorati interrotti da ruscelli che scintillavano sotto la luce del sole, l'aria profumava di fiori, i canti degli uccelli si mischiava al ritmo costante delle ruote delle carrozze e degli zoccoli dei cavalli.
Pian piano che il convoglio avanzò, però, il panorama cominciò lentamente a cambiare.
Le foreste cominciarono a diventare più scarne, gli alberi scheletrici con rami spogli, mentre i capi dorati lasciarono spazio a terreni abbandonati e aridi, la cui vegetazione si era ormai ridotta a semplici ciuffi d'erba secca e sterpaglie.
Il vento, che fino a poco tempo prima trasportò il profumo della natura viva e serena, ora portava con se un odore acre di polvere e terra bruciata.
Quindi cominciarono ad apparire le prime traccie di rovina: case crollate che un tempo appartenevano ai lavoratori con pareti diroccate e tetti collassati.
Un silenzio innaturale dominava quel luogo, interrotto solamente dal costante cigolio di macchinari abbandonati ormai lasciati al loro destino, superando strade e vecchi cartelli stradali ormai scoloriti dal tempo.
Arrivati alle soglie della zona industriale, lo scenario si fece ancora più spettrale.
La terra, nera e screpolata, sembrava letteralmente morta: era colma di macerie che un tempo appartenevano a edifici importanti, dentro cui inoltrarsi con le carrozze si rivelò essere una impresa.
Qui e li videro i resti metallici di macchinari abbandonati avvolti da rami secchi, quasi come se anche la natura avesse rifiutato di reclamarli.
Lentamente avanzarono con attenzione per le strade dissestate e colme di detriti, scrutando ogni singolo angolo per assicurarsi di non essere colti alla sprovvista da demoni o altre macerie, il suono dei loro movimenti riecheggiava per quelle rovine amplificando la sensazione di vuoto e solitudine.
Ogni tanto davanti a loro si presentò qualche edificio che, in qualche modo, riuscì a resistere al tempo, pur avendo le finestre spaccate e i muri crepati.
Finalmente raggiunsero la loro destinazione: la Fabbrica Aberon, un tempo un colosso industriale, ormai altro non era se l'ombra di ciò che era un tempo.
Un mix di tubature arrugginite e muri pericolanti che sarebbero potuti crollare da un momento all'altro, inizialmente alcuni soldati si domandarono se quel posto fosse veramente la loro destinazione e di come qualcuno potesse nascondersi al suo interno.
La facciata principale, annerita dal tempo e da vecchi incendi, si ergeva sopra di loro come un'ombra minacciosa.
I soldati finalmente arrestarono la loro marcia, quindi scesero dai loro destrieri e dalle carrozze e cominciarono a disporsi in modo ordinato e a mettere su un campo operativo provvisorio.
Con un movimento rapido e rigido Seryu saltò giù dalla carrozza che lo accompagnò, quindi alzò lo sguardo verso la fabbrica.
Per la seconda volta, si ritrovò faccia a faccia con quel luogo.
La struttura si ergeva sopra di lui, un groviglio di mattoni e metallo arrugginito che sembrava emanare un'aura opprimente, facendo crescere un'ansia opprimente dentro il suo petto.
Quindi inspirò profondamente, permettendo che la sua energia magica fluisse all'interno delle sue vene: i suoi occhi brillarono di un verde pallido, mentre cercò disperatamente d'individuare l'energia vitale di sua sorella all'interno della fabbrica... Tuttavia, per quanto provasse, non riuscì a percepire nulla.
Gradualmente il bagliore nei suoi occhi si spense, lasciando spazio a uno sguardo abbattuto.
Sospirò, un suono carico di frustrazione e dolore.
Lentamente Jessica, che osservò quella scena in silenzio, si avvicinò a lui e gli toccò delicatamente la spalla con una mano.
"La troveremo."
Gli disse, sorridendogli.
Seryu annuì, ma il peso che portava dentro era evidente: non riuscì a ricambiare il sorriso ricevuto.
I suoi occhi rimasero fermi sulla fabbrica Aberon, quasi come se stesse cercando di scrutare oltre quelle mura in rovina, alla ricerca di sua sorella.
Dopo qualche istante però distolse finalmente lo sguardo, dando le spalle a quel minaccioso complesso.
Senza dire nulla si diresse quindi verso il campo operativo, sperando di ricevere ordini e informazioni il prima possibile per scendere sul campo in persona.
I suoi movimenti erano decisi ma, allo stesso tempo, tormentati: ogni passo era accompagnato dalla determinazione che avrebbe fatto tutto il necessario per salvare sua sorella; questa volta non l'avrebbe delusa, l'avrebbe salvata a qualunque costo.
Alle sue spalle Jessica l'osservò in silenzio mentre si allontanò da lei, una mano preoccupata sul suo petto.
Quindi anche lei si voltò verso la fabbrica, stringendo i pugni.
La missione di salvataggio, e di cattura, ebbe finalmente inizio.
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Qui si conclude il capitolo 20-13, grazie di avermi seguito e alla prossima!