Capitolo 168 - In ogni iniziativa pensa bene a dove vuoi arrivare -
Milano, 21 settembre
Joséphine era rimasta colpita nel rivedere suo marito, quasi quattro giorni prima: era dimagrito ulteriormente, per non dire smagrito, seppur non fosse mai stato grosso da quando lo conosceva. Gli ultimi giorni di strenuo combattimento erano stati devastanti per ogni singolo soldato e ufficiale sul campo di battaglia, francese e non: anche i suoi aiutanti mostravano, infatti, lo stesso aspetto logoro, stanco e macilento - Perdonami se non mi presento nel migliore dei modi, amore mio - si era rapidamente giustificato Napoleone, dopo averla abbracciata con una forza notevole.
- Hai affrontato una guerra estenuante, tesoro - aveva risposto comprensiva la donna, ricambiando la stretta e accarezzando quella schiena quasi scheletrica - Non potrei rimproverarti, hai svolto il tuo dovere - aveva aggiunto con un tono quasi materno. Ormai la creola aveva ben compreso come doveva porsi con Bonaparte, se riusciva a prenderlo per il verso giusto. Infatti il generale le aveva regalato un meraviglioso sorriso: quei denti perfetti e bianchi illuminavano il viso smunto e lo rendevano ancora più giovane di quanto non fosse già.
- Buongiorno madame Bonaparte! - aveva sentito provenire alle spalle del marito, al pari di un coro. Gli aiutanti l'avevano salutata con sincerità. Napoleone si era voltato, leggermente geloso, voleva essere il solo a riservare tutte le attenzioni alla sua adorata moglie. Quell'accoglienza era stata troppo enfatica, secondo il suo parere, l'espressione era mutata all'istante e ciò li aveva fatti ammutolire di colpo.
A quel punto era intervenuta la donna - Avanti musone - si era rivolta al consorte, nel mentre lo accarezzava in maniera provocante - Non essere duro con i tuoi fedeli assistenti, volevano soltanto riservare dolci carinerie alla moglie del loro adorato comandante, lo fai anche tu con le nobildonne milanesi e delle altre città italiane, che ti vogliono incontrare, specialmente dopo un'impresa valorosa oppure mi sbaglio?
Napoleone, accortosi dell'esagerata reazione, le aveva dato ragione e si era scusato con i suoi, nonostante questi ultimi gli avessero fatto notare che non ci fosse stato alcunché di offensivo e grave - Conosciamo la vostra gelosia, comandante - aveva esordito Muiron a nome di tutti - Se fate così è perché ci tenete! - e chiarito il disguido, avevano lasciato da soli i due coniugi. Era giusto che trascorressero del tempo insieme, specialmente dopo la lunga astinenza e assenza.
Come un lampo, Joséphine si era ricordata dell'ultima lettera che Bonaparte le aveva inviato, pochi giorni prima del suo ritorno a Milano: era stata una lettera breve, come accadeva ultimamente, ma carica di tormento interiore e di inaspettato risentimento nei suoi confronti 'Ti scrivo molto spesso, mia buona amica e tu poco. Sei cattiva, brutta, bruttissima, tanto quanto leggiera'. Quando l'aveva letta aveva creduto che fosse la solita esagerazione di un goffo brontolone, invece la lontananza aveva acuito realmente il desiderio viscerale, quasi possessivo di essere lì, con lei.
'È perfidia l'ingannare un povero marito, un tenero amante! Deve egli perdere i suoi diritti, perché è lontano, carico di bisogno, di fatiche, di pene? Senza la sua Joséphine, senza l'assicurazione del di lei amore, che più gli rimane sulla terra? Che vi farà egli?'. La sua passione rassomigliava ad un uragano di sentimenti che nemmeno lui riusciva a frenare, a controllare, perfino nel momento più concitato della battaglia.
Anzi, con molta probabilità, il furore degli scontri era alimentato da tale tempesta impetuosa. 'Ieri avemmo uno scontro sanguinosissimo; l'inimico ha perduta molta gente ed è stato compiutamente battuto. Gli abbiamo preso il sobborgo di Mantova'. Sapere dell'esito positivo della campagna, che aveva condotto sino a quel momento, come conferma delle lettere che gli aveva mandato precedentemente, fu un sollievo per lei. Pur amandolo con minore intensità, Napoleone restava sempre suo marito e se voleva mantenere uno status elevato, doveva sperare che questi trionfi militari non cessassero bruscamente.
Persino il suo Hippolyte rimaneva sbalordito di fronte alle incessanti vittorie del generale Bonaparte. Era informato circa le miserevoli condizioni di quella banda di straccioni che il corso stava guidando, anche perché era a stretto contatto con parecchi appaltatori militari, i quali stavano guadagnando, in maniera non propriamente lecita, dalle imprese dell'Armata d'Italia - I festeggiamenti sono sempre graditi, cara Rose - gli aveva riferito più volte il baffuto Charles - Le sue vittorie sono anche nostre, in fondo, con questi ritmi diventeremo ricchissimi in poco tempo e chissà magari potrò lasciare l'esercito e vivere di rendita! Auguriamoci, quindi, che ciò sia durevole e costante!
Joséphine aveva sorriso un po' contrita, non tanto per la prospettiva di ottenere una sicurezza economica seppur con mezzi poco legali, quanto per la loro relazione adulterina. La manifestazione di gelosia mostrata poco prima, era già stata profetizzata nell'ultima lettera. Secondo Bonaparte era la degna conclusione della corrispondenza 'Addio adorabile Joséphine; una di queste notti i tuoi usci si apriranno con francasso: come se fossero aperti da un geloso, ed eccomi nelle tue braccia. Mille amorosi baci'.
Pregava che non venisse mai a conoscenza del loro rapporto "Per un semplice saluto ha inscenato quella manfrina, come potrebbe reagire se dovesse, un giorno, scoprire qualcosa di più grave e serio?". Una simile domanda le provocò un'ansia che dovette ricacciare, altrimenti il corso l'avrebbe tempestata di domande e si sarebbe tradita. Non poteva permetterlo per nessuna ragione al mondo "Sto facendo di tutto per raggiungere la stabilità a cui aspiravo dalla fine del Terrore".
Quelle giornate trascorsero rapide e per nulla inoperose, Bonaparte si occupava anche della politica della città, la fazione filofrancese si stava riprendendo, soprattutto a seguito del suo rientro. L'incertezza era principalmente dovuta alla riuscita dell'operazione bellica, nonostante le rassicurazioni di Napoleone: c'era sempre qualcuno che ne avrebbe approfittato, scavalcando l'autorità imposta. Non tutti erano d'accordo con la scelta di imporre un governo troppo vicino agli oltralpe, veniva visto come una semplice sostituzione, invece degli austriaci oppressori, erano subentrati i francesi a dettar legge.
Tuttavia, nella testa del giovane corso, si stava già formando un'idea che avrebbe potuto risolvere il problema politico, ma prima della situazione italiana, doveva pensare al Direttorio e ai propri soldati - Cittadino Marmont, avete risposto subito alla mia chiamata - aveva emesso soddisfatto, rilassandosi sulla sedia leggermente imbottita. Non c'era niente di meglio, per un individuo come Bonaparte, della rapidità e dell'efficienza da parte dei suoi uomini.
- Avevo compreso l'urgenza, comandante - era stata la pronta replica dell'aiutante - Ordinate qualsiasi cosa ed io la eseguirò! - era scattato in posizione davanti a lui, ritto con la mano sulla fronte, i piedi uniti e il rumore dei tacchetti degli stivali.
- Conservate la vostra energia, vi servirà per il viaggio verso Parigi - aveva iniziato a spiegare Napoleone, gli occhi grigi lo scrutavano attentamente, per poi abbozzare un sorriso - Non sarà nulla di impegnativo, dovrete portare ben 22 bandiere austriache da fare esporre al Louvre, come segno concreto dei recenti successi - seppur non ritenesse necessaria la spiegazione, Marmont, che conosceva il carattere metodico di Bonaparte, sapeva che tale atto era pura propaganda, necessario al fine di esaltare l'ultima e faticosa vittoria strappata agli austriaci.
- In questo modo pensate di convincere il Direttorio, comandante? - domandò Marmont, incrociando il cipiglio di Bonaparte, le pesanti occhiaie erano capaci di rendere più penetranti ed eloquenti quegli occhi grandi e chiarissimi.
- È solo una delle prove concrete, ma intendo scrivere loro - emise, poggiando il mento sulle mani incrociate; il volto si fece improvvisamente cupo e serissimo - Anche se con la situazione attuale... specialmente nella zona del Reno... - sospirò profondamente - Credo proprio che il Direttorio darà la priorità all'esercito stanziato lì, dato che costituiscono l'armata principale... - Emise un altro sospiro molto eloquente, che Marmont colse perfettamente. Pareva un paradosso, il fronte secondario e sul quale nessuno avrebbe scommesso nemmeno il più misero risparmio, stava conseguendo dei risultati straordinari, collezionando vittorie su vittorie, mentre quello principale, che sin da subito aveva ottenuto le truppe migliori, armi qualitativamente superiori ed ogni sorta di attenzione da parte del governo, stava subendo la sorte peggiore.
- Quindi come farete, comandante? - chiese, mostrando prudenza, era meglio adoperare un simile tono, quando si trattava di strategie e tattiche, non solamente belliche.
- Troverò un modo, almeno per tentare, poi il risultato... - sollevò lo sguardo sul sottoposto, che rimaneva
in piedi, pronto ad agire - Il risultato si vedrà, ma almeno ammireranno le nostre ulteriori vittorie... Immagino già le loro espressioni livide... Non si aspettavano di certo un simile esito da un giovane generale di provincia! - ribadì orgoglioso, nonostante fosse egli stesso meravigliato dei progressi guadagnati. Si augurava solamente che perdurassero ancora "Specialmente adesso che ho in mente il traguardo da raggiungere, preferirei morire sul campo di battaglia o uccidermi, piuttosto che accettare nuovamente la triste e misera vita che conducevo fino a poco tempo fa".
Dopo che il suo aiutante di campo si era congedato, per recuperare le bandiere e mettersi in viaggio verso la capitale francese, il comandante Bonaparte si era raccolto in una riflessione taciturna. La sconfitta dei due generali francesi sul fronte del Reno non lo allettava affatto "Se solo fossi riuscito ad annientare definitivamente Wurmser...". Quella vittoria parziale non lo soddisfaceva come avrebbe voluto e la colpa era del Direttorio, se soltanto gli avessero mandato altri soldati, più riposati, la disfatta del feldmaresciallo asburgico sarebbe stata definitiva e indolore "Tante vite austriache sarebbero state risparmiate, assieme a quelle francesi".
Con l'arrivo del freddo e della nuova stagione la guerra sarebbe stata ancora più spietata e difficile "Mi ci vorranno almeno 25.000 soldati, per essere pronto contro la nuova minaccia austriaca che calerà, ne sono certo, per tentare di liberare Wurmser e riconquistare Mantova, è il punto focale dell'intera campagna!" Napoleone avrebbe ostinatamente cercato di tramutare l'assedio in battaglie rapide, movimentate, soltanto così la possibilità di vincere sarebbe rimasta costante. La guerra di logoramento rappresentava, per Bonaparte, l'incubo peggiore che potesse capitargli, lo avrebbe impedito con ogni mezzo.
2 ottobre
- Vorresti scrivere all'imperatore Francesco? - Joséphine strabuzzò gli occhi nell'udire dalla bocca di suo marito una simile proposta. Gliel'aveva riferito con una calma che non si aspettava da Bonaparte, persino in quel momento non si era minimamente scomposto, restando sdraiato, con le braccia dietro la nuca e la gamba sinistra sollevata.
- Sì, ci ho pensato per tutta la notte, subito dopo le poche ore di sonno che mi ero concesso - rispose tranquillamente il corso - E poi qui, in Italia, ho un vantaggio rispetto agli austriaci, no? Ho battuto i due comandanti che si opponevano alla mia armata, non può ignorare la faccenda, soltanto perché è un fronte di secondaria importanza!
Joséphine non poté che constatare la fondatezza del suo ragionamento, pur non avendo raggiunto la vittoria definitiva. Le truppe asburgiche erano state ripetutamente battute e rinchiuse in una fortezza, che si stava rivelando una vera e propria trappola per gli stessi austriaci. Il marito le aveva spiegato, sempre a grandi linee, l'evoluzione della vicenda e di come fosse stato in grado di mantenere, ancora una volta, il controllo sulle terre lombarde e in parte quelle venete - Effettivamente ha una sua logica...
- Chissà magari la diplomazia riuscirà a porre fine alla guerra, a giungere a negoziati convincenti e soprattutto alla pace! - emise Napoleone entusiasta, gli sembrava una soluzione equilibrata. Sperava, in questo modo, di scongiurare l'ennesima discesa dell'esercito nemico, poiché il Direttorio pareva intenzionato a non accontentare le sue richieste legittime.
- E quindi di tornare finalmente a Parigi - aggiunse furbetta la moglie, si avvicinò a Bonaparte e gli toccò il naso aquilino, questi la stava scrutando in silenzio, i suoi grandi occhi grigi sembravano penetrare nella sua anima ogni volta che li incrociava.
- Ma come? Non ti piace Milano, tesoro? - si mise seduto, il tono della voce pareva quasi deluso - Eppure è una città di svago, oltre che di potere e cultura, come piacciono a te! Non vorrai mica andartene?
- Non dico che sia brutta o poco attraente, ma non è Parigi, tutto qui, caro il mio Bonaparte - dichiarò la donna, facendo spallucce, quell'uomo era sempre più buffo e insolito ai suoi occhi: suo marito non aveva frequentato molte grandi capitali, lo si capiva immediatamente. Al contrario Joséphine aveva visitato altre città italiane e le aveva trovate sempre molto affascinanti e incantevoli "E se dovessi andarmene da Milano, lo farò quando e se la guerra riprenderà, in modo da poter stare il più possibile con Hippolyte, lui sì che sa come intrattenere una donna".
Napoleone si alzò in piedi, si sistemò la camicia, le culotte e si infilò le comode ciabatte, restando in un silenzio, che divenne quasi assordante; Joséphine allarmò leggermente nel vederlo così, probabilmente era stata troppo diretta nell'affermare la sua volontà di tornare in Patria - Non impensierirti mia adorata - emise poi Bonaparte, quasi come se avesse letto le sue preoccupazioni - Vai pure a fare colazione...
- E tu? - proruppe quasi spontaneamente la creola, seguendolo con lo sguardo, lo vide afferrare la giacca dell'uniforme e stava per indossarla con la sua proverbiale velocità.
- Io ti raggiungerò non appena avrò finito di scrivere a sua maestà imperiale - fu la sua limpida risposta. Nella sua voce profonda e aspra non c'era astio, né tentennamento - Non mi aspettare a tavola, se hai fame, mangia pure, non so quanto ci impiegherò - aggiunse premuroso come al suo solito.
- Sicuramente ci sarà il cittadino Serbelloni a fare compagnia agli ospiti, ci tiene particolarmente - gli fece presente la moglie, subito dopo aver approvato la proposta.
- Allora dovrò cominciare a tenere d'occhio anche il cittadino duca - ridacchiò ironico Napoleone - Sta trascorrendo più tempo di me con la mia adorata moglie! - si riavvicinò a lei, col cappello sottobraccio, la baciò con bramosia travolgente su quelle labbra dolci, morbide e seducenti. Dopodiché la accarezzò sulle guance e la salutò - Ci vediamo più tardi, amica mia - e colmo di amore uscì dalla stanza da letto, raggiungendo lo studio personale, poco distante.
"Io quell'uomo non lo capisco!" pensò la creola, rimasta ferma, a poca distanza dal letto, con la mano nel punto che Napoleone aveva toccato delicatamente. Non le era mai capitato di imbattersi con una persona come Bonaparte: si era convinta di conoscere alla perfezione il genere maschile. Quel corso era riflessivo e agitato, sempre pronto a scattare, anche nei momenti in cui, chiunque, si sarebbe concesso maggior riposo. Un'inquietudine abissale lo caratterizzava, non lo abbandonava mai, neppure nella quotidianità o nei gesti più semplici e spontanei.
- Oh siete già qui, cittadino generale! - esclamò la donna delle pulizie, nel trovarselo davanti - Perdonate il disordine, ma non mi è stato riferito del vostro arrivo... - aveva abbassato la testa istintivamente, aspettandosi un rimprovero che non pervenne, al contrario, fu il giovane generale a discolparsi - Sono io ad aver anticipato quest'oggi e per ripagare il tuo prezioso servizio, ti farò andare a riposare in anticipo, lo meriti - la donna formosa si illuminò di felicità. Quel giovanotto era molto gentile e pieno di gratitudine nei riguardi della servitù, dimostrando quel concetto di uguaglianza che i francesi stavano cercando di diffondere perfino in Italia - Non occorre, cittadino, sono abituata a lavorare da sempre e poi il padrone ci fa riposare adeguatamente
- Il cittadino duca è davvero un uomo onorevole e degno di ogni elogio - affermò con un tono leggermente adulatorio Napoleone, la signora che aveva davanti era pur sempre una delle sue dipendenti. Parlare male del suo padrone sarebbe stato di certo sconveniente, oltre che controproducente. Rispetto a molti altri aristocratici, Serbelloni palesava sincero trasporto nei confronti della Rivoluzione, per cui rappresentava un ottimo alleato da stimare e lusingare.
La donna sembrava sul punto di dichiarare altro, ma essendo, poco istruita, non sapeva come esprimersi. Era rimasta sorpresa dalla perfetta padronanza dell'italiano di quell'affascinante generale francese, ma provava ancora un po' di vergogna nel parlarci a lungo. Si sentiva inadeguata, paragonata poi alla sua magnifica moglie e alle altre nobildonne che frequentavano il palazzo, impazienti di poter vedere dal vivo l'uomo del momento - Hai qualcosa da comunicarmi? - udì provenire da Bonaparte, il quale stava sistemando la scrivania e aveva scorto la sua esitazione.
- Ecco...se avevate bisogno...del vostro collega... - riuscì a proferire balbettando. Per non incontrare lo sguardo penetrante di Napoleone, la domestica stava rimettendo in ordine gli ultimi oggetti fuori posto.
- Sì mi faresti un grande piacere nel chiamare il cittadino Berthier, ti ringrazio - sorrise il corso sinceramente grato a quella donna, aveva anticipato la richiesta che avrebbe posto ad un altro servo in livrea e che gli avrebbe fatto perdere del tempo prezioso. La donna annuì e corse per informare qualche suo collega lì vicino.
Quando il Capo di Stato Maggiore entrò, notò il risolino sornione sul volto del comandante, ma non gli fece alcuna domanda, non voleva sembrare inopportuno. Avanzò rapidamente, attendendo che fosse Bonaparte a cominciare il discorso - Anche le servette sono attratte da me! - esclamò divertito Napoleone - Fino a non pochi mesi fa venivo esaminato, da lontano, con disgusto quasi, si burlavano di me alle mie spalle! - quelle affermazioni furono più taglienti di qualsiasi lama - Ah i benefici della fama! - finì con il suo abituale, spietato sarcasmo.
Berthier era certo che non fosse solamente la popolarità crescente, l'aspetto esteriore, molto particolare e insolito, ad attirare sempre più gente attorno a lui. Erano soprattutto il carisma irresistibile, gli ardimentosi discorsi riguardanti la rivoluzione, la sua immensa cultura e anche l'estrema cortesia che riservava ai servitori, ad averlo reso così amabile, in quella che sembrava essere diventata una piccola corte personale, in cui tutti sembravano dipendere dalle sue decisioni e dalla sua volontà.
- Ora passiamo alle questioni serie - riprese Napoleone concentrato, si alzò bruscamente, già pronto a dettare il contenuto della lettera al leale Berthier, il quale si era prontamente accomodato e preparato, assentendo silenzioso. A Bonaparte quel piccolo accenno non sfuggì - Questa volta dobbiamo tentare direttamente con l'imperatore Francesco II d'Asburgo-Lorena!
- Sarà davvero difficile convincere un sovrano di quel calibro, cittadino comandante - gli fece presente il Capo di Stato Maggiore. Avendo vissuto alla corte di Versailles per anni, era al corrente del modo di ragionare di gran parte degli aristocratici e dei sovrani europei. All'inizio quasi tutti avevano accolto la Rivoluzione cautamente, aprendosi nel momento in cui si era giunto ad un buon compromesso con la monarchia borbonica. Tutto era irreversibilmente cambiato dall'istituzione della Repubblica e dalle esecuzioni dei due sovrani: da allora gli sconvolgimenti francesi furono visti come eventi da soffocare e cancellare definitivamente dalla storia.
- È una persona estremamente orgogliosa e ostinata - la rapida sentenza di Bonaparte interruppe i suoi pensieri - Ma anche un freddo e ascetico calcolatore, sa perfettamente che non può continuare a tenere aperti due fronti, se vuole avere qualche speranza concreta di vincere - il ritmo cadenzato del suo passo condizionava fortemente la modulazione vocale - E uscirne a testa alta, se davvero ci tiene all'onore, pur non essendo un militare... - con l'ultimo inciso si stava riferendo al fratello, l'arciduca Carlo, che lo turbava non poco. Era riuscito a mettere in difficoltà e a sconfiggere due generali francesi competenti e capaci, che erano alla guida di un esercito ben fornito e costituito da soldati addestrati, se comparati a quelli della sua armata.
- Però odia la Rivoluzione e tutto ciò che ha a che fare con essa, noi compresi - Berthier aggrottò leggermente le sopracciglia - È un rappresentante dell'Ancien Régime che stiamo smantellando... uno dei nipoti dell'Austriaca che abbiamo fatto giustiziare!
- Tentar non nuoce, Berthier! - proferì categorico Bonaparte, guardandolo fisso - Provarci non costa nulla e poi sarà la testimonianza che attesterà la nostra volontà di risolvere il conflitto ragionevolmente
Berthier intuì le sue paure e non volle insistere, intinse la penna nell'inchiostro e si mise all'ascolto 'Maestà, l'Europa vuole la pace' cominciò a riportare, assieme ad una serie di adulazioni, 'Questa guerra disastrosa è durata troppo a lungo' e minacce: il Direttorio aveva ordinato a Bonaparte di chiudere il porto di Trieste, uno dei punti nevralgici dell'economia asburgica e degli altri porti che l'imperatore Francesco aveva sparsi lungo l'Adriatico 'Per ora ho rimandato l'esecuzione del piano, sperando di non aumentare il numero delle vittime innocenti di questa guerra'.
Il resto della missiva oscillava tra i due toni, tuttavia emergeva nelle sue parole le preoccupazioni su quanti civili stessero subendo il conflitto, senza poter fare nulla per difendersi. Non poche volte era capitato di dover combattere in prossimità di centri abitati e poiché sua maestà non scendeva in campo dal 1794, ovvero da quando aveva guidato brevemente l'esercito nella campagna delle Fiandre, Napoleone voleva rammentargli quanto fosse alto il prezzo che entrambe le parti stavano pagando e che sarebbe aumentato se avesse prolungato le ostilità.