20.
«Che schifo!»
Manfredi era sdraiato a bordo piscina. Si era tolto la camicia, restando a torso nudo. Il calore del Sole del pomeriggio era piacevole, sulla pelle. Le cicale, che cantavano in modo quasi assordante il loro inno all’estate, creavano una gradevole compagnia. Facevano riposare la mente, isolandola da ogni altro suono. Non che ce ne fossero poi molti. La sonnolenta campagna tutt’attorno sembrava ondeggiare nell’illusione provocata dal calore, mentre invece era immobile, sprofondata nel riposo di luglio. I cinghiali, nel loro recinto, dormicchiavano, agitando di quando in quando la testa per allontanare le mosche che ronzavano pigre. E la città turrita, là in fondo, svettava contro un cielo tanto blu da sembrare finto.
Dopo aver consumato un magro pranzo – un toast provola e prosciutto che non aveva potuto cuocere perché si era guastato il tostapane, accompagnato da una Coca-Cola – Manfredi aveva telefonato ancora una volta a Marotta e a Gallone e, subito dopo, a Francesco e ad Alessandra. Gli sembrava suo dovere di comandante, quello di tenersi in stretto contatto con i suoi uomini. Da quelle brevi chiacchierate non erano emerse novità. Tutti e quattro si stavano ammazzando di fatica, percorrendo via cava dopo via cava, ma della tomba non sembrava esserci traccia.
Non quello che si sarebbe voluto sentire dire.
Non facciamoci scoraggiare, si era detto. Lo abbiamo saputo fin dall’inizio, che non sarebbe stata un’impresa semplice.
Per un istante, aveva preso in considerazione l’idea di chiamare anche De Crescenzo, per sapere come si sentisse. Aveva declinato. Visto l’orario, era molto probabile che il maresciallo si stesse godendo una pennichella. Lo avrebbe lasciato riposare e gli avrebbe telefonato più tardi, a pomeriggio inoltrato.
Dopo aver ingurgitato l’ennesima aspirina – aveva perso il conto, doveva essere la settima o l’ottava – si era finalmente cominciato a sentire meglio. Non che fosse già pronto per mettersi a sua volta all’opera, ma i dolori si stavano attenuando sempre più in fretta. Ormai erano poco più che un fastidio che si palesava qua e là. Specialmente in zona inguinale, sembrava essere tornato tutto a posto.
Forse non diventerò sterile, ragionò. Oddio, non che faccia poi tutta questa differenza. Non ho nessuna intenzione di mettermi a sfornare figli. Per farli vivere dove, poi? In questo mondo disgraziato, che peggiora di giorno in giorno? Basta aprire le notizie sul telefono per rendersi conto che non è il momento di mettersi a procreare. Poi vabbe’, gli altri facciano pure quello che gli pare. Io questa responsabilità mica voglio prendermela. Non sono così cattivo.
Trovava sempre incredibile come i suoi pensieri riuscissero a vagare e a indugiare sugli aspetti più lontani dell’esistenza. Chissà mai cosa c’entrava, il pensiero di potere – e non volere – diventare genitore, con quello che stava combinando in questi giorni.
Potenza e misteri della mente, concluse. Soprattutto misteri.
Sentendosi in grado di camminare, aveva deciso di lasciare il soffocante e maleodorante chalet e di andarsene in piscina. Lì dentro cominciava a sudare un po’ troppo. Inoltre gli metteva addosso la depressione, pensare di trascorrere un’intera giornata di luglio serrato tra quattro mura.
Mi sento un po’ in colpa, si disse.
Non gli pareva corretto restarsene in piscina tutto il pomeriggio, a girarsi i pollici e a contare i secondi e i minuti, oppure a osservare le rondini danzare nel cielo, mentre i suoi ragazzi faticavano in quel modo.
E, mentre io me ne sto qui, Aurora è schiavizzata da Peppe, soggiunse la sua mente.
No, non poteva permetterselo.
Allora, giusto per non avere l’impressione di essere rimasto con le mani in mano per tutto il giorno, e per sentirsi un po’ meno colpevole, recuperò dal portadocumenti in cui era stato chiuso il piccolo quaderno dalla copertina gialla che era appartenuto a Minelli. Trascorse le due ore successive sdraiato sul bordo della piscina, leggendo una dopo l’altra le pagine in cui il tombarolo aveva vergato la lista dei suoi clienti.
Alla fine, quel commento gli era sorto spontaneo alle labbra.
«Che schifo!»
I nomi elencati con somma cura in quelle colonne erano quelli di veri e propri pezzi grossi. Preti, politici, amministratori di vario genere, ricconi di ogni tipo: tutta gente che, prima o dopo, aveva acquistato da Minelli qualche pezzo storico trafugato, per crearsi una collezione personale di antichità. Si domandò come dovessero sentirsi adesso, quegli illustri personaggi.
I telegiornali avevano dato notizia della morte violenta di Minelli. Ormai tutti loro dovevano esserne al corrente. Erano spaventati? Temevano, forse, che questo potesse in qualche modo ricollegare loro al tombarolo ucciso? Oppure, al contrario, avevano provato un senso di sollievo, credendo che il solo che avrebbe potuto tradirli era stato tolto di mezzo? Be’, se la pensavano così, erano davvero fuori strada.
Secondo me, questi non sanno nemmeno chi sia stato, a vendergli le loro chincaglierie, concluse il tenente, richiudendo il quadernetto. È gente senza memoria, soprattutto i politici, quando fanno le promesse elettorali. Figurati se ricordano il nome di quello che considereranno un plebeo, come minimo. Be’, hanno fatto male i loro conti. Minelli si ricordava benissimo di ognuno di loro. Vedrai che bella sorpresa, che gli facciamo, a questi signori.
Si sentì prudere i pollici. All’improvviso, ebbe voglia di risolvere il più in fretta possibile la faccenda di Charun per organizzare una bella retata, che avrebbe avuto diramazioni contemporaneamente in tutta Italia. Sarebbero scattati un bel po’ di sequestri e di avvisi di garanzia. Forse ci sarebbe stato anche qualche arresto, chissà; ma sapeva bene che, per casi del genere, le pene erano ridicolmente miti. Pazienza. A lui importava recuperare il patrimonio artistico sottratto illegalmente. Almeno, si sarebbe rifatto della Venere Impudica, che aveva dovuto lasciare nelle mani di quel maledetto pelatone di Rakovac. Ma solo temporaneamente. Prima o poi, sarebbe andato a recuperare anche quella. Promesso.
Leggere quel quaderno gli aveva lasciato addosso una sensazione di disgusto. Di profondo disgusto.
Mi faccio un bagno così me la lavo via.
Si guardò attorno. Anche stavolta, non c’era nessuno a guardarlo, a parte i soliti cinghiali. Quelle bestiole – salami in potenza, gli piaceva chiamarli – non parevano minimamente interessate a lui.
Ormai mi sto abituando a fare il nudista, da queste parti, si disse, mentre sfilava in un colpo solo jeans e boxer.
Il sole sul suo corpo nudo scottò, ma fu anche tonificante. I pochi dolori che ancora gli restavano addosso svanirono subito. Un vero balsamo. Facevano bene, gli antichi, a venerare il Sole.
Si preparò a immergersi in acqua. Non era mai stato un grande nuotatore, ma in qualche modo se la sarebbe cavata. Giusto per rinfrescarsi un poco e allontanare il senso di sporcizia che gli era rimasto addosso leggendo il quaderno giallo di Minelli.
Potremmo chiamarla proprio “Operazione quaderno giallo”. Dato che ogni operazione deve avere un nome, rendiamo il giusto omaggio a questo quadernetto.
Di certo, avrebbe suonato meglio di “Operazione tombarolo ridotto in poltiglia”.
Sedette sul bordo. Immerse i piedi nell’acqua. Era piacevolmente fresca. L’odore di cloro era lieve, non fastidioso. Fu sul punto di spingersi in avanti, quando dalla tasca dei jeans il suo smartphone cominciò a suonare.