Spazio dell'Autrice
Nota preliminare per scusarmi di non avere ancora risposto alle bellissime recensioni che mi avete lasciato: MEA CULPA. Però ho scritto molto — non so se è una valida scusante, ma questo capitolo è parecchio lungo e succoso. Spero vi piaccia e che non mi odierete troppo, alla fine. Non troppo, perché un po' sicuramente mi odierete.
Capitolo 13 - Bess
Bess era immersa nell’acqua.
I rumori erano attutiti da un ronzio, la visione ristretta, il cuore un tamburo insopportabile. Stava per morire? Sentì una spirale di panico risalire dalle budella e comprimerle il petto. Cominciò a strapparsi di dosso gli abiti che la stavano soffocando.
Mani decise la sollevarono, e per un attimo le parve di galleggiare, senza peso, in un liquido denso e vischioso. Passi, scalini. Una porta, aperta e richiusa. Era nelle sue stanze. Voci familiari che parlavano attorno a lei. Cosa dicevano? Non sentiva.
Si sforzò di capire, ma il campo visivo sfocò ai lati e barcollò in avanti. Fu afferrata e rimessa in piedi; dita veloci corsero sui lacci lungo la colonna vertebrale.
Prese una rumorosa boccata d’aria quando il corsetto fu allentato abbastanza da permetterle di espandere appieno la cassa toracica. Qualcuno le sfilò l’indumento dalla testa, la accompagnò a letto e le si sedette accanto.
Era Mag.
“Bess? Cosa succede? Cosa devo fare?”. Il tono era allarmato.
Fissando il vuoto davanti a sé, Bess non riuscì a rispondere. Il battito del cuore accelerò di colpo a un ritmo spaventoso. Fu certa che le sarebbe scoppiato e sarebbe morta.
Udì, lontanissime e irreali, una serie di voci che discutevano. Il calore di Mag al suo fianco sparì.
La stretta al petto si fece più forte. Bess si artigliò la camicetta. Stava per succedere.
Stava per…
Un attimo dopo un viso familiare entrò nel suo campo visivo. Seba si inginocchiò davanti a lei e le prese le mani tra le sue.
Tremando e sudando freddo, Bess piantò lo sguardo su quegli occhi castani che la guardavano con sicurezza. La bocca del soldato si muoveva formando parole di conforto che Bess non riusciva a sentire.
Si concentrò su quelle.
Guardami.
Bess obbedì. Gli strinse le mani con tutta la forza che le restava in corpo. Non voleva succedesse. Non poteva. Non di nuovo.
Restò concentrata su Sebastian, studiandone ogni angolo del viso: le labbra che continuavano a mormorare cose incomprensibili, la pelle chiara, il naso dritto, gli occhi determinati, i capelli biondissimi che gli ricadevano umidi sulla fronte.
Dall’orlo del baratro, lentamente, Bess tornò in sé.
Il battito cardiaco scemò a un pulsare sordo. Il tremore cessò. Le rimase con un velo di sudore gelato addosso, ma almeno non le sembrava più di dover morire da un momento all’altro. Allentò la presa sulle mani.
Ancora in ginocchio di fronte a lei, Seba era così tragicamente bello e preoccupato che a Bess tremarono le gambe, e si ritrovò a combattere contro l’improvvisa necessità di lanciarglisi addosso e rannicchiarsi a piangere contro il suo collo. Per vincere l’inappropriatezza di quel desiderio, serrò gli occhi.
“Grazie, Sebastian”.
Le mani che inglobavano le sue si irrigidirono per un istante: l’uso del nome proprio non era passato inosservato.
Bess non se ne preoccupò. In quel momento non le importava di aver usato il nome invece del cognome. Non le importava nulla, se non di essere ancora viva e non aver messo in pericolo sé stessa e le persone che aveva attorno.
“Che è successo?”. Era la voce di Ruth. Bassa. Minacciosa. Bess riaprì gli occhi mentre Seba le liberava le mani.
La soldatessa era visibilmente scossa. Mag, pallida e spaventata, la fissava con occhi enormi. Seba si alzò e si allontanò di qualche passo.
In panico, Bess si accorse che stavano aspettando una risposta da lei. I pensieri ancora annodati, si ritrovò a lottare per tirare fuori le parole.
“Io… io non lo so. C’era quel cinghiale sul tavolo, e io ho pensato… per un attimo lui era me, e io ero lui… e il cuore ha cominciato a battere troppo forte, non riuscivo a respirare e…” la voce si affievolì fino a spegnersi.
“Sua signoria non si sente ancora in forze” si intromise Sebastian con gentilezza. “Lasciamole il tempo di riprendersi”.
Bess lo ringraziò con un cenno. Si accorse allora di essere piuttosto discinta: indossava solo la camiciola che di solito si portava sotto il corpetto e l’abito. Ma era così esausta che non ebbe la forza di provare imbarazzo.
Rimasero in silenzio per qualche istante. Bess, sudata e svestita, rabbrividì. Seba e Ruth ebbero la decenza di guardare altrove mentre Mag le portava la vestaglia da notte.
Passò un tempo indefinito in cui Bess cercò di ritrovare sé stessa in mezzo a un groviglio inestricabile di mente, anima e corpo. Mag si offrì di andare a prendere qualcosa di caldo — una camomilla, magari? — ma Bess la fermò con un debole cenno di capo.
Lentamente, il tempo tornò a scorrere nel verso giusto. Stava per aprire bocca per congedare tutti, quando Ruth la anticipò.
“Soffrite di qualche… condizione, milady?” continuò Ruth. Seba, la bocca serrata e le braccia incrociate, stava studiando con attenzione i fregi a decorazione del letto a baldacchino.
Bess abbassò vergognosamente il viso. La risposta fu un soffio.
“Sì”.
Seppur titubante, la voce di Ruth si fece più morbida. “Capisco. È utile per noi saperlo, mia signora. Per essere più… efficienti in caso capiti di nuovo”.
Bess annuì. Non osava guardare nessuno di loro. La vergogna le pesava sulle spalle come un usbergo.
“Non è così facile”.
“Posso immaginarlo. Come posso immaginare che sia meglio che non lo sappia nessuno. Per la vostra sicurezza. È corretto?”.
Bess si fece coraggio e sollevò il viso. Gli occhi della soldatessa incontrarono i suoi. Erano scuri, di un bel marrone castagna, e gentili.
“È corretto” confermò Bess. Se si fosse saputo, sarebbe stato un disastro, sia per lei che per la sua famiglia. Come aveva già detto a Seba una volta, essere la figlia del duca la proteggeva sì dal rogo indiscriminato, ma solo fino ad un certo punto.
“Chi ne è a conoscenza?”.
“I miei genitori”.
“E basta? Fratelli, parenti, dame di compagnia…?”. Lanciò un’occhiata eloquente a Mag, che scosse la testa.
“No”.
“Futuro marito?”.
Bess rabbrividì. “No”.
“Nessun altro?”.
Contro la sua volontà, lo sguardo di Bess fuggì per una frazione di secondo verso Sebastian, ancora determinato a guardare ovunque fuorché lei. Ruth capì immediatamente.
“Benissimo. Non c’è bisogno di sapere altro”.
Bess non ebbe la forza di vergognarsi ancora. Voleva solo essere lasciata sola, sprofondare nelle coperte e dormire per sempre come le principesse delle fiabe.
Mag tornò a sedersi al suo fianco. Con dita delicate le scollò i capelli appiccicati al collo.
Le sorrise debolmente. Rassicurata da quella presenza, si fece coraggio.
“Ho degli attacchi” buttò fuori. “Quando provo forti emozioni. Paura, soprattutto”.
Il viso dell’amica si tinse di sorpresa. La sua malattia era l’unica cosa che ancora le aveva tenuto nascosta.
Ruth mantenne un’espressione neutra; se era spaventata o disgustata da quanto aveva sentito, lo celava bene. Seba, invece, ancora non la guardava. Bess sentiva la mancanza del suo sguardo su di sé.
Accanto a lei, Mag le accarezzò la schiena. “Mi dispiace. Non ne avevo idea”.
Bess si strinse nelle spalle. “Era rischioso. Volevo proteggerti”.
“Mmh. Questa l’ho già sentita”.
Bess ripensò a quando era fuggita dalle Silene senza avvisarla. Anche allora le aveva detto qualcosa di simile. Il ricordo la fece sorridere. Sembrava passato così tanto tempo... Alcune cose non erano cambiate, però. Ad esempio, qualcuno voleva ammazzarla.
“Giornata intensa, eh?” fece, un fiacco tentativo di alleggerire l'atmosfera.
Mag osò un sorriso, ma gli altri due restarono di pietra.
Bess sospirò. “Malloi, Corei. Grazie. Potete andare”.
Ruth chinò la testa. “Benissimo. Se avrete bisogno di noi, saremo qui fuori”. Uscì e Seba la seguì. Solo, un istante prima di oltrepassare dalla porta, si voltò a guardarla. E nei suoi occhi bruciavano così tante emozioni inespresse che Beatrice si sentì scaldare.
La porta si richiuse con un tonfo delicato. Lei e Mag erano rimaste sole. Si voltò pronta ad affrontare la discussione con l’amica.
“Mi hai mentito” sparò subito quella.
Bess si sentì morire un po’ dentro. Era spaventata dalla piega che avrebbe potuto prendere la conversazione.
“Lo so. E mi dispiace moltissimo non avertelo detto prima. Ma è una condizione del quarto ordine, io non so controllarla e se lo sapessero…”
“Non parlo della tua malattia” replicò l’altra indignata. “Ma di te e il bel soldato: c’è stato qualcosa tra di voi e non me l’hai detto”.
Bess trasecolò.
“È questo che ti interessa?”
“Certo. Non mi importa se hai una condizione, una maledizione o la febbre da fieno. Non mi hai raccontato del biondino che, oltre a farti diventare tutto un bollore con un solo sguardo, sa cose di te che non sa nessun altro”.
A bocca aperta, Bess non seppe come ribattere. Poi, inaspettatamente, scoppiò in una risata incontenibile. Lacrime di sollievo le inumidirono i lati degli occhi. Mag era davvero una benedizione che le Celesti avevano messo sul suo cammino.
“Pensavo che fossi arrabbiata!” esalò, senza fiato dal riso e dall’emozione. “Ci sono tanti pregiudizi nei confronti di…”.
“L’unico pregiudizio che ho nei tuoi confronti è che sei ricca e quindi meno sveglia, Bess. Per il resto, gli essere umani sono tutti uguali”.
“Anche se…”.
“Anche se”.
Colpita nel profondo, Bess si slanciò e la abbracciò stretta.
“Come farei senza di te, Mag?”.
“Ah, avresti una vita molto triste”.
“Quanto è vero”.
“Ma io sarei ancora a pulire i vasi da notte delle suore, quindi non è andata male nemmeno a me” aggiunse con leggerezza. Poi il tono si fece serio. “Però soffro a vederti così, Bess. Mi dispiace per tutto quello che sta succedendo”.
Bess sospirò. “Quella alle Silene è stata solo un’inaspettata parentesi della mia realtà. Sapevo che, alla fine, il matrimonio sarebbe stato il mio destino.”.
“Sei preoccupata?”.
“Certo che lo sono. Lord Devon è… misterioso. E non sa niente di me. E a quanto dicono i miei genitori sarebbe meglio tenerlo all’oscuro il più a lungo possibile della mia… della mia…”.
Mag aggrottò le sopracciglia. “Cosa ti succede, esattamente?”.
Bess glielo disse. Fu enormemente grata per lo sforzo che Mag fece per mantenere una faccia neutrale. Se pensava che fosse uno scherzo della natura, ebbe la premura di nasconderlo.
“E… non puoi, non so… controllarlo?” chiese soltanto.
“No. Non so come fare. Devo conviverci. E tenerlo nascosto, per quanto possibile”.
Cosa più facile a dirsi che a farsi. Da quando era tornata dal convento gli attacchi si stavano facendo più intensi e frequenti. Cosa avrebbe fatto se ne avesse avuto uno davanti a persone non fidate?
Mentre le accarezzava piano i capelli, Mag si prese qualche istante per riflettere
“C’è sempre il piano alternativo”.
Le lanciò un’occhiata sospettosa. “Ovvero?”.
“La fuga per i campi”.
Bess sbuffò. “Non è andata così bene l’ultima volta, ti ricordo”.
“Sono abbastanza sicura che stavolta il bel soldato ti aiuterebbe a filartela invece di riportarti indietro. Anzi, sono certa che ti aiuterebbe a organizzare la fuga, se glielo chiedessi”.
Bess sapeva che l’amica stava dicendo un sacco di sciocchezze solo per rallegrarla. Allo stesso tempo, l’idea le parve così tragicamente romantica che non poté evitare di fantasticarci sopra per un istante.
Un pizzicotto sul braccio la riportò alla realtà.
“Ahia!”.
“State sognando a occhi aperti, signora duchessa” la redarguì insolente.
“Sognare a occhi aperti ormai è l’unica cosa che posso permettermi di fare”.
Vide l’indecisione formare una linea verticale tra le sopracciglia di Mag.
“Lo è davvero?” tentò la ragazza senza guardarla. Stavolta il tono era serio. “Perché io stavo scherzando… ma non troppo”.
“So che mi aiuteresti a fuggire dalla torre in cui sono rinchiusa, Mag. E lo apprezzo tanto, davvero. Ma non posso. Dove andrei? Di cosa vivrei? Non so fare niente e non conosco nessun posto a parte queste mura e un convento da cui sono stata cacciata”.
“Non sei stata cacciata. Sei stata prelevata contro la tua volontà”.
“In ogni caso, le Silene non mi vorrebbero. Mi rispedirebbero subito qui”.
“È vero” ammise Mag. “Ma ci deve essere una soluzione alternativa”.
“Non c’è. Non per me”.
Ci fu un silenzio carico di infelice comprensione.
Bess prese una mano dell’amica e la strinse piano. “Verrai con me, dopo le nozze? Come mia dama di compagnia? Avrò bisogno di una faccia amica per consolarmi delle mie sfortune” disse, il tono ironico rovinato appena dal sorriso triste.
Mag sorrise a sua volta. “Sfortune davvero. Sposata a un uomo bello, nobile e ricco, ricoperta di doni e gioielli…”.
“Non farmi sentire in colpa. Sono consapevole di vivere nel lusso e nel privilegio. Le suore non facevano che ricordarmelo”.
L’altra sospirò. “Scusami. Sto cercando di consolarti, ma è evidente che sto fallendo su tutti i fronti”.
“Stai andando benissimo. Sono io che sono troppo… troppo…”.
Difettosa. Ingrata.
“… problematica”.
“Non sei problematica. Hai dei problemi. Come tutti. E vedrai che in qualche modo ce la faremo”.
Bess sentì di nuovo le lacrime pungerle gli occhi. “Oh, Mag. Sei davvero la cosa migliore che potesse capitarmi”.
Mag le sorrise e sopportò il conseguente abbraccio stritola-ossa. “E tu per me”.
***
Bess amava il suono sordo della tempesta che si avvicinava. Lo sbattere delle porte, il rombare minaccioso, l’improvviso vento gelido che scuoteva i campi di grano. Palazzo del Vento cominciava a fischiare. Da qui veniva il suo nome: durante le tempeste che abbondavano in quelle terre, l’intero edificio era costruito per suonare come uno strumento musicale intonato dalla brezza. I fischi e i sussurri del palazzo erano confortanti per Bess.
E poi arrivava la pioggia. Un ticchettare leggero, ineguale, spazzato dalla furia delle correnti. Risuonava sulla pietra, sulla polvere del viale, sulle rose ormai appassite. E poi i fulmini, dapprima lontani, piccole crepe contro il cielo notturno, poi lampi accecanti accompagnati dai fratelli tuoni, che scuotevano le fondamenta e facevano tremare le candele.
C’era forse un’atmosfera più adatta per la notte precedente alle nozze? Con un sospiro amaro, Bess la trovò perfettamente in linea con il suo umore.
Mag dormiva da un pezzo. Anche lei ci aveva provato, ma dopo ore di rigiramenti e brutti pensieri, aveva accettato la sconfitta e si era alzata. Con solo una candela a farle compagnia, si era seduta alla toletta. Nel pomeriggio era stata lavata e pettinata con eccessiva perizia, e ora aveva la pelle arrossata dal troppo sfregare e i capelli ripiegati con cura sotto la cuffietta. Il vestito da sposa, appeso all’armadio, la fissava come una fanciulla spettrale.
Un rombo di tuono.
Bess tornò a guardare le gocce di pioggia che si schiantavano sul vetro e correvano giù come tanti piccoli girini. Al di là di essi, solo colline e un lugubre cielo nero coperto di nuvole. Bess suppose che la mezzanotte fosse passata da un pezzo. Il giorno delle nozze, infine, era giunto. Entro mezzodì sarebbe diventata la marchesa Collenero, signora di Garbana; sposata a un uomo praticamente sconosciuto e pronta a essere spedita lontano da casa come un grazioso e arrendevole pacco postale.
Era stato così strano, il giorno dell’incidente a cavallo, svegliarsi tra le sue braccia. Le era sembrato sinceramente preoccupato per lei e infuriato con tutti gli altri, gli occhi neri e tempestosi che passavano dal suo viso alla folla di curiosi che si era assiepata attorno a loro.
Ma erano gli occhi di un altro uomo quelli che, nella confusione e nella paura, Bess aveva cercato.
Sebastian l’aveva guardata con un’angoscia così evidente da farla spaventare. I suoi sentimenti erano lì, sulla superficie, visibili a tutti quanti avessero la premura di guardare.
Pericoloso, si disse Bess. Non potevano rischiare che qualcuno insinuasse qualcosa sul suo conto, o la sua vita di Alato sarebbe stata breve e destinata ad avere una tragica fine. Un ulteriore livello di complessità che si sommava a quella situazione già sull’orlo di una catastrofe.
Perché le Celesti l’avevano condannata a quella esistenza disgraziata? Era furiosa con sé stessa, con il fato, con i suoi parenti e i suoi dannati fratelli incapaci di mettere al mondo un erede.
In un moto di stizza, soffiò sulla candela.
La fiammella si spense.
***
La tempesta portò, come sempre, quell'illusione di frescura mattutina che si trasformava in afa insopportabile non appena il sole superava la linea dell’orizzonte. La luce dell’alba filtrava dalla finestra di Beatrice, donando una dolce sfumatura rosa ai contorni dei mobili e alla tragica situazione in cui si trovava. Mentre una mezza dozzina di servette le ronzava attorno come uno sciame di api operose, armate di forcine, veli, pomate e metri e metri di tulle candido, Bess si guardava allo specchio.
Il torace, strizzato in un corsetto color crema, era in un tripudio di seta e raso; la gonna era ampia, con strascico, di tessuto damascato con ricami floreali. Le maniche erano gonfie sulle spalle — ben tre balze di pizzo — e le lasciavano scoperti gli avambracci. Alle mani indossava guanti bianchi di seta così sottili che evitava di toccare qualsiasi cosa nel timore di strapparli o macchiarli; al collo il dono di lord Devon; ai lobi orecchini così pesanti che le facevano venire il mal di testa.
A parte quei dettagli, era uno splendido ensemble, non c’era nulla da dire. Peccato per il caldo schifoso. E che lo avrebbe usato per sposare un uomo di cui non le importava nulla.
Non una gran giornata.
“Perle o fiori di seta per il velo, mia signora?”.
Bess non rispose. Nemmeno di quello le importava.
Mag agitò una mano e scelse per lei. “Le perle andranno benissimo”.
Fu pronta fin troppo presto. Le cameriere furono congedate. Prima che Bess potesse girarsi a parlare con Mag, però, la porta si spalancò e, vestita di azzurro, apparve sua madre pronta a decantare l’incantevole aspetto della terzogenita.
“Sei proprio una sposa” cinguettò, le lacrime agli occhi. “La carrozza è pronta. Tuo padre è già fuori che ti aspetta”.
La concretezza della notizia le rimescolò lo stomaco.
Sta succedendo davvero.
Dalla porta aperta entrarono, come ombre rosse, Ruth e Seba. Bess fece appello a tutto il suo autocontrollo per non lanciare loro un appello disperato.
Salvatemi.
Non riuscì, però, a evitare di incrociare lo sguardo di Seba. Con una stretta al centro del petto, realizzò che era devastato quanto lei.
“Su, vieni qui”.
Sua madre sollevò il velo e glielo calò gentilmente davanti al viso. Tutto il mondo si offuscò di bianco.
“Devo proprio?”.
“Certo che devi” la rimbeccò Ginevra nascondendo l’irritazione in un buffetto affettuoso. “È tradizione”.
“Lord Devon sa già come sono fatta”.
“Non sa quanto splendida sei ora”. Cianciando poi di ritardi, gioielli e ventagli sua madre tornò da dove era venuta, lasciandola finalmente sola con Mag e i soldati.
Ruth fece un passo avanti. “Siete pronta, milady? Vi scortiamo da basso?”.
Dobbiamo proprio?
“Sì”.
Suo padre era esattamente dove avrebbe dovuto essere, in cortile, di fianco alla carrozza intarsiata. Dopo i complimenti di rito la aiutò a salire e si accomodò sul sedile di fronte a lei. Mag li seguì e si sedette silenziosa, facendosi piccola piccola per non sgualcire il voluminoso vestito bianco della sposa. Al “Ah!” del cocchiere la vettura partì sobbalzando. Ruth e Seba li seguivano a cavallo.
Bess non vide nulla della strada fino alla cattedrale, obliterata dal velo e dalle tendine di pizzo. Più di una volta, però, si chiese se fosse quello il momento giusto per buttarsi fuori dalla carrozza e fuggire. Poteva farlo? Suppose di sì, ma così agghindata non sarebbe andata lontano. L’avrebbero acciuffata prima di raggiungere il mercato.
Il viaggio in carrozza fu rapido. Arrivarono a destinazione tra gli applausi e due ali di folla.
Bess, sostenuta da suo padre, scese per ultima. La cattedrale svettava solida nella sua magnificenza, la facciata di pietra rosa in ombra rispetto al sole che ne delineava i contorni. Il selciato ributtava un caldo umido che incollava i vestiti alla pelle. L’affollamento di curiosi accalcato ai lati dell’ingresso principale era composto perlopiù da mercanti, artigiani e contadini. Povera gente con una vita del tutto diversa da quella di Bess, che sperava solo di dare un’occhiata alla gente ricca per spettegolare con il vicino di bottega per poi dimenticarsene e procedere serenamente con la propria vita.
Li invidiò tutti, dal primo all’ultimo.
Le campane suonarono le tre note di rito, di un’allegrezza che Bess non provava minimamente. Don-din-dan. Don-din-dan.
Con il braccio sopra quello teso di suo padre, si incamminò verso i portali spalancati. Centinaia di occhi la fissavano.
Don-din-dan. Don-din-dan.
La cattedrale, altissima e in penombra, toglieva il fiato. Colonne ritorte guidavano lo sguardo fino al soffitto dipinto come un cielo azzurro, spezzato nel mezzo da una lunghissima crepa d’oro che finiva nell’affresco monumentale in fondo alla sala. Era un ritratto a figura intera delle Tre Signore Celesti, di bianco vestite: una con un falco, una con un segugio, una con un cavallo. Tutte indossavano corone di spighe a simboleggiare la fecondità imperitura dell'aldilà della Terza Vita. Sotto i piedi, tra l’erba e i fiori dipinti, schiacciavano un serpente, una lucertola e un rospo.
Don-din-dan. Don-din-dan.
L’aria era pesante di decine e decine di respiri. Bess deglutì e cercò di controllare il proprio quando si accorse che lord Devon era già al suo posto accanto all’altare.
Una singola voce infantile cominciò a cantare. Bess non seppe collocarla nello spazio: echeggiava dappertutto tra le colonne, acuta e liscia come vetro.
Mentre lo spazio tra lei e il fondo della navata si restringeva, i pensieri scorrevano scomposti. Stava succedendo davvero? Erano quelli gli ultimi passi liberi della sua vita?
Una volta condotta all’altare, Bess fece una riverenza prima a lord Devon e poi alla sacerdotessa incaricata alla cerimonia, una donna alta e severa con la testa completamente rasata. In mezzo alla fronte aveva disegnato un cerchio spezzato da una linea ricurva; dietro di lei, l’enormità delle figure celestiali dipinte l’annicchiliva.
Senza sollevare il velo, suo padre la baciò sulla fronte; poi, dopo aver stretto la mano a lord Devon, la lasciò da sola in balia del destino.
Improvvisamente priva di sostegno, vacillò appena. Udì qualcuno scattare alle sue spalle per poi tranquillizzarsi non appena ebbe recuperato l'equilibrio. Sapeva chi era anche senza voltarsi: sentiva i suoi occhi castani perforarle la nuca.
Il canto proseguì fino a un’ultima altissima nota per poi spegnersi. Nel silenzio, gli sposi si inginocchiarono verso l’altare.
Bess lanciò un’occhiata al profilo del marchese. Cosa stava pensando, dietro quell’espressione gentilmente compiaciuta?
La sacerdotessa cominciò a decantare le prime frasi della cerimonia e Bess si ritrovò di nuovo catapultata in una realtà con cui non voleva avere nulla a che fare. La collana che portava al collo la appesantì come un giogo, facendola sussultare in avanti. Le veniva da vomitare.
Don-din-dan. Don din-dan.
Spighe furono scambiate, nastri furono intrecciati. La predica della sacerdotessa procedeva senza sosta, diventando a tratti una litania senza senso. La temperatura, che a Bess era sembrata accettabile quando aveva varcato le porte ombrose della cattedrale, ora le faceva sudare le ascelle: sentiva i rivoli freddi scivolarle giù per gli avambracci.
Infine due coppe furono riempite sull’altare: il vino sacro, dolce come miele, pronto per essere bevuto a suggellare l’unione tra i due amanti.
Il canto riprese accompagnato da un coro di voci bianche. Ancora in ginocchio, Bess sentiva i muscoli irrigiditi.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Si alzò al cenno della sacerdotessa. Lord Devon fu lesto ad afferrarla quando la vide instabile sulle gambe addormentate.
Un ronzio minaccioso cominciò a riempirle le orecchie. Il cuore cominciò a battere più veloce.
Il marchese afferrò i lembi del velo e lo sollevò con un gesto ampio e elegante. Il mondo tornò nitido e a colori nel viso attraente di lord Devon. Le sorrise.
“Siete bellissima”. Sembrava lieto. Felice, perfino.
In un ultimo stralcio di lucidità, Bess fu certa di non avere in faccia un’emozione altrettanto positiva. Si sentiva debole, e accaldata, e tramortita.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Afferrò la sua coppa con mano tremante. Il canto continuava. Portò il vino alle labbra.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Il liquido tiepido le bruciò la lingua e la gola.
La coppa le venne gentilmente tolta di mano. La sacerdotessa stava parlando. Cosa diceva?
Don-din-dan. Don-din-dan.
La folla scoppiò in un applauso. Lord Devon le sollevò il viso.
Bess ebbe un moto di orrore. Stava per succedere.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Non voleva baciarlo. Non voleva affatto.
Disperata, inclinò appena il viso per guardare i suoi Alati. Sebastian aveva la mandibola rigida e respirava tra i denti serrati.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Una sensazione ben conosciuta, come dita gelide, cominciò a stritolarle le viscere.
No. No. Non adesso.
Don-din-dan. Don-din-dan.
Non ora, non…
Lord Devon la baciò. Al tocco delle sue labbra, Bess sentì uno strappo al centro del petto e tutto sparì.
Spazio dell'Autrice 2
Come precedentemente detto, dopo questo capitolo 13 mi prenderò una piccola pausa dalla pubblicazione per continuare a scrivere. PESSIMO TEMPISMO, vero? Lo so, lo so. Ma siamo già circa a metà della narrazione (prevedo 27 capitoli), e tornerò a tormentarvi presto con Bess e Seba e le loro vite problematiche, promesso.
Grazie a tutti <3